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Autore: Lucas Rider    01/12/2018    0 recensioni
2042, l'intero pianeta è sotto il controllo delle multinazionali, che hanno abolito gli Stati e unificato il pianeta.
Risvegliata senza più ricordi una giovane ragazza si ritroverà in un distopico mondo tecnologico dove il rapporto tra robot e umani sta cambiando drasticamente.
Ma la ricerca di sé stessa la porterà a verità molto più oscure e pericolose.
Ho intenzione di pubblicare mediamente un capitolo ogni due settimane.
Spero che apprezzerete la mia storia, e recensioni, positive o negative, sono sempre bene accette.
N.B. questa storia fa parte di un Universo fantascientifico inventato da me che comincia a differenziarsi da quello reale dal 2020.
Pubblicherò altre storie ambientate in questo Universo, tutte ambientate dopo "Metal Angel", che fanno parte dello stesso Ciclo ma ambientate in un futuro molto più lontano.
Genere: Guerra, Science-fiction, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Steel Town, la Città d’Acciaio.
Non c’era nome più appropriato. 
Il confine con Asphalt Town era segnato da dei binari di una Metropolitana magnetica sopraelevata.
La ragazza passò sotto i piloni del ponte mentre, 200 metri sopra la sua testa, un treno avanzava, levitando sopra i magneti.
Steel Town poteva essere descritta con una sola parola: scacchiera; una gigante scacchiera di acciaio.
Gli edifici erano semicubici, di 25 metri d’altezza, fatti d’acciaio , vetro e tungsteno.
Le larghe strade formavano una fitta rete a gabbia: i marciapiedi ampi 10 metri erano delimitati da transenne in vetro corazzato per evitare che i pedoni attraversino la strada; ogni transenna aveva un speciale cancello ad apertura automatica per consentire ai passeggeri di uscire e salire dalle vetture completamente in sicurezza.
I veicoli erano di sicuro gli oggetti più strabilianti: erano a guida autonoma, i motori alimentati a idrogeno o pannelli solari.
Sfrecciavano sul percorso come schegge, senza il minimo rischio di incidenti per l’assenza di pedoni e la pianificazione da parte del navigatore-computer per evitare scontri agli incroci.
Gli autoveicoli avevano una forma estremamente aerodinamica, colorati con speciali vernici fosforescenti per rendersi visibili di notte agli altri veicoli; azzurre, bianche, gialle e arancioni soprattutto; la strada, grazie a un speciale sistema di illuminazione a risparmio energetico non veniva illuminata dalle luci dei marciapiedi.
La ragazza , camminando sul marciapiede, incrociò molti abitanti; comunque in quell’orario non era un posto particolarmente affollato, considerando l’ampiezza del marciapiede.
Per la prima volta la ragazza si sentì in qualche modo speciale; tutti gli abitanti che incrociava, in massima parte uomini,erano silenziosi, vestivano la stessa divisa grigia da lavoro e avevano lo sguardo stanco e vuoto;invece i suoi abiti neri la rendevano diversa.
Si accorse che pur essendo in una zona molto abitata sentiva poche voci umane; la maggior parte dei suoni erano il rumore dei veicoli.
“No , vi prego, ripagherò tutto!” una voce altissima ruppe l’armonia.
La ragazza girò la testa.
Due poliziotti-robot, alte macchine umanoidi dall’esoscheletro metallico color rosso rubino , avevano circondato un uomo a terra dall’espressione terrorizzata.
Un robot, il viso simile a una maschera antigas color sangue e dagli fotorecettori ambrati chiese con la sua voce sepolcrale: “Dove ha nascosto i 1000 Globi che ha rubato, cittadino GZ-286A3F7BA51 ?”
L’uomo, sporco , grasso e impacciato rispose balbettando “Li ho spesi tutti, non mi è rimasto più neanche un Globus, vi prego se considerasse …”
Il robot chiese al suo partner “Il cittadino è abile a lavorare nelle miniere di uranio?”
GZ-286A3F7BA51  spalancò gli occhi , consapevole e spaventato.
“Negativo, bisogna eliminarlo” rispose l’altra macchina.
Il robot utilizzò la sua arma a normo-fulmini globulari e con un solo colpo tutto era finito.
Il particolare interessante della vicenda  fu che nessuno dei presenti mostrò una reazione o si degnò anche di un singolo sguardo.
Cercando di togliersi l’immagine dalla testa la donna utilizzò un ponte sopraelevato per attraversare la strada senza così essere un pericolo.
Finalmente la stazione di polizia, la riconobbe per le tre stelle, scarlatta, bianca e oro, come insegna luminosa.
Premette un pulsante luminoso sulla parete dell’edificio di acciaio e una porta metallica di forma esagonale si aprì come l’otturatore di una fotocamera.
Ebbe soggezione ad entrarci,ma si fece coraggio e si ritrovò in una stanza buia e dietro di lei la porta si richiuse.
Un raggio luminoso verde la scannerizzò, accertandosi che non possedesse armi.
Un’altra porta simile alla prima si aprì e la donna si ritrovò in una sala luminosa; alla sua sinistra la porta d’uscita mentre davanti a sé 10 monitor con cui interagivano altrettante persone, a destra invece c’erano stranamente 4 ascensori.
Se da una parte si sentiva sollevata dall’altra si sentiva molto minacciata: sarà stato forse per le telecamere o per il contingente di 10 guardie-robot che su una passerella sopraelevata controllavano gli umani?
Un monitor si liberò e la ragazza si trovò ad interagire con un’intelligenza artificiale.
“Salve , cittadino, sono il Sistema Virtuale della Polizia, casa di produzione Robosoft ma se lei vuole mi può chiamare Jennifer. In che cosa posso esserle utile?”
“Ciao, Jennifer, io ho bisogno di fare uno screening facciale per scoprire la mia identità, potrebbe occuparsene subito?”
“Certamente”.
Una piccola videocamera le scattò un’istantanea e sullo schermo vide il suo viso.
Rimase a contemplare la sua immagine mentre piccoli simboli verdi di codice scorrevano nella parte destra del monitor, mentre Jennifer incrociava i dati di milioni di immagini.
Osservò il suo viso; la sua pelle era senza imperfezioni, chiara, giovane e liscia, i tratti del mento e della fronte erano dolci, femminili.
Il volto era simmetrico e armonioso: i capelli che le arrivavano alle spalle erano di un biondo chiarissimo tendente quasi al bianco.
I grandi occhi erano blu scuro, profondi.
Aveva una espressione intelligente ma anche fragile, insicura.
Gli occhi si illuminarono di stupore ed emozione:  “Nessun risultato trovato” lesse ad alta voce.
Maledicendo con la mente quegli incapaci dei programmatori della Robosoft cercò di mantenere il controllo su sé stessa.
“Come è possibile una cosa del genere?” chiese a Jennifer.
Una sirena letteralmente esplose tanto fu il rumore che generò .
“Allarme! Allarme!” ripeté Jennifer come un disco rotto.
Tutti le altre persone si gettarono a terra mentre dagli ascensori uscirono i robot dall’esoscheletro rosso … e le loro armi a micro-fulmini globulari erano puntate contro di lei!
Un solo micro-fulmine avrebbe avuto l’effetto di un taser.
Vide la porta d’uscita che si stava chiudendo.
Si affidò all’istinto per evitare le piccole sfere energetiche bianco-azzurre sparate contro di lei, respirando aria che odorava di zolfo e ozono.
Riuscì a uscire un attimo solo prima che la porta si chiudesse.
E adesso? Sarebbe scappata un’altra volta? 
Il rombo dei droni nel cielo non le lasciò scelta.
Scansò i passanti , correndo senza voltarsi verso il cuore di Steel Town.
Le suoi doti di atleta l’avevano già salvata una volta … sperò in una seconda possibilità.

Aveva appena attraversato un ponte sopraelevato poco distante quando un micro-fulmine le colpì la schiena.
Cadde a terra, scariche elettriche correvano lungo il suo corpo, facendogli provare un dolore lancinante.
Per pochi secondi restò a terra ma poi riuscì a trovare la forza di rialzarsi.
Ricominciò l’inseguimento, sentiva i piedi metallici dei poliziotti-robot calpestare il terreno.
Dopo 15 minuti e aver percorso quasi tre chilometri, la ragazza non ce la faceva più, era alle corde per la mancanza di energia. Stranamente era riuscita a tenere testa ai robot, anzi li aveva distanziati.
Distanziati, ma non seminati, doveva utilizzare il cervello; numerosi veicoli e velivoli stavano convergendo in quella zona, ancora distanti chilometri ma dannatamente rapidi.
Guardandosi intorno capì di essere in una zona abbastanza unica di Steel Town; non c’era in giro nessuno e neanche veicoli in strada.
Ma dietro di lei sentiva già il rumore dei nemici in avvicinamento.
Una porta dell’edificio alla sua destra si aprì.
Una voce le disse: “presto, entra qui dentro!”
Non se lo fece ripetere due volte ed entrò subito.
   
 
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