Anime & Manga > Card Captor Sakura
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Autore: steffirah    25/11/2018    2 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tentativi d’amicizia


 
Il lunedì quando misi piede in classe mi bloccai sulla porta. Gli occhi mi caddero inevitabilmente sul posto dietro il mio, trovandolo occupato. Sorrisi radiosa entrando, sentendomi il cuore più leggero. Salutai quei pochi compagni di classe che già erano seduti mentre mi dirigevo verso gli attaccapanni per appendere il mio cappotto, prima di posare la borsa e spostare la sedia, accomodandomi direttamente rivolta nella sua direzione.
Li Syaoran era qui. E sembrava stare bene. La settimana cominciava in maniera a dir poco perfetta.
Guardava fuori la finestra con aria concentrata, col gomito poggiato sul banco e una guancia posata su una mano. Supposi che non mi avesse notata, per cui tossicchiai per attirare la sua attenzione. Non appena si riscosse mi rivolsi a lui amichevolmente, rimediando alla mia scostumatezza.
«Ciao! Perdonami se la settimana scorsa non mi sono presentata. Sono una nuova studentessa, mi chiamo Kinomoto Sakura.»
Lentamente spostò lo sguardo nella mia direzione, fissando i suoi occhi nei miei per un tempo lungo. Lunghissimo. Non sapevo dire quanto, poteva essere tanto un minuto quanto un’ora per quel che mi riguardava. Era come se tutti gli orologi si fossero fermati a quel momento, esattamente come accadde la prima volta in cui incrociammo i nostri sguardi. Con la differenza che, adesso che ero perfettamente di fronte a lui, il colore delle sue iridi era persino più stupefacente e… abbagliante.
«“Sakura”» ripeté in un tono bassissimo, facendomi uscire dalla trance in cui ero cascata. Fece un mezzo sorriso obliquo, a malapena percepibile, presentandosi a sua volta in modo molto conciso. «Li Syaoran.»
Sorrisi, facendo un cenno di riconoscimento col capo.
«Lo so.»
«Per i pettegolezzi, scommetto» borbottò, tornando a guardare il panorama. Non sapevo dire se il suo tono fosse infastidito o meno, ma in ogni caso si sbagliava.
«No. Perché è il nome cui rispondesti all’appello il primo giorno» spiegai con ovvietà.
«E lo ricordavi?» Stavolta suonava dubbioso.
«Certo!» Come avrei potuto dimenticare un nome così inconsueto, dalla cadenza tanto elegante?
Si voltò nuovamente verso me, alzando un sopracciglio. Gli rivolsi un altro sorriso amichevole proprio mentre il professore entrava in classe.
Mi sedetti dritta, facendo “ciao” con la mano a Chiharu-chan non avendone avuto il tempo prima, e fronteggiai il docente di arte. Dopo che ci inchinammo per salutarlo ed ebbe finito di controllare i presenti sul registro, ci disse che il compito del giorno sarebbe stato disegnare il volto di un nostro compagno di classe. Per questo ci invitò a dividerci in gruppi di due e, sorprendentemente, mi accorsi che le coppie erano già tutte formate. Che cosa insolita.
Restava senza partner soltanto Li-kun, il quale non ne sembrava per niente toccato. Come se fosse una situazione che lui stesso si era cercato, come se volontariamente non volesse avere contatti con gli altri, come se preferisse restarsene solo. Era un lupo solitario che innalzava attorno a sé una barriera spessa, impossibile da attraversare; ciononostante, io l’avrei abbattuta, in un modo o nell’altro.
«Faresti gruppo con me?» gli chiesi quindi, gentilmente.
«No.» La sua risposta mi spiazzò. Non solo era stata secca, ma anche sgarbata.
Gonfiai le guance, facendogli notare: «Guarda che così resto sola anche io.»
Lui rimase noncurante, il che mi snervò persino di più.
Si rifiutava in tutti i modi di guardarmi per cui, scocciata, posai le mani sul suo banco, allungandomi verso di lui, sibilando: «Se non accetti ci metterà in coppia il sensei in ogni caso. Non puoi tirarti indietro.»
E invece fu proprio quel che fece. Si scansò, quasi fosse stato investito da una vampata di calore. Trattenne nuovamente il fiato, guardandomi ad occhi sgranati, ma in un secondo si fece minaccioso e ringhiò sottovoce: «Stammi alla larga.»
Rimasi a bocca aperta, non sapendo come ribattere. Mi odiava sul serio! Ma perché? Cosa gli avevo fatto di male?!
«Voi due, smettetela di battibeccare e muovetevi a disegnare, siete gli unici che ancora non hanno cominciato» ci rimbrottò Mori-sensei, ponendosi in mezzo a noi a braccia conserte.
Mi scusai anche da parte sua, visto che continuava a comportarsi da menefreghista. Che caratteraccio. Ah, ma non gliel’avrei data vinta, per niente.
Non appena il prof si allontanò presi un foglio da disegno, mi armai di temperino, matita e gomma, e mi girai totalmente verso di lui con la seggiola. Ignorai le sue occhiatacce, cominciando a tracciare le prime linee di contorno.
Sfortunatamente ero negata nelle materie artistiche, per cui il risultato sarebbe quasi certamente stato un oltraggio alla sua bellezza. Ma pazienza, non potevo di certo oppormi al prof e proporgli di disegnare, piuttosto, un fiorellino o un elementare sole sorridente circondato da nuvolette.
Ciononostante mi misi d’impegno, anche perché se seguivo tecniche mie alla fine riuscivo a riprodurre qualcosa che potesse definirsi almeno decente.
«Se non la smetti di corrugare la fronte rovinerai tutto» sentii Li-kun bofonchiare, facendomi deconcentrare con la sua voce bassa.
Alzai il capo stupita, notando che nonostante tutte le sue rimostranze alla fine aveva ceduto. Era tanto difficile? Sorrisi tra me, scuotendo la testa.
«Meglio?» domandai, tornando al mio lavoro.
«Mmh. Il sorriso ti dona di più» sussurrò in un tono talmente flebile che mi chiesi se l’avessi udito davvero.
Mi bloccai con la matita a mezz’aria, col batticuore. Chiusi per un secondo le palpebre, sperando che il rossore abbandonasse quanto prima le mie gote.
«Scommetto che lo stesso vale per te» mormorai con un fil di voce, quasi parlando tra me.
Non ricevendo risposta sbirciai nella sua direzione, trovandolo impassibile. Sospirai rassegnata, abbozzando gli occhi, il naso, la bocca e i capelli, con pochi tratti chiari di base. Spostai lo sguardo da lui al foglio ad intervalli, assicurandomi di star compiendo le giuste azioni. Lui disegnava calmo, come se non gli richiedesse alcuno sforzo mentale, la matita sfiorava appena la carta ad una velocità impressionante. Che fosse un artista?
Misi da parte i miei interrogativi, cominciando col delineare il suo naso: piccolo, corto e dritto. Poche linee semplici bastavano per replicarlo, al che mi resi conto che sembrava quello di un ragazzo immagine uscito dalla copertina di una rivista. Poi le sue labbra: perennemente tese, fini e sottili, strette e… seducenti. Deglutii a fatica, notando la mia mano tremare. Non era un compito facile, per niente. Mi concentrai sui suoi capelli folti e arruffati, creando quelle leggere onde sul suo capo e tutt’attorno all’ovale del suo viso, le cui ciocche fortunatamente erano abbastanza lunghe da coprirgli pure le orecchie. In questo passaggio mi stavo dilettando più di quanto pensassi. Infine, passai alla parte più ardua. Posai gli occhi sui suoi, memorizzandone il taglio: a mandorla, molto simili a quelli di un lupo, con lunghissime ciglia nere, e dalle iridi talmente grandi da perdervisi all’interno. Li alzò su di me e il mio cuore perse un battito. Chinai il capo sul mio lavoro, sperando che vi rendesse giustizia.
«Hai finito?»
«Non ancora» negai, concentrandomi sul mio operato.
«Quanto ti manca?»
Sembrava spazientito.
«Soltanto gli occhi» lo informai, accelerando.
«Resterò fermo.»
Lo guardai confusa, notando che aveva posato il foglio a testa in giù per non mostrarlo. Che furbo.
Come preannunciato, divenne immobile come una statua, guardando dritto davanti a sé. Quindi, a me. Imbarazzata cercai di far finire quanto prima questa tortura.
Mentre creavo le curve delle sue ciglia, non sostenendo più il silenzio gli domandai: «Come stai?»
Dato che tardava a rispondermi lo guardai di sottecchi, in attesa; lui pareva perplesso.
«Intendo, sei guarito? La settimana scorsa non ti sentivi bene.» Mi mostrai apprensiva, ricordandomelo soltanto adesso. Che screanzata.
Fece un piccolo sospiro.
«Non si può dire esattamente che sono “guarito”, ma sto meglio.»
Mi accontentai di quella spiegazione, per quanto mi sembrasse incompleta.
«Fatto» dichiarai, mettendo a posto gli strumenti.
«Posso?»
Protese una mano verso il foglio e, per quanto mi vergognassi, non riuscii a dirgli di no. Glielo allungai e lui lo prese, voltandolo verso di sé, accigliandosi.
«Sono davvero così?»
«No, sei più bello di così» negai. Le parole mi sfuggirono di bocca prima ancora che me ne rendessi conto. Volevo sprofondare.
Lui mi guardò stranito, ma non disse nulla.
Mi schiarii la gola, indicando il suo disegno.
«Posso?» lo imitai, timidamente.
«Mi sembra corretto, dato che io ho visto il tuo» concesse.
Lo presi, voltandolo verso di me, restando a bocca aperta. Era come guardarmi allo specchio!
«È un capolavoro!» esclamai in tono talmente alto che tutti si girarono verso di noi. Avevo totalmente dimenticato il fatto che ci trovassimo in classe e completamente ignorato il vociare degli altri. Ma c’erano questioni ben più importanti. «Sensei!» richiamai la sua attenzione. «Sensei, venga a vedere! È stupendo!»
Certo, dire fosse stupendo quando rappresentava me poteva suonare un po’ spocchioso, ma era un dato di fatto. Non avevo mai visto un disegno tanto perfetto, così simile ad una fotografia, fatto unicamente con una matita. Sembrava persino più vero di me!
Il professore ci si avvicinò togliendomelo dalle mani, prolungandosi in un “Ooooh” intriso di ammirazione. E anche gli altri studenti vennero a sbirciare, lanciandosi in esclamazioni piene di stupore. Ci complimentammo tutti con Li-kun, ma lui si limitò a farfugliare una sorta di ringraziamento, tornando a guardare l’esterno, quasi volesse sfuggire a tutte queste attenzioni.
A sua volta, sorprendentemente, anche il mio disegno venne apprezzato dal docente, sebbene non ci fosse alcun paragone con il modello che lo aveva ispirato.
Purtroppo quello fu l’unico momento in cui riuscii a parlare con Li-kun, visto che per le restanti ore dovevamo seguire diligentemente le lezioni – sebbene io desiderassi ancora conversare con lui, sperando di conoscerlo meglio.
Non appena suonò la campanella della pausa pranzo mi alzai in fretta, afferrando il bentou, ma per quando mi voltai lo vidi già accanto alla porta. Camminava troppo spedito! Lo raggiunsi con grandi falcate, affiancandolo mentre uscivamo.
«Col disegno di stamattina mi hai resa più bella di quel che sono, quasi eterea» sorrisi piena di invidia, spezzando il ghiaccio.
«Di cosa stai parlando? Ti ho semplicemente rappresentata come ti vedo, non è nulla di diverso dalla realtà.»
Spiazzata, restai un passo indietro. Ma tanto bastò per perderlo di vista in mezzo alla calca di studenti.
Rimasi lì imbambolata finché Chiharu-chan e le ragazze non mi affiancarono, attirando la mia attenzione per raggiungere la mensa esterna. Le seguii distratta e in tale stato restai per tutta la durata del pranzo, tanto che non seguii per niente le loro conversazioni. Ma non potevo farci niente. Non riuscivo a togliermi dalla testa le parole di Li-kun. Mi sentivo come sotto l’effetto di un incantesimo, chiusa in una bolla di sapone in cui arieggiava il suo fascino e se mangiavo lo facevo in maniera del tutto automatica.
«Pronto? Terra chiama Sakura-chan. Ci sei?» mi gridò Chiharu-chan in un orecchio, facendomi sobbalzare. Solo così mi accorsi che le altre due ragazze mi sventolavano ciascuna una mano davanti agli occhi.
Mi scusai mortificata, chiedendomi per quanto tempo fossi stata assente.
«Scusatemi, ero immersa nei miei pensieri.»
«Da un lato non ti biasimo» sospirò Rika-chan.
«Sei stata coraggiosissima.»
Guardai disorientata Naoko-chan che aveva appena parlato.
«A fare cosa?»
«Sei riuscita a collaborare e conversare civilmente con Li-kun, complimenti» rise. Suonava ironico.
Feci spallucce, considerandola una cosa da niente. Anche se c’era da ammettere che non era stato semplice, avevo praticamente dovuto metterlo con le spalle al muro.
«Davvero eccezionale, dovrebbero darti un premio per la prodezza.»
«Ma esagerate!» risi, chiedendomi intanto perché la facessero tanto tragica.
«Per niente. Bastano tre aggettivi per descrivere Li-kun» ribatté Chiharu-chan e a lei si legò Naoko-chan segnandoli sulle dita, mentre Rika-chan annuiva a ciascuno. «Asociale, freddo e scontroso.»
«Non mostra nessuna emozione» riassunse Yamazaki-kun.
«Non è vero» replicai, ponendomi dalla sua parte. «A me è parso anche fin troppo pieno di emozioni, forse semplicemente fa difficoltà ad esternarle…» ipotizzai. «Oppure ha paura di farlo…» soggiunsi tra me.
No, un attimo. Perché eravamo finiti di nuovo a parlare di lui?! E perché io non riuscivo a togliermelo dalla testa?
Scrollai il capo, notando che tutte mi fissavano allibite; mi schiarii la voce, preferendo cambiare argomento.
«Di che stavate parlando prima?»
«Stavo dicendo» riprese Yamazaki-kun, alzando l’indice con fare sapiente, «che il “bentou” si chiama così perché è “veramente comodo”. Quando il suo creatore lo ideò, affinché potesse diffondersi facilmente creò lo slogan “hontou ni benri da, hontou!” che fu poi abbreviato con “bentou”.»
«Wow, non ne avevo idea!» esclamai emozionata. Avevo imparato una cosa nuova!
Naoko-chan e Rika-chan si scambiarono un risolino, mentre Chiharu-chan scuoteva la testa incredula. Dopodiché fulminò Yamazaki-kun, mettendogli le mani attorno al collo come per strozzarlo.
«Dovresti avere un minimo di decenza e sensi di colpa, guardala com’è ingenua!»
Parlavano di me? Piegai la testa su un lato, ma scoppiai a ridere nel vederli continuare a picchiarsi, seguita dalle ragazze. Erano così spassosi!
Presi finalmente a mangiare con gusto, sentendomi la testa meno pesante, osservando e saggiando davvero quel che stavo inghiottendo. Rispetto a ciò che ci facevano trovare a casa durante i pasti, fortunatamente questo era cibo prettamente giapponese. Era in quei momenti quieti, circondata da alimenti cui ero abituata e persone serene e allegre, che mi sentivo come se fossi ancora a Tomoeda.
Quando tornammo in classe dopo pranzo mi accorsi che Li-kun era già seduto al suo posto, nella stessa posizione di quella mattina. Gli rivolsi un sorriso nell’accomodarmi, ma lui mi ignorò bellamente. Sospirai, mettendomi composta, poggiando i gomiti sul banco e il mento sulle mani intrecciate, ripensando a come lo avevano descritto le ragazze. Se era vero non lo stavo importunando imponendogli la mia presenza? Mi sentivo in conflitto. Da un lato volevo farmi i fatti miei, non intromettermi nella sua quotidianità, lasciarlo vivere in pace come aveva sempre fatto. Dall’altro mi si stringeva il cuore a vederlo tanto isolato. Volevo farmi breccia in quel muro che aveva eretto intorno a sé e capire cosa lo spingesse a comportarsi così. Non poteva essere una persona così terribile cui, invece, si atteggiava. Qualcosa mi induceva a credere che la sua fosse solo una facciata, una maschera indossata a dovere per non avere attorno nessuno. E questo pensiero mi rattristava.
Nonostante ciò, capivo che non dovevo ficcanasare ed era meglio per entrambi se me ne stessi per i fatti miei. Per cui quel giorno non insistetti a provare in tutti i modi a parlarci e, di conseguenza, non avemmo più possibilità di comunicare.
A fine giornata sparì prima che riuscissi a salutarlo, per cui un po’ sconsolata mi avviai verso l’esterno con gli altri. Sul cancello li salutai, ricongiungendomi con Tomoyo-chan ed Eriol-kun, spostandomi con loro nella direzione opposta alla cittadella. Dopo pochi passi, tuttavia, sentii una voce femminile piuttosto squillante e contemporaneamente chiara, con un’accentazione straniera cantilenante, chiamare mia cugina e il suo ragazzo.
Ci voltammo tutti e tre e grande fu la mia sorpresa quando vidi correre verso di noi quella ragazza dai codini d’ebano e gli occhi di fuoco. Li Meiling.
Il cugino sembrava contrariato dalle sue azioni e rimase in disparte, poggiandosi al muro di fianco al cancello a braccia conserte, non perdendola d’occhio.
«Daidouji, insomma.» Sorrise apertamente, lasciandomi ancora più sbigottita. Sembrava una ragazza così allegra e spensierata, in contrapposizione a come l’avevo intravista sabato. Che fosse stata un’illusione? Avevo visto male a causa delle lanterne?
«Non mi presenti tua cugina?»
Trasalii, sentendomi chiamata in causa, e prima che ella potesse aprire bocca la anticipai.
«Perdonami, non ci eravamo ancora incontrate. Sono Kinomoto Sakura.»
Feci un breve inchino e lei mi imitò.
«Io sono Li Meiling, la cugina di Xiaolang» disse, indicandolo alle sue spalle. Che modo strano aveva di pronunciarlo. Pensandoci bene, i loro nomi non sembravano per niente giapponesi, forse… cinesi? «Ho saputo che state in classe insieme, e avendo la mia stessa età ci tenevo a conoscerti» proseguì imperterrita. «Anche per darti un consiglio: non avvicinarti troppo a lui.» Il suo sorriso ora sembrava molto meno socievole, il suo tono suonava come un avvertimento.
Non battei ciglio, ripetendomi mentalmente le sue parole. Non avevo idea di come reagire, mi sentivo… bloccata, ecco. Mente, corpo, cuore. Mi si era fermato tutto.
«Meiling-chan, non essere così gelosa. Finirai per spaventare Sakura-chan.» Tomoyo-chan si pose al mio fianco, quasi come una guerriera, poggiandosi le mani sui fianchi con aria da rimprovero.
«È meglio che capisca subito che è inutile che provi ad approcciarsi a lui.» Rivolse i suoi occhi a me, stavolta inchiodandomi sul posto, proprio come sabato. Stava tutto in uno sguardo. «Xiaolang è mio» scandì, parola per parola, e ogni mora mi feriva senza che riuscissi neppure a capire il perché. «Quindi attenta a non osare troppo.»
Si scrollò con eleganza i capelli da una spalla, ghignando soddisfatta, per poi andarsene senza concedermi il tempo di sciogliermi.
«Sakura-chan.»
Non so come ebbi la forza di scongelarmi, guardando atterrita Tomoyo-chan. Avevo sbagliato, lo sapevo.
«Non darvi pensiero» sorrise, carezzandomi con leggerezza i capelli. A malapena lo percepii il suo tocco inguantato.
Annuii, incamminandomi con loro, restando un po’ indietro, desolata. Lei mi odiava, mi odiava sul serio. Ed io oggi le avevo dato ancora più ragioni per detestarmi. Avrei dovuto fare testa e muro per la mia stupidità.
D’accordo, avrei preso le distanze da lui – per quanto, incomprensibilmente, ciò andasse contro i miei desideri. 
Quella sera a cena fui meno logorroica del solito, ma la cosa non pareva disturbare affatto i miei due coinquilini, i quali al contrario sembravano piuttosto a loro agio nel silenzio. Notai ancora una volta che Eriol-kun mangiava pochissimo, sbocconcellando un po’ di tutto quasi senza neppure assaggiarlo, mentre invece beveva tantissimo di quel succo. Se continuava di quel passo sarebbe dimagrito tantissimo, ma se Tomoyo-chan che era la sua ragazza non gli diceva niente, chi ero io per intromettermi?
Dovevo farmi i fatti miei, ecco, e non lasciarmi coinvolgere dalla vita degli altri. Concentrandomi unicamente sulla mia.










 
Angolino autrice:
Buonsalve! Capitolo "un po'" lunghetto, hehe ^^' Spero che la lunghezza non disturbi la lettura, rendendola troppo pesante. 
So che mi odierete forse per come ho reso Meiling qui, ma ogni cosa ha il suo perché. Più avanti troveremo la Meiling che amiamo (è uno spoiler questo?).
Passando alle traduzioni, sensei è "docente/professore" e la frase "hontou ni benri da, hontou" sarebbe "è veramente comodo, veramente". Quindi secondo Yamazaki il termine bentou (ossia cestino per il pranzo) deriverebbe dalla fusione di benri e hontou - naturalmente, non è vero. 
Detto ciò vi lascio. A presto! 
  
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