Capitolo 2
Il male della
vittima
Spencer non aveva mai avuto problemi di
puntualità: di solito era già sveglio prima dell’alba, e questo almeno gli aveva
permesso di vedere albe meravigliose. Ma da quella camera d’albergo non c’era
una gran vista, e i grigi grattacieli di Washington non erano il migliore degli
sfondi, quindi per quel mattino preferì consolarsi con una ricca colazione al
bar.
Aveva dormito da schifo - niente di nuovo -
e non si sentiva in condizioni di essere messo sotto esame dai nuovi colleghi,
ma una cosa lo tranquillizzava: quando la notte lo aveva scombussolato
emotivamente, sul lavoro dava il meglio di
sé.
Fu alla sede della “Mundial Pneumatici”
prima dell’ora dell’appuntamento, eppure Darren Jonhson era già
lì.
"Anche lei ha problemi col sonno, capo?"
buttò là con ironia.
"Affatto" disse Darren "piuttosto ho
perlustrato i dintorni" gli mise in mano dei fogli "questa è la planimetria
dell’edificio, le possibili vie di fuga sono segnate in
rosso"
Spencer sollevò entrambe le
sopracciglia.
"Scherza? E’ solo un
ufficio!"
"Sì. E la ditta sembra pulita, John ha fatto
le sue indagini. Ma nella nostra posizione non si sa mai. Una volta siamo stati
costretti a tentare una fuga da una linda villetta a schiera. E a volte le
imprese sono ottime coperture. E‘ questo il guaio di avere come avversari
persone capaci di passare completamente
inosservate"
Quel “passare inosservati” doveva essere uno
dei refrain dell’agente Johnson e del suo collega: ma come dargli torto? Niente
poteva escludere, di fatto, che una ditta di pneumatici potesse essere un covo
di esoterroristi.
"Però la stessa cosa vale al contrario"
azzardò.
"Ti sbagli. Già il fatto di indagare sul
crimine ci rende sospetti. E’ successo altre volte che gli esoterroristi abbiano
fatto piazza pulita di agenti che nulla avevano a che fare con l’ordo veritatis.
Semplicemente, avevano ficcato il naso dove non
dovevano..."
Entrarono nell’edificio all’orario di
apertura, e furono subito introdotti al dirigente. La prima impressione che
Spencer ne ricevette, fu di un povero diavolo che nella vita ha visto poco più
in là della sua azienda, e che dei suoi dipendenti sa meno di quanto sapeva
della tenuta su strada di un pneumatico. Confermò loro che Samerson aveva
effettivamente preso ferie, e non aveva detto dove andava: ma non ci trovava
nulla di strano...lì nessuno raccontava i fatti propri ai colleghi, e Osvald era
un uomo di poche parole e molto riservato. Non c’era nemmeno una persona con cui
avesse intrattenuto rapporti più confidenziali, al massimo andava a prendere il
caffé al bar col vicino di scrivania, e quest’ultimo fu la seconda persona che
Spencer volle interrogare.
Si chiamava Rod Madison, divideva l’ufficio
con Samerson, e teneva la contabilità
dell’azienda.
Ma, quando fu dentro la piccola stanza,
anziché parlare con lui, si mise a studiare la scrivania della vittima: frugare
nei cassetti, sfogliare la sua rubrica, osservare come teneva le sue
cose.
"Lei e il signor Samerson eravate amici?"
chiese Darren a Madison, che osservava stupito la strana indagine di
Spencer.
" Mmm...no, guardi...amici non potremmo
definirci..." (con un occhio perplesso scrutò l’altro agente che sembrava
trovare molto interessante la disposizione delle penne di Osvald) "Non avevo nemmeno il suo numero di
telefono. Però, miseria...mi dispiace che sia morto! Era una brava persona: era
sempre gentile e corretto con tutti! Quando prendevamo il caffé insieme voleva
sempre offrire lui...quasi si risentiva se non accettavo. Era molto educato, uno
di quegli uomini che aprono ancora le portiere alle donne, ha
presente...?"
La voce di Spencer, curvo su un foglio di
appunti sgangherati, lo interruppe.
"Ovvio. Ha una mania di controllo che si
vede lontano miglia..."
"Come, scusi...?" fece Rod Madison,
aggrottando la fronte.
"Ha manie di controllo" ripeté Spencer
"insomma...aveva bisogno di sentirsi sicuro di poter gestire la realtà intorno a
sé, compresi i suoi rapporti con gli altri. Si vede da come tiene le cose, dalla
sua calligrafia. E anche dal fatto che non le abbia dato il suo numero di
telefono. Stabilire rapporti profondi probabilmente gli era difficile, perché in
genere chi desidera controllare con tanta forza la realtà, ha serie difficoltà
nel chiedere aiuto, per quando non ne abbia nel concederlo. Il fatto che pagasse
il caffè mi conferma che preferiva sentirsi in credito che non in debito. Sa se
aveva avuto traumi nella vita? Che so...assistito ad un uragano, a un
terremoto...vissuto uno sfratto..."
"Come le ho detto, non lo conoscevo
abbastanza..."
"Ma aveva stima di lui. Si capisce da come
si è infastidito quando mi sono permesso di dare il mio giudizio, che, per
altro, lei reputa affrettato e indelicato"
Stavolta lo sguardo di Rod fu di
stupore.
"Senta...quel che so di lui, lo so perché lo
osservavo. Gli piaceva ascoltare musica classica, la metteva, ogni tanto...Aveva
un debole per i film di Chaplin, e gli piacevano gli orologi. Ma di viaggi non
abbiamo mai parlato..."
"...perché non viaggiava..." commentò
Spencer, quasi tra sé "un tipo così...non penso che viaggiasse. Non in treno o
in aereo, di sicuro. Probabilmente si spostava in macchina, su percorsi
abituali. Quindi, se è partito ed è andato in un luogo a lui consono, lo ha
fatto per una ragione veramente
importante..."
"Ricorda qualche episodio recente, qualcosa
che lo facesse apparire strano o diverso?" intervenne
Darren.
"Diverso no" spiegò l’uomo "Ma c’è stato un
episodio, effettivamente...anche se non è niente che abbia a che fare con le sue
ferie..."
"Ciò che non è pertinente per lei, potrebbe
esserlo per noi" insistette l‘interlocutore.
"Beh, guardi, è una sciocchezza. Sì è ferito
con un taglierino e appena ha visto il sangue ha avuto un abbassamento di
pressione. Ci è toccato portarlo in infermeria. Ma un paio d’ore dopo era di
nuovo in perfetta forma"
“Paura del sangue e manie di controllo.
Forse è ipocondriaco” pensò Spencer.
"Niente
altro?"
"Niente
altro"
Quando tornarono alla loro sede, verso
mezzogiorno, furono accolti da un Jhon molto
allegro.
"Bene signori!" li informò "abbiamo un pollo
da spennare!"
Quello era il suo modo per dire che avevano
un sospettato in sala interrogatori. Spencer trovò l’espressione sgradevole per
i suoi standard, mentre Darren, con il solito fare impassibile,
chiese
"Cultista o
imbecille?"
L’amico si strinse nelle
spalle.
"A pelle, imbecille. Ma non si sa
mai"
"Dove lo avete
preso?"
"Senti un
po’..."
John iniziò il suo
racconto.
Il mattino presto, con regolare mandato,
erano entrati in casa Samerson. Casa piccola, estremamente ordinata per essere
quella di un uomo, sembrava quasi esserci un tocco femminile, ma dopo una lunga
ricerca tra armadi e cassetti, lo avevano escluso. Nella libreria, avevano
trovato un’enormità di libri guida alla salute del corpo e della mente, di tutti
i generi immaginabili, dallo zen, alla macrobiotica, alla medicina alternativa,
ai consigli di dietisti e dottori, oltre a guide al primo soccorso ed
enciclopedie mediche. Tutto sembrava confermare la diagnosi di ipocondria
buttata là da Spencer. Tuttavia, Jhon aveva subito notato che mancavano alcuni
oggetti che, anche nella casa del più impersonale e noioso impiegato, era quasi
impensabile non trovare: un computer, una rubrica, una macchina fotografica.
Inoltre, non c’era il nastro nella segreteria telefonica. Insomma, la
conclusione era stata rapida: qualcuno aveva “ripulito” la casa, e gli
esoterroristi lo facevano spesso. Nessuno dei vicini, però, aveva notato niente
di insolito.
Fortunatamente, il palazzo si affacciava su
una via commerciale, e dirimpetto c’era una gioielleria munita di telecamere;
osservando le registrazioni, avevano notato che nel condominio erano entrati
solo due estranei: uno era il postino, l’altro portava volantini pubblicitari,
ma quest’ultimo era stato decisamente troppo tempo all’interno dell’androne per
essersi limitato a imbucare cartaccia nelle cassette.
"grazie al mio nuovo programma, sono
riuscito a elaborare un’immagine quasi perfetta" concluse John, mostrando a
Darren una fotografia " ho fatto una ricerca veloce e sono riuscito ad avere
nome e indirizzo del signor Mark Haddon, lo sfigato del quartiere, schedato per
piccoli furti...siamo andati a prenderlo e, guarda un po’? Abbiamo trovato in
casa sua il computer della vittima. Lui continua a blaterare che lo ha
semplicemente rubato...ma io scommetto che non si tratta di un furto qualsiasi:
qualcuno glielo ha commissionato, e a noi spetta farlo
cantare..."
"E facciamolo cantare, allora" esclamò
Darren, precedendolo in sala interrogatori.
Spencer fece per chiedere cosa doveva fare,
ma John lo anticipò.
"Tu stai a guardare e impara come si fa"
Spencer pensava che certe scene si vedessero
solo nei peggiori film di azione, ma dovette ricredersi: dopo un tempo di
pazienza durato si e no cinque minuti, Darren aveva afferrato il malcapitato per
le spalle, e, senza mezzi termini, gli aveva elencato tutti i crimini
(prontamente recuperati tra rete e informatori da Jhon) di cui lo avrebbe fatto
accusare se non avesse rivelato il nome di chi gli aveva ordinato il
furto.
"E’ inutile che ci racconti puttanate!
Abbiamo trovato i soldi: uno sfigato come te non può avere tanti contanti tutti
insieme!"
"Li ho rubati in casa di quell’uomo!"
piagnucolò lui "sono suoi, li ho trovati e li ho
presi!"
"CREDI DI PARLARE CON UN FESSO? Samerson era
un maniaco dell’ordine: non avrebbe mai lasciato dei contanti in giro per
farseli rubare dall’ultimo degli stronzi! Raccontami un’altra balla e ti spacco
la mascella!" e, giusto per dimostrazione, Darren gli lasciò una bella impronta
da cinque dita sulla guancia.
Spencer sobbalzò sulla
sedia.
"Ma...ma...questo non è legale!" esclamò,
rivolto a nessuno.
Una delle regole imparate nell’Ordo
Veritatis era che gli agenti dovevano rimanere entro i limiti della legalità:
come se la sarebbero sbrigata quando quel tizio avrebbe cominciato a raccontare
in giro che due dell’FBI lo avevano preso a mazzate? I suoi colleghi non
sembravano porsi il problema: proprio loro che parlavano dell’importanza di
passare inosservati!
"Li ho rubati, li ho rubati!" strillava
intanto Haddon, persistendo nella sua versione "che cosa volete che ne sappia
del perché li ha lasciati in giro?
Chissenefrega!"
"Che peccato, non ti crediamo " inclazò Jhon
"E sai invece cosa crediamo?" gli stette
dietro Darren "che quei soldi te li abbia dati qualcuno di cui hai una paura
fottuta..."
"E fai bene ad aver paura,
sai?"
Si guardarono negli occhi, e si intesero al
primo sguardo.
"Già: perchè noi ti lasceremo andare e
dichiareremo in conferenza stampa che ci hai rivelato il nome del vero autore
del furto..."
A quelle parole, il poveretto sbiancò al
punto che l’impronta lasciata dalla mano di Darren sul suo viso divenne ancora
più visibile. Era il momento di farlo
crollare.
"E tu non lo vuoi, giusto?" insinuò John,
rendendo il suo tono di voce meno aggressivo "perché sai benissimo che quello
per cui lavori non ha scrupoli, ti troverà a ti farà la
pelle..."
"Mentre se parli, noi potremmo metterti in
un luogo sicuro"
"E poi, una volta che lo avremo beccato, ti
faremo avere uno sconticino di pena e sarai fuori in un paio di
mesi..."
Mark Haddon rimase zitto, distogliendo lo
sguardo dai due agenti.
"Scommetto un’altra cosa" riprese Darren
"Scommetto che nel computer di Samerson troveremo qualcosa che ci aiuterà ad
arrivare all’assassino, e il tuo mandante te lo aveva fatto portare via proprio
per questo. Anzi...forse ti aveva ordinato di distruggerlo...ma tu hai fatto il
furbo, volevi rivendertelo e fregarlo. Bel coraggio...se lui lo venisse a
sapere..."
"No, no!" proruppe allora l’interrogato "Non
volevo rivenderlo! Lui doveva passare a prenderlo, e mi avrebbe dato il resto
del denaro!"
Jhon e Darren si scambiarono un sorriso
sinistro
"Finalmente qualcosa di interessante. Che ne
dici di dirci anche il suo nome?"
"Non lo so!"
"Ah...non lo
sai?"
Darren gli allungò un altro
schiaffone
"MA CON CHI CAZZO CREDI DI
PARLARE?"
"Non lo so, lo giuro! Avevo bisogno di
soldi, mi ha dato un bell’anticipo: chi se ne frega del suo nome! Se anche non
fosse tornato a saldare, quelli che avevo preso mi toglievano da un po’ di
guai!!"
"Beh, ora di guai ne hai il doppio..."
sbuffò Jhon.
Mentre Darren lavorava all’Identikit, Jhon
era sprofondato nel suo mondo: aveva tra le mani il computer della vittima e lo
stava rigirando come un calzino. Spencer lo guardava lavorare con curiosità:
avrebbe voluto azzardare una timida protesta sui loro metodi di interrogatorio,
ma non voleva violare quell’atmosfera di profonda concentrazione. A John,
invece, non pareva dispiacere che il collega lo osservasse: aveva una sorta di
vanità per il suo estro di hacker.
"Abracadabra" esclamò ad un tratto, muovendo
velocemente le dita sulla tastiera "eccoci rivelata l’identità virtuale di
Osvald Samerson!"
Spencer sporse il
naso da dietro la sua spalla: sullo schermo era apparsa una pagina di MySpace,
dai colori terrestri e caldi, ed il profilo di “AnimaMundi”, 54 anni, di
Washington. Una musica new age faceva da sottofondo, e sotto i dati personali si
poteva leggere una citazione: “Solo per oggi: Non ti arrabbiare non ti
preoccupare, Sii umile, Sii onesto nel tuo lavoro, Sii compassionevole verso te
stesso e gli altri”.
"Il
mantra di Rikao Usui, il fondatore del Reiki" commentò
Spencer.
"Che
roba è?"
"Un
metodo di guarigione naturale attraverso il passaggio dell’energia vitale
dell’universo. E’ evidente che Osvald avesse qualcosa da cui voleva “curarsi”, e
non sapesse più a cosa appigliarsi. Stava intraprendendo tutte le vie
praticabili...probabilmente, oltre ad essere ipocondriaco, era deluso dalla
medicina tradizionale..." emise un debole sospiro: odiava sentirsi personalmente
coinvolto in un lavoro, ma quella disperata ricerca di pace interiore toccava un
tasto che non gli era indifferente "quest’uomo desiderava solo un po’ di
serenità. Serenità dalle sue paure, prima di tutto. Dobbiamo capire chi è
riuscito a proporgli una via abbastanza allettante da farlo finire coinvolto in
un rituale esoterrorista..."
Jhon
stava spulciando la lista dei contatti.
"Per
esempio una donna coi suoi stessi interessi?" disse, cliccando su uno dei link
presenti nello spazio amici "“Aura_Bianca” ha 45 anni, fra loro c’era una fitta
corrispondenza, e, indovina un po’? E’ Messicana! Non ha forse la stessa origine
il nostro simbolo?"
Ma
sulla pagina web della donna non c’era un simbolo solo: ce ne erano decine. E
un’infinità di link a tradizioni Messicane, medicina dei nativi d’america e
strani testi scritti in lingue
incomprensibili.
"Miseria!" esclamò Spencer "Vista così sembrerebbe una
persona sospetta anche se non conoscesse la
vittima!"
"Già.
Ma dobbiamo stare attenti a distinguere il desiderio del soprannaturale e del
mistico dal cultismo e ancor più
dall’esoterrorismo"
A
parlare era stato Darren, comparso come al solito quasi senza farsi sentire alle
loro spalle.
"Jhon, stampa tutto. Manda Dwhigt dall’esperto..." e se
ne andò di nuovo senza addurre precisazioni.
"Esperto?"
Jhon
sollevò le sopracciglia
"Un
nostro consulente" gli spiegò "un professore tuttologo che lavora qui
all’università. Darren lo chiama
una volta sì e l’altra anche: ma preferisce non andare da lui di persona.
Tipi troppo diversi..."
Spencer si stropicciò la testa. “Troppo diversi” pensò
“Sarà un bene o un male?”
Joseph ‘O Malley aveva un curriculum lungo
come una lista della spesa: insegnava “Storia delle Religioni” alla facoltà di
Storia di Washington, ma aveva anche la cattedra di “Influenze dell’occultismo
nelle correnti filosofiche occidentali” a filosofia, e teneva dei corsi
d’aggiornamento di “Psicopatia e misticismo” per i laureandi in
criminologia. Infine, era direttore
del Centro di Ricerche “Riti e culti dei nativi d‘america“. Ma Spencer lo aveva
sentito nominare per altre ragioni: aveva scritto alcuni testi di Simbologia
rituale per l’Ordo veritatis, che gli erano serviti per i suoi studi, e svolto
una ricerca, sempre ad uso e consumo esclusivo dell‘ordine, sulle tecniche di
disattivazione dei feticci. Tutto sommato incontrarlo di persona poteva essere
era una piacevole occasione di
arricchimento.
Avvisato telefonicamente, il professore gli
aveva dato appuntamento nel suo ufficio, ma la porta era chiusa.
Bussò.
"Un momento!" rispose una voce femminile, il
cui tono fece sospettare per un attimo a Spencer di essersi intromesso in una
qualche situazione imbarazzante.
La porta si
aprì.
"Prego! " lo accolse una radiosa bionda in
tallieur " Il professore è tutto suo, tolgo il disturbo!"
Gli rivolse un grazioso sorriso, ed uno
ancor più vistoso a ‘O Malley.
"Buon lavoro, professore!"
cinguettò.
Spencer diede in un finto colpo di tosse,
giusto per potersi nascondere il naso dietro la mano: temeva infatti di essere
arrossito. Probabilmente l’essere un esperto nello studio del comportamento lo
rendeva fin troppo attento ai particolari, ma ai suoi occhi era stato subito
evidente che il rapporto che c’era tra il professore e quella che, per l’età,
poteva, essere una studentessa, non era esattamente
professionale.
L’uomo seduto dietro alla cattedra, invece,
doveva avere una cinquantina d’anni, forse di meno: la folta barba nera che
portava lunga e un po’ incolta rendeva abbastanza difficile fare una stima, e
probabilmente lo invecchiava, mentre a guardare solo gli occhi gliene avrebbe
dati sui quaranta.
"Venga, venga pure" lo invitò il docente "Io e Margot
stavamo solo facendo della sana e divertente attività sessuale. Ma non si
preoccupi avevamo praticamente finito. Margot è una bravissima ragazza. Sa che
recentemente ha vinto anche un premio con la sua tesi di dottorato in
archeologia? Beh, a essere sinceri qualche anno fa ha anche vinto il premio miss
archeologia organizzato dalle confraternite della
facoltà..."
A quel punto non c’era modo di dissimulare:
la faccia di Spencer aveva visibilmente cambiato colore. Per sua natura era
discreto, e l’uomo che gli aveva fatto da padre era ultra ottantenne:
decisamente non era abituato ad un linguaggio senza veli come quello.
"Emh...io...S-sono l’agente Spencer Dwight,
dell’unità Culti e Crimini rituali" fece, cercando, con gesti impacciati, di
estrarre il tesserino, ma l’interlocutore lo fermò con un gesto lento della
mano.
"So chi è lei. Si accomodi, Spencer.
Qualcosa da bere?"
Sulla cattedra aveva una bottiglia di Irish
wiskey.
"Sono in servizio..." obiettò timidamente
Spencer, mentre ‘O Malley stava già riempiendogli il
bicchiere.
"Il Black Bush è uno dei migliori wiskey irlandesi.
Lo sapeva che il wiskey irlandese si distingue dagli altri perché subisce tre
distillazioni anziché due?"
"No,
non sono un intenditore"
"Non
ha importanza. I vini si intendono con la bocca, non con la conoscenza. Il mio è
solo gusto per le curiosità. Che posso farci? Mi divertono. Ai quiz televisivi
sarei imbattibile"
“Sarà
per questo che lo chiamano il tuttologo” pensò il
ragazzo.
"Ehi"
proseguì, vedendo l’esitazione dell’ospite "quel wiskey è già vecchio di dieci
anni, non ha bisogno di invecchiare ancora" e buttò giù d’un fiato il suo
bicchiere.
Spencer, per non passare male, fece altrettanto, ma non
lo svuotò del tutto. Il vino gli piaceva, ma era troppo ligio al dovere per
trasgredire sul lavoro.
"Stiamo indagando ad un caso e..." cercò di introdurre la
questione che gli premeva.
"Da
quanto tempo lei è dei nostri?" lo interruppe "Non
l’avevo mai vista..."
"Da
quattordici anni" rispose Spencer "ma è ovvio che lei non mi abbia mai
incontrato: a membri di cellule diverse non è consentito di conoscersi e lei
dovrebbe saperlo meglio di me" concluse in tono un po’ saccente. Il parlava
delle regole dell’Ordine lo rendeva fin troppo
tassativo.
"Certo che lo so" commentò ‘O Malley "Ma io ho più
contatti di quel che creda. Del resto lei è ancora un ragazzo: quanti anni ha?
Ventisei? Ventisette?"
"Quasi trenta..."
"Quasi trenta. Bene, bene. Posso darle del
tu?"
Spencer fece un sorriso
impacciato.
"C-certo che sì..."
‘O
Malley battè leggermente la mano sulla
cattedra
"Ottimo! E dunque, il tuo ramo è la psicologia. Psicosi
da contatto col soprannaturale? Rapporto tra psicopatie e
esoterrorismo?"
"Anche. Per lo più mi occupo di analisi comportamentale.
Almeno in questa veste..."
"Oh!
Analisi comportamentale! Sapresti farmi il
profilo?"
Spencer scosse la testa così di fretta che era
impossibile non percepire l’imbarazzo di quel
gesto.
"Coraggio, sono
curioso..."
"Un’altra volta, professore, la prego" si schermì "Mi dia
il tempo di osservarla un po’! Nel mentre...lei potrebbe dare un’occhiata a
questi..." e gli spinse sulla cattedra le stampe dei numerosi simboli trovati
nello spazio web di “Aura_Bianca”.
‘O
Malley li guardò uno ad uno, rapidamente, come se ci fosse poco su cui
soffermarsi. Poi, di fronte ad uno stupito Spencer, fece una palla dei fogli che
gli aveva dato, lasciandone in vita solo
uno.
"E’
roba innocua" decretò "simbolismo da due soldi che veniva e viene usato tuttora
per costruire amuleti il cui scopo varia dal canalizzare l’energia universale o
portare protezione a chi lo indossa. Alcuni di questi venivano tatuati sulle
piante dei piedi dei guerrieri di antiche tribù: si pensava che aumentassero la
forza del combattente pemettendogli di attingere energie dalla terra. Ma nulla
di tutto questo ha un effettivo potere rituale. In sostanza: superstizioni.
L’unica cosa su cui vale la pena di approfondire è
questa..."
Gli
indicò uno dei tre simboli presenti sulla sola pagina rimasta
intatta.
"Ricorda molto un simbolo voodo che viene usato
nell’evocazione del Loa che presiede alla salute...e come lei certamente sa, è
tipicamente esoterrorista la pratica di alterare e contaminare simboli
preesistenti per farne qualcosa d‘altro. Dove lo avete
trovato?"
"Su
una pagina web" spiegò Spencer "si tratta del myspace di uno dei contatti della
vittima"
"Beh,
forse è opportuno che ci scambiamo due parole. Dove
abita?"
‘O
Malley era decisamente sbrigativo: in genere, prima di andare a interrogare un
sospettato, per di più potenziale esoterrorista, occorrevano pratiche un po’ più
lunghe che un semplice piombare a casa sua.
"L’indirizzo non lo abbiamo. Prima di rintracciarlo, il
capo voleva che lei mi dicesse se valeva la
pena"
"E io
gliel’ho appena detto..." commentò il
professore.
"Sì,
ma..."
Senza
permettergli di aggiungere altro, ‘O Malley sollevò il
telefono.
"Samantha, cara, fai un salto nel mio
ufficio?"
Nel
giro di pochi attimi un’altra vamp alta un metro e ottanta, e bionda come l’oro
era comparsa sulla porta.
"Bisogno di qualcosa,
professore?"
Lui
la face accomodare, e le fece cenno di
sedersi.
"Questo giovanotto è dell’FBI, ed ha bisogno che tu
rintracci una persona: abbiamo l’account su myspace e ci serve l’indirizzo. Ce
l’hai un minuto per farmi questo favore?"
"Come
no, professore. Per lei questo e altro!" rispose Samantha con un sorriso
smagliante.
"Non
è un vero tesoro?" fece ‘O Malley "Quando hai fatto, raggiungici al Corsaro di
Dublino, che ti offro da bere. Io sono atteso là, c’è la cena di compleanno
della mia cugina di quarto grado, Melissa, un vero splendore! Non posso
mancare!" si alzò, raccolse le sue cose, e le infilò un po’ alla rinfusa in una
borsa di pelle "Spencer, lei è mio ospite!"
Il
ragazzo sbatté le ciglia, e cercò di schermirsi, ma non fece in tempo ad aprire
bocca.
"Sono
quasi le sette, non faccia storie. Una pausa sul lavoro le farà bene: si vede
che lei è stressato e non dedica tempo a se stesso. Dovrebbe metter su un paio
di chili e un po’ di colore...si vive una volta
sola!"
La
confusione che regnava in quel pub lo costringeva a tenere una mano
sull’orecchio, e l’altro premuto contro il
cellulare.
"Sì,
sono con lui. Mi libero presto e..."
Dall’altro capo sentì, dispersa nel brusio che lo
circondava, la voce di John. Aveva un ché di allegro, o più probabilmente di
derisorio.
"Darren dice che, se sei con ‘O Malley, non ti
aspetta"
"E
quindi..?"
"Quindi fai con comodo. Suppongo che anche se volessi
sganciarti, non ti riuscirebbe"
Spencer si infilò il cellulare in tasca con malcelato
disappunto, proprio nel momento in cui la mano del professore si posava
vigorosamente sulla sua spalla.
"Ah,
ecco dov’eri! Non sparire, o ti perderai delle conoscenze
interessanti!"
Con
una spinta educata ma decisa, lo costrinse ad avanzare nella sala, e gli indicò
una ragazza dai lunghi capelli rossi che stava stappando una bottiglia di
spumante.
"Quella è Melissa, si è appena laureata in Lingue
straniere per il Web...è una gran bella testolina...e non solo!" ammiccò in modo
molto eloquente, e Spencer si accorse di star per arrossire di nuovo: quell’uomo
si prendeva decisamente troppa confidenza, e lui non ci era abituato. Non sul
lavoro, almeno, e men che mai con una persona che era considerata un’autorità
indiscussa in campo accademico.
‘O
Malley sembrò stupirsi del suo silenzio. Che si aspettasse degli apprezzamenti
sulla cugina?
"Vieni, te la
presento"
La
festeggiata aveva riccioli gonfi che sembravano una nuvola al tramonto,
lentiggini, corporatura robusta e una scollatura generosa, che il professore non
mancò di commentare positivamente, senza che la ragazza si scomponesse affatto:
probabilmente era un tratto di famiglia rimanere immuni
all’imbarazzo!
‘O
Malley la abbracciò, apprezzò con disarmante candore la mini gonna della sua
amica e, con altrettanta partecipazione, la marca di wiskey che faceva mostra
sul tavolo.
Poi
si ricordò di Spencer ed esclamò:
"Visto che begli ospiti ti porto? E poi dimmi che non
penso al tuo bene...!"
Melissa sfoggiò un delizioso
sorriso.
"Spencer Dwight " fece lui, porgendogli la mano come se
si trovasse a un colloquio di lavoro "
Congratulazioni..."
"Oh,
grazie!" rispose la ragazza " Bevi
qualcosa?"
"Certo che beve" intervenne ‘O Malley " offrigli un
Jamerson o un bianco con sambuco e mele. Niente balck bush, gliel’ho già offerto
io. Magari un cocktail..."
Spencer rifiutò con un gesto della
mano.
"La
prego, professore" disse "sono in
servizio..."
"Affatto. Lei è in pausa. Ne approfitti. Non ci sono
molti locali come questo, negli Stati Uniti, e stasera, oltretutto, il bancone
del bar è a nostra disposizione. Mi creda, dovrà andare fino a Dublino per bere
come si deve..."
Spencer sorrise con
distacco.
"Davvero, meglio di no. Non ho un buon rapporto con
l’alcol. Di solito bevo quando sono depresso, e fortunatamente non è questo il
caso..."
Se
non lo fosse, in verità non lo sapeva con certezza. Gli era difficile valutare
quanto le sue angosce influenzassero i momenti di vita quotidiana, e di certo
erano rari i giorni in cui potesse dirsi sereno. Tuttavia, lasciarsi andare ora
sarebbe stato pericoloso: ricordava ancora con un certo sgomento la sua ultima
sbornia...Lois lo aveva sostenuto ubriaco per le scale e non ricordava nemmeno
più se dopo avessero o no fatto l’amore.
"Per
carità, la depressione teniamola lontana " esclamò ‘O Malley " ma è un vero
peccato: se mi dice così, non potrò mai aver l’onore di farmi una bevuta con
lei..."
"Brinderemo alla risoluzione del caso" fece Spencer
"Brunello di Toscana e Moscato d’Asti:
dalla mia riserva personale!"
"Apprezza il vino
italiano?"
"Ma
no! Non me ne intendo. Sono stato in Italia anni fa, per imparare la lingua e
per...beh, per “studi”, ovviamente. E ho portato a casa un po’ di
bottiglie"
‘O
Malley annuì: non c’era bisogno di spiegazioni perché capisse di che studi si
trattasse. Torino era una delle tre città “magiche”, e gli studi sul come e
perché quel luogo fosse terreno tanto favorevole ai rituali esoterici erano
ancora aperti.
D’un
tratto, sul palco che si trovava sul fondo del vasto locale, si posizionò un
complesso, che cominciò a suonare musica
irlandese.
"Spencer " disse ‘O Malley "il piacere mi chiama. Ci sono
troppe signore senza cavaliere qua dentro. Perché non fa ballare la
festeggiata?"
Melissa, nel mentre, era tutta presa a chiacchierare
animatamente in mezzo ad un gruppo di amici.
"Non
mi costringerà a tanto, professore " scherzò Spencer " dovrebbe veramente farmi
ubriacare, per riuscirci!"
"Certo che lei dice sempre di no: non beve, non balla,
non mi fa il profilo... " gli diede una pacca sulla spalla " è proprio un tipo
che non si lascia andare..."
Spencer si schermì con un sorriso
formale
"Ora
è lei che tenta di fare il profilo a me. Non ci provi
"
Non
aveva bevuto nient’altro che un leggero bicchiere di vino bianco aromatizzato,
eppure gli girava la testa. Doveva essere per le poche ora di sonno, per
l’avvicinarsi del momento della giornata che odiava di più, o forse per le danze
irlandesi, e ‘O Malley che cambiava dama a ogni giro. Si appoggiò al bancone del
bar coi gomiti, sgranocchiò un paio di salatini e chiuse gli
occhi.
Quando li riaprì, il professore era
sparito.
Si
guardò in giro, cercandolo nella folla, quando gli comparve dal dietro
piazzandogli le mani sulle spalle.
"Indirizzo trovato" gli disse, mostrandogli un pezzo di
carta "Andiamo a interrogare Susy Locarno, alias
Anima_Mundi"
Spencer ritornò lucido di
botto.
"Andiamo? Io e lei?
Ora?"
"Perchè no? Fortuna vuole che la nostra bella messicana
viva qui a Washington, e, come certo saprai " si avvicinò a lui e sussurrò al
suo orecchio "coi sospetti esoterroristi, mai lasciare il tempo di
organizzarsi... "
Senza
aspettare risposta andò verso il guardaroba a riprendersi la giacca, ed estrasse
dalla tasca le chiavi della macchina. Spencer lo seguì disorientato sulla
strada.
"Il
capo non... "
"Darren approverà. Lui è un uomo d’iniziativa. Piuttosto,
sei armato?"
"Ovvio "
"Credo sia solo una precauzione inutile, ma in caso di
necessità, te la cavi decentemente?"
Il
ragazzo annuì.
"Mio
padre è uno dei migliori tiratori scelti dell’FBI" dichiarò "A quindici anni
invece di giocare a football mi allenavo al poligono di
tiro"
Aveva
detto “mio padre”.
Era
strano che gli venisse naturale chiamare Martin così, quando parlava di lui,
mentre in privato non era mai riuscito a considerarlo tale.
Si
domandò perché, e pensò che la risposta era sempre la stessa: anche se Martin lo
aveva cresciuto, lui sentiva di appartenere ad un’altra
realtà...
Una
realtà che gli sfuggiva, ma che era sepolta da qualche parte, nella sua
memoria.
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