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Autore: Soul Mancini    25/11/2018    2 recensioni
Nel bel mezzo del tour americano per la promozione di Broken Machine, la loro ultima fatica discografica, i ragazzi dei Nothing But Thieves si ritrovano a dover affrontare diversi problemi.
Phil, il più grande della band, dovrà destreggiarsi tra un Dom nervoso e adirato, un James debole e sofferente, un Conor in preda allo sconforto e un Joe preoccupato e in ansia. Riuscirà il nostro bassista a rassicurare e accudire i suoi compagni di band a pezzi?
Tra lividi, chitarre, sigarette e discutibili programmi TV, come andrà a finire la nottata post-concerto?
[Prima - e non ultima - storia sui Nothing But Thieves. Invito chiunque li conosca a farmelo sapere: mi piacerebbe scoprire altri loro seguaci e, perché no?, riuscire ad aprire una categoria tutta loro qui su EFP *-*
Grazie anche solo per aver letto questa presentazione, e buona lettura a chi si vorrà cimentare! ♥]
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ReggaeFamily

All in a Night



Scesi dal palco, stremato e grondante di sudore, lasciandomi alle spalle il boato della folla adorante. Era stato per noi l'ennesimo concerto sold out negli States e il nostro tour stava procedendo alla grande.

Salutai con sorrisi e pacche sulle spalle alcuni membri del nostro staff e alcuni ragazzi delle band di supporto, che avevano assistito al live protetti dalla penombra del backstage.

Nonostante tutti ci avessero accolto con complimenti ed entusiasmo, mi resi subito conto che l'umore generale dei miei amici era sotto terra e non riuscivo a spiegarmi perché. Io stavo benissimo in quel momento.

"Ma vi rendete conto? Ho suonato malissimo, ho combinato solo stronzate!" abbaiava Dom, stritolando tra le dita la maglia di ricambio che ancora doveva indossare; sembrava sul punto di stracciare l'indumento di cotone, tanto era il nervosismo che provava in quel momento.

Mi avvicinai a lui, preoccupato. "Ehi, stai tranquillo, il pubblico non si è accorto dei tuoi errori. Piuttosto: il dito ti fa ancora male?" gli chiesi.

Lui sollevò la mano sinistra e la sventolò di fronte al suo viso; il gonfiore e il colorito violaceo del suo dito indice era ben visibile anche nella semioscurità. "E secondo te come mai ho suonato cosi male? Cazzo, quanto odio tutto ciò! Non riuscivo a piegarlo bene, ogni volta che facevo un accordo vedevo le stelle!" ruggì lui.

Mi accigliai, poi afferrai il suo polso ed esaminai con delicatezza il grande ematoma scuro che si propagava fin quasi al palmo della mano. Vidi il chitarrista mettere su una smorfia di dolore e allentai subito la presa. "Se ti fa ancora cosi male, ti accompagno al pronto soccorso" mi proposi.

"E chi ce l'ha il tempo? Siamo in tour, Phil, ragiona! E domani suonerò nuovamente di merda!" sbottò Dom disperato, passandosi la mano sana tra i capelli scuri.

In effetti quel giorno la sua esibizione aveva lasciato parecchio a desiderare, ma non avevo il coraggio di dirglielo in faccia, non volevo certo accrescere la sua frustrazione. Del resto non era colpa sua se quel pomeriggio aveva lasciato la mano sullo stipite di una porta, mentre questa veniva chiusa con forza da Conor. Era stato un incidente, questione di pochi istanti, ma ora si stava tramutando in qualcosa di ben più grande e problematico.

"Dai, non prendertela! Magari queste non saranno le tue migliori performance, ma..." tentai di rassicurarlo in tono dolce.

"Fermo, non dire altro. Detesto quando non sono al massimo, detesto sbagliare! Non soppirto quando le cose non vanno come dovrebbero!" mi interruppe lui, gesticolando animatamente.

Il mio amico era la persona più autoironica e positiva che conoscessi, ma se c'era una cosa su cui non scherzava mai erano i concerti e il lavoro con i Nothing But Thieves: tutto doveva essere al suo posto, curava ogn suo accordo con una precisione quasi maniacale. Perciò sapevo quanto stesse soffrendo per il live appena concluso.

Stavo per aprir bocca e ribattere, quando l'occhio mi cadde su James che, in un angolino, si premeva una mano sullo stomaco. Era strano vederlo in disparte, senza il solito bicchiere di birra che sorseggiava sempre dopo i concerti.

Mi accostai a lui. "Price, cosa...?" cominciai, ma la domanda rimase in sospeso quando mi accorsi del tremendo pallore del suo viso. Mi bastò incrociare i suoi occhi per capire che non stava affatto bene.

"Penso di star per morire" cercò di scherzare, ma il suo tono di voce risultò fin troppo lugubre.

"Non dire cazzate! Cos'hai combinato?" gli domandai. Cominciavo ad allarmarmi: quel giorno ognuno aveva una tragedia da condividere e avevo l'impressione di essere stato catapultato in un ospedale.

"Mal di stomaco e nausea. È iniziato poco prima che salissimo sul palco, ma pensavo fosse una roba passeggera. L'ho sottovalutato, porca puttana..." spiegò, torcendo tra le dita il cappellino da baseball che solitamente svettava sulla sua testa.

"Fratello, sei proprio giù. Dovresti prendere qualcosa, un antinfiammatorio" gli consigliai.

"Non penso servirebbe a molto, l'unica soluzione a questo punto sarebbe vomitare. Devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male e non sono riuscito a digerire." Una fitta di dolore lo sorprese e io lo vidi diventare ancora più pallido di quanto già non fosse. Barcollò leggermente e prontamente lo sorressi per un braccio. "Capogiro?" gli chiesi.

"Sì, tra le altre cose" mormorò, sorreggendosi alla mia spalla come se in quel momento fosse il suo unico punto fisso.

Scossi la testa. Non sopportavo di vedere James stare così male, dovevo assolutamente trovare una soluzione.

"Almeno tu sei riuscito a suonare bene" gracchiò Dom, che intanto aveva indossato la maglietta e mi aveva affiancato. Ancora aveva un diavolo per capello e speravo con tutto il mio cuore che non cominciasse a sbraitare nei pressi di James, che certamente non aveva nessuna voglia di starlo a sentire.

"Phil! Ragazzi! Avete visto Conor? È sparito!" La voce di Joe attirò la mia attenzione: il chitarrista biondo perlustrava il backstage con lo sguardo e ci ruotava attorno come una trottola impazzita.

"Come sarebbe a dire?" Pronunciai quelle parole lentamente, come se ne avessi quasi paura, mentre il cuore mi si strizzava nel petto come uno straccio zuppo d'acqua. Mi pareva di essere tornato ai tempi del nostro primo tour, quando il nostro cantante si rintanava in camerino dopo ogni live e spesso lo trovavamo in lacrime o in preda a qualche attacco di panico. Ultimamente Conor stava meglio, non si allontanava mai da noi senza avvisarci, era energico e di buonumore.

Cosa gli era capitato stavolta? Si era lasciato nuovamente divorare dalla nostalgia di casa e dallo stress?

Mi riscossi dallo stato d'ansia che mi attanagliava e ripresi il controllo della situazione. "Okay, vado a cercarlo. Joe, per favore, potresti procurare qualcosa per James? È a pezzi!"

"Agli ordini, capo!" esclamò il mio amico, precipitandosi subito a cercare qualcuno dello staff in grado di aiutarci.

Lasciai James alle cure di Dom, intimandogli di non combinare danni, e mi addentrai nel luminoso corridoio sul quale si affacciavano le porte color mogano dei camerini. Incrociai qualche ragazza - forse una groupie o una sostenitrice di qualche band di supporto - che non si curò di me, e da una soglia spalancata risuonarono le risate di alcuni ragazzi che facevano casino.

L'ultima porta in fondo al corridoio era ben chiusa e da essa non trapelava alcun suono.

"Conor?" mormorai, dando un leggero colpetto con le nocche sul legno scuro. Non ottenendo alcuna risposta, abbassai piano la maniglia nella speranza di trovare la porta aperta. Quest'ultima si schiuse appena, cosi entrai cautamente nella stanza.

Conor stazionava su una maestosa sedia di fronte a un'enorme specchiera e giocherellava con il suo cellulare. Portava i capelli scarmigliati e sul suo viso chiaro scorrevano delle lacrime di cui, con molta probabilità, nemmeno lui si era accorto.

Si rese conto della mia presenza, ma non solevò lo sguardo e non si mosse, si limitò a tirare su col naso.

"Ehi." Subito gli fui accanto e lo strinsi in un abbraccio fraterno, mentre il cuore mi si spezzava nel vederlo in quello stato.

Purtroppo ero abituato a vivere situazioni del genere e sapevo che Conor, sensibile e affettuoso per natura, in quei momenti aveva bisogno di tutto l'affetto che generalmente dispensava agli altri.

"Voglio tornare a casa" biascicò, mentre si lasciava avvolgere dalle mie braccia.

"Conor, ragiona..."

"Mi sento cosi stanco e ansioso e disorientato!"

"Dai, cerca di star calmo, è solo un..."

"E se succede qualcosa a qualcuno della mia famiglia? O a qualche mio amico? O alla mia ragazza? E io sono negli Stati Uniti, sono lontano, non posso fare niente!"

Conor si agitava sempre più e io non sapevo bene cosa fare. Certo, non mi perdevo d'animo e cercavo di mostrarmi tranquillo, ma di sicuro all'interno del gruppo c'erano persone in grado di rassicurarlo più di me.

Sciolsi l'abbraccio e incrociai i suoi occhi gonfi dal pianto. "È solo un momento, passerà. Siamo sotto pressione, dormiamo poco e abbiamo solo bisogno di riposare" affermai, posandogli una mano sulla spalla.

"Appunto: non dormo quasi per niente, mi sento solo e poi non sono all'altezza di questo tour!" si lamentò ancora lui, senza smettere di tremare.

Sospirai. Dovevo trovare una soluzione, e in fretta. L'unico modo per distoglierlo da quei pensieri negativi era concentrare la sua attenzione su qualcos'altro.

"Dom è incazzato come una belva, dovremmo andare a consolarlo" cominciai a improvvisare.

Conor non si mosse, rimase accasciato contro la spalliera della sedia, con gli occhi da cucciolo indifeso puntati su di me.

Così continuai: "Ancora gli fa male il dito e si sente in colpa perché oggi non ha suonato bene".

"È colpa mia, ho chiuso io la porta" commentò sommessamente.

Sorrisi. "No, è stato stupido a lasciare la mano sullo stipite. Dobbiamo aiutarlo a superare questa crisi!"

Il mio amico si accigliò. "Non mi freghi, Blake. Stai cercando di sviare il mio discorso."

Mi battei una mano sulla fronte, esasperato. "Con, ti prego! Vieni via da qui, andiamo dagli altri, sono preoccupati per te! Tutti siamo in ansia per te, come puoi sentirti solo? Cazzo, noi siamo qui, ci siamo sempre, e se qualcosa non va lo risolveremo insieme!" Mi lasciai trasportare dal corso di quelle parole, perché erano vere e sincere, venivano direttamente dal mio cuore.

Conor rimase per qualche istante in silenzio, indeciso sul da farsi.

"Allora? Ti devo fare il solletico o prenderti a pugni per farti alzare il culo da quella sedia?" cercai di spronarlo con una punta di ironia.

Il cantante finalmente sorrise, si mise in piedi e mi travolse con un affettuoso abbraccio. "Grazie fratello!" Detto questo, si diresse in bagno per sciacquarsi il viso e darsi una sistemata.

Quel ragazzo mi metteva sempre in difficoltà, mi costringeva a portare fuori quella parte emotiva di me che, in quanto persona riservata e introversa, tendevo spesso a nascondere.

Ma lui era fatto cosi e a me stava bene, era una sorta di fratello minore da proteggere, così come gli altri tre della band.

Una volta giunti nuovamente nel grande salone sul retro del palco, mi ritrovai davanti una scena a cui non avrei mai voluto assistere.

"Come al solito hai bevuto troppo, ecco perché stai cosi male!" abbaiava Dom con ira contro il povero James.

"Ha parlato quello che si prende una sbronza dopo ogni concerto. Ma vaffanculo, Dominic" si difendeva quello debolmente, ancora in balia delle fitte allo stomaco. Ormai il colorito del suo volto rasentava il verdognolo.

In tutto questo, Joe parlava al telefono in tono concitato e i suoi lineamenti erano distorti dal terrore.

"E adesso cos'è successo?" mormorai tra me, prima di intervenire per placare i due litiganti.

"Dominic Craik, che cazzo stai facendo? Ti avevo chiesto di non combinare qualche cazzata, e ora ti trovo che urli contro James? Ma che problemi hai?"

"E tu ti senti in diritto di intervenire così, nel mezzo della discussione, senza nemmeno sapere com'è nata!" mi si rivoltò contro il chitarrista.

Quel giorno stavo combattendo una guerra: prima contro lo sconforto di Conor, poi contro l'impulsività di Dom, che quel giorno era del tutto fuori controllo.

"Te lo dico io, com'è nata: questo coglione ha iniziato a urlarmi contro a caso, perché il concerto non è andato come voleva e ora si deve sfogare contro qualcuno" intervenne James con uno sbuffo.

"Beh, certo, io sono sempre il mostro e Price va difeso, perché voi due siete amichetti del cuore" commentò Dom in tono sprezzante, incrociando le braccia al petto.

Stavo iniziando a perdere la pazienza. "Non mi interessa come sono andate le cose, lo capisci? Piantatela di discutere e basta!"

"Ehi, Dom! Ti fa ancora male la mano?" intervenne Conor in tono calmo, comparendo al fianco del chitarrista.

Lui sobbalzò sorpreso, poi si voltò a guardarlo; non poté fare a meno di notare i suoi occhi ancora arrossati dal pianto e all'improvviso si rilassò, preoccupato. "Un bel po', sì. Senti, e se noi andassimo a procurarci due birre?" propose poi, dando una pacca sulla spalla al cantante con la mano sana.

"Andata!" accettò l'altro, poi si allontanarono insieme.

Ringraziai mentalmente Conor per aver prontamente distratto Dom. Io avevo il brutto difetto di non riuscire a farmi capire, così nessuno mi dava retta.

Mi accostai a James, che si premeva una mano sulla tempia.

"Giuro, non mi sono ubriacato stavolta, non ho toccato un goccio d'alcol" mise subito le mani avanti.

"Non ti devi giustificare con me" lo rassicurai.

"Vorrei tanto vomitare..."

"Joe non ti ha portato...? Un attimo: con chi sta parlando?" Rivolsi un'occhiata al chitarrista che, ancora al telefono, passeggiava nervosamente accanto a noi.

"Guarda che se serve il mio aiuto, faccio i bagagli e torno a casa... Non mi interessa del tour... I ragazzi capirebbero, è un caso particlare... Ma possibile che non vi facciano avere notizie in più?... E tu continua a chiedere!... Sì, ma quando vi fanno entrare mi richiami e me lo passi, vero?... Oddio, meno male..."

Lanciai a James un'occhiata interrogativa.

"Prima, se non sbaglio, ha menzionato un incidente stradale... ma Dom strillava, potrei aver capito male" bisbigliò il batterista con un'alzata di spalle.

"I...incidente d'auto?" Avvertii il sangue defluire dal mio viso.

Ma che giornata assurda stavo vivendo?

Quando Joe interruppe la conversazione, abbassò lo sguardo e non disse una parola.

"Che succede?" chiesi cautamente, combattendo contro il nodo che mi chiudeva la gola.

"Louis ha... avuto un incidente. Dicono sia cosciente, ma non si sanno altri dettagli" spiegò in tono piatto.

Ammutolii mentre il mio cuore faceva le capriole nel petto. Conoscevo bene il fratello minore di Joe, quindi quella notizia mi scombussolò parecchio.

"Phil" mi richiamò James dopo qualche secondo, in un lamento.

Feci appena in tempo a sostenerlo prima che lui si piegasse in avanti, in preda ai conati.

"Cazzo! Joe... chiama qualcuno!" esclamai, mentre il mio amico svuotava il suo stomaco sul pavimento del backstage.

Sperai che almeno questo lo facesse stare meglio.

Joe scomparve in fretta e alcuni uomini della security ci vennero incontro allarmati, ma restarono a debita distanza per evitare di imbrattarsi le scarpe.

"Tutto bene?" chiese scettico un tipo pelato e ben piazzato.

"Alla grande, ho giusto perso qualche chilo" ironizzò James con un debole sorriso.

Feci in modo che si lasciasse andare contro di me: si reggeva in piedi a stento, avevo paura che potesse scivolare.

"E meno male che non è successo sul palco" commentò flebilmente lui, con la testa sulla mia spalla.

"Sarebbe stato un effetto scenico molto carino" scherzai.

"Sempre il solito coglione, Blake."

"Sempre il solito ingrato, Price."

Ridacchiammo.


Quella notte, come c'era da aspettarsi, non riuscivo a chiudere occhio.

Fortunatamente io e James ci eravamo ritrovati a condividere una stanza doppia, cosi lo potevo tenere sotto controllo. Si era addormentato durante il viaggio verso l'albergo e in quel momento ronfava tranquillamente, ma avevo paura che il suo stomaco si potesse risvegliare.

Intanto le mie orecchie erano ben attente anche a quello che accadeva al di fuori nella mia stanza: Conor, Joe e Dom si trovavano nel mio stesso corridoio e, dato che nessuno di loro sembrava stare bene, non potevo fare a meno di preoccuparmi per loro.

D'un tratto sentii James agitarsi nel suo letto e lamentarsi appena.

Oddio.

Scattai in piedi, in equilibrio precario, e rischiai di ruzzolare nuovamente sul materasso. Mi accostai piano al letto di James e constatai che si stava svegliando.

"Phil... ma sei scemo? Volevi farmi prendere un colpo?" farfugliò, sicuramente sorpreso di trovarmi a vegliare su di lui.

"Ho sentito che ti agitavi" spiegai semplicemente.

"Eh, diciamo che non ho fatto un sogno tra i più belli" ammise, poi si arrotolò nuovamente tra le lenzuola e seppellì la faccia nel cuscino.

"Come va?" gli chiesi, tornando a sedermi sul bordo del mio materasso.

"Meglio, se non fosse per il fatto che ora sono completamente vigile e non riprenderò mai sonno" bofonchiò.

"Il fastidio allo stomaco?"

"Quasi completamente sparito."

Tirai un sospiro di sollievo.

Dopo qualche istante di silenzio, percepii dei passi leggeri in corridoio e una porta che veniva richiusa con delicatezza. Qualcuno là fuori passeggiava avanti e indietro senza una meta.

"Hai sentito?" sussurrò James, le orecchie tese e attente.

"Vado a dare un'occhiata" affermai. Si trattava di qualcuno dei nostri, ne ero certo.

Sporsi appena la testa in corridoio e mi ritrovai faccia a faccia con Conor; era illuminato dai faretti bluastri che pendevano dal soffitto e indossava soltanto una maglia bianca a maniche corte e un paio di pantaloni grigio scuro.

Sobbalzò nel vedermi là fuori. "Ti ho svegliato?" sussurrò con preoccupazione.

"Non ho ancora chiuso occhio stanotte. Tu che ci fai in giro?"

"Neanche io riesco a dormire" spiegò con un'alzata di spalle.

In effetti sotto i suoi occhi stavano prendendo forma delle leggere occhiaie, in contrasto con la sua pelle chiara e pulita.

"Invitalo a entrare!" esclamò sottovoce James dal suo letto.

"Price propone di unirti a noi" riportai il messaggio con un sorriso.

Conor non se lo fece ripetere due volte e subito si intrufolò nella nostra camera; pochi secondi dopo era stravaccato sul mio letto, dal quale ero quindi stato sfrattato.

"Grazie mille, eh!" borbottai con le sopracciglia aggrottate. "Ma si può sapere che ore sono?" Mi apprestai a recuperare il cellulare dal mio comodino per leggere l'orario: 03:34.

"Come va, Price?" chiese Conor al batterista.

"Non c'è male. Anche se domani mangerò solo in bianco."

"Intendi dire oggi!"

"Vabbè, fa lo stesso. Tu che mi dici?"

"Sono abbastanza tranquillo, anche se come al solito non riesco ad addormentarmi."

"Fatti una tisana o una canna."

Conor ridacchiò in quel modo dolce che lo contraddistingueva. Sentire la sua risatina mi rassicurò: evidentemente stava meglio, aveva ripreso il controllo su se stesso.

Dopo qualche istante di quiete, il cantante si mise in piedi e cominciò a frugare tra i nostri bagagli immersi nella penombra, solo con l'aiuto di una discutibile abat-jour.

"Giù le mani dalla mia roba, Mason" protestò scherzosamente James, mettendosi seduto e osservando il biondo con circospezione.

Io ne approfittai per riprendere il mio letto: mi ci tuffai sopra, ma mi strinsi comunque in un angolino in modo che Conor potesse mettersi seduto sul bordo.

"Ah, ecco, ce l'avete!" esclamò il cantante, stringendo tra le mani una custodia nera e allungata.

"Ma sei rincoglionito? Sono le tre e mezza del mattino, se ti metti a suonare la chitarra adesso ci arriverà qualche denuncia!" gli fece notare James accigliato.

Ma io sapevo che Conor non era così sprovveduto.

"Farò piano, non se ne accorgerà nessuno" gli assicurò infatti lui, prendendo posto sul mio letto e liberando la chitarra acustica - una delle tante che avevamo portato con noi - dalla sua custodia. La accordò rapidamente con fare esperto, poi iniziò a strimpellare qualcosa di sconosciuto, forse un giro di accordi che aveva composto sul momento.

Ascoltai rapito il suono dello strumento, finché un rumore proveniente dal corridoio attirò la mia attenzione. "Shh!" intimai al mio amico, che subito si immobilizzò con le dita ancora premute sulle corde.

"Sbaglio o è la voce di Joe?" tirò a indovinare James.

"Forse sta parlando al telefono" suppose Conor.

"Che dite, vado a dare un'occhiata? L'ho visto parecchio in ansia da quando ha ricevuto la notizia di Louis" li consultai.

Ricevetti un cenno di assenso da parte di entrambi, preoccupati quanto me.

"Noto che stanotte stiamo dormendo tutti alla grande!" osservò Conor ironico, prima che aprissi la porta della mia stanza e sbirciassi fuori.

Joe, infatti, era accovacciato sul pavimento grigio topo con la schiena poggiata al muro, e proprio in quel momento stava salutando qualcuno al telefono prima di interrompere una conversazione.

Ci scambiammo un'occhiata: lo sguardo del mio amico era come sempre imperscrutabile.

"State facendo festa?" chiese.

"Più o meno. Vieni?" gli proposi.

Lui si mise in piedi a fatica e mi raggiunse. Feci qualche passo indietro per lasciarlo entrare.

"Anche tu sveglio?" lo intercettò subito Conor, che continuava a strimpellare con delicatezza la chitarra.

"Già."

Richiusi l'uscio e mi accovacciai ai piedi del mio letto, che era sempre più affollato.

"Cosa ci suoni, Con?" domandò James, osservando i movimenti precisi e attenti del cantante.

Lui accennò qualche accordo che mi parve subito familiare, poi iniziò a intonare piano:


This is our last goodbye

I hate to feel the love between us die

But it's over

Just hear this and then I'll go

You gave me more to live for

More than you'll ever know


"Last Goodbye, Jeff Buckley" commentai, sebbene fosse ovvio per tutti che fosse quella canzone.

Conor aveva sollevato la tonalità di alcuni semitoni per far sì che la sua voce arrivasse meglio alle note più basse.

Concentrato com'era, il cantante annuì appena e proseguì nel suo canto.


This is our last embrace

Must I dream and always see your face?

Why can't we overcome this wall?

Baby, maybe its just because I didn't know you at all


"Joe Langridge-Brown, se sei qua dentro ti conviene non farmelo sapere!" tuonò la voce profonda e impastata di Dom da dietro la porta chiusa.

Sgranai gli occhi e scambiai un'occhiata perplessa con i miei amici. "È fuori di testa? Sveglierà tutto l'albergo!" sibilai indignato.

Il chitarrista biondo tirato in causa si precipitò verso l'uscio. "Sono qui, ma smettila di gridare" lo implorò sottovoce, aprendo uno spiraglio per lasciarlo entrare e facendo qualche passo indietro.

Dom si fiondò all'interno della stanza e dedicò un'occhiataccia a Joe. "Mi hai fatto venire un infarto: mi sono svegliato ed eri sparito dalla camera!"

L'altro ridacchiò. "Pensavi mi avessero rapito gli alieni? Comunque sei stato carino a preoccuparti" ribatté, per poi tuffarsi sul letto di James.

"Ehi, ma quindi tu stavi dormendo?" chiesi a Dom con una certa invidia. Probabilmente sarebbe stato l'unico a non crollare addormentato sul tour bus, il giorno seguente.

Ma no, non ci avrei giurato.

"Sì, peccato che qualcuno mi abbia svegliato" brontolò il chitarrista con uno sbadiglio, poi prese posto sul mio letto accanto a Conor. "Price, Blake, cosa mi offrite? Su, fate i padroni di casa!"

Decisi di ispezionare il contenuto del minuscolo frigo abbandonato in un angolo, su un mobiletto alto. Trovai solo due lattine di birra e le offrii ai miei ospiti.

"Io ci sto! Ehi Joe, ce la dividiamo?" esclamò Dom ammiccando verso l'altro chitarrista.

"No, grazie. Caso mai vado a fumare una sigaretta... quando troverò la voglia di alzarmi."

Porsi la lattina al mio amico e mi rannicchiai nel mio solito angolino, indeciso se iniziare a ridere senza motivo o addormentarmi di botto addosso a Conor e Dom. Ero confuso e stanco, ma chiaramente ogni speranza di dormire era svanita nel nulla.

Ciò che mi rassicurava maggiormente, però, era constatare che i miei amici si erano ripresi e stavano meglio rispetto a quella sera.

L'unico interrogativo era rappresentato da Joe, sempre troppo riservato e impenetrabile. Avrei cercato di scoprire qualcosa più tardi.

"Come fai a bere a quest'ora? Ti sei appena svegliato" commentò Conor, per poi strappare con delicatezza la lattina dalle mani di Dom e prendere un sorso.

"Molto coerente, Mason" osservò lui divertito.

"Io non ho dormito" gli fece notare il cantante, restituendogli la birra. "Dov'eravamo rimasti? Ah, sì!" Conor posizionò nuovamente le mani sulla sua chitarra e riprese a suonare, poi la sua voce dolce e vellutata riempì l'aria e noi tutti ne fummo subito ipnotizzati.


Kiss me, please kiss me

But kiss me out of desire

Baby, not consolation

Oh, you know it makes me so angry

Cause I know that in time

I'll only make you cry

This is our last goodbye


In quel momento pensai che noi dei Nothing But Thieves fossimo davvero fortunati ad avere un cantante come Conor, che aveva una voce cosi intensa e in grado di emozionare. Non si poteva restare indifferenti di fronte a una sua performance, di qualunque tipo essa fosse.

"Eh, che palle però!" rovinò l'idillio Dom, come al solito.

Conor si bloccò di botto e compresi che si stava trattenendo dal mollargli un pugno.

"Ovviamente devi sempre rompere il cazzo, Craik" gracchiò James, che invece pareva ben contento del brano scelto da Conor.

"Sì, okay, ma se suonassimo qualcosa di più allegro?" propose Dom, poi sollevò in aria la sua birra. "Qualcuno vuole aiutarmi a finirla?"

"È una grande tentazione, ma il mio stomaco protesta al solo pensiero" ammise James teatralmente sconsolato.

"A proposito: scusa per prima, Price." Il chitarrista si fece leggermente più serio del solito e abbassò lo sguardo. La dormita gli aveva fatto bene: a mente lucida e dopo aver sbollito la frustrazione, si era reso conto di aver esagerato a inveire contro il povero James.

"Non ti preoccupare, fratello!" lo rassicurò l'altro, che sicuramente l'aveva già perdonato.

"Allora, dato che non gradisci il mio repertorio musicale," intervenne Conor con aria di sfida, "vediamo se riesci a portare fuori qualcosa di meglio!"

Dom gli prese la chitarra dalle braccia, poi si ricordò che la sua mano sinistra era infortunata e mi gettò addosso lo strumento.

Aggrottai le sopracciglia. "Cosa ci dovrei fare?"

Dom mi si accostò e bisbigliò un titolo di canzone al mio orecchio. Io mi illuminai e cercai mentalmente gli accordi che mi sarebbero serviti per suonarla.

"La canti tu, vero?" chiesi conferma.

"Certo!"

Mi concentrai e poco dopo attaccai con le prime note del celebre brano dei Foo Fighters.

Conor, James e Joe inizialmente rimasero spiazzati e ci osservarono con confusione, ma subito si entusiasmarono quando Dom cominciò a intonare la prima strofa, ormai incurante degli altri ospiti dell'hotel.


I've another confession to make

I'm your fool

Everyone's got their chains to break

Holdin' you

Were you born to resist or be abused?


Is someone getting the best, the best, the best, the best of you?

Is someone getting the best, the best, the best, the best of you?


Era incredibile quanto la voce di Dom si adattasse a quella di Dave Grohl, uno dei nostri miti del rock.

A quel punto tutti si erano già uniti al chitarrista, me escluso, che ero concentrato a strimpellare uno strumento con cui non avevo una grande dimestichezza.

Tuttavia mi godevo quel momento con serenità, sempre più convinto di trovarmi nel posto giusto al momento giusto e con le persone giuste.


Are you gone and on to someone new?

I needed somewhere to hang my head

Without your noose

You give me something that I didn't have

But had no use

I was to weak to give in

Too strong to lose

My heart is under arrest again

But I break loose

My head is giving me life or death

But I can't choose

I swear I'll never give in

I refuse


Is someone getting the best, the best, the best, the best of you?

Is somene getting the best, the best, the best, the best of you?


"Shh, piano, altrimenti ci sfrattano dall'albergo" ci ammonì Joe, resosi conto che effettivamente stavamo facendo un bel po' di baccano.

Tutti ci lasciammo andare a delle contenute risatine, mentre io mi chinavo per raccogliere la custodia della chitarra. Era ora di darci un taglio.

"Si sono fatte quasi le quattro e mezza. Che dite, andiamo a letto?" propose Dom con poca convinzione, sbirciando il display del cellulare.

James e Conor risposero con una risata che sottolineò la poca serietà di quell'affermazione.

All'improvviso mi ricordai del mio conto in sospeso con Joe e mi misi in piedi, poi incrociai gli occhi del mio amico. "Quella sigaretta di cui parlavi prima..."

"Sì, ne offro una anche a te" confermò, tastandosi nelle tasche dei pantaloni per accertarsi di avere pacchetto e accendino appresso. "Qualcun altro vuole unirsi a noi?" propose poi.

Gli altri tre scossero la testa, dato che ormai avevano messo radici sui due letti della nostra stanza.

Io e Joe uscimmo sul piccolo terrazzo, da cui si poteva godere di una completa e bellissima vista di Las Vegas, e subito cominciò ad armeggiare con sigaretta e accendino.

"Meglio?" gli chiesi, mentre estraevo una Lucky Strike dal pacchetto che mi porgeva.

Lui prese una boccata di fumo. "Ho parlato al telefono con Louis" buttò fuori tutto d'un fiato, mentre mi lanciava l'accendino.

Sgranai gli occhi sorpreso, ma cercai di non far trapelare troppo le mie emozioni. "Quindi sta bene?"

"In gran forma, direi: cosciente, sveglio e vigile. A parte una gamba fratturata e qualche graffietto di poco conto, non ha avuto alcuna ripercussione."

Tirai un sospiro di sollievo e sentii un grande peso abbandonare il mio petto. "Cazzo, meno male. Se l'è cavata bene" affermai, perdendo lo sguardo tra la rete di luci e colori che lampeggiava sotto di noi. La città, ancora immersa nell'oscurità della notte, era come un cielo stellato.

"La prima cosa che mi ha detto quando me l'hanno passato è stata: non azzardarti a tornare qui per me, altrimenti sarò io a fratturarti entrambe le gambe. Io sto bene, tu porta a termine questo fottuto tour e spacca."

Ascoltai le parole di Joe, che aveva pronunciato in tono basso e pacato, mentre fumavo la mia sigaretta.

"E tu stai meglio? Sei più tranquillo?" gli chiesi, lottando contro l'impulso di sottrarmi a quella conversazione. Non era mai facile per me parlare di sentimenti e argomenti cosi personali, ma cercavo di fare uno sforzo perché mi importava del benessere degli altri. Joe poi ne aveva bisogno, qualcuno lo doveva spronare affinché si aprisse un po' di più.

"Sì. L'ho sentito allegro e positivo, dunque posso stare calmo..."

Sapevo che aveva lasciato la frase in sospeso, cosi lo incalzai: "C'è un ma, vero?".

"Se continuo questo tour, è come se me ne stessi fregando" ammise sommessamente dopo qualche secondo.

Scossi la testa. "Non dire stronzate. Tuo fratello non ha nulla di grave ed è lui stesso a volerti qui. Non ha senso mollare tutto per andare a fare la presenza in ospedale, quando poi nessuno è felice" tentai di farlo ragionare.

"Louis mi ha detto che in questo momento sono sul posto di lavoro e non me ne posso andare di punto in bianco" raccontò con fare scettico.

"Louis è saggio" riassunsi io, trovandomi d'accordo con il fratello di Joe.

La portafinestra alle nostre spalle si aprì con un leggero scricchiolio. "Ehi," mormorò Conor, "pensavo ci fosse più freddo qua fuori" affermò, raggiungendoci e poggiando i gomiti sulla balaustra in cemento.

"Dicono che Las Vegas sia una città molto calda" osservai.

"Come sta Louis?" volle sapere poi il cantante, rivolgendo a Joe uno sguardo apprensivo.

"Bene, a parte una frattura alla gamba. Ma l'unica a rimetterci è stata la macchina" spiegò brevemente lui, e finalmente mise su uno dei suoi soliti, luminosi sorrisi.

"Tu invece?" chiesi a Conor, che aveva preso a ispezionare la città con lo sguardo.

"Bene, grazie a voi. Ho solo un po' d'agitazione addosso che mi impedisce di dormire, ma sono contento. Ehi, in America ci amano, avete visto quanto è entusiasta il nostro pubblico?"

Ripercorsi gli eventi di quella sera: un bel palco pieno di luci, una sala stracolma di gente che ci acclamava, l'energia che si sprigionava dai nostri corpi e si riversava addosso ai fan.

Per me era un sogno a occhi aperti.

Senza aggiungere una parola, finii di fumare la mia sigaretta e schiacchiai la punta del mozzicone sul posacenere nero.

Quando rientrammo nella stanza, trovammo Dom e James che facevano zapping in TV.

"Che c'è di bello a quest'ora? Cosa ci propone la televisione americana?" mi incuriosii.

"Abbiamo trovato le repliche di Meet The Barkers!" esclamò James con entusiasmo.

"Questo programma è magnificamente trash!" esultò Dom.

Mi incantai per qualche secondo a osservare Travis Barker, batterista dei Blink-182 e protagonista del reality show, che battibeccava con la sua ormai ex moglie nello schermo della TV.

"Ma non potevate cercare un film?" borbottò Joe con uno sbadiglio annoiato. Si andò subito a posizionare ai piedi di James, sul suo letto.

"Se ti può interessare, mentre facevamo zapping abbiamo trovato una sorta di porno da quattro soldi" sogghignò Dom, giocherellando con il telecomando.

Scoppiai a ridere, cercando di non fare troppo casino. "Mi sorprende che non l'abbiate lasciato" li presi in giro.

"Era mediocre" si giustificò il batterista con uno sbadiglio.

Eravamo tutti stanchi: ora che tutti sembravano stare meglio e una semplice chitarra era riuscita ad alleviare le nostre preoccupazioni, la fatica del tour ci si stava riversando addosso. Però nessuno aveva voglia di tornare nella propria stanza, era chiaro.

"Mi avete rubato il letto" mugugnai, rivolto a Dom e Conor, che erano stravaccati al mio posto.

Entrambi si adoperarono per farmi uno spazietto e finalmente potei adagiarmi sul mio cuscino, rannicchiandomi il più possibile su me stesso.

Osservavo alternativamente i miei amici e lo schermo, senza prestare davvero attenzione a nessuna delle due cose. Ben presto le palpebre mi si fecero pesanti, posai il capo sula testiera in legno e mi lasciai cullare dalle voci nella TV e i mormorii dei ragazzi che commentavano di tanto in tanto il programma.

Ero distrutto e in una posizione scomoda, ma finalmente più sereno.


Aprii gli occhi lentamente, del tutto confuso e spaesato. La stanza era immersa nella penombra, dalle tende filtrava solo un bagliore grigiastro; il colore del primo mattino.

Durante il sonno avevo compiuto un'impresa impossibile, restringendomi in uno spazietto fin troppo piccolo per la mia stazza: avevo la schiena schiacchiata contro la testiera del letto, sul cuscino, la testa quasi sbucava dal materasso e le ginocchia erano strette al petto.

Conor si era rannicchiato sui miei piedi, come un gatto in cerca del posticino più caldo e comodo. Forse quella notte, senza nessuna coperta addosso, aveva avuto freddo.

Dom invece si era seduto sul pavimento e sonnecchiava con la testa abbandonata contro il mio materasso.

Il televisore davanti a me si era spento da solo, dal momento che nessuno aveva cambiato canale per ore.

Spostai lo sguardo verso l'altro letto e non potei fare a meno di sorridere divertito. James era sdraiato a pancia in su e aveva abbandonato una mano sul fianco di Joe, che si era appisolato con la testa sul petto del batterista. Quella posizione era abbastanza ambigua e, se non avessi avuto la certezza che entrambi fossero etero, avrei pensato ci fosse del tenero tra loro.

Ma probabilmente anche loro avevano avuto freddo e si erano abbracciati nel sonno per riscaldarsi.

Avrei scattato loro una foto, se solo avessi potuto afferrare il mio cellulare.

Richiusi gli occhi e continuai a bearmi di quella bellissima sensazione: ero sdraiato, stavo riposando ed ero in compagnia delle persone giuste.

Di sicuro avremo fatto tardi quella mattina.



♥ ♥ ♥



Ciao a tutti i coraggiosi lettori di questa storia, e benvenuti alla prima fanfiction sui Nothing But Thieves! Tra l'altro, se non erro, questa è la prima ff italiana su di loro, quindi sono un tantino emozionata e mi sento addosso anche un po' di responsabilità!

L'ispirazione mi è venuta qualche settimana fa, dopo averli visti al Fabrique di Milano. È stata la prima volta che li ho visti dal vivo e... beh, sono rimasta a dir poco conquistata da loro! È stato un concerto divertente ed emozionante, così ho voluto omaggiarli – se così si può dire XD

Questa storia dalla trama molto semplice era un po' un prologo, un preambolo, che serviva a me per fissare bene questi personaggi (essendo che non ho mai scritto/letto di loro, li ho dovuti caratterizzare da cima a fondo), sia a voi per poterli conoscere! Eh già, perché questa non è la mia unica storia su di loro, ho in mente anche un altro piccolo progettino che vi farò leggere appena sarà pronto, se vorrete ^^

Allora, che ne pensate di Conor, Dom, Joe, Phil e James? Stavolta li ho fatti soffrire un bel po', per fortuna il più grande della band si è preso dolcemente cura di tutti :3

Ci tengo tanto a sapere il parere di chi non li conosceva prima, ma soprattutto vorrei capire se qualcuno su EFP ce li ha presente... fatevi vivi, eventuali NBT fans, e fatemi sapere se la caratterizzazione dei personaggi fa del tutto schifo o è accettabile XD

E aiutatemi ad aprire la loro categoria, che sarebbe il mio sogno! *-*

Ok, a parte questo, ci tengo a specificare un paio di cose. Innanzitutto è vero che Conor è stato male nel primo lungo tour della band, per lui è stata molto dura e a un certo punto pensava pure di tornare a casa; fortuna che aveva quattro fantastici amici pronti ad aiutarlo ♥

Louis, il fratello minore di Joe, esiste veramente, ma non so nulla di lui a parte il nome! Ah, Louis, se stai leggendo: scusami per il brutto incidente che hai avuto in questa storia :D

Vi lascio anche il link delle due canzoni che i ragazzi hanno cantato:

Jeff Buckley: Last Goodbye

Foo Fighters: Best Of You

I NBT sono fan sia di Buckley che dei Foo Fighters, ho voluto rispettare i loro (e i miei) gusti ^^

Bene, ora la pianto perché mi sono dilungata fin troppo! Vi invito a tenervi pronti, perché in futuro troverete altro su questi cinque adorabili ragazzi :3

E ovviamente grazie per aver perso qualche minuto a leggere questa sciocca storia, e per essere arrivati fin qui!!! ♥



   
 
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