Fanfic su artisti musicali > Mika
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Autore: ValeriaLupin    27/11/2018    2 recensioni
Raccolta di one-shot ispirate da canzoni, interviste, sguardi, riflessioni, fantasie.
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1. Love you (even) when I am drunk
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«Le due e quaranta» gli rispose. Mika lo guardò confuso poi riportò l'attenzione sul suo cellulare e notò che in effetti l'orario era scritto anche lì, come sempre.
Perché Andy lo chiamava a quell'ora? Sentì una morsa allo stomaco che, questa volta, poco riguardava tutto l'alcol che aveva ingurgitato.
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2. Over my shoulder
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«Ragazzi» lo sentì dire poi ai suoi amici «mai toccare la ragazza del frocio». Il tremolio d'astio nella voce di quel ragazzo suonava come un presagio. Gli fece entrare un gelo nelle ossa che aveva assaggiato già tante volte.
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3. Ocean eyes
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Quale magia possedevano quegli occhi per poter leggere così a fondo nello sguardo di un altro uomo? Come poteva somigliare all'atto di dipingere quel suo modo di esprimersi?
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4. Invisible
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Dopo anni, scopriva che nulla era cambiato: giocava ancora a nascondino, questa volta con i sentimenti, e pareva fosse destinato a vincere.
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5. Make you happy
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S’imbatté, fra mille di quelle memorie delicate, in una più fragile delle altre: un segreto.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andy Dermanis
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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She's ashamed of me


 
Mika, la fronte contro il finestrino, occupava il posto del passeggero, guardando il paesaggio urbano sfuggirgli dalle palpebre; lo inseguiva come fosse attratto da ogni sua increspatura: una pozzanghera di cielo, un cane corvino, una ringhiera sbiadita, una donna che corre, una bicicletta arrugginita.
Sospirò, provando a gettare via un po’ di quell’astio che lo aveva riempito. Sentiva di dover piangere. La madre, ignara del suo rancore, guidava in silenzio affianco a lui.
Come al solito, lo aveva costretto a cantare di fronte agli invitati e lui non aveva potuto rifiutarsi in alcun modo. Avevano applaudito e sua madre lo aveva seguito con quel suo consueto sguardo preoccupato quando aveva preso la parola.
Gli aleggiava ancora in mente quella sensazione di malessere, di essere fuori posto, sbagliato.
«Hai cantato bene, oggi, Miriam ti ha fatto anche i complimenti!» esordì poi la donna, felice «Dovresti essere più coraggioso».
La sensazione si acuì, fu troppa da contenere.
«Dovrei?» sbottò, acido «Strano…»
«Qualche problema?» si allertò Joannie, turbata dal suo tono accusatorio.
«No, continua pure a dirmi come dovrei essere»
«Era solo un consiglio»
«Non li voglio i tuoi consigli! Non te li ho chiesti!»
«Ah?» sbottò sua madre, arrabbiata. «Io lo faccio per te! Non è certo per me che-»
«Ti ho detto che non mi servono, ok?» urlò interrompendola. «Ma a te non basta. Sarà che forse servono a te?»
«Ma che dici?» strillò anche lei
«Non sono come volevi, fattene una ragione»
«Sei impazzito?» la donna lo fulminò, furibonda. «Stai dicendo un sacco di cavolate!»
«A te interessa solo di avere un figlio trofeo» gridò Mika, gli occhi che si riempivano di lacrime «da poter mostrare a tutti, ma io non vado bene per questo, ti creo solo imbarazzo, mh?» incalzò, fissandola mentre parcheggiava.
«Non è vero» rise lei, nervosa, una volta spenta la macchina «Lavori alla Royal Opera House, già solo con questo potrei vanta-»
«Be’ l’importante è che stia zitto davanti a amici e parenti» bofonchiò, la vista offuscata mentre usciva dalla macchina, sbattendo lo sportello con violenza.
«Mika!» lo rimproverò lei. A quel suono scoppiò in un pianto violento, si nascose il viso fra le mani mentre avanzava nell’edificio e lasciò che il respiro gli si spezzasse.
 Mika si rifugiò dentro quella stretta stanza che gli faceva da camerino. Sua madre lo seguiva a distanza di una manciata di passi. Quando fu dentro, gettò la giacca in un angolo, cominciò a sbottonarsi la camicia con rabbia. I singhiozzi che lo rallentavano nei movimenti.
Erano in ritardo, come sempre. Il suono intermittente dei tacchi di sua madre gli ricordò che ci avrebbe messo anche più tempo.
Non voleva affrontarla, non in quel momento, sentiva che avrebbe potuto dire cose che neanche davvero credeva, ma ne aveva un bisogno viscerale, come a voler soddisfare una sete crudele che le sue lacrime non potevano sopire.

 
 
****

 
 
Le parole gli scorrevano sul volto e lui non sapeva pronunciarle.
Gli occhi di sua madre erano così aridi da graffiargli il viso. Neppure cercavano di raccogliere le frasi che inondavano, inascoltate, le guance di suo figlio.
Non c’era altro da aggiungere: tutto era già stato urlato, nulla era stato detto. Non scelsero il silenzio che presto li avvolse. Venne indisturbato a serpeggiare fra loro come un torrente irruento.
Il chiacchiericcio di fuori era un suono opaco, lo scalpiccio di passi pareva invece appannato. I singhiozzi di Michael li sovrastavano senza difficoltà.
«Basta piangere, Mika» la voce di sua madre si caricò di dolcezza, pur rimanendo autoritaria.
Mika la guardò con rabbia, rapito da singulti sempre più vicini. Qualcuno bussò alla porta della stanza e, attraverso il legno, ricordò ad entrambi che di lì a cinque minuti sarebbero iniziate le prove per lo spettacolo.
Poi udirono i passi dell’uomo allontanarsi.
«Non… posso… non… ce la poss… posso fare» proferì, strappando ogni parola con forza dai propri polmoni, divenuti della grandezza di due biglie. Anche lui si era fatto piccolo, ancor più di quei dodici anni che possedeva, e se ne stava con la schiena appoggiata al muro e lo sguardo puntato al pavimento.
«No, tu adesso vai a fare il tuo lavoro» il volto di Joannie divenne duro «Per questo vieni pagato».
«Non riesco nea… neanche a parla-» il pianto gli esplose ancor più feroce nella gola con un acuto soffocato e non seppe trattenere altre urla: «Come faccio a cantare?»
Il muco gli era giunto al mento, le lacrime gli avevano infuocato le guance, gli occhi erano arrossati e sfuggevoli.
Joannie gli diede le spalle e raggiunse il lato opposto della stanza, cercò qualcosa nella sua borsa e si avvicinò nuovamente a lui con in mano un pacchetto di fazzoletti. Ne prese uno e si abbassò su di lui per pulirgli il viso, con cura e amore. Il suo sguardo castano rimase severo anche di fronte alle sue lacrime che non accennavano a fermarsi.
Mika la lasciò fare per qualche secondo, spossato, poi si ritrasse e sfuggì alle mani di sua madre, quasi nauseato. Nessuna delle parole che Joannie gli aveva gettato contro era riuscita a strappargli la convinzione che lei si vergognasse di lui. Come parlava, ciò che diceva, la difficoltà con cui leggeva la mettevano in profondo imbarazzo, lo coglieva da quei suoi sguardi rapidi, intensi. Glieli lanciava a mo’ di ammonimento quando si trovava a dire una qualsiasi parola di fronte a estranei, amici, persino dinnanzi alla famiglia libanese.
«Smettila Mika» ordinò la donna, arrabbiata.
«Me ne vado» urlò lui in risposta, cominciando ad avanzare verso la porta del camerino e raggiungendola in poche falcate «Non posso cantare!»
Pareva che urlando le parole lasciassero le sue labbra con maggiore semplicità, come fosse l’unico modo possibile per abbandonarle.
«Mika!» sua madre gli si avvicinò prima che potesse uscire dalla stanza e lo prese dalle spalle. «Smettila di fare il bambino!»
«Sono un bambino!» gridò lui, scosso dai singhiozzi.
«Ma hai della responsabilità: questo è il tuo lavoro!» ribatté lei «Quante volte dovrò ripeterlo?»
Mika si divincolò, cercando di allontanarsi da lei.
La donna rafforzò la presa sulle sue spalle e avvicinò il viso a quello di suo figlio, strattonandolo.
«La tua vita personale» soffiò improvvisamente calma «deve rimanere fuori dal palco».
Non era più sua madre. Joannie lo guardava con uno sguardo serio e fermo, non c’era traccia di astio o d’amore in quei suoi occhi scuri. Riuscirono a tranquillizzarlo un poco.

 
Divenne grande in un tempo brevissimo, un istante di quello sguardo di carbone.
 
 
Accolse in un palmo il fazzoletto che Joannie gli aveva teso, quasi a sancire una tregua dalla loro realtà di madre e figlio. Il respiro si andava calmando e i singhiozzi lo abbandonarono poco alla volta. Le lacrime restarono ancora un po’ prima di dargli il loro addio, mentre lui ne tamponava i segni con la carta.
Si lavò il viso e tentò di riparare i suoi occhi rotti con le dita indolenzite, strofinandoli appena. Si allontanò per le prove, accompagnato da uno sguardo ancora troppo arrabbiato per parlare.
Le parole erano troppo pregne di astio per poter cadere oltre la sua mente, stipata di tutte le parole di suo figlio.

 
Un figlio non vede una persona quando immerge lo sguardo in quello di un genitore.
 

Forse per questo crede che ogni frase sia lecita, che comunque vada non c’è modo di ferire chi ti ama spontaneamente. Invece Joannie era lì con le labbra strette a ricucire qualche taglio.
Se ne avesse avuta la capacità, avrebbe dato voce ad ogni suo pensiero. Ma come? Come poteva dirgli che ognuno di quei suoi sguardi non contenevano nessuna vergogna, ma solo paura e preoccupazione.
 

 
Quell’anima così vulnerabile, voleva proteggerla dentro allo sguardo.
Vigilarla e racchiuderla nel caldo abbraccio dei suoi occhi.
Perché la fragilità costa cara a chi non ha un posto nel mondo e lei aveva tentato di avvicinarlo al suo.

 
 
Neanche per un solo secondo poteva vagliare la possibilità che Mika ricadesse in quella non-esistenza, quel mutismo doloroso che lo aveva accompagnato per mesi nella sua infanzia. Voleva tenerlo ancorato a quel suo posto nel mondo, sapeva che era quello giusto con la sicurezza di una madre che aveva saputo guardare dentro il proprio figlio.
 
Con la musica l’anima di Mika si riempiva di colori e questo era sufficiente.
I colori parlano.







 
Note: Ciao! Ecco il nuovo capitolo, basato sul suggerimento di SaraPenny, grazie ancora!
L'ispirazione viene da un'intervista in cui Mika a questa domanda: "
Che immagine ha di sua madre nei suoi ricordi?" Rispose questo: 
"Un giorno, all’inizio della mia carriera, quando ancora lavoravo alla Royal Opera House di Londra ho litigato con lei e io piangevo al punto da non poter cantare alle prove. Lei mi ha preso da parte, mi ha dato una pacca alle spalle e mi ha strattonato: «La tua vita personale», mi ha detto, «deve rimanere fuori dal palco». Non era un consiglio da madre, ma una dritta professionale. Le ho dato ascolto e dopo la performance abbiamo ripreso a urlare come prima."
Nonostante fossi molto ispirata ci ho messo un po' a pubblicare perché è un capitolo piuttosto corto, rispetto agli altri :/ Questo in realtà perché aveva scritto di più del loro litigio, ma mi sono arresa al fatto che non fossi poi così capace di scriverlo: le discussioni mi piacciono, i litigi sono solo urla sopra urla, impossibili da descrivere in modo accurato per quanto mi riguarda.
Dunque ho cercato di far trasparire ogni cosa in modo indiretto, non con il dialogo diretto. Questo però ovviamente ha accorciato il capitolo.
Sulle motivazioni del litigio mi sono guardata un po' alle spalle, a quello che giusto qualche anno fa faceva arrabbiare me e ho provato a cambiare prospettiva: devo ammettere che è stato quasi terapeutico ahahah 
Nella parte finale ho provato a mettermi nei panni di Joannie, non so quanto mi sia riuscito :')
Spero vi sia piaciuto!
Fatemi sapere con una piccola recensione e bacioni :*
Alla prossima!


piccolo spoiler: sono indecisa fra due momenti, tutti e due mikandy ma diametralmente diversi: uno fluff e uno angst puro... sarà l'ispirazione a decidere!
 
   
 
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