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Autore: Duncneyforever    29/11/2018    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Impresso nei suoi occhi vi è un dolore che difficilmente si potrebbe esprimere a parole: essi sono vacui e corrono appresso ad una sequenza di scene talmente vivide nella sua mente da far sembrare vivo lo sguardo stesso. 

Ha l'attitudine di chi non ha ancora deciso cosa voler fare della propria vita, se voler vivere o voler morire e, sebbene appaia forte e vigoroso rispetto ad altri, mostra già un indebolimento psico-fisico non indifferente. 

I capelli mori sono ben tenuti, di un colore brillante e non sono infestati dai pidocchi; il suo odore è pungente ma fresco, dovuto unicamente al duro lavoro svolto in giornata, poiché probabilmente, a contrario dei prigionieri comuni, si lava ( o viene lavato ) ogni giorno. 

Suona come una cosa scontata, banale quasi, eppure non è tanto scontato il fatto che non puzzi. 

Non mi è chiaro come mai gli sia stato riservato un trattamento diverso, ma so che non vorrebbe avere questi privilegi, perché non sono affatto dei vantaggi, bensì una maledizione di cui vorrebbe volentieri sbarazzarsi. 

Preferirebbe mille volte essere sporco e invisibile, così da esser lasciato in pace dal suo aguzzino ( uno o più di uno visto che, a quanto ne so, potrebbero essere molti ). 

- Non sono autorizzato a parlarvi - ribatte a voce bassa, nascondendo il viso dietro ai riccioli neri. 

- Non temere; il permesso te lo do io... Ehm... Ma come ti chiami? Ancora non ti ho chiesto... Ah, comunque il tuo vero nome... Il numero lo vedo da me. - 

- Sono Isaac, Isaac Lebrac. - Strofina il pollice sul marchio scuro, coprendosi l'avambraccio con la manica che aveva tirato su fino ai gomiti. 

- Non mi sembra un cognome ungherese... - Rifletto, dimenticando di tenere per me le considerazioni personali. 

- Mio padre è francese. - Asserisce, non smettendo un attimo di tenere sott'occhio i soldati di ronda. 

- Ho chiesto anche ad uno di loro, quindi sei al sicuro; con me non hai nulla di che aver paura. In fondo, se non mi hanno uccisa fino ad ora con tutto quel che ho combinato, probabilmente non lo faranno mai. In ogni modo, è strano sentir pronunciare " Aisac " all'inglese; strano per un europeo dell'est, perlomeno. - Al sentirsi chiamare " europeo " mi guarda strabiliato, dritto negli occhi come il giorno in cui lo vidi per la prima volta. 

Il giorno in cui Fried mi lasciò. 

Metto da parte il dolore, chiudendo il suo ricordo in un angolo del mio cuore insieme alle memorie della mia vita prima di Auschwitz.

- Perchè volete sapere il mio nome? Noi siamo " Stücke " ( pezzi ), nessuno si interessa a noi. - 

- Questo non è vero. - Replico, sostenendo che molte persone siano, in realtà, condizionate dalla società fortemente antisemita in cui vivono e che, quindi, non siano mosse da reale odio, ma da pressanti istigazioni esterne. - Ho chiesto di te perché intendo conoscerti: prima cosa volevano quegli uomini? È crudele odiare qualcuno che soffre di suo. - 

- Pensano che io collabori con i nazisti, che li abbia venduti per un tozzo di pane. - 

- Non saresti così malconcio se lo avessi fatto; tuttavia, sei un prigioniero " speciale " e devi pur aver attirato la loro attenzione in una qualche maniera... È per la tua voce? Per quanto possano considerarti inferiore, è innegabile che tu sia un diamante. - 

- Voi mi lusingate - china il viso, non potendo credere che io mi stia davvero complimentando con lui. 

Eppure sa che sono diversa: mi ha vista prendere le loro difese quando nessun altro lo avrebbe fatto, rivolgergli la parola amichevolmente e ribellarmi contro la tirannide di Rüdiger.

Queste premesse auspicano la nascita di un sano rapporto di solidarietà, ma egli, nonostante ciò, persiste tutt'ora nel rivolgersi a me come fosse convinto della mia superiorità, o meglio, della superiorità della mia " razza " sulla sua, designata come " degenerata ". 

Le etnie umane, invece, sono miscibili, sia dal punto di vista sociale che da quello biologico e sono la prima a sostenerlo. 

Ci rimango palesemente male, anche se la colpa non è sua.

Dopo tanta fatica per imparare ad autoregolarmi, non riesco ad evitare di storcere la bocca. 

- H-ho detto qualcosa che non va? - Mi domanda, preoccupato, facendomi sentire a disagio, ancora di più di quanto già non fossi. 

- Scommetto che prima dello scoppiare della guerra eri più loquace. - Svio, cambiando discorso. - Dalla voce emergono sprazzi della tua anima. - 

- È per la mia anima che ho l'onore della vostra compagnia? - Per quanto i nazisti abbiano provato a camuffare la sua bellezza dietro ai lividi e alle escoriazioni, i suoi lineamenti maschili, delicati, emergono dalla fuliggine come una stella nel cielo buio. Sembra uno di quei ragazzi Tumblr, con il giacchetto alla mano rovesciato sulla schiena e l'espressione superba, ma spogliato dell'arroganza che rappresenta un po' tutto il sottogenere di " bei ragazzi " che sanno di essere belli.

È una persona umile e tutto mi fa presagire che lo fosse di suo, anche senza l'intervento dei nazisti. 

- Il piacere è mio - dichiaro, assorta negli occhi neri che avevo notato fin dal primo istante. 

Peccato che siano così tristi... Un vero peccato. 

Ha gli occhi stanchi, intrisi di un pessimismo di impronta leopardiana, nei quali si esprapola la sua concezione altrettanto pessimistica della vita, forse vista come un'infermità insopportabile, un ostacolo alla liberazione e il suo apparire passivo ed impermeabile ad un qualsivoglia stimolo attesta la mia ipotesi. 

- Cosa guardi - interrompo il flusso scoordinato di pensieri, mettendolo nuovamente in luce. 

- Attimi che non vivrò mai, che la guerra mi ha strappato via. - Non piange, non urla; ne parla in modo spassionato, come a volersi estraniare dal dolore. - Mio fratello aveva quindici anni, era innocente. È volato via troppo presto perché io non ho saputo occuparmi di lui, non ho saputo proteggerlo: era malato, ma era cosciente quando lo hanno portato lontano, a morire. Mio fratello è cenere al vento; non è rimasto nulla di lui, se non i ricordi che mi ha lasciato. La memoria è tutto ciò che mi resta. - Punta il Bunker 1 in lontananza, utilizzato come camera a gas, struggendosi dentro, afflitto da un male appena percepibile sul suo volto livido, ma tanto potente da distruggere quella barriera ritenuta invalicabile tra la parte umana e la parte disumana dell'uomo, capace di ogni genere di brutture pur di prevalere sui suoi simili. 

Mi riferisco al suo dolore, così grande da non poter essere rivolto a un singolo individuo o gruppo identificativo, bensì all'intero genere umano, o meglio, alla fiducia ( dettata dalla razionalità ) che aveva riposto in esso. 

- È orribile... - Faccio ricadere mollemente le braccia, pietrificata. Gli occhi pizzicano e inspiro a fatica a causa di un importante groppo alla gola. 

- Non dovete piangere per gente come noi. Siamo tutti destinati a morire, chi prima, chi dopo. - Seguo il filo del discorso, sconcertata, stringendomi il viso tra le mani e scuotendo la testa, negando d'aver sentito queste parole. 

- Non puoi saperlo - 

- signorina, non fate così... È la verità. - Non tollero più che lui sminuisca sè stesso e il suo popolo, che si consideri esattamente ciò che i nazisti vogliono fargli credere di essere: un oggetto; impiegato fin quando potrà rendersi utile," rottamato " nel momento in cui cesserà di esistere come " macchina funzionale al Reich ".

Prima che se ne possa accorgere, gli prendo la mano, stringendogliela forte per trasmettergli, anche fisicamente, la mia vicinanza. 

- Credi che mi faccia schifo? Avanti, rispondimi. - La sua mano trema, è fredda, rigida quanto quella di un cadavere. - Tu sei più di un numero. Sei umano come me, come loro. Questa guerra non durerà per sempre, Isaac: non lasciarti morire per dar loro soddisfazione. Vivi per qualcosa di più grande. Vivi per la libertà, tuo diritto inalienabile. Lui ti aspetterà; non avere fretta di andartene. Non buttarti giù! Per te non è finita ancora! - 

- Se qualcuno vi vedesse... - 

- Non importa. A me basta che tu abbia capito. - Lui risponde affermativamente, ma i suoi occhi sono una pozza informe e acquosa: mi sento stringere il cuore nel vederlo soffrire, quindi mi avvicino, scivolando sofficemente tra le sue braccia. 

Il mio tocco è lieve, tanto che in un primo momento non reagisce nemmeno, ma poi lo sento singhiozzare, alzata la testa lo vedo piangere e d'improvviso lui non è più una bambola disumanizzata, non è più un numero. 

Nonostante debba apparire forte e insensibile al dolore per evitare di essere ucciso, è un ragazzo come tutti, con una sua fragilità, che non può reagire con indifferenza alla morte di una persona cara. 

Appoggio le mani sulle sue spalle e prolungo la distanza fra noi, pur continuando a guardarlo dritto negli occhi. 

- Non chiedermi perché ho scelto te; la risposta la sai, devi solo scavare più a fondo. Se tu mi vorrai, io ci sarò sempre e mi batterò affinché questo non accada più. - Prendo tra le dita una manciata di ricci, scoprendo l'occhio nero e lo zigomo, anch'esso intaccato e del medesimo colore. - Per fortuna non è rotto; non ci vedi doppio e questo è un bene... - 

- He du! Fertig mit der ärtzlichen Untersuchung? / Ehi tu! Finito con la visita medica? - Mi allontano bruscamente, interrotta da un tedesco e dal latrato del suo cane da pastore. 

- Was habt ihr ihm angetan?! / Cosa gli avete fatto?! - 

- Nichts, was dich betreffen kann, Mäuschen. / Niente che possa riguardarti, topolina. - 

- Animale. - Commento, adirata, stufa d'esser sempre trattata come un oggetto, sottovalutata, derisa. 

Lui è " affare mio " da quando ho deciso di volerlo aiutare e, se quest'uomo sa qualcosa, sputerà il rospo e non sarà di certo quella bestiola ammaestrata che tiene al guinzaglio ad imperdirmelo. 

- Ich rede mit ihm, wie es mir passt. / Io parlo con lui quanto mi pare e piace. - 

- Und wenn ich ihn töte? / E se lo uccidessi? - 

Calma, Sara. Mantieni la calma e tutto andrà bene.

Isaac ha capito la parola " töte " e si è messo in allerta, ma non permetterò mai che gli venga fatto del male in mia presenza, a costo di fargli da scudo con il mio corpo per salvarlo. 

- Ich werde den Kommandanten Von Hebel sagen, dass du seine Richtlinien nicht beachtet hast. Ich werde sagen, dass du meinen Willen und die Macht, die er mir erhalten hat, nicht respektieren hast. / Dirò al comandante Von Hebel che non hai tenuto conto delle sue direttive. Dirò che non hai rispettato la mia volontà e il potere ( nel fare ) che lui mi ha conferito. - Il soldato soffoca una risata nervosa, mentre io esibisco il sorriso più angelico che le mie labbra abbiano mai conosciuto. 

Persino lui lo giudicherebbe adorabile, se non lo avessi appena minacciato. 

Passa oltre, ignorandoci, lasciandomi il tempo per salutare il riccio come si deve. 

- In caso non sia riuscita a convincerlo del tutto, me ne occuperò personalmente, anche se non penso proprio che verrà ad infastidirti. Comunque io sono Sara e, quando non ci sentirà nessuno, potrai chiamarmi così. Basta " voi "; è obsoleto e noi siamo giovani! - 

- Spero di rivedervi... Ti... Di rivederti. - Mi dice, asciugandosi le ultime lacrime dal viso. 

- Lo spero anche io. - Dopodiché, si dirige di nuovo verso il gruppo, tornando a lavorare assieme agli altri. 

Mi sento responsabile: resterei tutto il tempo a sorvergliarlo, ad assicurarmi che non venga trattato brutalmente, ma mi sono prefissata un'altro obbiettivo per oggi, e non posso trascurare Maxim dopo ciò che ho promesso ad Ariel. 

Tornerà in serata e ho ancora molto da aspettare, quindi cosa potrei fare nel frattempo? 

Escludo la possibilità mettermi a conversare con qualcuno per ingannare il tempo: i soli candidati sono crucchi e credo che, a prescindere, non abbiamo per nulla voglia di intrattenersi con me. 

Aspetto isolata, con l'orecchio vigile, prestando attenzione al più piccolo suono. 

Se qualcosa andrà storto, interverrò io. 

Non ho paura di loro. 

I miei sono buoni propositi, tuttavia, il clima è insolitamente calmo, il che mi fa insospettire: mi sporgo verso l'esterno, protetta dalla parete laterale del Block, e do una rapida occhiata... Appena il tempo di ruotare il capo che il comandante mi appare subito nel suo stato più pauroso, flemmatico e imperturbabile, come fosse avvolto dal manto nero della morte. 

Incontro i suoi occhi chiari, visibili da metri di distanza e mi schiaccio a ridosso della parete, stringendomi la maglia all'altezza del petto, sentendo il cuore ticchettare infiniti battiti al minuto. 

Mi avrà vista? 

Magari no; magari mi sono mossa prima che lui potesse riuscire ad accorgersene. 

Sì, dev'essere senz'altro così... 

Ma che dico! Quello guardava proprio da questa parte! Guardava me! 

Oh mamma... Avrà scoperto quello che ho fatto? 

Scappo, sì sì adesso mi defilo e poi farò finta di non esser mai venuta qui; 

" eh, l'età gioca brutti scherzi! " Può capitare a tutti di avere qualche acciacco, ogni tanto. 

Mi crederà di sicuro. 

- Ti avevo chiesto una cosa, una cosa soltanto. - Mi ritrovo a fissare i suoi anfibi impolverati e il mio alibi cade ancor prima di poter dar fiato alla bocca. 

- Beh, ma non era un ordine - contesto, alzandomi dalla posizione scomoda in cui mi trovavo, facendo scrocchiare le vertebre con una torsione del busto. 

- Hai pianto? - Strofino i polsi sulle palpebre, cercando inutilmente di non dargli quest'impressione. - Mi sono trattenuta. - Rispondo, fiera di essermi risparmiata un altro bagno di lacrime. 

- Perchè sei qui? - A buon ragione, mi reputa irresponsabile, ma tiene troppo a me per rimproverarmi d'esser stata altruista. 

- Non ti mentirò: volevo vedere qualcuno. Innanzitutto, ho ritrovato Zeno, il mio amico tornato da Berlino; successivamente, ho parlato con un ragazzo che, già da tempo, intendevo conoscere più da vicino e sono ancora dell'opinione di voler aspettare Maxim, il fratello di Ariel. - 

- È ebreo quel ragazzo? - Mi domanda, quasi non avesse sentito il resto del discorso. 

- Sì e penso tu l'abbia già visto: ha i capelli ricci, è ungherese e non ho capito cos'abbia fatto di male per venir seviziato ogni giorno. Lo hai visto, poveretto? Lo hai visto da vicino? Lui non ha neanche la possibilità di consumarsi pian piano, perché voi lo state già facendo per lui. - 

Reiner resta interdetto; ammutolito. 

Mi scaldo con tanto fervore per un giovane di cui so a malapena il nome, e lui non sa come prenderla; se arrabbiarsi furentemente o lasciar correre, tanto gli sembra assurdo che io lo consideri importante. 

Mi guarda con sconcerto, anche lui chiedendosi come mai, tra tutti, io voglia prendermi cura proprio di quel ragazzino infelice. 

- Non voglio che tu veda quell'ebreo. - Apro bocca per oppormi, ma vengo interrotta al primo accenno di ribellismo. - Hai pensato a quel che direbbero di me se ti lasciassi agire in completa autonomia? Scontrarsi con un soldato per salvare la vita ad uno di loro non è contemplabile! Hai interferito in un momento in cui nessuno lo stava aggredendo; ti rendi conto di quello che hai fatto?! - 

- Reiner ti prego! Non ha fatto niente; io l'ho letto nei suoi occhi che non ha fatto niente! Non posso vederlo soffrire... - 

- Infatti non devi vederlo! Non mi piace saperti infelice a causa di quegli esseri. - 

Ho paura di aver sbagliato a confessarglielo.

Non l'ha presa bene, anzi, l'ha presa decisamente male. 

- Se gli accadesse qualcosa ne morirei... - Lui sgrana gli occhi, zittendosi, ed io colgo al volo l'occasione per far valere le mie ragioni, consapevole di star mettendo a dura prova i suoi nervi. - Se mi ordinerai di non vederlo più, rispetterò il tuo volere, ma ti prego, ti prego non fargli del male... Io mi sono avvicinata a lui, io ho gli fatto una promessa che, sapevo, sarebbe stata difficile da mantenere. Se devi prendertela con qualcuno, prenditela con me, punisci me, non lui. - Appoggio la fronte sulla sua divisa, chiudendo gli occhi, sapendo che il bagnato, sul tessuto scuro, si sarebbe visto meno. 

Addendo il labbro, tremando, aggrappandomi con una mano alla sua uniforme; gemo sommessamente, nel dolore, frenando l'ascesa del pianto che lo avrebbe inzuppato. 

Lui mi tocca il viso con due dita, trovando la superficie della guancia umida e calda. 

- Sono io a farti piangere - rialzo di poco la testa, stropicciando gli occhi.

Il dolore! quale sublime forma di comunicazione umana! Trasmetto i miei sentimenti molto più profondamente e nemmeno il cuore indurito di Reiner può accettare di vedermi così abbattuta, triste e malinconica. 

Non per questo, tollera la totale disfatta. 

- Non lo punirò per averti rivolto la parola, ma non ti consentirò più di aggirarti per il campo in mia assenza. Dovrai girare alla larga da Auschwitz e, solo se accetterò di accompagnarti, in un giorno da me prestabilito, potrai rivedere quel giudeo. - I suoi occhi spiccano per severità; si posano su di me, fermi, freddi, quasi in collera. - E non parlo dell'ungherese. Sono già troppi gli " Untermenschen " con cui ti relazioni. Non posso tollerare oltre. - 

- Ma Reiner... - 

Il buio dell'anima. 

Superbo, mi respinge e, con un leggero colpo, fa risuonare la pelle del mio viso contro quella sintetica del suo guanto. 

È stato solo un tocco: non ho sentito nulla, perché lui non voleva nuocermi, eppure mi è suonato come uno schiaffo. 

Il silenzio è il riflesso della mia delusione. 

Il suo cuore non è mio, è del Reich. 

La sua devozione non è volta a me, è volta al Reich. 

Invece che condurmi da Max o riportarmi indietro da Rüdiger, decide di fare di testa sua, delegando altri affinché si occupino dell'ispezione dei reparti rimasti.  

I privilegi legati all'antica nobiltà iniziano a disgustarmi... Ma il partito nazionalsocialista non nasceva come un movimento di stampo operaio? 

Non smettono mai di contraddirsi, questi nazisti! 

- Dove stiamo andando? - Mi sembra legittimo saperlo, visto che ci stiamo dirigendo all'esterno, verso la sua auto. 

Ancora una volta, mi è impossibile restare indifferente davanti a tanta indigenza: cammino qualche passo addietro rispetto al biondo, rallentando per guardare i prigionieri al lavoro, costretti ad incrementare il ritmo sotto lo schiocco della frusta e intimati a fare di meglio dopo aver ricevuto bastonate sulle costole. 

Nonostante sia tardo pomeriggio, fa caldo al campo e, dopo ore ed ore trascorse sotto il sole cocente, sono tutti visibilmente stremati. 

Gocce di sudore accentuano il loro evidente stato di malnutrizione, in stadio iniziale o avanzato a seconda della permanenza più o meno lunga all'interno del lager. 

Impressionante è la volontà di alcuni " musulmani " di sopravvivere, il cui spirito si nutre ancora di speranza, nonostante il corpo sia già divorato dall'anoressia. 

Si distingue lo scheletro, ogni osso è spaventosamente in rilievo: non c'è grasso e la copertura pallida che lo riveste non è più elastica come un tempo; appare fragile, come se si potesse strappare da un momento all'altro.

Reiner mi porta via di peso, facendomi raschiare il terreno con le scarpe e piegare malamente le caviglie ad angolo retto. 

Aveva già notato questa mia particolarità; normalmente la tibia si sarebbe fratturata ma, il mio, è un discorso diverso. 

Io sono flessibile quanto le bambole con cui giocavo da bambina e Reiner non teme di rompermi. 

Ho troppo senso di ciò che ho visto per reagire. 

Vedere come delle persone siano costrette a negarsi la sofferenza per tirare avanti, è troppo per me. 

Appassirei interiormente se non mi fosse permesso di sfogarmi, di piangere, di manifestare il dolore.  

- Lontano. Hai bisogno di cambiare aria. - Mi raddrizza, tirandomi in piedi, rassettandomi la maglia. 

- Io non voglio andarmene. - 

- Hai intenzione di distruggerti? - 

- Ho intenzione di recuperare la sensibilità che ho perso, perché a forza di sentirmi dire: " è inutile, non ci riuscirai mai ", finirò per crederci... E non posso permettere che voi, macchine umane, vi frapponiate tra me e i miei obbiettivi. - 

 

 

 

 

  
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