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Autore: Glenda    15/07/2009    0 recensioni
Finita! ^_^ Magari un giorno inventerò un'altra avventura per l'Unità Culti e Crimini rituali... ------------------------------ Premessa: Questa storia attinge all'ambientazione di un bellissimo gioco di ruolo, "Esoterroristi", pubblicato in Italia dalla Janus Design (http://janus-design.it/). Lo sfondo è quindi quello del gioco, ma il contenuto della storia è completamente originale, poiché nato dalle sessioni di gioco del mio gruppo. I protagonisti della vicenda sono agenti di una sorta di società segreta chiamata "Ordo Veritatis", il cui scopo è cercare di fermare una rete di terrorismo altrettanto segreta che utilizza conoscenze esoteriche e rituali (motivo per cui vengono denominati "esoterroristi") per destabilizzare la realtà. Loro scopo è infatti distruggere il tessuto "oggettivo" del mondo, facendo irrompere in esso elementi del soprannaturale appartenenti all'inconscio collettivo e agli incubi individuali. Attraverso complicati rituali, sono infatti capaci di evocare veri e propri mostri, spiriti, demoni, creature dell'incubo. Compito degli agenti dell'Ordo Veritatis è fermarli...ma, soprattutto, insabbiare le prove della loro esistenza: quanto più, infatti, la gente assisterà ad eventi soprannaturali e li vedrà entrare a far parte della realtà "oggettiva", tanto più gli esoterroristi diverranno potenti. Ma i protagonisti non hanno solo le proprie missioni a cui far fronte, bensì le proprie angosce, le ansie e i problemi nati dal loro continuo contatto con il soprannaturale e con la morte. E devono fare i conti con la propria solitudine, perché essere un agente dell'Ordo Veritatis significa spesso dover rinunciare ad avere dei legami...
Genere: Thriller, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

 

Il male della vittima

 

Spencer non aveva mai avuto problemi di puntualità: di solito era già sveglio prima dell’alba, e questo almeno gli aveva permesso di vedere albe meravigliose. Ma da quella camera d’albergo non c’era una gran vista, e i grigi grattacieli di Washington non erano il migliore degli sfondi, quindi per quel mattino preferì consolarsi con una ricca colazione al bar.

Aveva dormito da schifo - niente di nuovo - e non si sentiva in condizioni di essere messo sotto esame dai nuovi colleghi, ma una cosa lo tranquillizzava: quando la notte lo aveva scombussolato emotivamente, sul lavoro dava il meglio di sé.

Fu alla sede della “Mundial Pneumatici” prima dell’ora dell’appuntamento, eppure Darren Jonhson era già lì.

"Anche lei ha problemi col sonno, capo?" buttò là con ironia.

"Affatto" disse Darren "piuttosto ho perlustrato i dintorni" gli mise in mano dei fogli "questa è la planimetria dell’edificio, le possibili vie di fuga sono segnate in rosso"

Spencer sollevò entrambe le sopracciglia.

"Scherza? E’ solo un ufficio!"

"Sì. E la ditta sembra pulita, John ha fatto le sue indagini. Ma nella nostra posizione non si sa mai. Una volta siamo stati costretti a tentare una fuga da una linda villetta a schiera. E a volte le imprese sono ottime coperture. E‘ questo il guaio di avere come avversari persone capaci di passare completamente inosservate"

Quel “passare inosservati” doveva essere uno dei refrain dell’agente Johnson e del suo collega: ma come dargli torto? Niente poteva escludere, di fatto, che una ditta di pneumatici potesse essere un covo di esoterroristi.

"Però la stessa cosa vale al contrario" azzardò.

"Ti sbagli. Già il fatto di indagare sul crimine ci rende sospetti. E’ successo altre volte che gli esoterroristi abbiano fatto piazza pulita di agenti che nulla avevano a che fare con l’ordo veritatis. Semplicemente, avevano ficcato il naso dove non dovevano..."

Entrarono nell’edificio all’orario di apertura, e furono subito introdotti al dirigente. La prima impressione che Spencer ne ricevette, fu di un povero diavolo che nella vita ha visto poco più in là della sua azienda, e che dei suoi dipendenti sa meno di quanto sapeva della tenuta su strada di un pneumatico. Confermò loro che Samerson aveva effettivamente preso ferie, e non aveva detto dove andava: ma non ci trovava nulla di strano...lì nessuno raccontava i fatti propri ai colleghi, e Osvald era un uomo di poche parole e molto riservato. Non c’era nemmeno una persona con cui avesse intrattenuto rapporti più confidenziali, al massimo andava a prendere il caffé al bar col vicino di scrivania, e quest’ultimo fu la seconda persona che Spencer volle interrogare.

Si chiamava Rod Madison, divideva l’ufficio con Samerson, e teneva la contabilità dell’azienda.

Ma, quando fu dentro la piccola stanza, anziché parlare con lui, si mise a studiare la scrivania della vittima: frugare nei cassetti, sfogliare la sua rubrica, osservare come teneva le sue cose.

"Lei e il signor Samerson eravate amici?" chiese Darren a Madison, che osservava stupito la strana indagine di Spencer.

" Mmm...no, guardi...amici non potremmo definirci..." (con un occhio perplesso scrutò l’altro agente che sembrava trovare molto interessante la disposizione delle penne di Osvald)  "Non avevo nemmeno il suo numero di telefono. Però, miseria...mi dispiace che sia morto! Era una brava persona: era sempre gentile e corretto con tutti! Quando prendevamo il caffé insieme voleva sempre offrire lui...quasi si risentiva se non accettavo. Era molto educato, uno di quegli uomini che aprono ancora le portiere alle donne, ha presente...?"

La voce di Spencer, curvo su un foglio di appunti sgangherati, lo interruppe.

"Ovvio. Ha una mania di controllo che si vede lontano miglia..."

"Come, scusi...?" fece Rod Madison, aggrottando la fronte.

"Ha manie di controllo" ripeté Spencer "insomma...aveva bisogno di sentirsi sicuro di poter gestire la realtà intorno a sé, compresi i suoi rapporti con gli altri. Si vede da come tiene le cose, dalla sua calligrafia. E anche dal fatto che non le abbia dato il suo numero di telefono. Stabilire rapporti profondi probabilmente gli era difficile, perché in genere chi desidera controllare con tanta forza la realtà, ha serie difficoltà nel chiedere aiuto, per quando non ne abbia nel concederlo. Il fatto che pagasse il caffè mi conferma che preferiva sentirsi in credito che non in debito. Sa se aveva avuto traumi nella vita? Che so...assistito ad un uragano, a un terremoto...vissuto uno sfratto..."

"Come le ho detto, non lo conoscevo abbastanza..."

"Ma aveva stima di lui. Si capisce da come si è infastidito quando mi sono permesso di dare il mio giudizio, che, per altro, lei reputa affrettato e indelicato"

Stavolta lo sguardo di Rod fu di stupore.

"Senta...quel che so di lui, lo so perché lo osservavo. Gli piaceva ascoltare musica classica, la metteva, ogni tanto...Aveva un debole per i film di Chaplin, e gli piacevano gli orologi. Ma di viaggi non abbiamo mai parlato..."

"...perché non viaggiava..." commentò Spencer, quasi tra sé "un tipo così...non penso che viaggiasse. Non in treno o in aereo, di sicuro. Probabilmente si spostava in macchina, su percorsi abituali. Quindi, se è partito ed è andato in un luogo a lui consono, lo ha fatto per una ragione veramente importante..."

"Ricorda qualche episodio recente, qualcosa che lo facesse apparire strano o diverso?" intervenne Darren.

"Diverso no" spiegò l’uomo "Ma c’è stato un episodio, effettivamente...anche se non è niente che abbia a che fare con le sue ferie..."

"Ciò che non è pertinente per lei, potrebbe esserlo per noi" insistette l‘interlocutore.

"Beh, guardi, è una sciocchezza. Sì è ferito con un taglierino e appena ha visto il sangue ha avuto un abbassamento di pressione. Ci è toccato portarlo in infermeria. Ma un paio d’ore dopo era di nuovo in perfetta forma"

“Paura del sangue e manie di controllo. Forse è ipocondriaco” pensò Spencer.

"Niente altro?"

"Niente altro"

 

Quando tornarono alla loro sede, verso mezzogiorno, furono accolti da un Jhon molto allegro.

"Bene signori!" li informò "abbiamo un pollo da spennare!"

Quello era il suo modo per dire che avevano un sospettato in sala interrogatori. Spencer trovò l’espressione sgradevole per i suoi standard, mentre Darren, con il solito fare impassibile, chiese

"Cultista o imbecille?"

L’amico si strinse nelle spalle.

"A pelle, imbecille. Ma non si sa mai"

"Dove lo avete preso?"

"Senti un po’..."

John iniziò il suo racconto.

Il mattino presto, con regolare mandato, erano entrati in casa Samerson. Casa piccola, estremamente ordinata per essere quella di un uomo, sembrava quasi esserci un tocco femminile, ma dopo una lunga ricerca tra armadi e cassetti, lo avevano escluso. Nella libreria, avevano trovato un’enormità di libri guida alla salute del corpo e della mente, di tutti i generi immaginabili, dallo zen, alla macrobiotica, alla medicina alternativa, ai consigli di dietisti e dottori, oltre a guide al primo soccorso ed enciclopedie mediche. Tutto sembrava confermare la diagnosi di ipocondria buttata là da Spencer. Tuttavia, Jhon aveva subito notato che mancavano alcuni oggetti che, anche nella casa del più impersonale e noioso impiegato, era quasi impensabile non trovare: un computer, una rubrica, una macchina fotografica. Inoltre, non c’era il nastro nella segreteria telefonica. Insomma, la conclusione era stata rapida: qualcuno aveva “ripulito” la casa, e gli esoterroristi lo facevano spesso. Nessuno dei vicini, però, aveva notato niente di insolito.

Fortunatamente, il palazzo si affacciava su una via commerciale, e dirimpetto c’era una gioielleria munita di telecamere; osservando le registrazioni, avevano notato che nel condominio erano entrati solo due estranei: uno era il postino, l’altro portava volantini pubblicitari, ma quest’ultimo era stato decisamente troppo tempo all’interno dell’androne per essersi limitato a imbucare cartaccia nelle cassette.

"grazie al mio nuovo programma, sono riuscito a elaborare un’immagine quasi perfetta" concluse John, mostrando a Darren una fotografia " ho fatto una ricerca veloce e sono riuscito ad avere nome e indirizzo del signor Mark Haddon, lo sfigato del quartiere, schedato per piccoli furti...siamo andati a prenderlo e, guarda un po’? Abbiamo trovato in casa sua il computer della vittima. Lui continua a blaterare che lo ha semplicemente rubato...ma io scommetto che non si tratta di un furto qualsiasi: qualcuno glielo ha commissionato, e a noi spetta farlo cantare..."

"E facciamolo cantare, allora" esclamò Darren, precedendolo in sala interrogatori.

Spencer fece per chiedere cosa doveva fare, ma John lo anticipò.

"Tu stai a guardare e impara come si fa"

 

Spencer pensava che certe scene si vedessero solo nei peggiori film di azione, ma dovette ricredersi: dopo un tempo di pazienza durato si e no cinque minuti, Darren aveva afferrato il malcapitato per le spalle, e, senza mezzi termini, gli aveva elencato tutti i crimini (prontamente recuperati tra rete e informatori da Jhon) di cui lo avrebbe fatto accusare se non avesse rivelato il nome di chi gli aveva ordinato il furto.

"E’ inutile che ci racconti puttanate! Abbiamo trovato i soldi: uno sfigato come te non può avere tanti contanti tutti insieme!"

"Li ho rubati in casa di quell’uomo!" piagnucolò lui "sono suoi, li ho trovati e li ho presi!"

"CREDI DI PARLARE CON UN FESSO? Samerson era un maniaco dell’ordine: non avrebbe mai lasciato dei contanti in giro per farseli rubare dall’ultimo degli stronzi! Raccontami un’altra balla e ti spacco la mascella!" e, giusto per dimostrazione, Darren gli lasciò una bella impronta da cinque dita sulla guancia.

Spencer sobbalzò sulla sedia.

"Ma...ma...questo non è legale!" esclamò, rivolto a nessuno.

Una delle regole imparate nell’Ordo Veritatis era che gli agenti dovevano rimanere entro i limiti della legalità: come se la sarebbero sbrigata quando quel tizio avrebbe cominciato a raccontare in giro che due dell’FBI lo avevano preso a mazzate? I suoi colleghi non sembravano porsi il problema: proprio loro che parlavano dell’importanza di passare inosservati!

"Li ho rubati, li ho rubati!" strillava intanto Haddon, persistendo nella sua versione "che cosa volete che ne sappia del perché li ha lasciati in giro? Chissenefrega!"

"Che peccato, non ti crediamo " inclazò Jhon

"E sai invece cosa crediamo?" gli stette dietro Darren "che quei soldi te li abbia dati qualcuno di cui hai una paura fottuta..."

"E fai bene ad aver paura, sai?"

Si guardarono negli occhi, e si intesero al primo sguardo.

"Già: perchè noi ti lasceremo andare e dichiareremo in conferenza stampa che ci hai rivelato il nome del vero autore del furto..."

A quelle parole, il poveretto sbiancò al punto che l’impronta lasciata dalla mano di Darren sul suo viso divenne ancora più visibile. Era il momento di farlo crollare.

"E tu non lo vuoi, giusto?" insinuò John, rendendo il suo tono di voce meno aggressivo "perché sai benissimo che quello per cui lavori non ha scrupoli, ti troverà a ti farà la pelle..."

"Mentre se parli, noi potremmo metterti in un luogo sicuro"

"E poi, una volta che lo avremo beccato, ti faremo avere uno sconticino di pena e sarai fuori in un paio di mesi..."

Mark Haddon rimase zitto, distogliendo lo sguardo dai due agenti.

"Scommetto un’altra cosa" riprese Darren "Scommetto che nel computer di Samerson troveremo qualcosa che ci aiuterà ad arrivare all’assassino, e il tuo mandante te lo aveva fatto portare via proprio per questo. Anzi...forse ti aveva ordinato di distruggerlo...ma tu hai fatto il furbo, volevi rivendertelo e fregarlo. Bel coraggio...se lui lo venisse a sapere..."

"No, no!" proruppe allora l’interrogato "Non volevo rivenderlo! Lui doveva passare a prenderlo, e mi avrebbe dato il resto del denaro!"

Jhon e Darren si scambiarono un sorriso sinistro

"Finalmente qualcosa di interessante. Che ne dici di dirci anche il suo nome?"

"Non lo so!"

"Ah...non lo sai?"

Darren gli allungò un altro schiaffone

"MA CON CHI CAZZO CREDI DI PARLARE?"

"Non lo so, lo giuro! Avevo bisogno di soldi, mi ha dato un bell’anticipo: chi se ne frega del suo nome! Se anche non fosse tornato a saldare, quelli che avevo preso mi toglievano da un po’ di guai!!"

"Beh, ora di guai ne hai il doppio..." sbuffò Jhon.

 

Mentre Darren lavorava all’Identikit, Jhon era sprofondato nel suo mondo: aveva tra le mani il computer della vittima e lo stava rigirando come un calzino. Spencer lo guardava lavorare con curiosità: avrebbe voluto azzardare una timida protesta sui loro metodi di interrogatorio, ma non voleva violare quell’atmosfera di profonda concentrazione. A John, invece, non pareva dispiacere che il collega lo osservasse: aveva una sorta di vanità per il suo estro di hacker.

"Abracadabra" esclamò ad un tratto, muovendo velocemente le dita sulla tastiera "eccoci rivelata l’identità virtuale di Osvald Samerson!"

Spencer sporse il naso da dietro la sua spalla: sullo schermo era apparsa una pagina di MySpace, dai colori terrestri e caldi, ed il profilo di “AnimaMundi”, 54 anni, di Washington. Una musica new age faceva da sottofondo, e sotto i dati personali si poteva leggere una citazione: “Solo per oggi: Non ti arrabbiare non ti preoccupare, Sii umile, Sii onesto nel tuo lavoro, Sii compassionevole verso te stesso e gli altri”.

"Il mantra di Rikao Usui, il fondatore del Reiki" commentò Spencer.

"Che roba è?"

"Un metodo di guarigione naturale attraverso il passaggio dell’energia vitale dell’universo. E’ evidente che Osvald avesse qualcosa da cui voleva “curarsi”, e non sapesse più a cosa appigliarsi. Stava intraprendendo tutte le vie praticabili...probabilmente, oltre ad essere ipocondriaco, era deluso dalla medicina tradizionale..." emise un debole sospiro: odiava sentirsi personalmente coinvolto in un lavoro, ma quella disperata ricerca di pace interiore toccava un tasto che non gli era indifferente "quest’uomo desiderava solo un po’ di serenità. Serenità dalle sue paure, prima di tutto. Dobbiamo capire chi è riuscito a proporgli una via abbastanza allettante da farlo finire coinvolto in un rituale esoterrorista..."

Jhon stava spulciando la lista dei contatti.

"Per esempio una donna coi suoi stessi interessi?" disse, cliccando su uno dei link presenti nello spazio amici "“Aura_Bianca” ha 45 anni, fra loro c’era una fitta corrispondenza, e, indovina un po’? E’ Messicana! Non ha forse la stessa origine il nostro simbolo?"

Ma sulla pagina web della donna non c’era un simbolo solo: ce ne erano decine. E un’infinità di link a tradizioni Messicane, medicina dei nativi d’america e strani testi scritti in lingue incomprensibili.

"Miseria!" esclamò Spencer "Vista così sembrerebbe una persona sospetta anche se non conoscesse la vittima!"

"Già. Ma dobbiamo stare attenti a distinguere il desiderio del soprannaturale e del mistico dal cultismo e ancor più dall’esoterrorismo"

A parlare era stato Darren, comparso come al solito quasi senza farsi sentire alle loro spalle.

"Jhon, stampa tutto. Manda Dwhigt dall’esperto..." e se ne andò di nuovo senza addurre precisazioni.

"Esperto?"

Jhon sollevò le sopracciglia

"Un nostro consulente" gli spiegò "un professore tuttologo che lavora qui all’università. Darren lo chiama  una volta sì e l’altra anche: ma preferisce non andare da lui di persona. Tipi troppo diversi..."

Spencer si stropicciò la testa. “Troppo diversi” pensò “Sarà un bene o un male?”

 

Joseph ‘O Malley aveva un curriculum lungo come una lista della spesa: insegnava “Storia delle Religioni” alla facoltà di Storia di Washington, ma aveva anche la cattedra di “Influenze dell’occultismo nelle correnti filosofiche occidentali” a filosofia, e teneva dei corsi d’aggiornamento di “Psicopatia e misticismo” per i laureandi in criminologia.  Infine, era direttore del Centro di Ricerche “Riti e culti dei nativi d‘america“. Ma Spencer lo aveva sentito nominare per altre ragioni: aveva scritto alcuni testi di Simbologia rituale per l’Ordo veritatis, che gli erano serviti per i suoi studi, e svolto una ricerca, sempre ad uso e consumo esclusivo dell‘ordine, sulle tecniche di disattivazione dei feticci. Tutto sommato incontrarlo di persona poteva essere era una piacevole occasione di arricchimento.

Avvisato telefonicamente, il professore gli aveva dato appuntamento nel suo ufficio, ma la porta era chiusa. Bussò.

"Un momento!" rispose una voce femminile, il cui tono fece sospettare per un attimo a Spencer di essersi intromesso in una qualche situazione imbarazzante.

La porta si aprì.

"Prego! " lo accolse una radiosa bionda in tallieur " Il professore è tutto suo, tolgo il disturbo!"

Gli rivolse un grazioso sorriso, ed uno ancor più vistoso a ‘O Malley.

"Buon lavoro, professore!" cinguettò.

Spencer diede in un finto colpo di tosse, giusto per potersi nascondere il naso dietro la mano: temeva infatti di essere arrossito. Probabilmente l’essere un esperto nello studio del comportamento lo rendeva fin troppo attento ai particolari, ma ai suoi occhi era stato subito evidente che il rapporto che c’era tra il professore e quella che, per l’età, poteva, essere una studentessa, non era esattamente professionale.

L’uomo seduto dietro alla cattedra, invece, doveva avere una cinquantina d’anni, forse di meno: la folta barba nera che portava lunga e un po’ incolta rendeva abbastanza difficile fare una stima, e probabilmente lo invecchiava, mentre a guardare solo gli occhi gliene avrebbe dati sui quaranta.

"Venga, venga pure" lo invitò il docente "Io e Margot stavamo solo facendo della sana e divertente attività sessuale. Ma non si preoccupi avevamo praticamente finito. Margot è una bravissima ragazza. Sa che recentemente ha vinto anche un premio con la sua tesi di dottorato in archeologia? Beh, a essere sinceri qualche anno fa ha anche vinto il premio miss archeologia organizzato dalle confraternite della facoltà..."

A quel punto non c’era modo di dissimulare: la faccia di Spencer aveva visibilmente cambiato colore. Per sua natura era discreto, e l’uomo che gli aveva fatto da padre era ultra ottantenne: decisamente non era abituato ad un linguaggio senza veli come quello.

"Emh...io...S-sono l’agente Spencer Dwight, dell’unità Culti e Crimini rituali" fece, cercando, con gesti impacciati, di estrarre il tesserino, ma l’interlocutore lo fermò con un gesto lento della mano.

"So chi è lei. Si accomodi, Spencer. Qualcosa da bere?"

Sulla cattedra aveva una bottiglia di Irish wiskey.

"Sono in servizio..." obiettò timidamente Spencer, mentre ‘O Malley stava già riempiendogli il bicchiere.

"Il Black Bush è uno dei migliori wiskey irlandesi. Lo sapeva che il wiskey irlandese si distingue dagli altri perché subisce tre distillazioni anziché due?"

"No, non sono un intenditore"

"Non ha importanza. I vini si intendono con la bocca, non con la conoscenza. Il mio è solo gusto per le curiosità. Che posso farci? Mi divertono. Ai quiz televisivi sarei imbattibile"

“Sarà per questo che lo chiamano il tuttologo” pensò il ragazzo.

"Ehi" proseguì, vedendo l’esitazione dell’ospite "quel wiskey è già vecchio di dieci anni, non ha bisogno di invecchiare ancora" e buttò giù d’un fiato il suo bicchiere.

Spencer, per non passare male, fece altrettanto, ma non lo svuotò del tutto. Il vino gli piaceva, ma era troppo ligio al dovere per trasgredire sul lavoro.

"Stiamo indagando ad un caso e..." cercò di introdurre la questione che gli premeva.

"Da quanto tempo lei è dei nostri?" lo interruppe "Non l’avevo mai vista..."

"Da quattordici anni" rispose Spencer "ma è ovvio che lei non mi abbia mai incontrato: a membri di cellule diverse non è consentito di conoscersi e lei dovrebbe saperlo meglio di me" concluse in tono un po’ saccente. Il parlava delle regole dell’Ordine lo rendeva fin troppo tassativo.

"Certo che lo so" commentò ‘O Malley "Ma io ho più contatti di quel che creda. Del resto lei è ancora un ragazzo: quanti anni ha? Ventisei? Ventisette?"

"Quasi trenta..."

"Quasi trenta. Bene, bene. Posso darle del tu?"

Spencer fece un sorriso impacciato.

"C-certo che sì..."

‘O Malley battè leggermente la mano sulla cattedra

"Ottimo! E dunque, il tuo ramo è la psicologia. Psicosi da contatto col soprannaturale? Rapporto tra psicopatie e esoterrorismo?"

"Anche. Per lo più mi occupo di analisi comportamentale. Almeno in questa veste..."

"Oh! Analisi comportamentale! Sapresti farmi il profilo?"

Spencer scosse la testa così di fretta che era impossibile non percepire l’imbarazzo di quel gesto.

"Coraggio, sono curioso..."

"Un’altra volta, professore, la prego" si schermì "Mi dia il tempo di osservarla un po’! Nel mentre...lei potrebbe dare un’occhiata a questi..." e gli spinse sulla cattedra le stampe dei numerosi simboli trovati nello spazio web di “Aura_Bianca”.

‘O Malley li guardò uno ad uno, rapidamente, come se ci fosse poco su cui soffermarsi. Poi, di fronte ad uno stupito Spencer, fece una palla dei fogli che gli aveva dato, lasciandone in vita solo uno.

"E’ roba innocua" decretò "simbolismo da due soldi che veniva e viene usato tuttora per costruire amuleti il cui scopo varia dal canalizzare l’energia universale o portare protezione a chi lo indossa. Alcuni di questi venivano tatuati sulle piante dei piedi dei guerrieri di antiche tribù: si pensava che aumentassero la forza del combattente pemettendogli di attingere energie dalla terra. Ma nulla di tutto questo ha un effettivo potere rituale. In sostanza: superstizioni. L’unica cosa su cui vale la pena di approfondire è questa..."

Gli indicò uno dei tre simboli presenti sulla sola pagina rimasta intatta.

"Ricorda molto un simbolo voodo che viene usato nell’evocazione del Loa che presiede alla salute...e come lei certamente sa, è tipicamente esoterrorista la pratica di alterare e contaminare simboli preesistenti per farne qualcosa d‘altro. Dove lo avete trovato?"

"Su una pagina web" spiegò Spencer "si tratta del myspace di uno dei contatti della vittima"

"Beh, forse è opportuno che ci scambiamo due parole. Dove abita?"

‘O Malley era decisamente sbrigativo: in genere, prima di andare a interrogare un sospettato, per di più potenziale esoterrorista, occorrevano pratiche un po’ più lunghe che un semplice piombare a casa sua.

"L’indirizzo non lo abbiamo. Prima di rintracciarlo, il capo voleva che lei mi dicesse se valeva la pena"

"E io gliel’ho appena detto..." commentò il professore.

"Sì, ma..."

Senza permettergli di aggiungere altro, ‘O Malley sollevò il telefono.

"Samantha, cara, fai un salto nel mio ufficio?"

Nel giro di pochi attimi un’altra vamp alta un metro e ottanta, e bionda come l’oro era comparsa sulla porta.

"Bisogno di qualcosa, professore?"

Lui la face accomodare, e le fece cenno di sedersi.

"Questo giovanotto è dell’FBI, ed ha bisogno che tu rintracci una persona: abbiamo l’account su myspace e ci serve l’indirizzo. Ce l’hai un minuto per farmi questo favore?"

"Come no, professore. Per lei questo e altro!" rispose Samantha con un sorriso smagliante.

"Non è un vero tesoro?" fece ‘O Malley "Quando hai fatto, raggiungici al Corsaro di Dublino, che ti offro da bere. Io sono atteso là, c’è la cena di compleanno della mia cugina di quarto grado, Melissa, un vero splendore! Non posso mancare!" si alzò, raccolse le sue cose, e le infilò un po’ alla rinfusa in una borsa di pelle "Spencer, lei è mio ospite!"

Il ragazzo sbatté le ciglia, e cercò di schermirsi, ma non fece in tempo ad aprire bocca.

"Sono quasi le sette, non faccia storie. Una pausa sul lavoro le farà bene: si vede che lei è stressato e non dedica tempo a se stesso. Dovrebbe metter su un paio di chili e un po’ di colore...si vive una volta sola!"

 

La confusione che regnava in quel pub lo costringeva a tenere una mano sull’orecchio, e l’altro premuto contro il cellulare.

"Sì, sono con lui. Mi libero presto e..."

Dall’altro capo sentì, dispersa nel brusio che lo circondava, la voce di John. Aveva un ché di allegro, o più probabilmente di derisorio.

"Darren dice che, se sei con ‘O Malley, non ti aspetta"

"E quindi..?"

"Quindi fai con comodo. Suppongo che anche se volessi sganciarti, non ti riuscirebbe"

Spencer si infilò il cellulare in tasca con malcelato disappunto, proprio nel momento in cui la mano del professore si posava vigorosamente sulla sua spalla.

"Ah, ecco dov’eri! Non sparire, o ti perderai delle conoscenze interessanti!"

Con una spinta educata ma decisa, lo costrinse ad avanzare nella sala, e gli indicò una ragazza dai lunghi capelli rossi che stava stappando una bottiglia di spumante.

"Quella è Melissa, si è appena laureata in Lingue straniere per il Web...è una gran bella testolina...e non solo!" ammiccò in modo molto eloquente, e Spencer si accorse di star per arrossire di nuovo: quell’uomo si prendeva decisamente troppa confidenza, e lui non ci era abituato. Non sul lavoro, almeno, e men che mai con una persona che era considerata un’autorità indiscussa in campo accademico.

‘O Malley sembrò stupirsi del suo silenzio. Che si aspettasse degli apprezzamenti sulla cugina?

"Vieni, te la presento"

La festeggiata aveva riccioli gonfi che sembravano una nuvola al tramonto, lentiggini, corporatura robusta e una scollatura generosa, che il professore non mancò di commentare positivamente, senza che la ragazza si scomponesse affatto: probabilmente era un tratto di famiglia rimanere immuni all’imbarazzo!

‘O Malley la abbracciò, apprezzò con disarmante candore la mini gonna della sua amica e, con altrettanta partecipazione, la marca di wiskey che faceva mostra sul tavolo.

Poi si ricordò di Spencer ed esclamò:

"Visto che begli ospiti ti porto? E poi dimmi che non penso al tuo bene...!"

Melissa sfoggiò un delizioso sorriso.

"Spencer Dwight " fece lui, porgendogli la mano come se si trovasse a un colloquio di lavoro " Congratulazioni..."

"Oh, grazie!" rispose la ragazza " Bevi qualcosa?"

"Certo che beve" intervenne ‘O Malley " offrigli un Jamerson o un bianco con sambuco e mele. Niente balck bush, gliel’ho già offerto io. Magari un cocktail..."

Spencer rifiutò con un gesto della mano.

"La prego, professore" disse "sono in servizio..."

"Affatto. Lei è in pausa. Ne approfitti. Non ci sono molti locali come questo, negli Stati Uniti, e stasera, oltretutto, il bancone del bar è a nostra disposizione. Mi creda, dovrà andare fino a Dublino per bere come si deve..."

Spencer sorrise con distacco.

"Davvero, meglio di no. Non ho un buon rapporto con l’alcol. Di solito bevo quando sono depresso, e fortunatamente non è questo il caso..."

Se non lo fosse, in verità non lo sapeva con certezza. Gli era difficile valutare quanto le sue angosce influenzassero i momenti di vita quotidiana, e di certo erano rari i giorni in cui potesse dirsi sereno. Tuttavia, lasciarsi andare ora sarebbe stato pericoloso: ricordava ancora con un certo sgomento la sua ultima sbornia...Lois lo aveva sostenuto ubriaco per le scale e non ricordava nemmeno più se dopo avessero o no fatto l’amore.

"Per carità, la depressione teniamola lontana " esclamò ‘O Malley " ma è un vero peccato: se mi dice così, non potrò mai aver l’onore di farmi una bevuta con lei..."

"Brinderemo alla risoluzione del caso" fece Spencer "Brunello di Toscana e Moscato d’Asti:  dalla mia riserva personale!"

"Apprezza il vino italiano?"

"Ma no! Non me ne intendo. Sono stato in Italia anni fa, per imparare la lingua e per...beh, per “studi”, ovviamente. E ho portato a casa un po’ di bottiglie"

‘O Malley annuì: non c’era bisogno di spiegazioni perché capisse di che studi si trattasse. Torino era una delle tre città “magiche”, e gli studi sul come e perché quel luogo fosse terreno tanto favorevole ai rituali esoterici erano ancora aperti.

D’un tratto, sul palco che si trovava sul fondo del vasto locale, si posizionò un complesso, che cominciò a suonare musica irlandese.

"Spencer " disse ‘O Malley "il piacere mi chiama. Ci sono troppe signore senza cavaliere qua dentro. Perché non fa ballare la festeggiata?"

Melissa, nel mentre, era tutta presa a chiacchierare animatamente in mezzo ad un gruppo di amici.

"Non mi costringerà a tanto, professore " scherzò Spencer " dovrebbe veramente farmi ubriacare, per riuscirci!"

"Certo che lei dice sempre di no: non beve, non balla, non mi fa il profilo... " gli diede una pacca sulla spalla " è proprio un tipo che non si lascia andare..."

Spencer si schermì con un sorriso formale

"Ora è lei che tenta di fare il profilo a me. Non ci provi "

 

Non aveva bevuto nient’altro che un leggero bicchiere di vino bianco aromatizzato, eppure gli girava la testa. Doveva essere per le poche ora di sonno, per l’avvicinarsi del momento della giornata che odiava di più, o forse per le danze irlandesi, e ‘O Malley che cambiava dama a ogni giro. Si appoggiò al bancone del bar coi gomiti, sgranocchiò un paio di salatini e chiuse gli occhi.

Quando li riaprì, il professore era sparito.

Si guardò in giro, cercandolo nella folla, quando gli comparve dal dietro piazzandogli le mani sulle spalle.

"Indirizzo trovato" gli disse, mostrandogli un pezzo di carta "Andiamo a interrogare Susy Locarno, alias Anima_Mundi"

Spencer ritornò lucido di botto.

"Andiamo? Io e lei? Ora?"

"Perchè no? Fortuna vuole che la nostra bella messicana viva qui a Washington, e, come certo saprai " si avvicinò a lui e sussurrò al suo orecchio "coi sospetti esoterroristi, mai lasciare il tempo di organizzarsi... "

Senza aspettare risposta andò verso il guardaroba a riprendersi la giacca, ed estrasse dalla tasca le chiavi della macchina. Spencer lo seguì disorientato sulla strada.

"Il capo non... "

"Darren approverà. Lui è un uomo d’iniziativa. Piuttosto, sei armato?"

"Ovvio "

"Credo sia solo una precauzione inutile, ma in caso di necessità, te la cavi decentemente?"

Il ragazzo annuì.

"Mio padre è uno dei migliori tiratori scelti dell’FBI" dichiarò "A quindici anni invece di giocare a football mi allenavo al poligono di tiro"

Aveva detto “mio padre”.

Era strano che gli venisse naturale chiamare Martin così, quando parlava di lui, mentre in privato non era mai riuscito a considerarlo tale.

Si domandò perché, e pensò che la risposta era sempre la stessa: anche se Martin lo aveva cresciuto, lui sentiva di appartenere ad un’altra realtà...

Una realtà che gli sfuggiva, ma che era sepolta da qualche parte, nella sua memoria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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