Anime & Manga > Mo Dao Zu Shi
Ricorda la storia  |      
Autore: laNill    30/11/2018    1 recensioni
Nie Mingjue è cambiato. E' impazzito.
Lo guarda negli occhi e vede il baratro in cui è caduto e in cui lui -suo fratello minore- non può (non riesce) raggiungerlo. Lo ascolta parlare e sente solo rabbia nella sua voce, ritrova parole di suo padre, la stessa sete di vendetta, la stessa inarrestabile follia omicida che aveva rischiato di spezzare in due la famiglia.
Lo abbraccia, trattenendo a forza le lacrime, tanto da non riuscire a respirare per il dolore con cui le ricaccia indietro.
C'è qualcosa di spaventosamente nuovo in suo fratello, qualcosa di diverso, morboso e viscerale, una rabbia feroce che gli fa paura e lui non è sicuro che riuscirà a farlo tornare quello di un tempo.
[ Nie MingJue/Nie HuaiSang | Nie Brothers ]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nota: SPOILER per chi non ha letto la novel. Uomo avvisato, mezzo salvato. 
Cammina sul filo dell'incest, ma non è così palese da urtare qualche animo, state sereni (più o meno).

E c'è angst. Sono arrivata a quel punto della storia e devo soffrire ancora di più.  




 
Potrei abituarmi alle lacrime, se ho te.
 

 
Nie MingJue aveva otto anni quando conobbe suo fratello.
La donna che aveva concepito un figlio da suo padre aveva dato alla luce un secondo maschio, ma appena lo vide fu certo che gli fosse stato detto il falso - nulla era meno dignitoso per un uomo dell'avere i capelli intrecciati di margherite, e un viso tanto (troppo) delicato.
Aveva grandi occhi scuri cerchiati di rosso, si guardava attorno tenuto per mano dalla tata con quell'esiguo seguito di domestici.
Si vedeva che avesse pianto. Aveva persino paura a guardarlo negli occhi.
«Sei una femmina.» fu ciò che gli disse.
Quando se ne uscì con quell'affermazione con lo strascico di un interrogativo e di un'accusa, li alzò verso di lui. Non se l'aspettava, probabilmente non aveva neppure capito. Forse gli fece paura lo sguardo che gli rivolse.
Un fremito scosse il labbro inferiore, la mano piccola strinse quella della tata che si sbrigò a chinarsi per consolarlo; per un momento pensò - sperò - che stesse per rispondergli.
Lo vide stringere quella mano con tutta la forza che poteva esserci in quel corpicino così piccolo, le sopracciglia arcuate tra la vergogna e lo sconforto.
Il pianto che ne uscì fuori si riversò su di lui come un valanga, infastidendolo.
Lui aveva quattro anni, e già percepiva che quelle lacrime salate se le sarebbe portate dietro - come un ricordo triste.
 
Si dovette abituare in fretta, Nie HuaiSang.
Erano più le costrizioni che i privilegi ad attenderlo nella casa paterna, lontano dalla calma pacifica e serena in con cui era stato viziato nella residenza di sua madre, tra le campagne del sud.
La negazione 'non' era quella che si sentiva ripetere più spesso di quanto riuscisse a sopportare o capire, per i suoi sei anni scarsi. Quel 'non' era la parola d’ordine di suo padre, la legge che ogni domestico in quella casa aveva il dovere di far rispettare ai piccoli eredi.
Non camminare a quel modo, alla stregua di un villico; raddrizza la schiena.
Non piangere, sono le donne e i deboli a farlo.
Non ridere troppo, sembri un folle o uno scemo.
Non tralasciare gli studi, alla tua età gli altri hanno già creato il loro nucleo. Combatti come un toro, non come un vigliacco!
HuaiSang si era ritrovato rinchiuso in una rigorosa gabbia di restrizioni e doveri. Gli era stato negato ogni permesso di vivere la propria infanzia, ed in cambio avrebbe imboccato una via di rettitudine e virilità che suo padre, sapeva, avrebbe apprezzato una volta cresciuto. Ma alla sua età, con un animo come il suo, la curiosità era un rigagnolo di fiume deviato dall'uomo che, al minimo accenno di acquazzone, si gonfia e straborda dagli argini nei quali era stato costretto.
Ciò che gli impediva di agire era la vigliaccheria che aveva iniziato a manifestare spesso e volentieri. Aveva paura dei rimproveri dei domestici, e ancor di più di incappare negli sguardi di disapprovazione di suo fratello maggiore.
Sentiva di essere odiato da lui, più che da chiunque altro.
Ma la mente di un bambino non ha paura di niente fintanto che si sente libero di poter fare ciò che vuole, e una sera, attirato dai mulinelli di foglie che danzavano oltre la finestra del salone, dove il giardino interno si apriva in un rettangolo, HuaiSang si lasciò vincere dalla curiosità e uscì.
L'erba nuda gli solleticava i piedi nudi.
Faceva freddo ma era più interessante il vedere le foglie rincorrersi e lo sfarfallio di una libellula accanto all'orecchio o il verso di una civetta che cercò di capire da dove provenisse.
L’ombra giunse con lo scricchiolare di foglie secche. Un brivido di terrore gli attraversò la schiena, gelandogli il sangue. Tremò, troppo terrorizzato dal girarsi e vedere chi fosse.
Si avvicinava, ne percepiva la presenza, i brividi a rizzargli i capelli e sfarfallare il Qi nelle vene.
Quando l’ombra e i rumori furono tanto vicini da poter sentire la sua presenza ad un soffio da sè, HuaiSang non riuscì più a trattenersi.
Rannicchiato a terra, la testa stretta tra le braccia, dimenticò un'altra regola di suo padre: urlò e pianse.
«Smettila di piangere.» Gli intimò per la settima volta l'ombra, ora rischiarata dal fuoco della candela ad olio della stanza. MingJue lo guardava torvo. «Ti serva da lezione, non devi uscire di notte. Non sei nemmeno in grado di difenderti, cosa pensavi di fare!?»
Il bambino tirò su col naso, il visino impiastricciato di lacrime e muco. Gli occhi erano ancora gonfi e grandi, dalla piega triste.
«..oglie..»
«Eh? Parla più forte!» lo rimproverò il maggiore emulando il tono che suo padre usava con lui.
Il bambino incassò il capo tra le spalle ancora scosse dalla paura; non l'aveva ancora mai guardato in faccia. Si limitava a spostare gli occhi spaventati sulle assi di legno della stanza da letto.
«..Ho.. r-rincorso le .. foglie..»
In un primo momento sperò di aver capito male, poi la consapevolezza trasformò la sua espressione accigliata in una contrazione irritata del viso infantile.
«Ridicolo! Sei già abbastanza grande per queste cose. Se sei così entusiasta di uscire di notte contravvenendo al coprifuoco, dovresti essere già in grado di alzare una sciabola! Invece va a raccogliere le foglie, come una ragazzina.»
HuaiSang tremava, seduto in ginocchio di fronte a lui. Si rese conto con una punta di sorpresa, MingJue, che nell'uscire all'esterno dell'edificio non aveva avuto timore nè dei rimproveri nè tanto meno di incappare in qualcosa che avrebbe messo in pericolo la sua vita. Era stato incauto, incosciente oltre che stupido; ma un ronzio alla base della nuca gli suggerì che non aveva avuto paura, non aveva temuto la notte, l'oscurità, il pericolo. In quell'incoscienza infantile, c'era un barlume di coraggio sprezzante del pericolo.
Suo fratello non era così inutile, dopotutto.
(Della notte non ha paura, ma di me sì.)
«Non lo dirò a nostro padre.» Affermò.
HuaiSang levò gli occhi (finalmente) nei suoi. La paura li rendeva più grandi (e belli) e innocenti, uno sguardo soffuso di speranza. «Se lo sapesse, ti castigherebbe più di quanto potrò fare io. Te lo meriteresti,» borbottò.
Di tutta risposta, lui gli sorrise. Le labbra si stirarono incerte in un sorriso nervoso che aveva ancora la tensione di un rimprovero.
«Grazie..» fece per ricercare la parola più giusta; la sapeva, aveva sempre desiderato pronunciarla nonostante non avesse mai avuto l'opportunità - o il coraggio. «Fratello.»
MingJue non sapeva come si chiamasse quella sensazione che gli crebbe nel petto. Sembrò simile all'orgoglio che provava nell'essere lodato da suo padre, ma era più strano - felice.
Si sgrullò di dosso quella sensazione in un moto contrariato.
«Ma devi prenderti le tue responsabilità. Ti allenerai con me, sarà io a visionare i tuoi progressi; e non ci andrò leggero.»
Il sorriso nel viso del minore si crepò, l'ansia a inghiottire le iridi. Ma lo sguardo rimase levato sul suo.
«S-si..»
 
Le voci si rincorrevano, pregne di acredine e veleno.
Sussurri l'avevano raggiunto pur tra i fendenti della propria sciabola nel campo di allenamento e i sudori cocenti della fatica.
ti ruberà il titolo,
è figlio di un'altra donna, vorrà essere lui a capo del clan,
Affondo, dopo affondo, il sole baluginava in barbagli accecanti di luce, scivolando sulla curva perfetta del metallo dell'arma. Un piede a terra, il busto a roteare, e l'arma che calva, fendendo - spaccando - l'aria.
una volta cresciuto potrebbe ucciderti, si insinuavano tra i sibili della propria sciabola
Lo infastidivano, lo irritavano, gli facevano salire il sangue al cervello.
«Ah!» un urlo graffiato si alzò alle sue spalle.
Seppe a chi appartenesse prima ancora di voltarsi. Era finito pancia a terra, il terreno compatto ed erba rada a premergli contro la guancia, il polso precariamente piegato in una angolo tale ad potersi spezzare ad una minima pressione. Il peso della sciabola era troppo grande e HuaiSang era caduto all'ennesimo movimento.
‘Come se riuscisse seriamente ad attentare alla mia vita’ pensò tra sè. ‘Neppure è in grado di tenersi in piedi.’
Questo si drizzò in fretta da terra, lanciando sguardi rapidi nella propria direzione per paura che potesse rimproverarlo – cosa che avrebbe fatto di lì a poco. Si diede una sgrullata alle vesti, tenendo stretta l’arma, indugiando un sorriso nervoso, teso.
Come se si aspettasse un rimprovero, che puntualmente arrivava.
Si chiedeva come potesse scorrere lo stesso sangue rozzo e ferale dei Nie in quel corpo così piccolo ed esile dando vita ad un animo così spaurito.
Notò quanto maldestro fosse con la propria sciabola. Instabile, non era in grado di tenerla, faceva resistenza, il suo stesso corpo non era in grado di sopportarne il peso. Gracile, poco propenso allo sforzo fisico, i suoi occhi sembravano sempre pieni di colori così tanto diversi dal fuoco che bruciava nei propri.
Erano occhi che ispiravano protezione, vulnerabilità, fors’anche pigrizia di sicuro.
Con un fratellino del genere, quei pettegolezzi non furono altro che cenere.
 
Suo padre era rimasto ferito.
Durante una caccia notturna, le corna di una bestia gli avevano perforato l'addome frantumandogli l'armatura e mandando in pezzi la sua sciabola. Sciabola che aveva resistito a tutto, persino all'impatto devastante con le rocce più dure e alle zanne di demoni implacabili, quella notte l'aveva tradito.
Quella notte, e tutte le altre che seguirono, furono per HuaiSang colme di angoscia e terrore.
Non aveva mai visto suo fratello nello stato in cui l'aveva veduto al loro ritorno; il sangue gli insozzava le vesti nere, schizzi cremisi si erano seccati sul viso e le mani ne erano piene. Le aveva tenute premute con forza sulla ferita per tutto il tragitto a casa, imponendo che si chiudesse infondendo ogni fibra della propria energia.
Era stravolto.
Nelle profondità dei suoi occhi c'era la rabbia sconcertata per un'impotenza che non accettava. Si impediva di credere a quello che tutti avevano visto - la caduta di un uomo ai suoi occhi invincibile.
La veggente e gli uomini chiamati per le sue cure avevano decretato che non si poteva fare nulla. Il suo Qi rimaneva stabile, ma incerto, troppo precario per osare fare altro.
Il suo nucleo vitale era stato ridotto in frantumi ed era a repentaglio tanto quanto lo era la sua vita.
Bisognava aspettare.
MingJue non era paziente. Irruento, smanioso di agire - per settimane era stato intrattabile.
Il parlare troppo gli provocava fastidio, durante le lezioni imponeva regimi d'allenamento tanto duri da poter sputare sangue, a tratti devastanti, e chi non riusciva a stargli dietro veniva punito; spesso il cibo gli risultava insipido, trovare qualcosa che lo compiacesse era un miracolo e chiunque, se poteva, evitava di incrociare la sua strada.
Da settimane non era più riuscito a parlargli; da quella notte in cui gli aveva visto negli occhi per la prima volta una vulnerabilità straziante.
Spesso HuaiSang vegliava al capezzale del padre.
Entrando nella camera, veniva subitaneamente accolto dall'odore intenso d'incenso e di medicinali. Alcol e vino, qualcosa di dolce, e pesante. C’era odore di morte, in quella camera, netto e indistinguibile. 
Osservava il viso severo e solenne di suo padre pur nel sonno gravoso in cui era caduto e scorgeva un uomo diverso da quello che era solito incutergli timore. La malattia poteva non aver turbato il disegno fiero dei suoi lineamenti, le labbra dalle piega dura e lo sguardo di ferro. Ma per certo l'aveva sfiancato, invecchiato. Occhiaie profonde solcavano la palpebra inferiore, la durezza degli zigomi stava fluendo via; lentamente, quella forza fiera e imponente che era solito avere, lo stava abbandonando.
E quella forza fluendo via, avrebbe portato via anche lui.
Quel pensiero gli strinse il petto in una morsa troppo forte e dolorosa.
Non piangere, non piangere, si ripeteva, non devi piangere.
Si chiudeva le porte della propria camera quando il dolore diventata troppo grande da non riuscire a gestirlo. Non era mai riuscito a gestire quella parte di sè.
(cosa sei, una femmina che non riesci a non piangere?)
Le gambe avevano ceduto, in ginocchio di fronte ad un tramonto freddo, le lacrime pungevano gli occhi minacciando di uscire. E non valevano a nulla quanto forte stringesse le dita, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani; a undici anni, si vedeva sottrarre un padre con la stessa facilità come cui gli era sottratta sua madre anni prima.
Stette in silenzio non seppe per quanto. Percepì i passi pesanti rimbombare sulle assi di legno dei corridoi, ma sussultò ugualmente per l'improvvisa rapidità, quando le porte venero sbattute e aperte - tanto da sentire il legno minacciare di spaccarsi.
«HuaiSang, non mi pare di averti dato il permesso di oziare e saltare gli allenamenti!» La voce di suo fratello era un ruggito rabbioso.
Benchè lo spaventasse terribilmente quando era di quell'umore così nero, dovette impedirsi di non voltarsi e mostrargli che stesse sull'orlo delle lacrime. Rimase in ginocchio, dandogli la schiena.
«Non.. mi sento bene, fratello. Permettimi di riposare, oggi.»
«Non incanti me come hai fatto con i domestici. Esci fuori!» Gli intimò, rabbioso.
«Davvero, non riesco-»
«Rimarrai sempre un incapace se continui così. Non ho intenzione di farti diventare un rammollito; o esci subito o ti prendo con la forza!»
Gli camminò incontro, i piedi che impattavano duri contro il pavimento.
«Ti prego..» Un singhiozzo sfuggì al contegno, e i passi si fermarono di colpo.
Riconosceva quell'intonazione, MingJue, quel modo che avevano le sue spalle di incurvarsi come se stesse accartocciandosi su sè stesso. Non che ci volesse molto per accorgersene che suo fratello minore stesse piangendo. Ma il constatarlo gli fece male.
«Stai.. piangendo.» Non era una domanda.
HuaiSang non rispose. Ebbe un sussulto. Stringeva spasmodicamente le ginocchia, la pelle del colore del gesso.
Suo fratello continuava a non parlare. Il silenzio gli gravava addosso come un’ombra e gli parve di vedere il baluginio di una lacrima solcargli il viso.  Più lui non parlava, più, paradossalmente, lui si sentiva in dovere di farlo. 
«Sei stato da nostro padre?» Non voleva saperlo, nessuno osava parlare del capo setta in sua presenza per sua precisa volontà. Con suo fratello era diverso. Era sempre stato tutto diverso con lui.
Annuì con la testa, chiuso nel suo sforzo di non scoppiare.
Per la prima volta, Mingjue non sapeva cosa fare. Dopo attimi che parvero secoli, fu lui a parlare.
«Cosa.. Cosa faremo se dovesse-.. se nostro padre non si sveglierà più?»
MingJue strinse i pugni. «.. Quello che accade sempre. Dovrà essere sostituito.»
«Non intendevo questo..» Lo corresse, la voce spezzata dall'insofferenza.
Chi veglierà su di me? Chi ci sarà, quando tu sarai troppo impegnato a fare il leader?
Suo padre a malapena lo aveva mai degnato di uno sguardo, si allontanava da casa per giorni, settimane - talvolta mesi - per una sete di sangue che non comprendeva. Suo fratello avrebbe finito per fare la stessa cosa.
«..Non voglio che muoia..» mormorava, pareva parlasse tra sè. «Non voglio che se ne vada.. come- come ha fatto la mamma..hn-» poi qualcosa si frantumò: la sua voce.
E a MingJue sembrò crepargli l'anima.
«Stammi a sentire.» Lo raggiunse in fretta, con movimenti che non sentiva stabili, e si inginocchiò di fronte a lui prendendolo per le spalle, scuotendolo rude.
Lo fissò, cercando il suo sguardo, e quel che vide fu l'ambra degli occhi farsi liquida, le labbra contrarsi così forte da diventare bianche per cercare di non lasciar uscire tutta quell'acqua che premeva per fluire fuori. Era molto pallido. La luce del tramonto parve affievolirsi attorno a lui. «Staremo insieme. Ci sono io qui con te, non permetterò che ti manchi nulla, veglierò io su di te.»
Un singulto scosse il corpo esile che sentiva sotto le mani, percorso da tremiti che non cessavano. I muscoli erano contratti in spasmi dolorosi per quel suo tentare in tutto i modi di reprimere le lacrime di fronte a lui.
Era così indifeso, così piccolo a confronto con la propria corporatura. Ispirava un senso accorato di protezione, di essere racchiuso tra le proprie braccia e di essere confortato.
«Ma tu-» pigolò.
«Non preoccuparti per me, io sono forte. Sono già troppo occupato a preoccuparmi per te. Fidati di quello che dice tuo fratello.»
HuaiSang non riuscì più a tenersi tutto dentro.
Il pianto eruppe in un gorgoglio sofferto contro la gola, il corpo che, senza forze per restare diritto, si accartocciava. MingJue lo sorresse prima di vederlo accasciarsi al suolo.
Una mano, piccola, afferrava spasmodica la sua veste. Affondò il volto nella stoffa, contro il suo petto; avvertì il respiro accelerato, gli echi dei suoi singhiozzi. Lo stringeva con la stessa forza che lui aveva usato per tamponare la ferita di suo padre. I singhiozzi strazianti di suo fratello gli laceravano l'anima, lo chiamava come ad implorarlo di restare con lui.  MingJue lo strinse forte, come non faceva da anni, come non aveva mai fatto neppure da bambini. Sentì la stoffa impregnarsi delle lacrime di suo fratello, sentì il suo dolore oltrepassare i vestiti; lo sentì come se fosse il proprio e forse lo era veramente. 
Chiuse gli occhi, e pianse con lui.
 
 
I ventagli erano la sua più recente scoperta, e il suo più grande diletto.
Non c'era un motivo, gli piacevano terribilmente. Lo appagavano tanto quanto il suonare uno strumento o l'affinare l'arte della spada.
Le forme a semicerchio potevano assumere le colorazioni più varie e brillanti, la carta di riso si ripiegava a fisarmonica nell'asse che le due stanghette di legno creavano, aprendosi in senso opposto. Erano una forma di arte anche quegli oggetti apparentemente futili e frivoli.
Poesie erano trascritte su quei ventagli, citazioni, pensieri brevi che, una sera, il secondo fratello, Zewu-Jun, aveva letto con piacevole stupore.
Diversa era stata la reazione di MingJue.
Aveva sbuffato con il suo solito grugno incarognito di un orso svegliato in anticipo dal proprio letargo. Diffidente e sprezzante, lo aveva ammonito di lasciar perdere quelle cose da donna, impegnandosi invece a migliorare nella coltivazione e nell'usare la propria sciabola.
Spesso minacciava di bruciargli tutto quando era di umore assai più nero, ma non aveva mai varcato la soglia della sua camera con quell'intento.
Per HuaiSang servivano anche come distrazione da ciò che stava accadendo attorno.
Presagiva la guerra come una cappa. Gli animi erano inquieti, i silenzi carichi di snervante attesa. La sentivi nelle ossa, in ogni fibra nervosa che si tirava al minimo soffio di vento o allo sbattere più forte delle porte.
I rapporti erano tesi tra le sette, diffidenza e acredine fluivano nell'inchiostro di dispacci che i servi correvano a portare a destra e a manca, da una regione all'altra.
Tutto, pur di aumentare le fila di uomini da mandare contro il clan Wen.
«Il capo clan Nie è ritornato.» Gli rese nota una domestica, porgendogli il ventaglio che aveva richiesto.
Percorse i corridoi prendendosi tutto il tempo, nascondendo il ventaglio nelle maniche che poi si chiuse dietro la schiena.
Raggiungendolo, aumentò il passo.
«Bentornato, fratello!» Sorrise, uno stirare timido di labbra.
Quello borbottò un saluto a mezza bocca, atterrando dalla sua sciabola e lanciando l'armatura al proprio attendente mentre avanzava con passo pesante negli ambienti d'ingresso. «Com'è andata? Novità?»
«I Wen non arretrano. Palloni gonfiati, credono di avere ogni setta ai loro comandi. E' arrivato Xien Ni?» Era uno dei discepoli più grandi, e la domanda la rivolse agli uomini alle sue spalle. Ancora non era ritornato.
«Si stanno muovendo più a nord. Ancora un pò e raggiungeranno i confini del Qinghe. Ammazzerò chiunque oserà farlo. Bestie insolenti.»
HuaiSang rabbrividì.
I suoi compagni avevano preso parte alla campagna senza pensarci due volte, anche lui avrebbe dovuto e quel pensiero gli fece gelare il sangue. Il suo livello di coltivazione non era al pari di Jiang Cheng, che pure non aveva avuto scelta e aveva preso le redini del suo clan alla sua giovane età, men che meno di Lan Wangji; gli era stato detto che combattevano come leoni, con coraggio e fierezza. Lui non poteva vantare la stessa tempra nè le stesse abilità.
(Un buono a nulla.)
Si strinse nelle spalle.
«Fratello.. posso venire con te, se me lo permetti..» osò proporre.
La camminata sostenuta si interruppe di colpo. Lo sguardo che MingJue gli rivolse faceva trapelare una contrarietà attonita. «Assolutamente no.» Rispose, come se fosse ovvio.
HuaiSang lo guardò accigliato.
«Tu andrai via da qui, il Regno Impuro è troppo pericoloso se non si riuscisse ad arginare l'avanzata dei Wen. XiChen mi ha mandato degli emissari che ti scorteranno: andrai a Gusu con loro.»
Parole lasciate uscire così tanto rapidamente da non sapere come reagire.
Lo guardava, in silenzio, le iridi che lentamente si aprivano, la consapevolezza a baluginare nelle pupille.
«Non voglio andare via da qui-»
«Tu farai quello che dico io!» Abbaiò, facendolo sobbalzare. Il ventaglio cadde dalla manica in un rumore sordo. Lo sguardo di MingJue lo intercettò, un lampo gli baluginò nello sguardo duro mentre lo recuperava. «Sempre questi stupidi aggeggi; prima o poi ti brucerò la camera!»
Invece di gettarlo a terra, glielo rese afferrandogli la mano in un gesto rude e spicciolo, facendogli male.
Gli parlò, questa volta con meno rabbia ed esasperazione nella voce.
«HaiSang, se muoio io deve esserci qualcuno a capo del clan.» Sentì il minore dei due trattenere un fiotto d'aria.
«..Cosa dici..?»
«Esporti al fuoco nemico mi renderebbe vulnerabile e mi preoccuperei in ogni momento della tua salute, e non posso permettermelo. Devo assicurarmi che tu sopravviva. Va a Gusu, e rimani al sicuro.»
Dovevano essere frasi atte a tranquillizzarlo e confortarlo, invece gli facevano crescere un terrore cieco che si riflesse negli occhi tremuli.
Con un gesto che voleva essere più gentile possibile, gli passò una mano in una carezza ruvida sul viso, saldando la presa col retro della nuca, afferrando parte dei capelli. Lo guardò fisso e HuaiSang sperò di poterli vedere sempre così i suoi occhi - fieri, sfrigolanti di un fuoco feroce, infondendogli una sicurezza incrollabile.
«Nemmeno un branco di tori mi farà tirare le cuoia, quei cani dei Wen assaggeranno la punta di Baxia. Tuo fratello ritornerà vincitore.» Ghignò, un stirare sfacciato e feroce della bocca.
Ci credette, a quello sguardo, a quel sorriso sfrontato, alla forza che la sua mano gli infondeva.
Annuì, con il sapore acre di un pianto mai versato.
 
#
 
Nie Mingjue è cambiato. Si è perso. E' impazzito.
Lo guarda negli occhi e vede il baratro in cui è caduto e in cui lui -suo fratello minore- non può (non riesce) raggiungerlo. Lo ascolta parlare e sente solo rabbia nella sua voce, ritrova le parole di suo padre, la stessa sete di vendetta, la stessa inarrestabile follia omicida che aveva rischiato di spezzare in due la famiglia.
Quando l’insofferenza è insostenibile, lo raggiunge in camera usando come scuse le più banali e infantili - la paura del buio, la mancanza di suo padre, l'insonnia, la solitudine. Lo abbraccia, trattenendo a forza le lacrime, tanto da non riuscire a respirare per il dolore con cui le ricaccia indietro.
C'è qualcosa di spaventosamente nuovo in suo fratello, qualcosa di diverso, morboso e viscerale, una rabbia feroce che gli fa paura e lui non è sicuro che riuscirà a farlo tornare quello di un tempo.
 
«FRATELLO!» la sua voce gli spezza il fiato, ansante, quando arriva nei giardini della residenza LanLing, dove sapeva trovarlo. «Fratello! Sono io, HuaiSang, tuo fratello- .. Guardami, guarda me!»
E' impazzito dalla rabbia, la follia gli trasfigura il viso, gli occhi iniettati di sangue e ferocia. Baxia fende l'aria quasi a volerla spaccare, falciando chiunque si trovi sulla propria strada.
L'impatto di un fendente squarcia, vibrando, una colonna di legno, raggiungendolo pur a quella distanza di venti passi e ferendolo al braccio.
Mani gli strattonano la veste per tirarlo indietro, ma lui prosegue. Gli corre incontro, il terrore a spalancargli lo sguardo attonito.
C'erano troppi volti, troppe lame puntate su di lui.
«Fratello!!»
Riconobbe quella voce pur nel ronzio sibilante, al di là del sangue che denso si era coagulato nelle tempie in un tamburo ovattato.
HuaiSang.
La nebbia cremisi che gli offuscava la vista parve diradarsi, sfilacciarsi. La rabbia parve abbandonarlo quando, tra le coltri spesse di quella follia feroce, gli apparve il viso disperato di suo fratello minore.
Sta piangendo di nuovo, pensò.
Quello stupido, non riesce proprio a non piangere.
Fu un istante, e cadde, senza pesi, come in un sogno. La voce di suo fratello, quell'incosciente di suo fratello, ad echeggiare sopra il suo corpo.
«--atell-.. frate.. lo..» Sentiva pur senza vederlo. Il suo viso pieno di lacrime, i singhiozzi strazianti che gli squassavano il petto così troppo esile. «Guar.. Guardami, fratello.. guar-hn guarda me..»
Lo guardava, ma non riusciva a vederlo. Una mano, pur non sentendone il peso, tastò quei contorni sfocati, i capelli macchiati del suo stesso sangue, le sue mani a tentare di sostenerlo.
Un fiume di lacrime a gonfiargli gli occhi.
«Ti prego, guardami..!»
«.. on.. pia..gere..» Ma lui continuava. E piangeva, piangeva. Come quando l'aveva fatto piangere da bambino, un pianto insostenibile, come se non potesse più essere fermato.
Per qualche motivo dimenticò persino il motivo di tutta quella sua rabbia. Con l'ultimo barlume a estinguersi nei suoi occhi, pensò che quello sarebbe stato uno dei suoi più grandi rimpianti, l'aver fatto piangere troppo spesso il suo sensibile fratellino.
Avrebbe voluto vederlo sorridere, almeno un ultima volta.

 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Mo Dao Zu Shi / Vai alla pagina dell'autore: laNill