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Autore: AthenaKira83    25/11/2018    4 recensioni
La vita di Magnus cambia improvvisamente quando un avvocato si presenta da lui rivendicando, sul figlio Max, il diritto del padre naturale.
Per amore del bambino, l'uomo è disposto a ritornare a casa ed ad incontrare il famigerato individuo che minaccia di frantumare la sua felicità.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Da un po' di giorni l'incubo era tornato, come una vendetta.
Ombre sfuggevoli, sagome scure e voci sussurrate turbinavano nella sua testa, confondendolo. Il suo cuore gridò per la disperazione, facendolo sobbalzare sul letto. Aprì gli occhi, quasi senza rendersene conto, per fuggire da quello stato d'incoscienza, ma quel vortice di sensazioni continuava a perseguitarlo ed il suo corpo pareva fatto di piombo, tanto sembrava pesante.
Coperto da uno strato di sudore freddo, ritornò in sé e si voltò, a fatica, sulla schiena, fissando il soffitto ed ansimando. Il dolore al petto gli stava mozzando il respiro, facendolo sentire come se un elefante gli stesse ballando sopra.
Iniziò a respirare lentamente, come gli aveva detto di fare, tempo fa, il medico a cui si era rivolto. Gli aveva spiegato che i suoi attacchi, intensi e che, qualche volta, duravano anche per ore, erano dovuti a degli spasmi muscolari causati dallo stress emotivo. Il dottore gli aveva assicurato che, col tempo, sarebbero diminuiti, per poi cessare definitivamente.
Effettivamente, erano anni che non riviveva, nel sonno, il giorno più nero della sua esistenza.
Dopo quell'episodio, si era sentito morto, per molto molto tempo. Era stato pazzo di dolore per giorni, mesi, anni. Tutt'oggi faticava ancora a credere che lui se ne fosse andato per sempre, che non sarebbe più tornato. A volte, quando il vento si divertiva a giocare con le acque placide del laghetto, increspandole con qualche soffio deciso, gli sembrava addirittura di sentire ancora la sua voce, la sua risata. Lì, dove tutto era finito.
Rimase sdraiato a fissare il soffitto, in attesa che il dolore passasse. Cercò di pensare a cose piacevoli, per affrettare i tempi, ma non funzionò. Anche perché, ultimamente, c'era ben poco che lo rendeva felice.
Si alzò leggermente, per rovistare nel cassetto del comodino e prendere il sonnifero, che non assumeva da tempo. Quando trovò la boccetta, si distese nuovamente sul letto e prese la solita dose, infischiandosene degli antidolorifici e del fatto che poteva essere dannoso mischiare i due medicinali. 'Fanculo. Voleva solo dormire.
"E così.. sei gay."
La voce roca di Magnus Bane spuntò improvvisamente nella sua testa, facendogli spalancare ancora di più gli occhi, mentre il cuore iniziava a pompare violentemente nel petto ed il respiro ritornava a farsi affannoso.
Si strinse addosso il lenzuolo leggero, che lo copriva, con un gesto irritato. Non era giusto, non era affatto giusto. Tra tutte le persone che avrebbero potuto scoprire il suo segreto, proprio il signor Bane. Perché, dannazione? Era riuscito a tenerlo nascosto per anni ed anni alla sua stessa famiglia, a gente che frequentava quasi ventiquattro ore su ventiquattro ed ora arrivava lui che, in neanche un mese, riusciva a stanarlo. L'avrebbe accettato se, a beccarlo, fossero stati Jace od Izzy, ma il signor Bane?! Persino Simon gli sembrava un'opzione migliore dell'uomo con la cresta.
"E così.. sei gay."
Un'ondata di rabbia gli diede una sferzata di energia, facendogli battere un pugno sul materasso.
Perché l'aveva seguito? Che aveva? Un radar che lo avvisava quando lui si trovava in una qualche situazione scomoda? Perché non l'aveva aspettato al tavolo, anziché corrergli dietro? E sì che gli aveva garantito che non l'avrebbe lasciato da solo con i due ubriaconi! Stava solo andando in bagno, per l'angelo!
"E così.. sei gay."
E che diavolo era quella sceneggiata con Raj? Come si era permesso d'intromettersi? Cosa credeva? Che non avesse la situazione sotto controllo? Tzè! Il suo ex l'aveva scampata davvero bella, altroché! Se il signor Bane non si fosse messo in mezzo, Raj avrebbe avuto l'onore di assaggiare la solidità della sua stampella dritta dritta sui suoi gioielli di famiglia! Magnus Bane doveva decisamente smetterla con il fottuto ruolo di principe azzurro, ma, soprattutto, doveva assolutamente smetterla di trattarlo come una dannata principessa in pericolo! Era capacissimo di badare a se stesso, cazzo!
Ed il braccio attorno alle spalle od il bacio sulla guancia? Come si era permesso di toccarlo? E, santo cielo, da dove diavolo si era preso tutta quella confidenza? Ohhh che stesse calmo eh! Mica erano amici loro due!
"E così.. sei gay."
Sì, lo era. E quindi? Cosa cavolo gliene fregava? E come si permetteva di dare per scontato il fatto che si interessasse esclusivamente agli uomini? Poteva essere bisessuale come lui, per quel che ne sapeva! Solo perché non organizzava un'orgia mista un giorno sì e l'altro pure, doveva essere etichettato come gay senza se e senza ma? Era anche stato sposato, cavolo!
"E così.. sei gay."
E come si permetteva non solo di scoprire il suo segreto, ma anche di ricattarlo? Che gran faccia tosta! Certo, quando gli aveva chiesto qual era il prezzo del suo silenzio, non si era affatto stupito di ricevere una risposta, né che quella risposta fosse il ragazzino. Ahhh ma non finiva qui! Affatto! Nessuno avrebbe mai sfidato Alexander Gideon Lightwood senza pagarne le conseguenze. Magnus Bane poteva aver trovato il suo punto debole, ma lui avrebbe trovato il suo e l'avrebbe usato senza nessuna pietà per piegare quell'uomo una volta per tutte.
"Magari a novanta.. sul tavolo della cucina o, meglio ancora, sul letto.." sussurrò una vocina maliziosa nella sua testa.
Arrossì violentemente a quel pensiero e scosse la testa per scacciarlo via. Erano sicuramente la stanchezza e il miscuglio sonnifero-antidolorifici a farlo sragionare. Decisamente.
"Eppure.." sussurrò nuovamente la vocina.
Corrugò la fronte. "Eppure, cosa?" le domandò curioso.
"C'è stato un momento, un momento soltanto, in cui avevo sperato che.."
"Sperato? Sperato cosa?" la interruppe, seccato.
Cosa c'era da sperare? Che Magnus Bane non usasse la sua omosessualità contro di lui? Gli veniva quasi da ridere. Davvero una parte di lui aveva posto un briciolo di fiducia in quell'uomo? Ma per favore! Il signor Bane non era speciale. Era esattamente come tutti gli altri, niente di più niente di meno.
"Stupido, illuso, Alec.." pensò, scuotendo la testa, compatendo la sua parte sognatrice.
Un sorriso amaro di trionfo gli spuntò sulle labbra quando si rese conto di aver zittito, definitivamente, la voce.

E ora come diavolo avrebbe fatto a togliersi quell'immagine dalla mente? si chiese Magnus, per la milionesima volta, sbuffando sonoramente verso il soffitto, mentre se ne stava stravaccato sul letto, a braccia spalancate.
L'espressione sul viso di Alec, quando lui aveva pronunciato il nome del figlio, continuava a tormentarlo e non avrebbe mai pensato che la situazione fosse peggiore di quanto avesse immaginato. Tre semplici lettere, infatti, avevano cambiato tutto. Era da tre giorni che Alec lo evitava come la peste bubbonica e se, per una qualche congiunzione astrale, si incrociavano in casa, l'avvocato zampettava via il più velocemente possibile, senza degnarlo di uno sguardo o di una parola, facendo annegare Magnus in un oceano di sensi di colpa.
Che poi, perché si doveva sentire così in difetto? Eh? Aveva fatto tutto Alec, cazzo! Sì, lui aveva prestato il fianco, dicendo il nome di Max, ma, per tutti i diavoli, non aveva neanche avuto il tempo di dirgli quello che pensava che l'altro l'aveva già etichettato come uno stronzo, pronto a spifferare il suo segreto ad ogni essere vivente! E che diamine!
Quando si era ripromesso di trovare il punto debole di Alec, non avrebbe mai immaginato che gli sarebbe stato servito su un piatto d'argento, ma, soprattutto, che non avrebbe mai potuto usarlo contro di lui. Se gli avesse dato modo di parlare, infatti, Magnus gli avrebbe assicurato che non avrebbe mai rivelato a nessuno il suo orientamento sessuale. Per Lilith, sarebbe stato disposto a giurarlo persino su Max! Neanche all'inizio, quando ancora non conosceva l'avvocato e lo odiava da morire, gli avrebbe fatto una porcheria simile. Era sempre stato dell'idea che, su una cosa così privata e personale, la gente dovrebbe farsi una padellata di cavolini di Bruxelles suoi, come diceva sempre suo figlio.
E invece no! Alec era partito in quarta, giungendo direttamente alla conclusione che lui non si sarebbe fatto nessuno scrupolo a divulgare quella notizia. Ma come si permetteva? Eh? Lo conosceva da poco tempo, ma già si prendeva la libertà di sputare giudizi affrettati, senza neanche starlo a sentire! Era Alec lo stronzo, non lui!
Magnus era decisamente offeso. Stava sprofondando nel pentimento, ma era anche offeso. E che cazzo!
Si alzò dal letto ed iniziò a camminare su e giù per la camera, mentre nella sua mente risuonavano le ultime parole che Tessa gli aveva detto al telefono, prima di salutarlo, quando le aveva raccontato cosa era successo: "Presto o tardi, mio caro, dovrai affrontare le conseguenze delle tue azioni."
Ma quali azioni, santo cielo? Lui non aveva fatto niente! N.I.E.N.T.E.!!
Scosse la testa con arroganza, cercando di scacciare le parole moleste dell'amica.
"Che vadano tutti al diavolo! Tornerò in Inghilterra con Max e non rimetterò mai più piede a New York!" esclamò a voce alta. "O potrei procurarmi documenti falsi per entrambi e fuggire da qualche parte. In Indonesia, ad esempio." annunciò alla stanza vuota, picchiettandosi il mento con fare pensoso. Erano secoli che non ci tornava!
Il sorriso di trionfo svanì di colpo, non appena realizzò l'assurdità di quello che aveva detto.
"Cos'altro posso fare?" chiese alla propria immagine, riflessa nello specchio a muro presente nella sua stanza. "Gli chiedo scusa? Ma per che cosa? E poi dovrebbe essere lui a chiedermi scusa. E ringraziarmi anche! L'ho salvato da quel ragazzo, cazzo!" disse, illuminandosi improvvisamente per aver ricordato quel dettaglio. "Ah! Che ingrato! Sono io che dovrei essere offeso ed evitarlo quando ci incrociamo!" esclamò spazientito. "Ohhh per Lilith! Perché ci sto pensando così tanto?" chiese, arruffandosi i capelli.
Si fissò negli occhi per interi minuti, ma, non ricevendo alcuna risposta, volse le spalle al proprio riflesso e si trascinò a letto, sperando di trovare pace in una buona dormita.
Si girò e rigirò tra le lenzuola, per quella che gli parve un'eternità, ma finalmente il sonno lo colse.
"Max!!" chiamò una voce, con urgenza. "Sto arrivando, Max!!"
Magnus si rizzò a sedere sul letto, gli occhi dilatati per l'agitazione e il cuore che gli martellava nel petto. Qualcuno aveva chiamato il nome di suo figlio. O era solo un sogno?
"Max! MAX!!" ripetè la tormentata voce maschile.
No, non si era sbagliato, qualcuno stava davvero chiamando suo figlio.
I suoi piedi nudi toccarono il pavimento, reagendo d'istinto all'angoscia che sentiva in quella voce. Spalancò quindi la sua porta e si precipitò in fondo al corridoio, arrivando davanti a quella di Alec. Era sicuramente lui che gridava.
Alzò la mano, pronto a bussare, ma poi trovò la cosa ridicola. Entrò quindi senza indugi e, favorito dalla pallida luce proiettata dalla luna piena, che riusciva a fare capolino dalle tende leggermente aperte, si fece strada fino al grande letto. A tastoni, riuscì a trovare il pulsante per accendere la lampada sul comodino e vide il viso dell'avvocato, completamente stravolto da una pena che gli alterava i lineamenti del volto e che gli faceva affondare, sul materasso, i pugni stretti lungo i fianchi.
Magnus lo scrollò delicatamente per le spalle. "Alec!" sussurrò. "Alec, svegliati! Hai un incubo!"
Il giovane però non lo udì, troppo coinvolto, forse, in quello che stava vivendo e con la mente intrappolata in qualche luogo infernale che la voce dell'altro non riusciva a raggiungere.
Di nuovo, Magnus non pensò. Agì. Si infilò nel letto ed abbracciò stretto quel corpo che continuava a sussultare, premendo la guancia sui suoi capelli. Iniziò ad accarezzargli lentamente la schiena, in lunghi movimenti circolari, ed a cullarlo dolcemente. Quando suo figlio faceva un brutto sogno, quella era l'unica cosa che riusciva a calmarlo.
"Max.." bisbigliò Alec. "Dov'è Max? Devo trovarlo." Le mani si alzarono per aggrapparsi a qualcosa. Afferrarono l'aria e poi trovarono la schiena all'altro. "Lasciami. Jace, lasciami andare! Devo trovare Max!" continuò, mentre tentava di spingere via Magnus da sé. I suoi muscoli si irrigidirono e l'altro se lo strinse contro, ancora più forte. "Mi dispiace tanto. E' tutta colpa mia. Mi dispiace.. Max.." rantolò Alec, con una sofferenza indicibile nella voce. Lente lacrime iniziarono a bagnargli le guance.
Magnus era sconvolto. Non aveva idea del perché continuasse a chiamare il nome di suo figlio o perché temesse fosse in pericolo, ma il dolore era così lampante che si sentì angosciato lui stesso. Stava succedendo qualcosa di terribile nel sogno dell'avvocato e Magnus sentì il bisogno di strapparlo da esso il prima possibile.
"Alec. Alec, svegliati!" lo chiamò nuovamente, scrollandolo piano. "E' un incubo. E' solo un incubo." bisbigliò preoccupato, quando l'avvocato spalancò gli occhi e li puntò, inespressivi e vuoti, verso di lui.
Magnus lo osservò con ansia, mentre batteva le palpebre una, due, tre volte, ed infine sembrò mettere a fuoco il suo viso. Le sue mani, che si erano conficcate spasmodicamente nella carne di Magnus, si allentarono ed il suo petto iniziò ad alzarsi ed ad abbassarsi velocemente, mentre respirava nel tentativo di riprendere il controllo del proprio corpo.
"Era un incubo, Alec. Hai fatto un brutto sogno." sussurrò Magnus, posandogli una mano sulla guancia ed accarezzandogli uno zigomo con il pollice.
"Ho.. ho sognato.." esalò Alec, prendendo un altro bel respiro e rilasciandolo subito dopo. "Un sogno. Soltanto un sogno." ripetè, come un pappagallo, scuotendo il capo per schiarirsi le idee. I pensieri, però, continuavano ad essere nebulosi. "Un brutto sogno.. e.. e tu sei venuto a svegliarmi ed a scacciare i fantasmi?" chiese, sorpreso, aggrottando la fronte e continuando a fissarlo. "Grazie, Magnus." sorrise infine.
L'uomo lo osservò, stupito. Da quando si erano conosciuti, non l'aveva mai chiamato per nome né si era mai preso una tale confidenza. All'improvviso fu acutamente consapevole di essere lì, da solo con lui, fianco a fianco nello stesso letto, abbracciati. E, per l'amor del cielo, cosa gli provocava quel sorriso!
"Prego.." rantolò, con la gola improvvisamente secca, leccandosi le labbra che parevano essersi disidratate in un lampo.
Alec seguì ipnotizzato quel movimento e, senza pensarci due volte, calò la bocca sulla sua.

Magnus era in paradiso. Un paradiso caldo e dolce.
Strusciò il naso su un collo morbido, emise un lungo sospiro appagato e si raggomitolò meglio in quell'abbraccio confortevole che lo stava stringendo. Sorrise contento, mentre si crogiolava negli ultimi istanti di beatitudine, e riemerse dal dormiveglia solo parecchi minuti dopo. La sua mano era posata su un'ampia superficie che gli ultimi residui del sonno gli impedirono di riconoscere. Aggrottò la fronte e, ad occhi chiusi, tastò quella pelle. Era decisamente maschile, calda e solcata da svariate cicatrici.
Fu come un lampo accecante. L'immagine del petto nudo di Alec si materializzò nella sua mente, facendogli spalancare di scatto gli occhi verde-dorati. Si irrigidì, mentre gli eventi della notte appena trascorsa irrompevano nella sua mente.
"Per.tutti.i.diavoli." sussurrò sbigottito.
Piegò piano la testa all'indietro, finché non riuscì a vedere il viso dell'avvocato, che dormiva ancora. Se solo la sua fortuna fosse durata un altro po', avrebbe potuto sciogliersi dall'abbraccio e svignarsela in camera sua, senza che l'altro si accorgesse di nulla.
Con movimenti lenti e calcolati, puntò il sedere in direzione del bordo del letto matrimoniale e sporse un piede verso il pavimento, che, nonostante le sue gambe chilometriche, sembrava terribilmente lontano. Tolse delicatamente le proprie braccia dal corpo di Alec e scivolò via, con esasperata lentezza, da quelle muscolose dell'avvocato, spingendosi oltre l'orlo del materasso. Dopo un tempo che gli parve infinito, l'alluce toccò finalmente una piastrella fredda e Magnus trattenne, a stento, un sospiro di sollievo. Ancora un altro po' e sarebbe stato del tutto fuori dal letto.
Alec si mosse nel sonno e Magnus si paralizzò, col cuore in gola, smettendo addirittura di respirare. "Non svegliarti! Non svegliarti! Non svegliarti!" pregò silenziosamente l'uomo, mentre anche l'altro piede toccava il pavimento.
Ok, era fatta! Ora, tutto quello che doveva fare, era arretrare lentamente, quatto quatto, verso la porta ed uscire da lì, senza farsi beccare da Alec o da un qualsiasi altro abitante di quella casa. Raccattò le mutande, infilandosele in fretta e, un passo dopo l'altro, con lo sguardo puntato sull'avvocato per controllare che non si svegliasse, arrivò alla maniglia, la girò ed uscì come un razzo dalla stanza, sentendosi come un delinquente che, furtivamente, scappava dalla scena del crimine.
Una volta fuori, rilasciò un lungo sospiro e rise, appoggiando la fronte alla porta. Adesso doveva solo andare in camera sua, dove avrebbe potuto fingere che non fosse successo niente e..
"Ciao papino!" lo salutò una vocina allegra.
Magnus si spalmò sulla porta, riuscendo a trattenere per un pelo un grido di sorpresa.
"M-Mirtillo! Ciao!" esclamò Magnus, con voce stridula.
"Cosa fai?" chiese Max, con le mani dietro la schiena e la testa piegata di lato.
"C-cosa.. niente! Non sto facendo proprio niente!" si affrettò a rispondere l'uomo.
"Che ci facevi in camera del signor Lightwood?" domandò Max, curioso, alzandosi in punta di piedi e guardando la porta chiusa dietro il padre.
"Niente! Volevo.. dovevo chiedergli una cosa, ecco!" ridacchiò Magnus, isterico.
"Alle otto di mattina?"
Magnus annuì freneticamente.
"In mutande?" chiese Max, scrutandolo dall'alto in basso.
Magnus deglutì ed a momenti si strozzò con la propria saliva. Accidenti a lui e alla sua abitudine di dormire e girare svestito!
"E-era un cosa davvero urgente."
"Cosa sono quei segni?"
"S-segni?"
Max puntò l'indice sul suo petto e Magnus abbassò lo sguardo, osservando, sorpreso, i marchi che gli aveva lasciato Alec la notte precedente. Incrociò le braccia, tentando di coprirsi il più possibile.
"Zanzare! So-sono stato punto dalle zanzare!" pigolò, iniziando a grattarsi per dare enfasi alla sua bugia.
"Le zanzare lasciano delle punture così grosse?"
Magnus annuì, nervoso, continuando a sfregare la pelle.
Max si avvicinò di più al padre, guardando i segni con genuino interesse. "Ma le zanzare mordono?"
"A-alcune! Le più.. le più aggressive!" rispose l'uomo, arrossendo lievemente.
Oddio, suo figlio non aveva niente di meglio da fare che fargli il terzo grado? Prendendolo in contropiede, impedendogli di formulare dei pensieri e delle bugie coerenti, per giunta!
Tra l'altro dovevano assolutamente allontanarsi da lì perché, con il loro vociare, rischiavano di svegliare Alec ed era l'ultima cosa che voleva fare.
"Tu.. tu cosa fai?" chiese al figlio, incamminandosi verso la sua camera, con tutta la disinvoltura di cui era capace.
"Sto uscendo a giocare!" sorrise Max.
"Oh." annuì Magnus. "Ma non è un po' troppo presto?"
Il bambino scosse la testa, con forza. "No, affatto! E sono anche in ritardo!"
"In ritardo? Per fare cosa?" chiese Magnus, confuso.
"Per giocare, no?!" rispose Max, con fare ovvio.
"Ah.. gius.."
"Buongiorno signor Bane. Buongiorno signorino Lightwood." li salutò una voce profonda.
Magnus rischiò l'infarto per la seconda volta, nel giro di pochi minuti.
"Ho-Hodge! Bu-buongiorno!" esclamò Magnus, senza fiato, appoggiandosi alla porta della sua camera.
"Ciao Hodge!" lo salutò Max, con la mano. "Ok papino, io devo proprio andare! Ci vediamo più tardi!" disse poi, rivolgendosi al padre ed abbracciandolo stretto, prima di correre via.
Magnus lo seguì con lo sguardo prima di sentire, su di sé, due occhi che lo fissavano con insistenza. Girò di scatto la testa verso il maggiordomo, che lo stava analizzando dalla testa ai piedi.
"Z-zanzare." sussurrò, sentendo l'impellente bisogno di giustificarsi, mentre incrociava le braccia al petto per coprirsi. "S-sono stato punto dalle zanzare."
Hodge si limitò ad alzare un sopracciglio, senza fare commenti. L'ombra di un sorriso ironico fece capolino sulle sue labbra.
"Cosa?" chiese Magnus, notando l'espressione dell'altro.
Il maggiordomo scrollò le spalle, girandosi ed incamminandosi lentamente lungo il corridoio.
"Cosaaa?" chiese nuovamente Magnus, allargando le braccia e lasciandole ricadere lungo i fianchi.

Max alzò, titubante, gli occhi sul grande edificio che si profilava davanti a lui.
Nonostante le indicazioni ricevute da una signora, che gli aveva mostrato la strada, il bambino non era affatto sicuro di essere giunto alla destinazione corretta. La costruzione al di là di un imponente cancello in ferro battuto, infatti, aveva una facciata carina e colorata, che ispirava simpatia. Come poteva essere, quindi, quello il posto tetro e spaventoso di cui aveva tanto sentito parlare?
Doveva per forza essersi sbagliato, pensò Max, guardandosi attorno sconsolato. Tutta colpa dell'anziana donna, che gli aveva addirittura pizzicato le guance! Quell'antipatica! Se, anziché tormentarlo con inopportune domande, gli avesse fornito le giuste informazioni, a quest'ora Max si sarebbe trovato davanti all'orfanotrofio di Rafe e non ad uno qualsiasi della città. Ma no! Piuttosto che focalizzarsi su quanto le aveva chiesto, quell'impicciona doveva per forza chiedergli "Piccolo, dove sono i tuoi genitori? Eh? Ti sei forse perso?". Piccolo? Lui, piccolo? Aveva già otto anni, cavolo! Era grande ormai!
Sbuffò forte, pronto a fare marcia indietro, quando, con la coda dell'occhio, gli parve di scorgere qualcuno nell'angolo che si riusciva a vedere del giardino, che si trovava dietro l'edificio. Il suo cuore prese a scalpitare quando realizzò che, forse, si trattava di un bambino che conosceva bene. Corse verso il cancello e vi si appiattì contro, nel tentativo di guardare meglio, ma l'altro era già sparito. Che si fosse trattato di un'allucinazione?
Attese ancora qualche minuto, non distogliendo lo sguardo neanche per un secondo, ma, non vedendo più nessuno, si convinse che la sua immaginazione gli avesse giocato un brutto scherzetto. Il bambino, però, un istante dopo ricomparve nella sua visuale e Max non ebbe più alcun dubbio. Rafe!
Saltellò felice sul posto, pronto a gridare il suo nome, ma si bloccò subito, ricordandosi dove si trovava e che non doveva dare nell'occhio. Era già nei guai per essere sgattaiolato fuori dalla tenuta, ci mancava solo che lo beccassero e chiamassero suo padre o, peggio, l'avvocato!
Si scostò leggermente dalle sbarre e guardò in alto: il cancello, purtroppo, era troppo alto e non sarebbe mai riuscito a scavalcarlo. L'unica soluzione, per entrare nella proprietà, era quella di trovare il passaggio nel muro che utilizzava Rafe. Dovette fare ben tre giri, prima di scovare il buco, ben nascosto, nella parete che l'avrebbe condotto dentro.
Una volta entrato, si nascose dietro ad un grosso tronco d'albero, prendendo dei bei respiri profondi per regolarizzare il respiro affannato. Quando il suo cuore smise di battere come un tamburo, prese coraggio e sbirciò da dietro la corteccia.
Dopo una prima occhiata, Max iniziò a prendere in considerazione l'idea di essere davvero stato preso in giro dal suo amico. Seriamente, cos'aveva quel posto che non andava? Il giardino non era molto ampio, ma era grazioso: c'erano delle aiuole, con tanti fiori colorati, un'altalena ed un grande scivolo. E poi c'erano i bambini! Tanti bambini con cui giocare e divertirsi. Anche se c'era una ragazza dai capelli rossi, che li controllava e li teneva costantemente d'occhio, quei bambini erano davvero fortunati, altroché! Nella tenuta dei Lightwood, a parte lo spazio erboso e sconfinato su cui correre, non c'era nient'altro. Non un gioco, non un ragazzino con cui svagarsi, niente.
Solo quando, mentre guardava i visi dei bambini alla ricerca di quello dell'amico, iniziò a scrutarli con più attenzione, una sensazione di disagio cominciò a farsi strada in Max. Quei ragazzini avevano decisamente qualcosa di strano. Alcuni avevano evidenti lividi su braccia o gambe, ma, quello che stupì maggiormente Max, fu la lampante tristezza che traspariva dai loro occhi spenti e il fatto che giocassero con gesti meccanici e privi del tipico entusiasmo infantile.
Continuò a far vagare lo sguardo per tutto il giardino, fino a quando, finalmente, localizzò Rafe poco distante da lui. Raccolse un sassolino e lo lanciò fra i piedi dell'amico, che alzò la testa di scatto. Il suo viso portava ancora i segni delle percosse subite e gli occhi saettarono a destra e a sinistra, nervosi ed impauriti, fino a quando si spalancarono sorpresi nel momento in cui incrociarono quelli blu di Max, che lo salutò con la mano, mentre si portava l'indice dell'altra davanti alla bocca.
"Cosa ci fai qui?" chiese Rafe, inquieto, una volta che l'ebbe raggiunto dietro l'albero.
"Rafe!" lo salutò Max, abbracciandolo di slancio. "Sono giorni che non ti fai vedere! Ero preoccupato!"
Quella mattina, infatti, come tutte le altre, era andato al rifugio sperando di incontrarlo, ma il suo migliore amico non c'era ed era già da qualche giorno che non si presentava. Max iniziava seriamente a temere che gli fosse successo qualcosa ed aveva preso, quindi, la decisione di fare un "giretto" in città, passando per lo stretto passaggio che Rafe utilizzava per andare e venire nella tenuta, ed arrivare "casualmente" all'orfanotrofio per dare un'occhiata.
Rafe lo scostò piano da sé e si guardò oltre le spalle, per accertarsi che nessuno l'avesse visto o seguito. "Non saresti dovuto venire! Se ti trova qui.."
"Mi prenderò io la colpa!" lo rassicurò Max, nonostante non avesse la più pallida idea di chi stesse parlando.
"Max.." sospirò l'altro, scuotendo la testa. "E' pericoloso!"
"Sul serio?" chiese Max, sorpreso. "Io invece trovo questo posto molto carino!" gli sorrise, guardandosi attorno. "Hai un'altalena, uno scivolo e ci sono tanti bambini con cui puoi giocare!" continuò, entusiasta. "Anche se sono un po' strani eh!" sussurrò, accigliandosi leggermente. "Sembra quasi che qui non si divertano.."
Rafe fece una smorfia, pronto a replicare, ma una voce arrabbiata lo zittì. I bambini si guardarono stupiti e poi, quasi simultaneamente, si girarono per sbirciare cautamente da dietro l'albero.
Un uomo osservava arrabbiato la ragazza dai capelli rossi, che Max aveva visto prima, insieme ai bambini. Era accasciata a terra e si copriva il volto con le mani. Max si accorse che stava piangendo.
"Perché piange?" chiese, girandosi verso Rafe.
L'amico, però, non rispose, anzi sembrava quasi che non l'avesse sentito e continuava ad osservare, paralizzato, la scena.
"Rafe.." lo chiamò Max, scuotendolo piano.
L'amico si girò verso di lui, con gli occhi color nocciola spalancati. "Devi andartene!" ordinò, prendendolo per un braccio ed iniziando a trascinarlo verso il muro, senza tante cerimonie.
"Ma Rafe.." iniziò a protestare l'altro.
"Niente ma." lo zittì il più grande. "Devi andartene!!" ripetè, una volta giunti vicino al muro. "Subito!!"
"Rafe.."
"Bene, bene, bene.." disse una voce maschile che gelò Rafe. "E chi abbiamo qui?"
I due bambini alzarono gli occhi sull'uomo alto e biondo, che prima era con la donna e che ora, invece, sovrastava loro, guardandoli in cagnesco e con le braccia incrociate sul petto.
"E' un tuo nuovo amico, Rafael?" chiese l'adulto, accarezzando la guancia del bambino che spalancò gli occhi ancora di più, iniziando a tremare.
Ad occhio esterno, quel gesto poteva sembrare una carezza gentile, ma Rafe sapeva bene quanto l'apparenza potesse ingannare. Era un avvertimento. Con te facciamo i conti più tardi diceva.
Max guardò alternativamente Rafe e l'uomo biondo, intuendo che ci fosse qualcosa che non andava. Assottigliò lo sguardo ed esaminò attentamente l'adulto di fronte a lui. Quell'uomo stava chiaramente mettendo paura al suo amico, che sembrava sul punto di svenire, e questo poteva voler dire solo una cosa: quello era la persona cattiva che aveva picchiato Rafe!
L'istinto di Max lo portò ad agire e si frappose, quindi, tra il suo amico e l'adulto, mettendosi le mani sui fianchi e squadrando quest'ultimo con cipiglio arrabbiato.
"Chi è lei?" pretese di sapere.
"Chi sei.. tu?" replicò, gelido, l'altro.
Max alzò il mento, in segno di sfida. "Io sono Maxwell Michael Lightwood-Bane!" tuonò, battendo il piede a terra, per dare più enfasi alla sua presentazione. Suo padre ne sarebbe stato orgoglioso, ne era certo.
"Lightwood?" esclamò, sorpreso, l'uomo.
Max annuì, guardandolo torvo. Aveva imparato il suo nome completo il primo giorno che aveva messo piede nella tenuta, quando Hodge gliel'aveva ripetuto cinque volte perché lo memorizzasse, e, mai come in quel momento, gli tornò utile. Quell'uomo di certo non poteva conoscere il suo papà, ma l'avvocato sì, cavolo! Hodge e Cat gli avevano detto che era parecchio famoso in tutta la città, quindi gli parve saggio sfruttare quell'informazione a proprio vantaggio.
L'uomo getto la testa all'indietro e rise di gusto. "Cazzo! Sei il figliol prodigo!"
Max lo guardò, sbalordito da tale reazione, ma si riprese in fretta. "Lei chi è?" chiese nuovamente.
"Io, piccolo pidocchio fastidioso," sibilò, abbassandosi al livello del viso del bambino, "sono il padrone di questo posto." gli rivelò, afferrandolo per un braccio. "Cosa ci fai nella mia proprietà, moccioso? Come sei entrato? Eh? Parla!" ordinò, scuotendolo bruscamente.
Un principio di panico iniziò a farsi strada in Max, che strattonò l'arto, nel tentativo di liberarsi. La presa dell'uomo, però, divenne ancora più stretta e il braccio iniziò a fargli male.
"Lascialo stare!" intervenne Rafe, in suo aiuto, con l'unico risultato di ricevere un manrovescio in volto.
"No! Non fargli del male!" urlò Max, sull'orlo delle lacrime. "Lo dirò al mio papà! Hai sentito brutto bestione! Glielo dirò e ci penserà lui a conciarti per le feste!" lo minacciò, dimenandosi e riuscendo finalmente a scivolare via dalla morsa ferrea dell'adulto. Corse verso Rafe, che era caduto a terra, per sincerarsi delle sue condizioni.
"Oh che paura!" replicò l'uomo, portandosi le mani alle guance e spalancando la bocca in una finta smorfia di terrore. "Sono davvero spaventato all'idea che quel damerino dagli occhi blu arrivi qui a farmi la bua, pidocchio!"
Max stava per replicare che il suo papà non era l'avvocato, ma un uomo forte e coraggioso che gli avrebbe fatto passare un brutto quarto d'ora, non appena avesse scoperto cosa aveva fatto a lui ed al suo amico, ma si zittì, terrorizzato, quando vide che l'adulto si preparava a tirare un calcio nella loro direzione. Chiuse gli occhi e nascose il viso nel collo di Rafe, stringendolo forte a sé e riparandolo col proprio corpo, in attesa del colpo.
"JONATHANNNN!!" urlò una voce femminile.
Max alzò la testa e guardò, sorpreso, la ragazza dai capelli rossi che si era parata davanti a lui ed a Rafe, a braccia spalancante, per proteggerli dalla violenza dell'uomo.
"Togliti dai piedi, Clary!" le intimò quest'ultimo.
"Sei totalmente impazzito?" urlò, fuori di sé, la giovane.
"Quel pidocchio non è dei nostri! Voglio assicurarmi che non metta più piede qui dentro!" sibilò, lanciando un'occhiata cattiva ai due bambini.
"Vattene immediatamente." gridò la ragazza. "E' un ordine!"
Gli occhi dell'uomo brillarono sinistramente. "Tu che dai ordini al sottoscritto?" ghignò, scuotendo la testa. Si avvicinò a lei e l'agguantò per un braccio. "Togliti dai piedi!" ripetè, gettandola a terra.
I bambini spalancarono gli occhi, spaventati, quando l'uomo biondo, avvicinatosi nuovamente a loro, calò la mano per afferrarli.
"Forse io non posso ordinarti niente, ma vediamo cosa ne pensa nostro padre." disse Clary, ansando, nel tentativo di fermarlo. Prese velocemente il cellulare ed iniziò a premere i tasti sul display. "Mi passi il signor Morgenstern." ordinò all'interlocutore, alzandosi ed allontanandosi dall'uomo, perché non le impedisse di parlare con la persona in questione.
Jonathan si bloccò, guardandola in cagnesco. "Non finisce qui." minacciò, abbassandosi poi nuovamente verso Max. "Tu racconta a qualcuno quello che è successo oggi e io lo uccido." gli sussurrò all'orecchio, indicando con un impercettibile cenno del capo il bambino più grande. "Lo uccido e sarà solo colpa tua!" terminò, raddrizzandosi ed andandosene.
Max spalancò gli occhi e, angosciato, strinse Rafe ancora più forte a sé. L'amico ricambiò l'abbraccio e gli si abbandonò contro, esausto.
Quando finalmente l'uomo fu lontano, la ragazza che li aveva salvati si tolse il cellulare dall'orecchio e, tremante, si diresse verso di loro. Il numero composto risultava occupato, ma, grazie al cielo, Jonathan aveva creduto alla messinscena.
"State bene?" chiese dolcemente.
La sberla ricevuta aveva riaperto il taglio sul labbro di Rafe ed a Max faceva male il braccio, ma entrambi annuirono.
La giovane prese un fazzoletto dalla tasca dei jeans e tamponò il labbro del bambino più grande. "Mi dispiace non essere arrivata prima." sussurrò.
Il ragazzino fece spallucce. "Non si preoccupi, signorina Morgenstern. Sto bene!" la rassicurò, con un sorriso incerto.
"Oh tesoro." esclamò la ragazza, abbracciandolo e baciandogli una tempia. "E tu chi sei?" chiese poi, girandosi verso il bambino dagli occhi blu. Osservandoli, ebbe come uno strano senso di déjà-vu.
"Sono Max!" le sorrise il bambino, tendendole la mano, grato.
"Ciao Max, io sono Clary." si presentò, stringendogliela.
"Chi era quell'uomo orribile?" chiese il bambino, accigliandosi. "E' davvero il padrone di questo posto?"
Clary scosse la testa. "No, non lo è."
"Perché è venuto qui, allora? E perché non chiami la polizia? E' cattivo e ha fatto del male a Rafe!"
"Oh tesoro.." sussurrò, sconsolata, la ragazza.
Come poteva spiegare, a quel bambino, che aveva le mani legate? Che non poteva chiedere aiuto alle forze dell'ordine, perché c'era il rischio di peggiorare ulteriormente le cose?
"E' meglio che tu vada, Max." disse Rafe, ben consapevole che la signorina Morgenstern non potesse fare molto per lui e gli altri orfani. "Il tuo papà sarà preoccupato." gli sorrise dolcemente.
Max lanciò un'occhiata a Clary, prima di avvicinarsi all'orecchio dell'amico, affinché lei non sentisse. "Verrai al rifugio, domani?" sussurrò.
"Vedrò cosa posso fare." gli promise, abbracciandolo.
Max annuì, ricambiandolo, e Clary gli fece strada fino al cancello. "Ti accompagno a casa." gli disse, tirando fuori le chiavi della sua auto.
Il bambino scosse la testa, deciso. Se la ragazza l'avesse condotto fino alla tenuta, suo padre avrebbe scoperto la fuga e tutto il resto. Già in quei giorni era più strano del solito, se avesse anche saputo cosa era successo quella mattina, l'avrebbe segregato in casa fino alla maggiore età! Non era proprio il caso.
"No, grazie! Vado da solo." affermò, salutando lei e l'amico con la mano.
"Stai attento!" si raccomandò la ragazza, chiudendo il cancello.
Max annuì e, dirigendosi verso casa, tentò in tutti i modi di trovare una soluzione per aiutare il suo amico. Gliene veniva in mente solo una, ma questo significava rompere la promessa e, soprattutto, rischiava di mettere in pericolo Rafe.
   
 
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