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Autore: Antys    27/11/2018    3 recensioni
Derek con una mano teneva i manici del borsone e con l’altra si accingeva a chiudere il lungo portellone di metallo, pronto per dare un definitivo addio a quella vita che l’aveva privato di tutto quello che aveva amato e che aveva provato con tutto se stesso a ricreare e difendere.
[…]
«Lo so che ogni cosa qui ti ricorda i tuoi fallimenti ed errori. La famiglia e il branco che hai perso, i continui tradimenti che hai subito ed i sacrifici che hai fatto» articolò con precisione ed attenzione il figlio dello sceriffo con lo stesso dolore e afflizione che Derek aveva provato. «Sarebbe facile e meraviglioso andare in un altro posto e ricominciare. Ma io non sono abbastanza?» per rinunciare e restare. Per provarci.
[…]
Derek si sentì tirare un lembo dei suoi jeans della gamba sinistra, da una forza leggera e delicata, e si voltò confuso nell’immediato, incontrando degli occhi giganti dell’ambra più pura e spensierata; innocente. «Signore, sai dov’è la mia mamma?» domandò la piccola creatura con voce minuta ma squillante, educata e pulita.
«Stiles?» se Scott avesse sofferto ancora di attacchi d’asma, in quell’occasione un inalatore non sarebbe bastato.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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4° Capitolo

 

Derek da tutta quella storia avrebbe dovuto imparare una lezione importante, la più importante di tutte: chiudere la porta a quadrupla mandata.

«Nipote, un pettirosso mi ha informato che hai un bambino, uno splendido bambino» disse con una sfumatura compromettente il maggiore degli Hale che entrò come un ciclone nel loft.

Nel volto del padrone di casa si dipinse immediatamente un’espressione indigesta ed irritata. «Non ho nessun bambino» non si girò nemmeno, continuando a dedicarsi a sparecchiare la tavola usata durante la colazione, togliendo la scatola dei cereali e la tazza – non ne possedeva nessuna ed il giorno prima, insieme a cereali e buste di latte, Derek aveva acquistato quella che più piaceva al pargolo, che optò per una che ritraeva una bella ed aggraziata volpe rossa su sfondo verde acquarello – con cui Stiles aveva mangiato.

«Oh, non dire queste brutte cose, non vogliamo che il nostro Stiles ti senta e gli si spezzi il cuore» lo riprese Peter con bonario e malvagio sarcasmo, buttando sale sulle ferite aperte.

Derek si fermò nell’immediato, voltandosi ed alzando lo sguardo verso di lui glaciale e freddo che avrebbe fatto ammutolire chiunque si trovasse al suo cospetto, ma Peter sapeva leggerlo bene e decifrare quanto l’avesse colpito, quanto perseverasse nel crucciarsi per quello. Lui era semplicemente un mago nell’infierire.

«Derek, guarda» richiamò la sua attenzione la piccola trottola spuntata dal nulla davanti al tavolo con in mano lo stesso libro della sera precedente, pronto per porgerglielo ed affrontare un nuovo argomento pieno di parole.

Peter per la prima volta poté vedere il cucciolo d’uomo dai grandi occhi mielati, pendere completamente da suo nipote e fasciato da un pigiamino verde chiaro, su cui erano raffigurate varie posizioni di piccoli lupacchiotti disegnati da un tratto morbido e tondeggiante. «Lupi, eh?».

Il tono saputo e sarcastico del suo consanguineo era una tortura per le orecchie del mannaro e gli urtava molto i nervi. «Gli piacciono» dargli spiegazioni era ciò che odiava di più.

«Oh, certo. Sappiamo tutti quanto gli piacciono, soprattutto quelli musoni e petulanti» lo ribeccò Peter con maestria, enfatizzando il tutto con una sfumatura prettamente maliziosa.

«Chi è?» domandò guardingo il figlio dello sceriffo, immerso in un’attenta analisi da cui trapelava curiosità evidente e diffidenza, aggrappandosi alla mano di Derek più vicina e riparandosi parzialmente dietro di lui.

«Qualcuno da cui dovresti tenerti lontano» gli intimò Derek con lo sguardo severo rivolto verso il nuovo arrivato.

«Così mi ferisci» rivelò con drammaticità l’uomo, apparendo teatralmente colpito. «Sono lo zio di Derek, Peter» si presentò con un sorriso furbo sulle labbra, rivolgendosi alla figura del cinquenne ed avvicinandosi di pochi centimetri.

Le perle d’ambrosia si ingrandirono per una frazione di secondo e l’interesse sembrò crescere, insieme alla cautela. «Hai uno zio?».

«Purtroppo» riferì il moro con secchezza e noia, desiderando ardentemente che l’intruso andasse via.

«Non badargli, non saprebbe cosa fare senza di me» rivelò come una grande chicca segreta, strizzandogli un occhio d’intesa. «L’ho cresciuto io, insieme alle sue sorelle e devo dire che ho fatto un ottimo lavoro».

«Già, è il dopo che è stato un vero disastro» proferì Derek con una nota leggera di bufera e collera che li investì in pieno.

Stiles lo guardò per la prima volta sbalordito ed impressionato, spostando lo sguardo dall’ uno all’altro, cercando di capire quale segreto fosse nascosto e perché Derek fosse così infastidito dalla sua presenza. Forse avrebbe dovuto ascoltarlo.

«Ti ho portato qualcosa che ti piacerà» annunciò ad un certo punto il nuovo ospite, estraendo dalla schiena una scatola rettangolare di medie dimensioni, portandola esattamente sotto gli occhi affamati di sapere del bambino.

Davanti a lui si presentò l’immagine di un paesaggio della giungla con annessi alcuni degli animali più famosi di quel territorio, la scritta riportava 500 pezzi. «Un puzzle!» esclamò meravigliato ed incantato, lasciando la mano di Derek ed avvicinandosi per prenderlo e prepararsi a stringerlo. Ma prima che potesse sfiorarlo si fermò, come rammentandosi di qualcosa e rivolgendo la sua titubanza verso il mutaforma che si prendeva cura di lui.

Probabilmente Derek non si era mai presentato così sorpreso e confuso come in quel momento, ma Stiles in quei giorni l’aveva ascoltato diligentemente, immagazzinando ogni sua parola e facendone tesoro. Doveva essere costretto a farlo interagire con molte cose e persone, dovendogli dare la sua rassicurazione e la certezza che potesse farlo, ma non aveva mai mostrato perplessità o ignorato un suo avvertimento, che fosse finto o meno, e non si era mai fiondato da qualcuno che non conosceva, ma che gli portava doni. L’unica volta che dovrebbe seriamente ascoltarmi, non lo fa. Perché deve comportarsi così da Stiles quando non deve? Ma Stiles aveva gli occhioni troppo grandi ed eccitati, quel nuovo gioco sembrava attrarlo come nient’altro prima d’allora, come avrebbe potuto negarglielo? «Se ti piace tanto, puoi prenderlo» semplice, non facendolo.

Le iridi d’ambra brillarono estasiate, ma il via libera del lupo sembrava più importante che mai. «Sicuro?».

Derek avvertiva tutta l’improvvisa apprensione che il bambino gli stava rivolgendo, senza che lui ne fosse consapevole e sapesse spiegarselo. Stiles sembrava cogliere ciò che gli faceva male e lo infastidiva. «Sì, sicuro».

L’umano gli regalò il sorriso più abbagliante che avesse mai visto e si affrettò ad afferrare la scatola di cartone tra le braccine, dando un timido cenno del capo di apprezzamento al portatore di doni. «Grazie, zio di Derek» e scappò via, mettendosi al centro della vetrata dove entrava più luce, sedendosi per terra ed aprendo il suo nuovo intrattenimento.

«Un puzzle» disse Derek in una domanda muta, osservando il piccolo abitante completamente assorto nel suo compito.

«Esattamente» confermò il lupo adulto, sorridendo fiero. «È ottimo per lui. Tiene le mani impegnate per la sua iperattività ed ogni puzzle rappresenta un nuovo caso che deve risolvere, un quadro che deve completare e da cui deve scoprire ogni segreto. Amplificherà la sua capacità d’osservazione».

Come se ne avesse bisogno. «Ha cinque anni».

«Dovresti sapere meglio degli altri quanto lui sia un bambino di un altro livello» disse Peter con voce profonda e saputa, lanciandogli un’occhiata oblunga. «A te non avrei nemmeno potuto dare uno da 20 pezzi in formato gigante».

Il tono di suo zio era sempre sarcastico ed ironico, ma Derek non poté trattenersi dal roteare gli occhi verso l’alto, mostrando ampiamente quanto poco apprezzasse la sua compagnia.

«Gli piacerà, lo finirà in fretta e ne vorrà di nuovi» rivelò Peter senza alcun compromesso, sorridendogli vittorioso e quasi orgoglioso del suo operato. O di Stiles?

Doveva preoccuparsi del fatto che Peter fosse stato capace di adescarlo con una facilità sorprendente, ignorando il suo metterlo in guardia?

O forse certi istinti in Stiles non cessavano di esistere.

Certo era che Stiles per tutta la mattina non si separò dal nuovo gioco, che esigeva la sua totale attenzione e precisione.

 

Lentamente il portellone d’ingresso fu aperto e presentò la figura di uno Scott impacciato, seguito da una Allison titubante che si nascondeva dietro di lui.

Derek non fu sorpreso di ritrovarseli in casa, dava per scontato che l’Argent sarebbe tornata alla carica per comprendere e farsi perdonare da Stiles ed era quasi doveroso per l’Alpha tentare qualsiasi strada per riconquistare suo fratello.

«Ciao, Stiles» pronunciò con calore e timida intraprendenza la cacciatrice, affacciandosi quasi completamente dal messicano che usava come scudo.

Nella manina del figlio dello sceriffo ruotava un piccolo tassello di puzzle che fissava da alcuni minuti, sospendendolo in aria ed incastrandolo astrattamente dove supponeva appartenesse, rimanendo disteso sul freddo pavimento con le gambe piegate verso l’alto che muoveva a seconda della sua concentrazione. «Allison» salutò con distacco, senza staccare il contatto visivo con il suo enigma.

La ragazza non poteva negare che ne fosse stata profondamente colpita, che l’atteggiamento ostile del bambino la ferisse molto. «Posso giocare con te?» ma lei era una temeraria.

Stiles si riscosse appena, giusto il tempo che gli occorreva per metabolizzare le parole e dargli il corretto significato. «Okay» non la guardò affatto ed Allison gli si avvicinò con cautela, sedendosi sulle piastrelle insieme a lui.

Stiles era un campione nel tenere il muso.

Nel silenzio perpetuo e riflessivo che la circondava, la cacciatrice si sentiva fuori posto e non sapeva esattamente come fare per riguadagnarsi l’attenzione del cucciolo d’uomo che persisteva a stare sulle sue; provò ad accennare un sorriso incoraggiante, ma quello era troppo concentrato a fissare i tasselli a cui non riusciva a trovare una collocazione. «Posso aiutarti?» tentò adagio, la piega dolce ed incoraggiante che le dipingeva le labbra.

Stiles la guardò un po’ diffidente, ponderando la sua richiesta e rimanendo in un perpetuo mutismo. Annuì soltanto.

La mora prese un pezzo del puzzle tra le dita, dando un’occhiata generale e lo rivolse verso l’autore di quella grande opera. «Questo dove va?».

L’umano lo degnò di una rapida occhiata ed indicò un punto periferico dell’immagine che prendeva sempre più forma.

Allison individuò il punto in cui era stata indirizzata e lo incastrò perfettamente nel luogo a cui apparteneva, sorridendo soddisfatta e rivolgendolo al cinquenne, trovando quest’ultimo a fissare meravigliato il pezzetto di cartone appena sistemato.

Lo vide fissarne un altro che era stato isolato dagli altri, quasi fosse in attesa della sua venuta e di svelare il mistero più grande di tutti, e lo agguantò con le dita sottili e corte, tenendolo sollevato sul riquadro vuoto e depositandolo con cura, sgranando gli enormi occhi di miele ad immagine completata.

Allison trattenne il fiato aspettandosi una qualsiasi reazione negativa e ricevendo soltanto soddisfazione dal suo sguardo caramellato.

Sospirò rincuorata e cominciarono a dedicarsi interamente al puzzle, scambiandosi i pezzi e seguendo alla lettera le direttive di Stiles.

«Un puzzle, Stiles li adora» sovvenne il messicano che aveva assistito a tutta la scena senza emettere suono e preoccupato per un possibile rifiuto da quello che era stato il suo migliore amico.

«Già» convenne Derek con osservazione infastidita.

«Non ci avevo proprio pensato, hai fatto bene» Stiles aveva passato tutti gli anni della sua fanciullezza ed adolescenza a risolvere enigmi e figure che si incastrassero tra loro; era il suo passatempo preferito, era ciò in cui era più bravo ed era un ottimo modo per distrarlo.

«Non sono stato io» lo corresse il grande lupo cattivo, con ancora quell’indigestione portata dalla figura peggiore che potesse comprendere il bambino meglio degli altri. «Peter» rispose all’espressione interrogativa dell’Alpha.

«Oh» soffiò Scott sorpreso ed un po’ disorientato, tornando a concentrarsi sulle due presenze sistemate sul pavimento che continuavano quel gioco indisturbate e con piccoli risolini sinceri che sgorgavano dalla bocca di Stiles. «Ne sa sempre una più del diavolo quell’uomo».

«Forse perché è il diavolo» lo Stiles diciassettenne avrebbe apprezzato quella battuta e l’avrebbe custodita negli annali.

Il messicano curvò appena le labbra, leggermente stupito da qualcosa di così tagliente e preciso che il loro umano avrebbe detto ed appoggiato, ma forse, in un certo qual senso, era Derek che preservava la sua voce. «È interessante se ci pensi e, beh, anche un po’ losco. Stiles non permette a nessuno di avvicinarsi se non ha la tua approvazione, eppure con Peter è successo e dubito tu gli abbia dato l’okay».

Nemmeno sotto tortura. «È accaduto anche con Cora. Non ero nemmeno presente, le ha chiesto se fosse mia sorella e l’ha adottata».

«Il fascino Hale» lo derise il Vero Alpha, trasognato ed incurante del pericolo in cui si era messo.

Derek lo fulminò con lo sguardo e Scott ridacchiò spensierato. «Non puoi negare che abbiate un ascendente su di lui, soprattutto tu. Gli altri sono una conseguenza istintiva».

«Una conseguenza?» domandò di rimando il nato lupo, aggrottando le folte sopracciglia.

«Lui riesce a percepirti, in qualche modo» il che era davvero fuori da qualsiasi ordinario.

«Credo che stiate tutti fraintendendo» Derek ricordava bene le ultime parole che Stiles gli aveva gettato addosso con dolore, i frammenti del suo cuore tenuti insieme precariamente, pronti ad evaporare e dissolversi nel perpetuarsi dell’infinità del tempo.

«Dici?» chiese retoricamente Scott per nulla convinto e con quell’aria sapiente che gli era valsa il titolo di Vero Alpha. «Non voglio dire che tutto quello che tocchi si trasformi in oro, quantomeno non per il nostro Stiles combattivo e diffidente. Ma per questo bambino? Per questo bambino la tua sola impronta vuol dire sicurezza, certezza».

Anche Cora aveva cercato di farglielo capire, con vocaboli diversi e più simili a quelli di Stiles, ma Derek non poteva crederci, perché lui credeva allo Stiles consapevole e che conosceva ogni cosa di loro. «Peter, sicurezza?».

«Peter sa sempre come aggirare le regole» un po’ come suo fratello, ripensandoci. «E poi credo che un bel puzzle ti batterebbe in ogni caso».

Già, esattamente per quella ragione Stiles era sempre in mezzo ai guai e non sapeva resistere al mistero, ai rompicapi da risolvere ed ai pezzi da rimettere a posto per avere un quadro delineato e chiaro, la chiave di volta per ogni soluzione. Avevano litigato infinite volte su quell’aspetto, su Stiles che si trovava costantemente in mezzo ad ogni situazione problematica, pericolosa, al limite della porta che conducesse direttamente all’Ade. Ma non aveva mai voluto saperne di tirarsi indietro, fin dagli inizi, fin da quando loro non rappresentavano nulla l’uno per l’altro. Poi tutto era precipitato.

Ma era vero, Stiles l’avrebbe comunque costantemente messo al secondo posto davanti ad una lavagna bianca costernata di fili di lana rossa.

Derek, al contrario, lo metteva ripetutamente al secondo, terzo ed anche quarto posto davanti a qualsiasi cosa.

Derek la cattiva sorte la meritava, ma Stiles no. «Potrebbe valere anche per te».

Scott negò con la testa, scartando la possibilità. «Credo che a me serva un approccio diverso e se qualcuno dovesse intercedere per me, quella sarà Allison».

Con Allison era stato estremamente semplice, aveva fatto tutto da sé ed a Derek era toccato semplicemente compiere un unico cenno affermativo, senza nemmeno sapere di avere quel potere, e Stiles si era fidato. Di lei, ma soprattutto di lui.

Derek non disse una parola, non acconsentì o si mosse in qualche modo che accertasse di aver capito, ma Scott sapeva che nella sua statuaria impassibilità il lupo nero comprendesse molte cose. «Lo tratti bene questo bambino?».

«Faccio del mio meglio» non era un’accusa, Derek sapeva che vi era solo preoccupazione da parte del migliore amico di Stiles che non poteva accertarsi in prima persona delle sue condizioni.

Certo, Derek non avrebbe mai fatto nulla di male a quel prezioso cucciolo umano. «È un terremoto, non è vero? Ti sfinirà».

Un terremoto? «In verità, è molto calmo» e quell’aspetto non lo entusiasmava affatto, era innaturale.

«Calmo?» domandò di rimando in un eco il messicano, corrugando la fronte e stentando a credere alle sue orecchie. «Stiles?».

«Non era così a quell’età?» Derek era curioso, preoccupato per lo più, l’aveva avvertito fin dal primo approccio che c’era qualcosa di erroneo.

«No, non mi pare» Scott ci rimuginò sopra, tornando indietro con la memoria, testimone di ben altri scenari. «Aveva la voce acuta e alta, parlava ininterrottamente di cose di cui non capivo niente, si muoveva continuamente e correva ovunque. Era imprendibile» le loro giornate non erano mai monotone, mai vuote e silenziose; c’era sempre un enorme fracasso intorno a loro e Stiles ne combinava una dietro l’altra, mettendoli nei guai, andando dove non doveva andare, origliando e leggendo documenti a cui non avrebbe dovuto avere accesso.

Imprendibile era l’aggettivo giusto per descriverlo, era imprendibile perfino in quella forma, seppur in modo differente. «Questo Stiles invece è pieno di sensi di colpa, si incolpa per ogni cosa, pensa di non piacere alla gente e di arrecarle disturbo perché è espansivo e rumoroso» allo Stiles diciasettenne non importava affatto di quegli aspetti, al contrario, si impegnava enormemente a dare più fastidio possibile, marciando lì dove sapeva avrebbe fatto più danni ed irritato all’inverosimile.

«Oh, sì» asserì il mutaforma più giovane, vedendo concretizzarsi effettivamente quelle caratteristiche che conosceva bene. «È proprio da Stiles. Non ha mai avuto troppe persone intorno a sé, ero il suo unico amico, come lo era lui per me. Ma se per me valeva la timidezza ed il bisogno di essere trascinato dagli altri, non si può dire lo stesso di Stiles. Per quanto lui si sforzasse tanto dando il meglio di sé e palesando le sue conoscenze, le persone preferivano evitarlo. Anche gli altri bambini lo evitavano, perché era diverso da loro, perché sentivano solo le parole cadaveri ed assassini, ma non si fermavano ad udire il resto» prese un profondo respiro e lanciò un’occhiata al piccolo esserino che si intratteneva con la sua metà. «Stiles ha sempre avuto i sensi di colpa, pensava che qualsiasi cosa facesse fosse quella sbagliata, qualcosa ai danni degli altri e questa caratteristica è cresciuta con lui. È ancora radicata in lui, nelle sue scelte, nelle conseguenze, nell’impatto che porterebbe. Sopra tutti c’è suo padre, si logora il fegato per ciò che gli combina alle spalle e per quello che si ripercuote sulla sua figura di sceriffo e genitore, anche se tutto quello che fa è per proteggere le persone e lui stesso» Scott riportò la sua attenzione sull’uomo che non aveva perso una parola. «Pensavi fosse una conseguenza del Nemeton?».

«Sicuramente ne è influenzato» era difficile scartarne la possibilità, c’erano troppi fattori che gli testimoniavano il suo legame con il vecchio albero sacro.

«Guardalo» disse il Vero Alpha, indicandogli le due figure che non avevano prestato alcuna attenzione al loro vociare controllato, continuando a sistemare i piccoli tasselli negli spazi più appropriati, tutto contornato da sorrisi sinceri e le risate che Allison riusciva a strappare al pargolo, sommergendo la ragazza di continue chiacchere che non sembravano stancarla affatto. «È ancora il bambino che desidera soltanto giocare e ridere».

Era splendido, Derek avrebbe soltanto voluto che Stiles fosse felice, nel più lungo arco temporale possibile. «Vorrei non fosse così arguto» attento ad ogni variazione, ad ogni incastro mancante, al battito accigliato di una persona stanca e confusa.

«È Stiles» in qualunque tempo, universo parallelo e momento storico, Stiles sarebbe sempre rimasto lo stesso.

«Una condanna» dichiarò univoco il Beta.

Scott mal soffocò una risata che lo Stiles suo coetaneo non gli avrebbe mai perdonato. «Sa come farsi amare».

Amare, era una bella parola che Derek non voleva più conoscere.

«Per caso hai capito perché si sia arrabbiato con Allison?» gli domandò il diciasettenne di punto in bianco, non tanto per stemperare l’atmosfera, ma quasi come se avesse avuto quel pensiero costante che gli ronzava nella testa da un po’.

Avrebbe voluto rispondergli semplicemente con è un bambino ed i bambini se la prendono spesso per qualcosa di poco rilevante ed incisivo, benché per i cuccioli d’uomo fossero effettivamente importanti. Tutto era importante. «Non ne sono completamente certo».

Scott l’osservò per qualche attimo, scrutandolo attentamente nelle iridi boscose, con la certezza di carpirgli il segreto, ma forse soltanto l’umano ne era in grado. «È difficile entrare nella sua testa».

Per Derek era estremamente semplice, in realtà. Lo capiva come non gli capitava da una vita intera; un solo incrociarsi d’occhi, una mezza parola sussurrata, un gesto affrettato ed avventato, Derek riusciva a leggervi tutto ciò che gli passava per la mente, insieme ai suoi tormenti ed afflizioni, i dubbi e la colpa immotivata che si portava sulle spalle. «A volte».

«Ehy, Scott, vieni ad aiutarci» lo chiamò la bella cacciatrice, interrompendoli ed attirando la loro attenzione, indicando quel tappeto di pezzi di cartone che ricoprivano il pavimento.

Erano già a buon punto, non avevano bisogno di un altro paio di mani in soccorso, ma quello era un piccolo ponte che Allison stava creando tra loro, tra i due amici che erano stati un tempo ma di cui Stiles diffidava. Scott puntò gli occhi castani sul corpicino che non si era praticamente scomposto, dedicandogli giusto un’occhiata veloce e priva di interesse, come se la sua presenza non lo disturbasse minimamente. «Va bene, ma non sono molto bravo».

Si defilò come si era trattenuto con il padrone di casa, lasciandolo solo al centro della grande camera ad osservarli interagire tra loro impacciatamente. Derek decretò che dovesse impiegare il suo tempo in qualche modo.

«Ma sei un disastro» udì una voce femminile sconvolta alcuni minuti dopo il lupo cattivo nell’angolo appartato che si era scelto, lasciando a quei tre il rispettivo spazio.

«Scott non ha mai saputo giocare» scoppiò a ridere senza controllo il cinquenne, non meravigliandosi affatto dell’evento, ma divertito oltremodo dalla reazione della cacciatrice e dall’imbarazzo del Vero Alpha.

Scott, che Stiles l’avesse riconosciuto dalla sua totale incapacità?

Ci fu un nuovo scoppio di risa infantile ed un broncio pronunciato da parte del diciasettenne; forse il messicano avrebbe avuto il suo epilogo e Derek si sarebbe riempito ancora per un po’ le orecchie della risata autentica di Stiles.

 

Giocarono per tutto il pomeriggio, tutti e tre, mentre Derek se ne stava tranquillamente in disparte, ad ascoltarli di tanto in tanto, era difficile non avere i timpani perforati dalle loro voci esageratamente alte e stordenti, ma Stiles era entusiasta, tranquillo, un po’ più spensierato e non importava se ad un certo punto avessero abbandonato il puzzle quasi del tutto finito e gli avessero monopolizzato il loft ed il mannaro in quell’istante si trovasse a rimettere tutto in ordine dopo aver fatto cenare il piccolo di casa; semplicemente aveva la certezza che Stiles si abbandonasse alle persone giuste e si lasciasse trascinare dal trasporto degli altri, dai loro benefici e dalla cura che provavano nei suoi confronti.

Alla fine di quella giornata campale Scott si era mostrato più fiducioso di se stesso, con la certezza che Stiles lo stesse lasciando entrare nella sua sfera privata, benché tutto precipitasse nel momento in cui la cacciatrice si allontanava per una qualsiasi ragione. Erano passi arrancati, ma c’erano.

La coppia felice era andata via prima che mettesse Stiles a tavola, per qualche minuto erano riusciti a parlare, ma subito dopo il bambino era tornato sul pavimento a finire di risolvere il suo tappetto di cartone colorato e Derek era quasi certo che suo zio il giorno dopo sarebbe tornato con un nuovo puzzle, più complicato del precedente.

Ma dopo la conversazione tenuta con Scott, Derek non poteva fermarsi dal riflettere sul fatto che Stiles fosse convinto di essere un peso per le sue spalle, che l’averlo preso sotto la propria ala ed occuparsi di lui a tempo pieno, rifiutando la figura genitoriale e tutte le altre, non fosse che un compito gravoso che il lupo svolgeva con noia. Dopotutto era saltato fuori quando Cora aveva deciso di partire comunque e lasciarlo a preoccuparsi e crescere quella creatura fragile come vetro. È colpa mia. Era tremendo che un bambino di cinque anni conoscesse il significato di quella frase, che sapesse usarla talmente bene da impensierirlo. L’aveva usata fin dall’inizio di quell’incubo e Derek non riusciva a smettere di pensare alla possibilità che lo Stiles diciasettenne fosse giunto al Nemeton con quel pensiero costante nella testa, a ripeterlo come un mantra, accompagnato ed infiocchettato malignamente dal connubio perfetto del suo cuore spezzato. Sensi di colpa, inadeguatezza ed un amore stroncato ancora prima che potesse raggiungere una qualunque vetta.

Eppure Derek sapeva di doverglielo quell’amore, qualsiasi forma d’amore.

Erano le due di notte passate quando sentì minuscoli piedini scalzi procedere sul pavimento freddo, prima con velocità e poi rallentando pian piano, come se si fosse reso conto dell’ora e dell’entità delle sue azioni; un coraggio che doveva raccogliere ed il disturbo che avrebbe comportato.

Derek aveva chiuso le palpebre soltanto per un’ora.

«Der» mormorò in un piccolo richiamo, accertandosi se fosse sveglio o se stesse dormendo; in quel caso sarebbe tornato indietro sui suoi passi.

Anche se Stiles ignorava la sua natura da lupo mannaro, i suoi sensi non stavano mai a riposo, soprattutto se c’era lui in giro – cinque anni o diciassette, per Derek non esisteva differenza –; l’avrebbe svegliato senza volerlo. «Un altro incubo?».

Il cucciolo d’uomo scosse il capo negativamente, rimanendo impalato sul posto, vicino ai piedi del letto del padrone di casa.

«Hai qualcosa da dirmi?» domandò il mutaforma a quella sola risposta, aspettando che il suo interlocutore aggiungesse del testo, ma rimanendo muto e con le labbra cucite esattamente dove si trovava.

Anche se nello Stiles diciasettenne si notava meno, anche quello era un aspetto tipico del suo essere; se qualcosa lo angustiava, aveva delle richieste particolari o specifici dubbi lo sovrastavano, era più facile che se li tenesse per sé, cadendo in un mutismo mascherato, volatilizzandosi o sommergendolo con la sua personalità rumorosa e fin troppo spesso studiata. In genere cercava di trovare la soluzione da solo, anticipava tutti gli altri, ma quando si possedeva l’età di cinque anni non si era affatto liberi di muoversi autonomamente.

Derek scosse le lenzuola, liberandosene, alzandosi a sedere, in modo tale da poterlo guardare dritto negli occhi di caramello puro. Erano incredibilmente chiari perfino nell’oscurità spezzata unicamente dai raggi lunari. «Puoi chiedermi quello che vuoi» chissà cosa avrebbe detto lo Stiles prossimo alla maggiore età se avesse saputo dell’accondiscendenza totale nei suoi confronti.

Lo vide mordersi le labbra ripetutamente, trattenere la richiesta che aveva sulla punta della lingua e che lo stava divorando. Da quanto ci pensava? Da quanto si stava tormentando per non fargli quella richiesta? «Possiamo andare dal vic- dallo sceriffo?».

Oh, alla fine era veramente quello il problema. «Sì, possiamo andare dal tuo papà».

Le perle dorate si inumidirono, brillando nella notte e quella era la parola magia, la parola che metteva in mostra quanto effettivamente avesse a che fare con una creatura di soli cinque anni separata dai genitori e che ne sentiva terribilmente la mancanza. Stiles voleva soltanto il suo papà.

Probabilmente era stata proprio quella la ragione che aveva scatenato il suo malumore, indirizzandolo alla figura della cacciatrice che era riuscita ad entrare in casa sua, ad aggirarsi nella sua camera ed in qualunque spazio a lui fosse per qualche ragione inaccessibile. Anche se aveva scelto di sua iniziativa di rimanere con il lupo ed allontanarsi dal padre, in qualche modo quella scelta l’aveva logorato ed era bastata una scintilla microscopica per far divampare un incendio. Derek avrebbe fatto qualsiasi cosa per estinguere le fiamme.

«Possiamo andare adesso?» domandò il cucciolo d’uomo, guidato dalla diga del fiume ormai aperta.

«Adesso?» Derek controllò bene il suo sconcerto, adocchiando appena la sveglia digitale anonima che capeggiava sul comodino, indicando un orario proibitivo per uscire di casa per andare incontro a qualcuno. «Immagino vada bene» lo sceriffo sicuramente avrebbe avuto il turno notturno, in fondo, dove altro poteva essere quando in casa non regnava un’anima viva; era sicuro si stesse sommergendo di lavoro.

Vide Stiles annuire forte con la testa, stringere le labbra carnose e sparire nella direzione del suo giaciglio, precipitandosi da lui successivamente perfettamente vestito, con le scarpe già allacciate – di cosa doveva sorprendersi, se era già capace di leggere come un bambino di otto anni –, mentre Derek ebbe soltanto la lungimiranza di afferrare un paio di jeans dimenticati in un angolo vicino.

L’avvolse dentro una giacca pesante prima di aprire il portellone a scorrimento. «Pensi che si senta solo?» domandò Stiles all’improvviso, stretto nel suo indumento caldo, gli occhi immersi nei pensieri e la tenacia che si sarebbe rafforzata davanti a qualsiasi risposta.

Se Derek non fosse stato l’uomo tutto d’un pezzo che era, con il corpo costernato da cicatrici che l’avevano distrutto cellula dopo cellula, si sarebbe sgretolato al suono di quell’interrogativo consapevole. Stiles dava per certo che ad attendere l’ufficiale e colorare le sue giornate non vi fosse nessuno. «Ha te, non può sentirsi solo» chi non si sentirebbe solo dopo averti avuto nella propria vita?

Derek non doveva niente a Stiles, non doveva rendergli quell’amore in cui l’umano aveva tanto sperato e creduto per pietà, per pulirsi la coscienza. Derek provava realmente quell’amore. E Stiles lo meritava.

 

La stazione di polizia la notte era completamente deserta, l’aveva appurato un anno prima, con uno Stiles sedicenne seduto in aiuto a controllarlo e criticarlo, giudicando malamente le sue doti da seduttore ed ammaliatore. Per quanto avessero funzionato perfettamente, permettendo al mannaro di entrare, a Stiles non era mai andata giù. Probabilmente perché sperava in qualcosa di più costruttivo ed incisivo che un semplice sorriso abbagliante.

C’era soltanto un agente all’ingresso, seduto al bancone, ed una scrivania occupata nella grande stanza sempre affollata da troppe persone. Le luci del piccolo ufficio della massima autorità della città erano accese, esattamente come Derek aveva supposto.

«Problemi?» domandò una voce poco conosciuta che Derek avrebbe dovuto cominciare ad associare alla svelta.

Avrebbe dovuto aspettarselo, in fondo si erano precipitati all’interno del locale come se fossero di casa – e Stiles lo era, come lo era a modo suo Derek –, alle tre di notte passate, con un bambino di cinque anni che teneva per mano, senza chiedere nulla a nessuno. Di certo non era poco sospetto. «Vorremmo incontrare lo sceriffo» riferì il licantropo senza alcun mistero, incontrando per la prima volta quello che era il nuovo vice. Era arrivato da circa tre settimane e nemmeno Stiles sapeva molto di lui, ancora.

Jordan Parrish li squadrò per bene, per quanto avesse dei lineamenti dolci e che non suggerivano pericolo, era attento e meticoloso. «Motivazione?».

«Familiari» nessuna bugia, la pura e semplice verità che non poteva essere spiegata.

Parrish passò lo sguardo dal lupo alla mano legata a delle piccole dita, incontrando due enormi occhi color caramello che gli parvero fin troppo riconoscibili. «Assomiglia al figlio».

«Sì, gli somiglia» Derek sperò che Stiles non li correggesse, che non gridasse al mondo il loro reale legame parentale e svelasse quello che nessuno avrebbe mai potuto capire. Ma Stiles rimase in silenzio, le gemme ambrate attente e curiose, nessun gesto che potesse tradirli, era come se sapesse esattamente come dovesse comportarsi in casi simili, dove la ragione non poteva avere la meglio ed i segreti dovevano rimanere tali, lasciandosi guidare dagli adulti, da chi ne sapesse più di lui. Era fiducia. La fiducia sconfinata che teneva nei riguardi di Derek.

L’autorità non indagò oltre, limitandosi ad avvicinarsi alla porta dello studio dello sceriffo e bussando due volte con le nocche. Si sentì un avanti stanco ed il biondo che annunciava che avesse visite, non specificando di che tipo.

Lo sceriffo era seduto malamente sull’angolo della scrivania più lontano dalla porta, in mano delle carte che continuava a sfogliare, la vista esausta e le borse sotto gli occhi; vicino vi era un grosso bicchiere il cui fondo era pieno di caffeina e l’uomo ne sorseggiò due grandi sorsi per tenersi sveglio.

Non prestò molta attenzione a ciò che il giovane vice sceriffo gli disse, aspettò soltanto che qualcuno gli si avvicinasse, nella speranza di poter chiudere in fretta la questione, benché fosse un orario anomalo che non presagiva nulla di buono. Ma cosa c’era che presagiva qualcosa di buono dentro una stazione di polizia?

Dei passi felpati entrarono in contatto con il suo apparato uditivo, seguiti da alcuni più leggeri, entrando nella stanza e superando la soglia, rimanendo silenziosamente in attesa.

In dolorosa attesa. «Papà».

Una vocina che non sentiva da anni, ma che per uno strano scherzo del destino aveva riudito alcuni giorni prima, gli perforò i timpani e le iridi azzurre incontrarono le due figure che sostavano davanti l’uscio della porta tempestivamente chiusa, allacciate dalla trama delle loro mani dalle grandezze totalmente differenti. «Stiles?» domandò in un’allucinazione premente, i brutti scherzi della sua stanchezza che non gli davano tregua.

Derek mollò la presa e Stiles non resistette più, prendendo la rincorsa e fiondandosi verso la figura paterna che si allontanò dal tavolo per afferrarlo di peso, stringendolo forte al petto nel momento in cui il bambino gli circondò il collo, affondando il visino nella spalla. «Sta male? È successo qualcosa?».

Tutta la preoccupazione dilatante ed il dolore che aveva provocato quella separazione Derek li sentì tutti; si chiese come potesse sopravvivere un genitore lontano dal proprio figlio, un figlio che era in una situazione inspiegabile in cui non avrebbe mai potuto aiutarlo, lasciando che fossero altre persone ad occuparsi del problema. Che fosse un altro a crescerlo. «Voleva solo vederla».

Noah rimase sgomento per qualche attimo, quasi cercando una convinzione totale nelle parole e nell’espressione impassibile di Derek Hale, ma se ci fosse stato qualcosa che non andava, il mutaforma non l’avrebbe certo tenuta per sé. «Ehy, volpacchiotto, stai bene? Ti tratta bene il tuo lupo?».

Il cucciolo d’uomo intensificò l’abbraccio a quel nomignolo affettivo, quasi fosse un ulteriore indizio che quello fosse realmente suo padre, muovendo in modo affermativo il capo contro il collo in cui si era nascosto. «Sì, Derek è buono».

Lo sceriffo sorrise intenerito, accarezzandogli la schiena e dondolando dolcemente sul posto. «E tu? Tu fai il bravo?».

«Sì» esclamò con convinzione il piccolo di casa. «Sono bravo».

«Oh, non saprei» lo smentì con divertimento la figura genitoriale, rafforzando maggiormente la stretta allentata dal dondolio. «Gliel’hai detto il tuo vero nome?» incontrò gli occhi preoccupati della sua progenie ridimensionata, usciti fuori dalla tana in cui si erano imboscati. «Diciamo al tuo bel lupo come ti chiami?».

Stavano giocando, in modo affine e dolce, puntando magistralmente ai segreti che Stiles non voleva venissero fuori, per vergogna o per altro, scuotendo la testolina e lamentandosi vigorosamente, mettendo in mostra quel broncio che aveva già un notevole effetto sul suo viso da diciasettenne, ma su quello da cinquenne stendeva completamente. Partita chiusa.

La massima autorità della legge gli baciò la punta del naso, la fronte ed una guancia e Stiles si strusciò sul suo volto, prendendo tutto il suo calore ed il suo amore; sembrava meno arrabbiato, quasi a dimenticarsi della storia del nome, una verità che fino a quel momento Derek aveva ignorato, senza saperne dell’esistenza. Ma era importante saperlo? Perfino il padre si limitava a chiamarlo con il nome che Stiles aveva evidentemente scelto, senza ricatti o compromessi. Stiles era soltanto Stiles.

Il bambino ridacchiò per qualche motivo che il mannaro si era perso e subito dopo sbadigliò, ricevendo un nuovo bacio tra i capelli. «È molto tardi».

Derek capì che la figura autoritaria stesse interagendo con lui. «Andremo via appena Stiles si sentirà pronto».

«Se tutto dipendesse da lui, saremmo nei guai» lo sceriffo stava scherzando, ma era una bugia, era Stiles a tirarli fuori dai disastri ed a caderci tutto d’un pezzo al posto loro.

Stiles si lamentò indispettito ed il genitore sorrise con spensieratezza. «Non viziarlo troppo, Derek».

Viziarlo, forse era l’unica cosa che potesse fare nelle circostanze in cui si trovavano, nel torto che gli aveva arrecato. «È solo una cosa che doveva fare» il cucciolo non poteva più aspettare, anche se ci aveva provato e ne aveva subito gli effetti. Derek non si sarebbe mai potuto tirare indietro davanti a quella richiesta innocente e bisognosa.

Noah annuì, ma sembrava che qualcosa lo preoccupasse.

«Non ha mai chiesto di lei» riferì la creatura della notte, guidato da qualcosa che dopotutto turbava anche lui. «Soltanto una volta, all’inizio di tutto, ma poi non ne ha fatto più parola» lei non era nient’altri che sua madre. Stiles l’aveva invocata quando si era aggrappato ai suoi jeans, in mezzo alla radura, ripiena di persone che non aveva mai visto ed aveva chiesto dell’unica figura che si prendeva giornalmente cura di lui. Era stata la prima cosa che la sua nuova voce da bambino aveva pronunciato e poi non era più saltata fuori.

Le dita di una mano del grado più alto della città si annodarono ai capelli castani di suo figlio, accarezzandogli la cute. «È sempre stato troppo sveglio» Stiles lo riabbracciò d’istinto e l’agente lo cullò ancora. «Si ha l’ardire di affermare di proteggere i propri figli, ma come puoi farlo quando sono più perspicaci e furbi di te?».

«Come una volpe?» buttò giù il mutaforma, senza soffermarcisi troppo su quel soprannome scoperto per caso e fin troppo in simbiosi con la vera natura di Stiles; Derek doveva ammettere di essere ben conoscitore di quella verità.

«Esattamente come una volpe» depositò un nuovo bacio sulla tempia del bambino, dolcemente ed amorevolmente. «Vero, volpacchiotto?».

«Papà» Stiles mugolò contrariato, storcendo il nasino e la massima autorità della città ne rise caldamente.

«Fa l’imbarazzato, ma in realtà gli piace» sia mai che il piccolo frugoletto venisse sbeffeggiato davanti all’omone che si occupava quotidianamente di lui.

Stiles mise su un broncio falso, Derek poteva percepire come in realtà quel nomignolo lo facesse stare bene, a casa, sicuro, certo di essere davvero con chi aveva bisogno e che non vi fosse alcun inganno. Quello era davvero il suo papà ed ogni volta che tirava fuori qualcosa che conoscevano soltanto loro due, Stiles era nettamente più tranquillo e sereno.

«Pensi sia una buona cosa che non chieda?» domandò la figura paterna, ricollegandosi al discorso precedente senza aver perso il filo del discorso.

Una buona cosa. «Credo che abbia intuito che qualcosa non quadri e che per una qualche ragione sia meglio non chiedere» Derek da una parte ne era grato, sollevato, non aveva idea di come avrebbe dovuto spiegare o dire la verità ad un bambino di cinque anni che improvvisamente si ritrovava senza una madre. Senza nessuno che ne parlasse o ne facesse cenno. Non era un tabù, ma lo percepiva come tale. «Ma lo fa per noi più che per se stesso» ma come doveva sentirsi? Come riusciva a sopravvivere e passare sopra all’esigenza di chiedere di sua madre? Di poterla vedere come stava accadendo con suo padre.

Due paia d’occhi chiari si posarono sul corpicino che lo sceriffo teneva intrappolato con attenzione, osservandolo con scarsa moderazione, cercando una conferma a quelle parole, il grande peso sulle piccole spalle che Stiles si portava addosso, ma il cucciolo d’uomo aveva le iridi annacquate e semichiuse, il capo abbandonato contro il mento del genitore e tutta l’aria di non aver sentito una parola.

L’uomo di legge sospirò, ma non era per il sollievo. «È sempre lui alla fine a prendersi cura di noi» Noah l’aveva detto, ad alta voce. Aveva espresso quello che tutti dopotutto pensavano. Perfino nelle sue fattezze bambinesche, fragili, da proteggere con tutta l’anima, Stiles si immolava per sostituirli, cercando in ogni modo possibile di non fare del male. Di non scomodarli ed arrecare danno. Derek avrebbe voluto che almeno per una volta fossero proprio loro a muoversi per il suo bene, invece non stavano concludendo nulla.

L’agente Stilinski si avvicinò al lupo, depositando un ultimo bacio al centro della fronte del cucciolo umano, relegandolo con tutta l’accortezza e gentilezza dell’universo tra le braccia forti del ragazzo. «Prenditene cura, Derek. È tutto ciò di più prezioso ho al mondo».

Derek lo afferrò rapidamente, senza distrarsi un attimo, tenendolo vicino al cuore, esattamente dove piaceva stare a Stiles. «Vale anche per me».

Noah lo guardò fisso, penetrante, a trafiggerlo con decisione e Derek non avrebbe potuto fare niente per tirarsi indietro.

«Papà» ma Stiles con le sue ultime forze che combattevano contro il sonno dei giusti si aggrappò alla sensazione di star per essere separato dalla figura genitoriale e non gli andava affatto bene.

«È tardi e sei stanco, è tempo di tornare a casa» proferì il mannaro con il tono più basso che possedesse, cercando di non svegliarlo troppo.

«Ancora un po’, voglio stare con papà» ribatté con la voce impastata dalla prossimità di raggiungere il regno di Morfeo, le manine che tentavano di sollevare il corpo e distanziarsi da quello del mutaforma, per scindere la culla fatta di braccia e raggiungere il padre.

«Domani» lo incantò la creatura della notte, una melodia che prendeva vita soltanto con la piccola creatura che teneva tra gli arti superiori. «Domani torneremo».

Stiles sbatté varie volte le palpebre, cacciando indietro il velo d’acqua creato dalla sonnolenza, sbadigliando a mezza bocca. «Sì?».

«Sì» confermò con autenticità il Beta, schioccandogli un bacio leggero come il battito d’ali di una farfalla sotto un occhio, a contatto con le ciglia inferiori.

Stiles ridacchiò deliziato, il risolino portato dal solletico creato dall’incontro morbido delle ciglia aperte del mannaro. «Va bene, Der» acconsentì stregato, sistemandosi meglio nella presa del licantropo. «Buonanotte, papà».

Lo sceriffo lo vide sventolare la manina in segno di saluto, sbadigliando un’altra volta e portando le braccine ad avvolgere il collo della creatura sovrannaturale, esattamente come aveva fatto con lui quando gli era corso incontro; la differenza consisteva nel vederlo sereno, tranquillo ed in pace con la natura, abbandonato adorabilmente e senza alcuno sforzo alle fattezze dell’unica persona di cui si fidasse ciecamente in quel momento. «Buonanotte, Stiles» circondava con le piccole braccia, il sorriso piacevole sulle labbra e le palpebre delicatamente chiuse a coprirgli gli occhi, l’uomo che lo Stiles adolescente e prossimo alla maggiore età amava.

 

Derek non impiegò molto a riportarlo al loft, adagiandolo con ogni previsione sui sedili posteriori della Camaro, sentendolo ronfare beatamente per l’intero tragitto.

Lo cambiò in un baleno, rimettendogli quel pigiamino con i lupi che Stiles adorava, sistemandolo perfettamente sul materasso a due piazze, che si presentava esageratamente più grande viste le dimensioni minuscole del suo occupante.

Ed era tutto lì, il frugoletto cucciolo umano che dormiva senza un pensiero al mondo nel letto del grande lupo cattivo.

«Grazie, Der» sopraggiunse la vocina piena di sonno del bello addormentato.

Derek non ne era minimamente impressionato, era come se Stiles non potesse concludere una giornata se non avesse messo tutto a posto. «Sei più tranquillo adesso?».

Le fauci del bambino si spalancarono, segno che il regno di Morfeo fosse ad un battito di palpebra. «Sta bene».

Troppo sveglio, troppo perspicace. «Eri preoccupato che stesse male?».

Stiles annuì ad occhi serrati, strofinando il viso sulla federa pulita. «Sembrava stanco, è sempre stanco. Papà lavora tanto».

Stiles non aveva voluto incontrare suo padre per un pensiero egoistico ed infantile. Stiles aveva avuto un bisogno disperato di vederlo per accertarsi delle sue condizioni, di seguire quella sensazione che l’aveva accompagnano dal momento in cui l’aveva visto per la prima volta con quelle iridi innocenti, che non conoscevano le disgrazie che la vita aveva avuto in serbo per lui. Stiles aveva voluto vedere suo padre perché sapeva che la sua presenza avrebbe fatto la differenza. «Domani andremo a trovarlo e potrai distrarlo un altro po’».

«Davvero?» chiese conferma il fagottino avvolto dalle coperte calde, accompagnate dalla temperatura alta della creatura della notte.

«Ogni tuo desiderio è un ordine, piccola volpe» le dita del mannaro scivolarono armoniosamente tra le ciocche castane del bambino, scostandole dal viso, che gli coprivano la visuale.

Le labbra di Stiles si curvarono verso l’alto al suono di quell’ulteriore soprannome e si godette le attenzioni meticolose che l’altro aveva in serbo per lui. «Perché?».

«Perché sei importante» il lupo gli scivolò accanto, distendendosi al suo fianco e sistemandosi sotto le lenzuola. Era una pratica talmente ripetuta che non aveva più nulla di nuovo o stonato.

Le grandi gemme d’ambra si mostrarono e Derek si perse senza avere la prontezza di salvarsi. «Per chi?».

«Per molte persone. Per Allison, Scott, Lydia. Per tuo padre» esisteva un elenco più lungo, avrebbe tanto voluto includervi Erica, ma lei non c’era più. «Sei importante per me».

Un barlume improvviso prese vita dalle iridi dorate, in un vortice che per un momento si era aperto, ma era sparito così com’era apparso.

Stiles gli sorrise, caloroso, affettuoso, pieno di quell’amore autentico e genuino che ogni bambino sapeva dare. «Ti voglio bene, Der» ma quello era un bambino speciale.

Il cuore di Derek fece una capriola, si gonfiò talmente tanto da temere che scoppiasse e tutto andasse in malora. Derek è buono. Derek non meritava affatto una persona meravigliosa qual era Stiles.

Gli depositò un bacio candido sul ponte del naso, scompigliandogli benevolmente i capelli di per sé disastrosi ed accarezzandogli con il pollice l’attaccatura sulla fronte. «Te ne voglio anch’io».

Mai come in quel momento avrebbe voluto stringere tra le braccia lo Stiles che gli era stato strappato per punirlo delle sue malefatte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Peter è sempre Peter, tre passi avanti rispetto a tutti gli altri. Ma immagino che in questo caso possiamo concederglielo.

Scott deve un po’ sudarsi la fiducia di Stiles, probabilmente come non gli è mai capitato, ma Allison è capace di intercedere per lui.

L’incontro tra il piccolo Stiles e lo sceriffo è sempre stato un po’ il cardine di questa storia, forse è il primo vero capriccio di Stiles, ma ne aveva disperatamente bisogno e Derek non può e non riesce a tirarsi indietro; sarebbe capace di concedergli qualsiasi cosa gli chiedesse a qualsiasi orario, tocca poi a lui gestire l’evento.

A venerdì,

Antys

   
 
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