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Autore: Alicat_Barbix    02/12/2018    1 recensioni
Trama:
John, forse il migliore agente a servizio dell'MI6, viene inviato sotto copertura ad indagare in uno dei più eminenti Night Club di Londra, per stanare la mente criminale più pericolosa che il mondo abbia mai conosciuto. A questa missione John è pronto, sa che non può fallire, che nelle sue mani vi è il destino di Londra e non solo. O almeno, crede di essere pronto, ma un bizzarro incontro con uno dei dipendenti del locale ha il potere di ribaltare le carte in tavola.
Sherlock, decisamente il miglior prostituto all'interno del Morningstar, vive felicemente la sua vita densa di sesso, avventure e disinibizione. Sherlock ama il suo lavoro, lo trova divertente e sa di essere il migliore e che niente potrebbe mai cambiare la sua vita da condannato all'Inferno che però tanto adora. O almeno, crede che niente possa cambiare la sua vita "perfetta", ma un bizzarro incontro con un ex medico militare così facile eppure difficile da leggere con le sue deduzioni ha il potere di stravolgere la sua intera esistenza.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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BEYOND EVERYTHING
 
by Alicat_Barbix



Who Could Love Us?
 
Ricordava bene quella stanza. Non era certo la prima volta che vi entrava eppure, ogni volta che solcava quella soglia che sembrava aver scritto sopra per me si va nell’eterno dolore, un sentimento così maledettamente simile alla paura scavava in lui un varco, facendo franare ogni certezza malamente tenuta insieme dalle fragili radici della sua coscienza.
Le tenebre oscuravano quasi completamente quell’ambiente in cui sarebbe riuscito a muoversi perfettamente anche ad occhi chiusi, tante erano le volte in cui vi era stato. Nella penombra, poteva scorgere il grande letto a baldacchino, i divanetti bassi nella parete di sinistra e l’immenso quadro raffigurante un diavolo dalle fattezze grottesche, cremisi, con due grandi occhi gialli da pitone, due corna da toro e le ali di pipistrello, le fauci famelicamente aperte sul corpo tremante di una donna terrorizzata. Lui era come quella donna. Impotente di fronte all’apparizione del Male del mondo, terrorizzato eppure rassegnato, perché non vi era via di fuga, né ci sarebbe mai stata.
Sherlock era in contemplazione di quel quadro quando due mani affusolate scivolarono sulle sue spalle e iniziarono a massaggiargliele.
“Ciao, tesoro.”
“Perché mi hai chiamato?” sputò in risposta, senza però avere il coraggio di allontanarsi.
“Perché avevo voglia di stare con te per bene.” rispose quella voce melliflua mentre le labbra dell’essere che più disprezzava gli baciavano il collo.
Ridacchiò. “Cos’ha fatto Moran per farsi cacciare e sostituire?”
“Non era più eccitante. Sempre le solite cose, sempre così noioso… Quando c’eri tu, Sherlock, era tutto così divertente e appagante…”
“Non mi pare, visto che hai cominciato a dilettarti torturandomi.”
Moriarty sbuffò tra i suoi capelli e li accarezzò con gesti carichi di riguardo. “Suvvia, Sherly, parlare di torture mi sembra esagerato. Ammetto di essermi lasciato prendere un po’ la mano, ma era così bello sentirti gemere come un bambino… Dio, quanto ti rivoglio indietro…”
Sherlock avvertì il corpo caldo e rigido di James contro di sé e, finalmente, trovò la forza di staccarsi da lui e fronteggiarlo. “Non puoi riavermi indietro. Non è così che funziona, non sono uno dei tuoi giocattolini come Moran o gli altri di qui con cui te la spassi.”
“Ah no? Perdonami, devo essermi perso questo dettaglio.” rispose con un ghigno l’altro, prendendosi poi del tempo per squadrarlo nonostante il buio. “Interessante la giacca, un po’ tamarra, forse, per te. Ti preferisco di gran lunga quando indossi quegli eleganti completi che ti filano addosso come se fossi un fottuto dio…”
Istintivamente, Sherlock si portò una mano ad un lembo della giacca, ancora appoggiata sulle sue spalle. Quel tessuto morbido e caldo gli ricordava Andy e il tocco soffice della sua mano. Quant’era sbagliato pensare a lui in quel momento… Non poteva pensare a quel biondino dal sorriso sincero proprio mentre fronteggiava il suo più temibile nemico. Avrebbe avuto la forza di togliersela e lanciarla da una parte, facendo altrettanto col ricordo di quel bacio così dolce che gli aveva dato la sera prima. Per un frangente, si chiese se Andy si sarebbe lasciato baciare, quella notte. Se avrebbe accettato di seguirlo nella suite. Se avrebbe fatto l’amore con lui. Tutto questo, se non fosse subentrato Moriarty a strappargli dalle braccia quell’opportunità.
“Sherlock…” cantilenò la voce di Jim. “A cosa sta pensando quella splendida testolina?”
“Ho la febbre alta e a stento mi reggo in piedi. Visto che ho preso la serata libera vorrei riposarmi, almeno per stanotte.”
“Oh, ma certo! Che sciocco! Ti chiedo scusa, è solo che… ho visto come ti reggevi bene in piedi con quel tipo, quello con cui preferisci parlare piuttosto che scopare, così ho pensato che ti sentissi meglio.”
Sherlock colse il velato fastidio in quelle parole e cercò di uscire da quella situazione lasciando indenne almeno Andy. “E’ un medico. Dovrei scoparmi un medico mentre cerca di curarmi? Non credo sarebbe molto efficiente.”
“Tu credi? Io proverei. Ad ogni modo, vieni, stenditi sul letto. Mi prenderò io cura di te.” Ma lui non si mosse dal punto dov’era. “Beh?”
“No.”
“Oh, Sherlock… Per favore, non farmi perdere la pazienza, sai quanto odi doverti insegnare a rispettarmi, non costringermi a diventare cattivo. Su, stenditi.”
Serrò la mascella, incerto su quello che avrebbe fatto. Era stanco, mortalmente stanco, e aveva dolore dappertutto a causa della febbre. Probabilmente gli antidolorifici che aveva preso poco prima l’arrivo di Andy avevano esaurito il loro effetto. Strisciò fino al letto e si sedette col capo chino sul materasso in lattice.
“Bravo, Sherly. Lo vedi che sai essere ubbidiente quando vuoi? Ora, per favore, spogliati. Dicono che passare una pezza bagnata sul corpo aiuti particolarmente ad abbassare la temperatura.”
Senza replicare, Sherlock si sfilò la giacca di Andy e la maglietta, rimanendo a torso nudo, i brividi che gli percorrevano malevoli la spina dorsale. Non sapeva che cosa sarebbe successo e neanche gli importava più di tanto. Si trovava di fronte al diavolo ed era senza alcun potere. Perché ribellarsi quando sapeva già qual era il suo destino?
“Dio, quale capolavoro sei… Adesso i pantaloni.”
“Jim…”
“Ho detto: adesso i pantaloni.”
Si era avvicinato e aveva cominciato a passargli le mani fra i capelli, a volte tirandoli nel tentativo di fargli emettere un gemito di dolore. James Moriarty era probabilmente malato, un malato del sesso, della perversione. Era succube del male e forse, in senso lato, lui stesso era il male.
Quando i denti di Jim gli morsero il labbro superiore non riuscì ad evitarsi di gemere, serrando gli occhi, mentre le mani dell’altro gli abbassavano la stoffa dei pantaloni della tuta con desiderio. Mentre annaspava, cercando di sottrarsi a quel contatto, la sua mano sinistra toccò la stoffa della giacca di Andy. La percorse con l’indice un paio di volte, finché non si ritrovò completamente sprovvisto di ogni possibile difesa contro Moriarty e allora vi si aggrappò con tutto se stesso, giocando con la sua stessa mente, frantumando e ricomponendo l’immagine a cui stava assistendo come meglio credeva. Non sapeva neanche lui cosa la sua mente stava partorendo ma per un attimo, nel buio, gli parve di scorgere dei capelli biondi.
 
Si richiuse la porta alle spalle, tossicchiando appena e incontrando lo sguardo di Victor. “Com’è andata?” gli chiese l’amico seguendolo giù dalle scale del laboratorio analisi.
“Come vuoi che sia andata, Vic? Non ne ho idea, che razza di domanda è?”
“Sì, scusa, hai ragione.” sospirò l’altro riuscendo, finalmente, ad affiancarlo, una volta nel parcheggio del laboratorio analisi. “Che ne dici se stiamo fuori per un paio di ore? Manca ancora molto all’apertura del locale.”
Sherlock gettò un’occhiata al suo orologio da taschino infilato nel Belstaff e constatò che l’amico non aveva tutti i torti. Per altro, sentiva il bisogno di respirare, di osservare la vita della gente comune ancora un po’ e paragonarla alla sua così disastrosa e persa. Nella sala d’aspetto aveva studiato visi, storie, paure, segreti, aveva capito che l’esistenza delle persone ordinarie era talmente distante dalla sua che anche se avesse mai trovato la forza, o magari la disperazione, per andarsene dal Morningstar, non sarebbe stato in grado di godersi quella realtà appieno.
Victor balzò sulla sua Matchless 1966 argentea, intrappolando i ricci biondi all’interno del casco nero, mentre gli porgeva il secondo. Il moro imitò il gesto e salì dietro l’amico, appiattendosi contro la sua schiena.
“Dove andiamo?”
“Sorpresa.” rispose Trevor sorridendogli dallo specchietto retrovisore prima di far rombare il motore della motocicletta e sgommare fuori dal parcheggio.
Mentre si stringeva all’altro, Sherlock avvertì il proprio cellulare, in tasca, vibrare. Un sorriso triste si delineò sulle sue labbra. Sapeva perfettamente chi era. La stessa persona che per due giorni aveva provato a rintracciarlo e non aveva trovato risposta. Andy Rose. La notte in cui era rientrato dalla camera di Moriarty, si era abbandonato sul letto, gli occhi persi a scrutare il soffitto, e il cuore gravido di preoccupazioni. Prendendo il cellulare, aveva trovato dieci chiamate senza risposta e cinque messaggi dove il medico lo pregava di contattarlo e assicurargli che stesse bene. L’idea di richiamarlo, anche solo per sentire la sua voce per pochi attimi, lo aveva tormentato tutta la notte, costringendolo ad un sonno – o forse era ancora una veglia – tormentato, finché la mattina non era arrivato Victor con il paracetamolo e il termometro a comunicargli che l’indomani era il turno di entrambi per fare il classico controllo annuale al laboratorio analisi di Calverton Smith, un partener in affari del capo. Andy era testardo, l’aveva capito subito, e il suo buon cuore, unito all’animo di medico, lo portava a fare cose precipitose. Sherlock sapeva che sarebbe venuto, così aveva chiesto a Victor di non lasciarlo entrare almeno per quel giorno. Aveva bisogno di stare lontano da quel biondino il più possibile e non sapeva neanche lui il perché. Per Moriarty? Per la piacevolezza che provava ogni volta che si trovava in sua compagnia? Per la paura che anche lui se ne sarebbe andato?
“Siamo arrivati.” decretò Victor all’improvviso calandosi giù dalla moto e sfilandosi il casco.
Sherlock scese a sua volta e scrutò il luogo prescelto dall’amico. Era un campetto da calcio abbandonato isolato in un quartiere fatiscente, con le porte prive delle reti e le linee bianche sbiadite. Persino l’erbetta era scolorita e cresceva selvatica. Chissà da quanto quel luogo era stato lasciato a se stesso, all’azione erosiva dell’atmosfera, ai ragazzi che vi fumavano e poi vi abbandonavano le chicche.
“Perché mi hai portato qui?”
“Non te lo ricordi?”
“Certo che me lo ricordo, ma non capisco comunque.”
Victor sbuffò e, ficcando le mani nelle tasche del giubbetto di pelle marrone, entrò nel campo, girando su se stesso per osservare meglio quel luogo abbandonato, solo uno scheletro di quello che viveva nei suoi ricordi. “E’ un po’ cambiato, eh?” Infine, una volta arrivato al centro del campo, si fermò, imitato dall’amico, alle sue spalle. “Ma in fondo, è passato anche tanto tempo. Quindici anni?”
“Diciassette.”
In un’occasione normale, probabilmente Trevor avrebbe fatto una battutina o avrebbe sospirato esasperato dalla sua solita perizia nei minimi dettagli, ma quel giorno, stranamente, si limitò ad annuire con una nostalgia traboccante dipinta in volto. “Erano bei tempi quelli. Ti ricordi quanto ci divertivamo a giocare a calcetto qui dentro?”
“Tu e quegli idioti dei tuoi amici teppisti vi divertivate. Io e lo sport siamo sempre stati nemici giurati fin da quando ero piccolo.”
“Smettila di fare lo snob, fratello.” lo redarguì bonariamente Victor, enfatizzando la parola fratello. “Sai perfettamente che eri più bravo di tutti noi messi insieme. Ti stimavamo così tanto…”
“Ma se tutti mi chiamavano strambo!”
“Beh, un po’ particolare eri, ma ti assicuro che quando toccavi palla eri semplicemente fantastico. Non ti si poteva nemmeno invidiare, da quanto eri bravo. L’unica cosa che riuscivamo a fare era osservarti con occhi luccicanti e ammirarti.”
Sherlock si concesse un sorrisetto vittorioso a quelle parole. La verità era che il calcio lo aveva da sempre odiato. Troppo movimento. Troppo rumore. Troppe persone. Ciononostante, era quasi una partita di scacchi, con pedine in campo da superare per arrivare al re. E lui amava fare scacco matto. Riusciva a calcolare la direzione che i piedi degli avversari avrebbero preso così come il punto esatto in cui il pallone da lui calciato sarebbe finito. Era solo per la sua immensa attenzione per i particolari e i calcoli se era così bravo. Lui e Victor erano da sempre stati amici, ma all’età di quindici anni il biondino aveva trovato nuovi amici, non tutti così raccomandabili, e si era messo in testa questa folle idea di coinvolgerlo nelle loro uscite. E quando avevano visto quello di cui era capace con un pallone tra i piedi, Sherlock aveva sempre avuto un posto fisso nelle partitelle amichevoli fra loro.
“Ma guarda un po’!” esclamò l’amico di punto in bianco dirigendosi verso un lato del campo dove riposava un pallone da calcio vecchio e cencioso. Victor lo prese in mano e lo sollevò in alto, esibendolo come un trofeo. “Ci facciamo qualche tiro, Holmes?”
“Si vede da qui che è bucato, Trevor!” rispose lui alzando la voce affinché giungesse all’altro.
Ma il biondo non si fece scrupolo e, una volta poggiato il pallone a terra, glielo calciò contro. Sherlock osservò il pallone alzarsi dal suolo e prendere una traiettoria storta a causa delle sue pessime condizioni, ma ciononostante, scattando in avanti, riuscì ad intercettarlo con un colpo di petto e a riportarlo al suolo.
“A quanto pare il piccolo Sherlock calciatore è ancora in te!” esclamò Victor raggiungendolo di corsa.
“Ho sempre trovato il calcio uno sport tedioso. Come si fa a divertirsi correndo dietro ad una palla?”
“A ognuno il suo lucro, fratello.” rispose con una scrollata di spalle Trevor, prima di rubargli il pallone da sotto il piede e correre verso la porta, facendo, però, un tiro fallimentare da lontano.
“Vedo che la mira è rimasta scadente, Vic.”
“E’ colpa del pallone. E’ troppo sgonfio.” rispose il biondo ripescando il pallone e sedendoci sopra. “Chissà che fine hanno fatto gli altri…”
“Non lo so e non mi interessa neanche saperlo.” replicò seccamente Sherlock sedendosi a sua volta.
“Ah, giusto. Dimenticavo che ormai sei diventato la fredda macchina calcolatrice che se ne frega di tutto e di tutti e che nel suo lavoro non esattamente decoroso si fa chiamare l’Angelo caduto.”
Proprio in quel momento, il cellulare del moro prese a vibrare insistentemente, ma quando lo tirò fuori e lesse il nome della chiamata, lo rigettò malamente in tasca. A Victor, l’espressione tesa sul volto solitamente indifferente dell’altro, non sfuggì.
“Era lui?”
“Lui chi?”
“Il biondino tanto carino. Andy Rose.”
“Sì.”
“E perché non rispondi?”
“Perché ora non mi va.”
“E’ successo qualcosa fra di voi?”
“Dio santo, Victor, cos’è, un interrogatorio?”
Victor indurì lo sguardo. “No, Sherlock, sto solo cercando di capire come ti senti davvero visto che a malapena, ormai, mi parli di te e di quello che provi.”
“Ah, adesso sarei io quello che non parla di sé.” ribatté freddamente il moro assottigliando gli occhi per apparire più deciso e risoluto.
“Sì, Sherlock, tu. Da quando è arrivato quest’uomo nella tua vita, sei cambiato e vorrei capire se è una cosa positiva o meno.”
“Non essere assurdo, non è cambiato niente.”
“Sì, invece. Forse non te ne rendi conto, ma sei diventato più nervoso, hai sempre il cellulare dietro, fino a due sere fa sorridevi stupidamente completamente a caso, adesso, invece, sembri costantemente preoccupato da qualcosa. Che è successo, Sherlock?”
“Non è successo niente, per l’amor del cielo!”
“E allora, se non è successo niente, che cosa rappresenta per te quel tizio?”
“Niente. Assolutamente niente.”
“Menti sapendo di mentire.”
Sherlock scattò in piedi, un’espressione dura a mascherargli il volto solitamente disteso e insofferente. “Vogliamo allora, per un attimo, spostare l’attenzione su te e su quello che tu non mi dici? Quanto l’hai pagato?”
Victor inarcò entrambe le sopracciglia. “Di che parli?”
“Dell’anello, Victor, quello che ormai ti tieni in tasca da due settimane. Non hai ancora trovato il coraggio di chiederglielo, vero?”
Trevor strinse entrambi i pugni. “Sherlock, non mi fare incazzare con la storia delle deduzioni…”
“Non ho dedotto assolutamente niente, Victor. Due settimane fa avevi lasciato la giacca in camera mia e dentro ho trovato la scatolina, sapessi che sorpresa quando ho visto l’anello! Toglimi una curiosità, lei lo sa?”
“Come fai a sapere che è una lei?”
“Andiamo, Victor, basta darti una rapida annusata quando torni dalle tue serate libere per capire che ti vedi da tempo con una donna e che è sempre la stessa. Tra l’altro non ho mai conosciuto un uomo con un dito così sottile.”
Victor si grattò la nuca nervosamente, gli occhi che correvano in giro per il campo da calcio, senza sosta. “Sa cosa?”
“Sai perfettamente cosa.”
Trevor sospirò, distogliendo lo sguardo. “Lei… no, non lo sa ancora.”
“Ed è questo che ti trattiene, vero? Temi che non ti accetterà, che quando le dirai la verità ti lascerà.”
“Non ho mai detto di volerglielo dire.” rispose prontamente l’amico, lasciando Sherlock, per una volta, senza parole. “Con lei è diverso.” riprese Victor, con tono basso e serioso. “Io la amo, capisci? Non mi è mai capitato di provare qualcosa del genere e ogni volta che la vedo io vorrei… morire per la felicità. Quando sono con lei niente ha più un cazzo di senso. Non m’importa più del bordello, del mio lavoro, delle ferite che in questi anni ho riportato in quel posto. Mi importa solo di lei.”
“Se non le riveli il tuo passato, Victor, vivrai con l’eterna consapevolezza che le stai dando una vita costruita su una gigante menzogna.” osservò Sherlock con tono cupo. “E poi, non so, dicono che l’amore superi ogni ostacolo.”
Victor scoppiò a ridere in modo tristemente stonato, gli occhi umidi e le labbra tremanti. “Detto da te, poi… Andiamo, Sherlock, chi vogliamo prendere in giro? Sia tu che io siamo completamente a conoscenza del fatto che abbiamo commesso delle cazzate, troppe, e che la nostra vita è un’immensa merda che già di per sé ci ha condannati. Chi potrebbe mai amare due prostituti? Chi potrebbe mai accettare quello che siamo stati senza il minimo dubbio che non lo saremo più? No, Sherlock, manderei tutto a puttane e io non voglio perderla, la amo troppo, è una delle poche cose belle che mi siano mai accadute e non posso rinunciare a lei.”
Era sul punto di piangere, Trevor. La sua voce era incrinata e la sua mano si occultava gli occhi ora serrati per non far uscire alcuna lacrima. Sherlock sapeva che avrebbe dovuto fare o dire qualcosa, ma si limitò a fissarlo privo di espressione. Si chiese se davvero esistesse qualcuno che avrebbe capito, qualcuno che avrebbe accettato, qualcuno che lo avrebbe amato proprio per quel passato… Intravide una figura, tra un battito di ciglio e l’altro, ogni millesimo di secondo in cui le sue palpebre si chiudevano per poi riaprirsi subito.
“Che devo fare, Sherlock?” gemette l’amico rialzando lo sguardo e puntando gli occhi arrossati nei suoi, al momento così distanti e freddi. “Ti prego, dimmelo tu, perché io sto impazzendo.”
E Sherlock rifletté davvero riguardo una soluzione. Sapeva che Victor aveva ragione, che, molto probabilmente, il 99% della popolazione terrestre non avrebbe mai capito, ma c’era comunque quell’1%, così basso eppure così rassicurante. Doveva esserci, tra la folla perennemente indaffarata di Londra, un volto che guardandolo non avrebbe visto l’Angelo caduto, ma Sherlock. Solo Sherlock. E doveva essere così anche per Victor. Soprattutto per Victor, visto che il suo interesse per l’amore era nullo.
“Forse è solo un’illusione infantile, però…” Prese un respiro profondo. “Io credo che se ami quella donna e vuoi trascorrere con lei il resto della tua vita, allora l’hai scelta per affidarti a lei sempre, per sostenervi a vicenda, per superare le difficoltà insieme. E magari all’inizio potrebbe non capire o addirittura giudicarti, allontanarti, farti soffrire… ma se il suo amore è reale allora perché dovrebbe condannarti per degli sbagli che hai commesso in passato? Soprattutto se sei deciso a cambiare per lei.” Victor lo osservava come un naufrago avrebbe osservato una nave passante di fronte alla sua isola dopo giorni e giorni di attesa. “Io ritengo che debba essere lei a scegliere, Vic. Non puoi precluderle né la possibilità di andarsene né quella di amarti ancora di più perché ora sa quello che sei davvero. Io… non so se mi sono spiegato e… p-perché mi guardi così?”
Trevor si era aperto in un sorriso luminoso, sincero, e lo guardava ammirato, rapito. Si alzò in piedi e circondò il suo corpo con le braccia forti e muscolose, tirando come un sospirò di sollievo. “Grazie, fratello. Grazie.”
Sherlock soffocò un gemito sotto quella stretta, i lividi della notte con Moriarty ancora sul proprio corpo. Non voleva che l’amico tornasse a preoccuparsi inutilmente riguardo al capo. Non aveva importanza. Non ce l’aveva fatta. Non era riuscito a respingerlo, quella sera, ad evitare di ritornare nelle sue grinfie, nonostante, per una volta, sapeva che resistere aveva un senso. Doveva avercelo. E nonostante la sola idea risultasse malsana, l’ultima immagine che aveva dominato nella sua mente era stata quella di Andy, radiosa come non mai, ed era stato con quella figura in testa che aveva lasciato, per la prima volta in vita sua, che qualcuno lo penetrasse, che entrasse brutalmente in lui, macchiandolo.
“Prima o poi dovrai farmi conoscere la tua biondina.” notò staccandosi da quell’abbraccio con un sorrisetto ironico.
“Scusa, Sherlock, ma non mi sembra che ti abbia mai detto che è bionda.”
Sherlock ridacchiò, voltandogli le spalle e dirigendosi verso la motocicletta. “Sono semplicemente a conoscenza della tua predilezione per le bionde.” Si girò una seconda volta, lanciandogli un’occhiata divertita. “E per i biondi.”
Victor scoppiò a ridere e lo rincorse fino alla moto, dove lo abbracciò nuovamente, stavolta con irruento, spettinandogli i ricci corvini. “Ha parlato lui.” ghignò mentre entrambi prendevano posto sulla sella del veicolo e sfrecciavano via, diretti verso la loro casa/prigione.
 
Il locale, quel sabato, pullulava di avventori. La sala dove le prostitute e i prostituti rimorchiavano i clienti era gremita ed era proprio da quella stanza che Sherlock stava fuggendo. Si sentiva mortalmente stanco, la febbre era salita nuovamente dopo l’intero pomeriggio fuori, e per di più, dentro di sé, covava come un’ansia cupa mentre i suoi occhi saettavano per la pista da ballo e l’entrata del locale senza sosta, alla ricerca di chissà cosa o chissà chi. In mezzo alla discoteca, le ballerine di lap dance stavano, in quel preciso momento, scendendo dai palchetti per lasciare il posto alla seconda tornata. Guardò l’ora: mezzanotte e mezza. E ancora non aveva accettato l’avvicinamento di un singolo cliente.
“Sherlock.” La voce di Irene lo fece sussultare. “Che stai facendo qui impalato? Non dovresti essere di là o in camera a racimolare qualcosina per la comunità, visto che sei la star qua dentro?”
“E’ invidia quella che percepisco nella tua voce, Irene?”
“Per quanto tenga al tuo titolo, sappiamo perfettamente che non riuscirò mai ad appropriarmene. Non finché ci sarai tu.”
“Vuoi uccidermi per essere acclamata ancora di più di quanto non lo sia già?”
“Se vuoi un consiglio da avversaria, guardati le spalle, mio caro. Non sai mai quando o da chi verrai pugnalato.” sussurrò mellifluamente nel suo orecchio, portandosi poi alle labbra un sorso di cocktail. “Non ho potuto fare a meno di notare il rapporto… ambiguo fra te e il biondino su cui avevo messo gli occhi da un po’.”
“Perché ambiguo?” domandò Sherlock, finalmente degnandola di uno sguardo.
“Beh, sai, le voci girano… C’è chi è venuto a sapere che nonostante tutti i vostri incontri ancora non siete andati a letto. Mi chiedo come mai.”
“Moran…” sospirò lui a quelle parole. Ovviamente, a Moriarty non era mai piaciuto tacere i dettagli della sua vita, in particolar modo con quel razza di barboncino travestito da doberman.
“Sai, Sherlock, dovresti darti una mossa con lui altrimenti è un attimo che qualcuno arriva di soppiatto e se lo pappa prima di te.”
“Ti pregherei, Irene, di tenere le tue grinfie occupate su qualcun altro. Andy Rose è già occupato.”
Irene scoppiò a ridere, poggiandogli una mano sulla spalla. “Oh sì, lo vedo. Guarda un po’ là.”
Sherlock seguì il cenno della donna e i suoi occhi si imbatterono in una scena a cui mai avrebbe voluto assistere. Andy era seduto al bancone accanto ad una giovane donna, due cocktail appoggiati di fronte a loro, forse addirittura dimenticati, e i loro sguardi incatenati l’uno a quello dell’altra. Sembravano chiacchierare tranquillamente, a volte, a causa della musica alta, si avvicinavano e le loro labbra si sfioravano reciprocamente le orecchie, spesso scoppiavano a ridere. Sherlock era distante, separato dal bancone da un considerevole numero di persone, ma non poteva sfuggirgli il luccichio che brillava nelle iridi del medico.
“Touché.” mormorò Irene prima di voltarsi e dirigersi verso una ragazza dai capelli rossi con cui salì le scale, diretta alla propria suite.
Sherlock rimase solo a contemplare quella visione così stranamente fastidiosa. Ora riconosceva la ragazza: Mary Morstan, una delle ballerine di lap dance del locale. E così Andy trovava interessante una donna simile? Solo quando una mano si appoggiò sulla sua spalla e una voce gli domandò se si sentisse bene, si rese conto che le unghie gli si erano conficcate nella carne da quanto forte teneva i pugni serrati. Si volse verso chiunque lo avesse destato da quel limbo in cui era sprofondato e incontrò il viso di uno dei suoi clienti abituali, uno spocchioso banchiere con cui aveva frequentato il liceo e che era stato con lui una sola notte giusto per provare, che infine, però, era diventato un suo assiduo amante.
“Sei libero o devo mettermi in coda?” gli domandò in un mormorio l’uomo, avvicinandosi a lui e sfiorandogli l’orecchio con la lingua.
Sherlock avvertì il proprio corpo rabbrividire di disgusto a quel contatto, ma tuttavia, quando scorse Mary alzarsi dal bacone e trascinare su per le scale Andy, tenendolo per mano e sorridendogli con fare allusivo, si costrinse a stare al gioco. “Andiamo di sopra.” borbottò con una punta di malcelata frustrazione dirigendosi verso la propria camera, consapevole che l’altro lo stava seguendo.
Nel corridoio, udì la risatina stridula di una donna, molto probabilmente di Mary, visto che, a parte Irene e la sua cliente, non aveva visto nessun altro avventurarsi al piano di sopra, poi lo sbattere di una porta. Cercò di controllare la rabbia, una rabbia sbagliata che non aveva senso di esistere, ma più si ripeteva che era sbagliato di provare quel tipo di emozioni, più quelle crescevano, incontrollabili.
Probabilmente le sue prestazioni per quella serata sfiorarono l’afrodisiaco. Uno dopo l’altro i suoi ospiti non facevano che urlare e invocare il nome di Dio associandolo al suo. Che bestemmia, pensava allora, mentre spingeva, mordeva, graffiava. Il suo piacere, però, era assai limitato. Regalava godimento ma non ne riceveva altrettanto. Il suo pensiero fisso era che, a qualche porta di distanza, c’era Andy, avvinghiato al corpo di quella donna civettuola che aveva sempre guardato con diffidenza.
Alle tre della mattina, comunicò che non avrebbe più ricevuto nessuno e si sistemò sul proprio balcone a fumare, il corpo ancora completamente nudo. Il vento gli accarezzava la pelle e gli scuoteva gentilmente i ricci, come a volerlo consolare, confortare. Almeno la natura sembrava aver riservato un poco di comprensione nei suoi confronti. O magari era pietà? Ad una non data ora della notte, un bussare timido lo riscosse da quella totale immobilità e insofferenza che non lo aveva abbandonato per tutta la sera.
Sospirò. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era parlare con Victor e, magari, ascoltarlo blaterare i suoi discorsi sulla – forse – futura moglie. Ponderò persino l’idea di non rispondere e fingersi già addormentato, forte del lieve timore che, magari, potesse anche essere Moriarty a reclamare il suo corpo, la loro antica intimità.
“Avanti.” sospirò alla fine, non totalmente sicuro che il suo visitatore avesse sentito, ma la porta cigolò mentre veniva aperta e dei passi incerti riempirono il silenzio seguito dal suo sbattere.
Fece un tiro profondo, gli occhi semichiusi, la testa inclinata all’indietro e non si scompose nemmeno quando i passi dietro di lui si congelarono, molto probabilmente alla visione del suo corpo svestito. Ad essere sinceri, non gli importava. Era abituato ad essere contemplato in quelle condizioni. Uno in più uno in meno, per quella sera, non faceva la differenza.
“S-Sherlock?”
Ma quella voce ribaltò ogni cosa. Come faceva a ribaltare sempre ogni cosa? All’udire quella voce, Sherlock si era paralizzato a sua volta e il suo cuore aveva accelerato appena un poco il battito. Un improvviso senso di pudore – qualcosa che mai in vita sua aveva provato – lo colse impreparato e si chiese a quanto distasse il primo indumento da infilarsi addosso per coprire quella nudità che ora lo imbarazzava. Tuttavia, la scena di poche ore prima svettò nuovamente nella sua mente, nitida. Non sapeva che cosa pensasse prima di assistere a quel ridicolo teatrino. Che cosa sperasse. Non era certo di niente da quando quel piccolo medico militare era entrato nella sua esistenza vuota e insensata. Sapeva che il calore del suo sorriso era capace di illuminare la nicchia oscura che ormai era diventata il suo cuore. Sapeva che l’averlo accanto bastava per fargli dimenticare il resto. Sapeva che l’averlo lontano era simile ad un lento e discreto supplizio, una spina infida che si infilava nella carne e che lanciava scariche di dolore crescente quando meno se lo aspettava. Era così che si sentiva a causa di Andy Rose. Ma quella serata era stata significativa, illuminante. Ora aveva chiaro ogni cosa.
Così, con una calma sovrannaturale, si voltò e osò sfrontatamente affrontarlo faccia a faccia. Il viso del medico era contorto in un’espressione quasi di mentale resistenza, i suoi occhi piantati nei suoi con una certa difficoltà. Sherlock era consapevole del proprio corpo e del proprio effetto sulla gente. Sapeva di essere bello, di esserlo in un modo non volgare, di esserlo in maniera irresistibile. Gettò della cenere a terra con un elegante gesto della mano e si diresse verso l’altro, rientrando nella stanza e allungando la mano con la cicca verso il posacenere di cristallo, spegnendo quello che ormai rimaneva della sigaretta. Con sguardo impenetrabile, continuò ad avanzare, mentre Andy rimaneva saldo al centro della stanza, la fronte solcata da una ruga d’espressione profonda. Quando fu arrivato a un soffio da lui, si concesse qualche istante per guardarlo, per ammirarlo, tanto era ormai il fascino che quell’uomo esercitava su di lui.
Sherlock Holmes, superiore a tutto, perfino ai sentimenti umani, stava venendo sconfitto da un biondino sfrontato e premuroso. Che scherzo che era la sua esistenza…
“Sherlock.” sussurrò nuovamente Andy, stavolta con un briciolo di confidenza in più, ma a quanto pareva era l’unico vocabolo di cui era a conoscenza.
Sherlock, allora, alzò la mano e con un lungo e sospeso movimento delle dita gli accarezzò la guancia, soffermandosi poi sulle labbra morbide e appena screpolate dal freddo. I suoi occhi penetravano lo sguardo dell’altro disinibiti, spregiudicati, peccatori. Andy era in visibile difficoltà di fronte a quel corpo nudo e a quello sguardo intenso, ma non si scostava né distoglieva gli occhi da quelli dell’altro.
“Sherlock.” ripeté alla fine con voce bassa, grave, mentre nei suoi occhi si agitava un gorgo di emozioni e pensieri.
Un sorriso che non aveva nulla di impertinente o di ironico schiuse le labbra del moro che spostò la mano dalle labbra dell’altro al mento, afferrandolo con delicatezza e alzandolo, in modo che i loro occhi fossero relativamente alla stessa altezza. “Te la sei scopata?”
“Chi?”
“La ballerina di lap dance con cui chiacchieravi al bancone.”
“Ci hai visti?”
“Vi ho anche visti entrare nella camera riservata a quelli che non lavorano nell’ambito della prostituzione.” Andy fece per aprire le labbra, ma subito dopo le richiuse, gli occhi che traballavano appena.
“Te la sei scopata, Andy?”
“No.”
“Perché?”
Il tocco arrivò inaspettato e bruciante. La mano del medico scivolò sulla sua gamba e risalì su, indugiando appena all’altezza dell’inguine, ma continuò la sua ascesa fino a fermarsi saldamente sul suo fianco. Sherlock, completamente spiazzato, trattenne il respiro.
“Cristo, Sherlock, sei nudo.” borbottò rocamente Andy aprendosi in un sorrisetto incredulo.
“E te ne sei reso conto solo ora?”
“No, ma… sentirti è diverso.”
“Ti piace quello che senti?” domandò allora il moro portando la mano all’altezza di quella dell’altro, ma non ricevette risposta. “Se ti piace, Andy, può essere tuo. Tutto questo.”
“Tutto? Proprio tutto?” chiese di rimandò l’ex militare ridacchiando appena, mentre finalmente i suoi occhi ritrovavano stabilità nei suoi.
“Tutto.”
Andy, allora, spostò la mano dal fianco di Sherlock e la portò al petto candido e liscio, seguita dal suo sguardo dolce. “Non sono uno che si accontenta, sai? Una volta che mi hai promesso tutto, è tutto quello che voglio.”
Sherlock non seppe come interpretare quella frase, ma non seppe neanche cosa intendesse lui stesso con tutto. Stavano forse parlando del suo cuore? Impossibile. Non aveva il minimo senso. Andy gli aveva resistito per così tanto… Perché proprio ora? Ora che Sherlock si era quasi rassegnato al fatto che non fosse diverso da chiunque altro, dopo che aveva accettato di seguire una donna in una camera privata, ora che nella sua testa regnavano più confusione e dubbi che altro.
E stava quasi per chinarsi su di lui e baciarlo, quando gli occhi del medico si fecero grandi di orrore nel contemplarlo. “Sherlock… Questi lividi.”
Improvvisamente, ricordò Moriarty e il segno della sua irruente prestazione. Quella notte sembrava così lontana ora che si trovava assieme a Andy, al sicuro, quasi. Ma col ricordo di Moriarty, giunse anche il quello delle telecamere puntate su di loro, delle minacce di quel folle, delle sue ossessioni. Tutto questo lo investì con la potenza di un tir e lo lasciò completamente allo sbando.
“Un cliente ha fatto il cattivo. E’ stato punito a dovere, non preoccuparti. E’ ridotto peggio.”
“Sherlock…”
“E’ questo che faccio, Andy.” lo interruppe affilando lo sguardo. “Io mi scopo quelli che mi pagano, Andy. Forse ti sei fatto un’idea sbagliata di tutto questo, ma per essere qui e per passare del tempo con me devi pagare, altrimenti puoi anche andartene.” Ma mentre pronunciava queste parole i suoi occhi scattarono allusivamente verso la telecamera che, ne era certo, Andy aveva dovuto sicuramente notare dopo tutti i loro incontri in quel posto. Il volto dell’altro, infatti, si dipinse di consapevolezza e si limitò ad un secco cenno del capo, mentre riprendeva le distanze e allungava una mano verso la vestaglia da notte del moro.
“Ero venuto solo per una visita medica.”
“A quest’ora della notte?”
“Ero di passaggio e ho pensato di fare qualcosa di utile, ma se ritieni la mia presenza superflua non ho alcun problema a tornarmene a casa…”
Sherlock gli strappò di mano la vestaglia e se la buttò addosso con gesti altezzosi, mentre si abbandonava sul letto con uno sbuffo. “E va bene, visiti pure, ma si sbrighi.”
Andy allora, si avvicinò a sua volta al grande matrimoniale che occupava gran parte della camera, ma di fronte al suo corpo disteso sembrò indugiare. Infine, scostò il tessuto blu quel tanto che bastava per avere una visione abbastanza completa dei lividi che macchiavano la pelle chiara dell’altro. Qualcosa, nella sua espressione, lasciava presagire a Sherlock che il medico aveva capito ogni cosa, ma ciononostante non poteva permettere che scattasse proprio sotto gli occhi di Moriarty.
“Un cliente, eh?”
“Uno di quelli abituali che ormai sono alla ricerca di esperienze nuove.”
“Spero che tu l’abbia cacciato a calci in culo.”
“Non credo avrà il coraggio di farsi rivedere.”
Scese il silenzio mentre Andy passava dal controllo delle tumefazioni a quello dello stato generale della salute dell’altro. La febbre era scesa a 37.7 ma comunque i dolori addominali e alla gola non sembravano voler passare. Sherlock lo osservò lavorare per un paio di minuti, finché quello non si allontanò dal letto e riordinò gli strumenti che aveva estratto dalla borsa di pelle che, nelle foga di vederlo, non aveva notato.
“Perché non ti sei fatto vivo, questi due giorni?” sussurrò ad un tratto il biondo, ancora intento a riordinare.
“Perché non avevo bisogno di un medico.”
“A quanto pare, allora, nemmeno di me.”
Sherlock sospirò, massaggiandosi la radice del naso. Perché quel piccoletto doveva sempre complicare ogni cosa? Era certo che avesse compreso perfettamente la situazione, ma qualcosa gli diceva che non voleva stare al gioco, non completamente. “Ti ho detto che per passare del tempo con me devi sborsare…”
“Quanto mi concede questo?” lo bloccò Andy mostrandogli settanta sterline.
Si trovò a sorridere in modo completamente genuino, colpito da quel gesto: stolto Rose, non poteva sapere che per il suo tempo veniva pagato almeno il triplo. Eppure, allungò la mano e prese il compenso che gli veniva offerto, poggiandolo con indifferenza sul comodino. “Mezz’ora al massimo.” mentì, consapevole che, per i suoi standard, quel denaro corrispondeva a malapena a un quarto d’ora.
“Ottimo, mezz’ora basta.”
“Che cosa vuoi?”
Andy si lasciò cadere sulla sedia che ormai sembrava essere diventata una sua proprietà e prese a fissarlo con insistenza. “La verità? Non ne ho la minima idea di cosa voglio, Sherlock. So che voglio saperti al sicuro anche quando non ci sono, so che voglio saperti in grado di decidere quando e come fare sesso con chi vuoi, so che voglio saperti libero di andartene da questo posto, so che voglio saperti… mio.”
Sherlock sgranò gli occhi a quelle parole, mentre il suo cuore, in petto, martellava furiosamente. Andy… non stava davvero… Dannazione, no… Non con Moriarty lì ad osservarli, non con Moriarty a fremere di rabbia e di gelosia, non con Moriarty a poca distanza da loro, folle, capace di tutto.
“Andy…”
“No, adesso stai zitto, Sherlock Holmes.” lo fermò con brutalità il medico, sporgendosi in avanti, verso di lui, la mano che si serrava quasi violenta sul suo polso. Quel tocco, per un attimo, lo spaventò o meglio, lo destabilizzò. Ne riceveva di quei tocchi, è vero, di quelle prese possessive che lo trascinavano sul cliente famelico di turno, ma mai ne aveva ricevute da Andy, né mai avrebbe pensato di riceverne. E infatti scacciò il timore, relegandolo in un angolo della sua mente, perché Andy non era paura, Andy era stabilità, sicurezza, dolcezza. “La verità, Sherlock, è che ogni volta che vengo qui io vorrei farmi fottere da te. La verità è che ogni singolo giorno che trascorro qui lo faccio nella speranza di trovare il coraggio di chiederti di scoparmi. La verità è che il coraggio non lo trovo mai perché so che non sarei né il primo né tantomeno l’ultimo.” La sua stretta venne rafforzata e Sherlock mugolò appena per il dolore. Che stava succedendo? Cos’era quel barlume di follia che campeggiava nelle iridi del medico? “Io voglio che tu sia solo mio, Sherlock. Vorrei avere tutto il denaro del mondo per comprarti e portarti via con me in modo che tu non sia di nessun altro, se non mio.”
“Lasciami.” sibilò con una vena schifata nella voce mentre non sprecava neanche energie a divincolarsi. C’era qualcosa di sbagliato in quell’improvviso cambio d’atteggiamento di Andy, qualcosa che stonava orribilmente. Ne riceveva talmente tanti di discorsi simili, chiunque voleva averlo solo per sé, molto spesso dopo due, tre notti insieme, invece lui pretendeva il suo monopolio senza mai aver neanche provato a sfiorarlo con la malizia che caratterizzava chiunque altro che l’avesse bramato egoisticamente. Non aveva alcun senso, Andy si era sempre rifiutato di venire a letto con lui, di occasioni ne aveva avute così tante, perché aveva deciso di reagire proprio in quel momento… Oh. Un’illuminazione chiarissima. Una consapevolezza tanto trasparente quanto, sicuramente, realistica. E dovette fare appello a tutto se stesso per non aprirsi in uno stupido sorriso di sollievo.
“No, Sherlock, non ti lascio.” ribatté prontamente l’ex militare alzandosi dalla sedia e inginocchiandosi accanto a lui sul materasso. “Io non sono come gli altri. Io non mi accontenterò di una mezzora. Ogni volta che verrò qui, ti sfiderò a portarmi a letto solo per resistere e vederti sconfitto. Se non posso averti in esclusiva, allora vorrà dire che ruberò tempo inutilmente ad altri.”
“Beh, tanto vale che approfitti del tempo insieme, no?” replicò con un sorrisetto sfrontato a cui l’altro rispose con uno ringhio basso.
“Nossignore, troppo facile darla vinta al celebre Angelo caduto. Sei diventato la mia ossessione, Holmes. E ti giuro che non ti libererai di me tanto facilmente.” Detto questo, Andy si allontanò dal letto, scrutandolo torvamente, e si diresse verso la porta, ma una volta giunto sulla soglia si fermò. “Ah, quasi dimenticavo, faresti bene a rispondermi al telefono quando ti chiamo o ti scrivo dei messaggi, altrimenti… potrei non rispondere più delle mie azioni.”
Sherlock scattò in piedi, scivolando rapidamente verso l’armadio in cui aveva appeso la giacca di Andy e vi infilò furtivamente le settanta sterline che il medico aveva lasciato sul comodino. “Ehi, tu, stalker del cazzo!” ringhiò prima che quello potesse chiudersi la porta alle spalle. “Prendi questa tua merda. E’ troppo tamarra per me.”
Andy afferrò al volo la pesante giacca e neanche si scompose a quel lancio improvviso e inaspettato. I suoi occhi, ora che erano fuori dal mirino della telecamera, si erano addolciti, anche se non si era sbilanciato a rilassarsi completamente, probabilmente nella possibilità che ve ne fossero altre nascoste. Non si salutarono in alcun modo, né a parole, né a gesti, né con gli sguardi. Entrambi sapevano e dentro quasi gongolavano per il modo brillante in cui avevano aggirato la sorveglianza di quel folle del capo del bordello.
Quando chiuse la porta, Sherlock si fiondò sotto le coperte, occultando il volto sotto la trapunta e le lenzuola. Sorrideva e lo faceva con calore e disinibizione. Andy Rose era stato eccelso, semplicemente eccelso. Aveva escogitato in pochissimo tempo uno stratagemma per crear loro un alibi di ferro agli occhi di qualcuno che neanche conosceva ma sapeva essere pericoloso. Che fottuto genio! Sherlock sentì il cellulare, nella tasca della vestaglia, vibrare e attese un’ora buona, perso nei suoi pensieri stupidamente felici, prima di guardare il mittente del messaggio.
 
Perdonami se ti ho fatto male.
 
Ti prego, dimmi che stai bene e che non ho rovinato tutto.

 
Sherlock avrebbe davvero desiderato con tutto se stesso trovarsi lontano dalla vigilanza di Jim per scoppiare a ridere di cuore. Rovinare tutto? Ma se aveva avuto la meravigliosa abilità di salvare il loro rapporto, avvolgendolo con un’immensa bugia, mascherandolo e rendendolo la cosa più vera mai esistita sulla faccia della terra. Dio, quanto era inevitabilmente attratto da quell’uomo!
 
Sto bene, non preoccuparti e comunque non hai rovinato niente, anzi.
 
Credo che sarebbe più saggio vederci fuori da questa merda, per il momento.
 
A meno che tu non voglia ripetere l’esperienza di oggi.
 
Attese la risposta dell’altro che, probabilmente, era andato a dormire e solo l’indomani avrebbe avuto occasione di scrivergli. Invece, come al solito, Andy Rose, quella splendida contraddizione che era Andy Rose, cambiò le carte in tavola.
 
No, grazie, con oggi credo di essere apposto per sempre.
 
Forse dovremmo anche smettere di scriverci. Chi ha messo
quelle telecamere potrebbe benissimo controllarti il
telefono.

 
Sherlock sorrise nel digitare la risposta.
 
Hai ragione, forse dovremmo…
 
Ma?
 
Ma non credo di riuscire a vincere la scommessa
senza flirtare con te neanche via sms.
 
Sei un’idiota.
 
Lo so. :)
 
Una faccina. Dio solo sapeva quanto odiava le persone che inviavano faccine. Eppure, l’aveva appena fatto e rideva di se stesso perché lo Sherlock che era diventato era incredibilmente simile ad un quattordicenne – non che fosse mai stato il ritratto della maturità. Si chiese come sarebbe stato se quello che aveva detto Andy fosse stato reale. Si chiese come sarebbe stato se Andy lo avesse voluto davvero in un modo insano come lo voleva Moriarty. Probabilmente avrebbe cominciato a ripudiarlo come faceva col suo capo, però… Però immaginarsi oggetto della lussuria del medico militare era davvero tutt’altra questione.
 
Sogni d’oro, Sherlock.
 
Lesse quel messaggio col cuore traboccante di gioia. Com’era possibile essere così felici per un paio di sms? Non era da lui, non era dal suo essere calcolatore, non era dal suo tenersi distante dai sentimenti… Ma Andy era una chiave. E le chiavi esistono per aprire porte e svelare misteri. Che fosse proprio lui il mistero celato dietro alla porta che portava addosso la serratura compatibile con la chiave di Andy Rose?
 
Sogni d’oro, Andy.
 
E proprio mentre era sul punto di lasciarsi abbracciare dalla spumeggiante cappa di sonno che lo avvolgeva, pensò alla ragazza di Victor e a come avrebbe reagito se lui avesse trovato il coraggio di rivelarle la verità. Si chiese se Andy avrebbe mai potuto accettarlo come compagno per la vita, con tutti i suoi difetti e il suo passato. Se avrebbe mai potuto amarlo.

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SPAZIO AUTRICI
Ragazzi, scusate ma oggi è un tram tram... Facciamo che per una volta saremmo brevi. Speriamo vi sia piaciuto e vi aspettiamo domenica prossima. Più concise di così...

Alla prossimaaaa
   
 
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