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Autore: AngelsOnMyHeart    02/12/2018    1 recensioni
«Se è questo ciò a cui tenete, vi racconterò tutto per filo e per segno ma sappiate che non vi porterà da nessuna parte, ci farà solo perdere altro tempo.»
«Ci dai tua parola?» Gli domandò North, volgendogli un'occhiata curiosa ed incerta.
Le labbra di Pitch si piegarono in uno di quei suoi soliti sorrisi, quelli a cui persino il più ingenuo tra gli ingenui non avrebbe potuto abboccare «Lo giuro sul mio onore.»
(Estratto del 10° Capitolo de "Il Dominio del Caos")
La storia si pone tra la fanfiction "Cuore di Tenebra" ed il suo sequel "Il Dominio del Caos".
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Fearlings, Nuovo personaggio, Pitch
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I
Risveglio.
 

...And I hear voices screaming to run away
Yet I see
Not black and white but silver and gray.

I don't trust you but I want to
Please don't let me fall.”

-The Dark, Beth Crowley.


«Chiedete e vi sarà dato.» Sospirò Pitch.
«Che ne dici allora di cominciare da quel piccolo, quanto insignificante, dettaglio che hai dimenticato di menzionarci l'ultima volta?» Iniziò a chiedergli Calmoniglio con un tono che definire sarcastico sarebbe stato un eufemismo «Perché saremmo proprio curiosi di sapere, per quale diamine di motivo, non ci hai detto che Scarlett ed Aenigma sono la stessa persona?»
«Di' un po', coda di cotone, ti sembrano la stessa persona per caso?» Chiese di rimando l'uomo, volgendo lo sguardo oltre le proprie spalle verso in direzione del Pooka che a stento riuscì a trattenersi dall'avventarglisi addosso.
«Perché hai chiamato quella donna col suo nome allora?» Domandò la fata.
«Perché Aenigma è Scarlett...»
«Io lo ammazzo!» S'infuriò Calmoniglio, stritolando nella propria zampa il bicchiere che esplose in mille pezzi, riversandosi sul pavimento con tutto il suo contenuto.
«La mia riserva speciale!» Fu il gridolino che fuoriuscì dalle labbra di North nel vedere il liquido trasparente e inodore riversarsi sul tappeto mentre il Pooka, trattenuto a fatica da Dentolina e Sandman, era già pronto ad avventarsi sull'uomo.
«... ma Scarlett non è Aenigma.» Concluse Pitch, voltandosi verso gli altri ed incontrando il pugno chiuso, ora fermo a mezz'aria, che Calmoniglio stava per stampargli dritto sullo viso spigoloso e grigio.
«Spiegati meglio.» Lo intimò allora il Guardiano della Speranza a denti stretti «Dicci con esattezza tutto quello che è successo, senza tralasciare nulla, basta parlare per enigmi.»
Pitch fissò Calmoniglio, inespressivo, quasi annoiato.
«Gioco di parole?» Ridacchiò poi l'uomo, dirigendosi verso lo sgabello che North gli aveva messo a disposizione, sedendocisi sopra «Se è questo ciò a cui tenete, vi racconterò tutto per filo e per segno ma sappiate che non vi porterà da nessuna parte, ci farà solo perdere altro tempo.»
«Ci dai tua parola?» Gli domandò North, volgendogli un'occhiata curiosa ed incerta.
Le labbra di Pitch si piegarono in uno di quei suoi soliti sorrisi, quelli a cui persino il più ingenuo tra gli ingenui non avrebbe potuto abboccare «Lo giuro sul mio onore.»”
* * * *
 
La ragazza giaceva addormentata sul letto, avvolta in lenzuola nere che la coprivano sino alle spalle.
Era diverso tempo ormai che la giovane versava in quella curiosa condizione: un sonno talmente profondo da renderle impossibile il risveglio, se non parziale ed in casi molto rari. I capelli d'ebano le ricadevano ordinati sulle spalle, quasi fossero stati appositamente acconciati da qualcuno e le labbra sottili appena socchiuse si protendevano verso l'alto. Una bella Biancaneve in attesa del bacio che l'avrebbe destata dal mondo dei sogni una volta per tutte.
Ma, al contrario di ciò che molti potrebbero pensare, non fu un bacio a sovvertire quella che era ormai diventata la routine della bella addormentata, bensì un incubo.
Il corpo della ragazza iniziò ad agitarsi sotto le lenzuola. All'inizio si trattò di piccoli sussulti appena impercettibili, poi seguirono dei lamenti che divennero delle vere e proprie farneticazioni, la testa le scattò da un lato all'altro mentre sbatteva convulsamente le mani sul materasso, come a volersi liberare alla stretta di qualche creatura che la braccava in sogno.
«Non voglio», mugugnò scalciando debolmente «lasciami andare!»
La richiesta venne immediatamente esaudita.
I suoi occhi si spalancarono di scatto nella penombra che la circondava ed il corpo le parve sprofondare nel materasso a cui si aggrappò affondandovi le unghie, tentando di inspirare profondamente più e più volte, incapace di espirare, nel tentativo di riprendere aria.
Per un lungo istante credette che non sarebbe più stata in grado di tornare a respirare ma, lentamente, il suo respiro si stabilizzò, placando quel breve attacco di panico.
Rimase a lungo distesa, lo sguardo rivolto agli intricati ghirigori che si estendevano in un disegno non del tutto chiaro sul soffitto. Sebbene fossero appena visibili, dato la penombra in cui era avvolta la stanza, la ragazza si concentrò sulle linee che si intrecciavano mentre tentava di snodare il groviglio di pensieri e ricordi che le si era formato in testa. Le sarebbe bastato ricordare il proprio nome per il momento.
Il nome...qual è il mio nome?- pensò facendo saettare lo sguardo da una decorazione all'altra sul soffitto -Una rosa. Rose? No no...non è la rosa ma come la rosa... Scarlett! Mi chiamo Scarlett.
Come il suo nome riaffiorò dal groviglio, anche altri ricordi si snodarono, tessendo un disegno non proprio chiaro della sua vita e di quelli che credette fossero i suoi avvenimenti salienti.
Ricordò un'infanzia difficile delineata dai litigi dei genitori e dall'abbandono del padre. L'adolescenza, già complicata di suo, caratterizzata dagli incubi e tutto ciò che questi avevano scatenato in seguito.
Ricordò delle figure particolari, a cui dava il nome di Guardiani, dall'aspetto fiabesco e folkloristico, giunti in suo soccorso quando stava per soccombere a delle tenebre che lei stessa aveva liberato e di come la luce l'aveva avvolta al suo ritorno, cancellando ogni traccia di timore.
Ed infine una corsa nella tempesta, inseguita da un drago nero che le sputava contro fiamme blu e...no. Si interruppe scuotendo il capo. Doveva aver sbattuto forte la testa se credeva davvero che tutto ciò fosse realmente accaduto. Eppure...
Eppure perché dentro di sé credeva così fermamente che fosse tutto vero? Ogni suo ricordo, persino il drago.
«Perché è reale.» Sussurrò stupita tra sé e sé, scoprendosi con la gola talmente secca che avrebbe potuto sputare sabbia, se avesse tossito. Si passò la lingua sulle labbra, ritrovandole secche e screpolate, dando conferma ai suoi dubbi. Era disidratata. Ovunque si trovasse, e chiunque si fosse preso cura di lei fino a quel momento, non doveva aver particolarmente pensato alla sua idratazione. Aveva bisogno di bere e, per farlo, necessitava di mettersi in piedi e raggiungere la più vicina fonte d'acqua che le fosse capitata lungo il cammino. Diamine, avrebbe bevuto un bicchiere di veleno conoscendone il contenuto, pur di placare la sua sete terribile.
Purtroppo, quella che le era sembrata a tutti gli effetti una semplice azione quotidiana, si rivelò un'ardua impresa quando si rese conto che i suoi muscoli, specialmente quelli delle gambe, erano parzialmente atrofizzati. Come tentò di sollevarsi sui gomiti, gli arti si rifiutarono di collaborare ed una fitta l'attraversò a sinistra dello sterno, da parte a parte, costringendola a ricadere con la schiena contro il materasso. Rimase immobile e sbalordita di essersi ritrovata tanto debole da non riuscire nemmeno a sollevarsi, poi fece scorrere le dita della mano destra lungo il petto, raggiungendo il punto in cui aveva avvertito dolore e che ora bruciava leggermente, scoprendovi quelle che le sembrarono delle bende. Titubante abbassò lo sguardo: il seno e la spalla sinistra erano fasciati ad arte. Dopo diversi attimi di esitazione, si decise a sollevare la medicazione scoprendovi una ferita -uno squarcio- di cinque centimetri circa, dai bordi imprecisi e frastagliati, richiusa con alcuni punti di fortuna.
Oddio! Pensò ricacciando la nausea da quello che non era certo un bel vedere Oddio cosa diamine mi è successo?
Tentò ancora una volta di ricordare, afferrandosi con forza al groviglio di ricordi per cercare di snodarlo più velocemente ma, come lo fece, una fitta le attraversò il cranio, ed un flash di luce bianca la costrinse a chiudere gli occhi.
C'è una sola dannatissima cosa che io possa fare senza che mi provochi dolore in qualche modo? Pensò stizzita cercando di rimettersi a sedere una seconda volta. Riuscì a sollevare appena la schiena ma, proprio come al primo tentativo, ricadde all'indietro.
Oh andiamo Scarlett! Vedi di darti una mossa o invecchierai su questo stupido letto o, peggio, morirai di sete.
Dopo questo pensiero motivazionale tentò quindi con un altro paio di tentativi, tutti fallimentari. Fu solo al quinto che riuscì a sollevarsi quel tanto che le consentì di poggiarsi con la schiena contro la testiera del letto. Ovviamente lo sforzo le provocò un forte capogiro, nulla di cui stupirsi a questo punto, e si ritrovò costretta ad inclinare il capo all'indietro, serrando gli occhi mentre inspirava ed espirava lentamente.
Quando pensò di essersi ripresa a sufficienza, sollevò le palpebre iniziando a guardarsi lentamente intorno con vago interesse, studiando l'ambiente che la circondava, in attesa di avere le forze ed il coraggio necessari per riuscire a mettersi in piedi.
Non vi era dubbio che si trovasse in una camera da letto, questo lo aveva appurato non appena si era risvegliata in quel letto a lei apparentemente sconosciuto. Volse lo sguardo alla sua sinistra: un comodino d'ebano, o almeno credette che lo fosse, dai ritagli particolari ed uno stile altrettanto curioso, avrebbe azzardato che fosse barocco ma non era mai stata un'esperta di arredamenti e non era di certo intenzionata a diventarlo in quel momento. Oltre il comodino scorse una delle quattro pareti della stanza, in parte occupata da un armadio, anch'esso scuro come l'ebano e dall'aspetto massiccio ed imponente. Nella parete dinnanzi al letto individuò quella che le parve una cassettiera con specchio ed alla sinistra di essa una porta chiusa. La parete sulla destra era invece spoglia di mobilia, vi era solo un'altra porta chiusa ad intralciarne superficie.
Il tutto condito da quella penombra, pesante come la nebbia in un giorno umido, credette che quell'oscurità potesse permeare nei pori della sua pelle, quasi avesse potuto respirarla in qualche modo.
Sospirò scacciando quei pensieri. Aveva perso fin troppo tempo a valutare l'arredamento, era giunto il momento di alzarsi.
Sollevò le coperte, scoprendo così che la fasciatura sui seni era l'unica cosa a rivestire il suo corpo, altrimenti nudo. Non se ne curò, non in quel momento, non con quella sete che oscurava qualsiasi senso del pudore, e comunque stava morendo di caldo. Il che le parve comunque piuttosto strano a pensarci, a meno che la stanza non fosse riscaldata, era abbastanza certa che il suo ultimo ricordo si fermasse ad una notte di inizio dicembre. Quanto aveva dimenticato, o dormito, altrimenti?
Con un piccolo sforzo lasciò scivolare le gambe oltre il bordo del letto, attese qualche altro istante prima di decidersi ad appoggiare la pianta dei piedi sul pavimento, il freddo del marmo la fece sussultare ma non li ritrasse, trovandolo in realtà abbastanza piacevole data la calura che sentiva sulla pelle. Mosse lentamente le gambe, cercando di diminuire l'indolenzimento e, quando il torpore si affievolì abbastanza da farla sentire sicura, si sollevò molto piano convinta che le sarebbero occorsi diversi tentativi anche in questo caso, restando invece particolarmente stupita quando si scoprì ancora in piedi, seppur le ginocchia tremassero appena sotto il suo peso.
Ora non le restavano che pochi passi sino alla porta più vicina, ossia quella alla sua destra.
Una passeggiata, vero?
Purtroppo no.
Le bastò un singolo passo per far crollare il traballante castello di carta, comprendendo di aver commesso un enorme stupidaggine ormai troppo tardi: le gambe cedettero di colpo, come se un telecomando ne avesse disattivato improvvisamente le funzioni e, dopo un paio di passi sconnessi, inciampò nei propri piedi. Inutilmente cercò un appiglio nel pomello del letto ma questo si rivelò troppo liscio e le sue mani non riuscirono a mantenere la presa, scivolando. L'esito fu inevitabile a quel punto. Sbattè a terra sul fianco sinistro, colpendo proprio con la spalla ferita il pavimento, per poi ricadere sulla schiena.
Un urlo le graffiò la gola e la fitta fu atroce al punto tale che la vista le si annebbiò di nuovo, le venne la nausea e, dulcis in fundo, alcune macchioline di sangue iniziarono a trasparire attraverso le garze della fasciatura.
Diverse imprecazioni piuttosto colorite fuoriuscirono dalle labbra secche della ragazza mentre si contorceva a terra, tentando inutilmente di perseguire nel suo principale obbiettivo. Lo sforzo ed il dolore causato dall'urto, però, l'avevano sfiancata. Non fu in grado nemmeno di trovare le forze per girarsi su di un fianco, figurarsi quindi risollevarsi, o in caso strisciare sugli avambracci, sino alla porta.
Si arrese quindi all'evidenza e rimase a terra, supina, in attesa che il dolore svanisse da se o che almeno si affievolisse. Attesa che, come purtroppo temeva, si rivelò vana. L'impatto era stato troppo forte e la ferita non smetteva più di pulsare e sanguinare.
Distesa su quel pavimento freddo, quanto altro tempo avrebbe dovuto passare così? Minuti, ore? Forse giorni?
Volse un'occhiata veloce alle bende: una grande macchia rossa spiccava sul bianco della fasciatura, ampliandosi piano ma inesorabilmente.
Iniziò a sentirsi così stanca, e sciocca, la sete persisteva ma ora sentiva impellente il bisogno di dormire. Solo pochi attimi, giusto il tempo di ritornare in forze...
«Come hai fatto a finire lì?»
Scarlett sussultò lievemente nel sentire quella voce ma non si mosse di un centimetro, un po' per timore un po' per incapacità, ascoltando alcuni passi muoversi nella sua direzione. Strano, non aveva sentito la porta aprirsi.
Ebbe la vaga sensazione di conoscere il proprietario di quella voce ma il groviglio non si era ancora districato abbastanza . Fu solo nel momento in cui l'uomo entrò nella sua visuale che un altro intreccio di ricordi si snodò dalla matassa ingarbugliata, facendole ricordare.
Oh! Lo conosceva fin troppo bene.
Pelle grigia e sabbiosa, occhi ambrati, vesti nere come i capelli che portava corti e tirati all'indietro. Di chi altri poteva trattarsi se non di Pitch Black (meglio noto nel mondo e dai bambini come l'Uomo Nero)? La causa principale dei suoi problemi negli ultimi dieci anni.
Tutti i dubbi sui ricordi che le erano affiorati in precedenza svanirono e molti tasselli tornarono al loro posto trovando un senso in quel caos che era la sua mente.
I Guardiani, le tenebre e la luce, la tempesta di sabbia nera in Kansas, persino gli Yeti e gli elfi, era tutto vero.
Gli occhi di Scarlett si sbarrarono alla vista dell'uomo ed il viso le fu attraversato da un velo di stupore, lo stesso che passò su quello di Pitch quando i loro sguardi si incrociarono. L'uomo rimase ad osservarla imbambolato per alcuni istanti, prima di interrompere il silenzio con un semplice «Oh.»
Svanito lo sconcerto iniziale l'uomo le sorrise -era un sorriso gentile quello che vedeva?- e si protese in avanti, chinandosi su di lei «Sei sveglia finalmen-... AH!-.
Il pugno fu un riflesso spontaneo. Come l'uomo aveva iniziato ad avvicinarsi a lei, il braccio si era mosso di scatto, le mani si erano serrate, e lo aveva colpito su quel brutto naso che si ritrovava incanalando le poche forze che le erano rimaste in quel gesto. Pitch si coprì il volto con le mani ed indietreggiò curvandosi in avanti con il busto, lanciando un paio di imprecazioni prima di riuscire a sollevarsi di nuovo, guardandola a dir poco sconvolto.
«Perché diamine l'hai fatto?» Le chiese infine con un tono sorpreso e vagamente stridulo.
Scarlett, che grazie alla piccola scarica di adrenalina datale dal pugno era riuscita a trovare le forze per rimettersi seduta, si sentì vagamente soddisfatta nel vedere l'uomo piegarsi su se stesso per il dolore.
«Non azzardarti ad avvicinarti di nuovo a me!» Gli urlò contro, più spavalda di quanto potesse effettivamente permettersi.
Pitch, tenendo le mani a conchiglia a coprirgli il naso, la osservò con interesse per alcuni secondi, poi di scoppiò a ridere.
Nulla di nuovo sotto al sole per Scarlett, aveva fatto l'abitudine ad essere derisa dall'uomo, la cosa però le fece comunque ribollire il sangue come ogni volta.
«Ed ecco il ringraziamento che mi merito per essermi preso cura di te negli ultimi mesi, sei molto gentile.» Rise ancora lui, tentando nuovamente di avvicinarsi di qualche passo alla ragazza, stavolta sollevando i palmi aperti delle mani sopra le spalle, in segno di resa. Scarlett notò un rivolo di sangue scorrergli dalla narice sinistra sino al labbro superiore.
Ben gli sta
«Non ho alcuna intenzione di farti del male», le disse pacato «voglio solo rimetterti a letto e medicarti quella ferita, visto che da quel che vedo sei riuscita a farla riaprire.»
Scarlett, per tutta risposta, si sottrasse di nuovo quando le fu troppo vicino, stavolta dandogli dei fastidiosi schiaffi sugli stinchi. Pitch roteò gli occhi al soffitto, indietreggiando nuovamente di qualche passo. Di certo non perché temesse in qualche modo che le ire della giovane potessero nuocergli, come aveva fatto poco prima ad essere onesti, semplicemente volle evitare che facendo qualche movimento inconsulto potesse aggravare ulteriormente le condizioni della sua ferita.
«E tu credi che io mi farò raggirare dalle tue belle parole da scout? Come potrei mai fidarmi di te?» Gli sibilò contro a denti stretti, gli occhi socchiusi in una promessa di morte se solo lui avesse fatto un altro passo e Pitch ringraziò che fosse troppo debole per riuscire anche solo a sollevarsi in piedi. Scarlett, dal canto suo, era conscia di non incutergli alcun timore. Eppure l'uomo aveva qualcosa nello sguardo, qualcosa che si era incrinato leggermente come lei aveva pronunciato le ultime parole, ma si trattò di pochi istanti. Forse la stanchezza le stava giocando qualche brutto tiro.
«Oltre alla memoria hai per caso perso l'udito e quel pizzico di sale in zucca che ti erano rimasti?» Iniziò ad urlarle contro lui, col suo solito ed immancabile tatto «Non hai sentito cosa ti ho appena detto o visto dove ti trovi? Chi credi ti abbia medicato quella ferita e controllato che non si infettasse per tutto il tempo che tu hai passato a fare la bella addormentata?»
Scarlett sollevò a fatica una mano sul petto fingendosi costernata.
«Oh scusami! Scusami tanto se ho ferito i tuoi sentimenti ma sai, la mia memoria sarà pure incasinata, non lo nego, però ricordo perfettamente l'inferno che ho vissuto a causa tua.» Si interruppe guardandolo negli occhi per alcuni istanti «Credevi potessi dimenticarmene?»
Pitch abbassò le braccia, scrutandola ancora con quello sguardo da cucciolo ferito per poi scuotere bruscamente il capo, puntandole l'indice contro.
«Sai una cosa? Va bene! Fai pure come vuoi. Restatene lì a terra a sanguinare. Quanto ti ci vorrà prima di perdere nuovamente i sensi, alcuni minuti? Perfetto. Quando ti sarai addormentata sarà una passeggiata per me medicarti, anziché caricarti di forza sul letto mentre ti dimeni come una bambina.»
Scarlett rimase alcuni istanti in silenzio, istanti in cui non tolse gli occhi di dosso all'uomo, studiandolo attentamente e pensando a ciò che le aveva appena detto. Era confusa e stanca ma non certo scema. Aveva compreso fin dal primo momento in cui aveva visto il suo viso che, non si sa per quale assurdo motivo, Pitch l'aveva accudita per...aveva detto mesi? Ma perché tanta diligenza da parte sua? Cosa pensava di guadagnarci, in cambio?
Quante domande cominciarono a vorticarle per la testa!
Solo una cosa era certa, se lei avesse perso nuovamente i sensi come lui le aveva fatto notare, non avrebbe avuto modo di trovare risposta a quelle domande, almeno non nell'immediato futuro.
«Va bene», sospirò infine Scarlett, decidendosi ad abbassare la guardia «fai pure.»
Pitch avanzò di alcuni passi prima di fermarsi, dubbioso.
«Posso avvicinarmi?» Chiese conferma.
A Scarlett fuggì un risolino «Tranquillo, non ti colpirò di nuovo né ti morderò, se è questo che temi.»
L'uomo fece una smorfia che la ragazza non riuscì a decifrare e si chinò con cautela, facendole passare il braccio destro sotto le ginocchia ed avvolgendole invece il sinistro dietro la schiena così da riuscire a sollevarla senza troppa fatica.
«Ahi!» Si lamentò Scarlett con un mezzo strillo che risuonò nel timpano sinistro di Pitch come questi la sollevò da terra, facendogli desiderare per un breve momento di ributtarla sul pavimento.
«Fai piano!» Lo rimproverò lei lanciandogli un'occhiataccia. Il movimento le aveva provocato l'ennesima fitta alla spalla. Pitch, invece di scusarsi, le lanciò un'occhiata scocciata.
«Se fossi rimasta a letto adesso non avresti nulla di cui lamentarti.»
La ragazza abbassò lo sguardo e non aggiunse altro, infastidita dal fatto che, in fin dei conti, non avesse tutti i torti stavolta.
Ma avrebbe voluto vedere lui nella stessa situazione! Risvegliarsi in un luogo sconosciuto, ferito ed in parte privo di ricordi. Cosa avrebbe dovuto fare? Rimettersi a dormire come se niente fosse?
Quando l'ebbe rimessa a letto le tolse con cura la medicazione «È meno grave di quello che pensassi.» Commentò sollevato prima di iniziare a medicarla. Le sue mani si muovevano delicate e spedite, come se avesse ripetuto quell'operazione diverse volte.
Negli ultimi mesi
Quella parte della frase continuava a ruotare nella sua testa. Quanto doveva essere stata grave quella ferita per essere ancora aperta dopo tanto tempo?
Volse uno sguardo incerto a Pitch, uno strano silenzio era caduto tra loro, quasi d'imbarazzo. Non c'era di certo da stupirsene, dopo i loro trascorsi, l'attuale situazione delle cose era a dir poco insolita.
Quel silenzio però le creava un certo disagio, inoltre lei aveva bisogno di trovare delle risposte a tutte le domande che le stavano vorticando per la testa.
«Come facevi a sapere che ho perso parte dei miei ricordi?» Si decise infine a chiedergli lei, pescando una domanda dal mazzo.
Pitch sollevò lo sguardo come sorpreso, senza dubbio non era abituato a conversare mentre la medicava.
Probabilmente non è abituato a conversare affatto ma gli piace comunque ascoltare il suono della propria voce, ed anche parecchio.
L'uomo parve pensarci su alcuni attimi, poi si decise a parlare.
«Ti sei già svegliata, in un paio di occasioni, non come oggi però. Te ne stavi qui sdraiata ed immobile, fissavi il soffitto, mormoravi ogni tanto qualche frase sconnessa senza ricordare chi fossi, poi ti rimettevi a dormire.»
Scarlett ascoltò attentamente e quando ebbe finito di spiegarle si sentì abbastanza sicura che non le stesse raccontando delle balle, come se ricordasse vagamente quei momenti da lui descritti, alzò quindi lo sguardo per passare alla domanda successiva e forse la più importante di tutte «Tu puoi dirmi cosa mi è successo?»
Un smorfia incerta attraversò il viso dell'uomo mentre imbeveva delle garze di disinfettante.
«Cos'è che ricordi?» Le domandò a sua volta.
A saperlo, pensò lei.
Chiuse quindi gli occhi ed inspirò a fondo, cercando di inquadrare al meglio ogni dettaglio che le venisse in mente, per quanto assurdo questo potesse sembrare.
«Ricordo il Kansas, o almeno credo lo fosse, ero nel mezzo di una tempesta, la peggiore che io abbia mai visto in tutta la mia vita. Correvo con un drago alle calcagna e...», si interruppe sbarrando gli occhi ed arrossendo, imbarazzata «... ma questo è impossibile vero?»
Le mani di Pitch esitarono un istante sulla ferita della ragazza in seguito a quella domanda, il capo chino così che lei non potesse vedere la sua espressione, prima di stringersi nelle spalle continuando come se niente fosse :-Direi che è possibile, continua-.
Scarlett si convinse, sicura di non sbagliare, che lui c'entrasse qualcosa con quel drago che l'aveva braccata nel buio.
«A questo punto tutto inizia a farsi più confuso, i contorni dei ricordi si fanno astratti e, quando li tocco è come se sfumassero via. Come un sogno al risveglio.» Indugiò ancora una volta, come se avesse detto qualcosa di stupido, poi continuò «Mi ritrovo su un'enorme nube nera che sembra estendersi per centinaia di metri, forse anche di più, non ho idea di come io sia arrivata lassù ma sto correndo, stavo cercando...stavo...ARGH!» Sbatté un pugno sul materasso, facendolo traballare lievemente, per poi coprirsi il viso.
«Non riesco a ricordare» Sussurrò con un filo di voce, sconsolata.
Pitch prelevò delle bende pulite dal primo cassetto a fianco del letto ed iniziò a srotolarle, poi si allungò su di lei, per avvolgergliele attorno allo sterno.
«Prima di tutto, mi credi se ti dico che, probabilmente, sei arrivata fin su quelle nubi nere cercando me?»
Scarlett sgranò gli occhi, osservandolo con evidente sconcerto. Cosa era andata a fare fin lassù solo per lui? Aveva forse deciso di vendicarsi?
No. Scartò quell'idea, sebbene il pugno sferrato pochi istanti prima sembrasse dimostrare il contrario, non credeva di provare alcuna forma di rancore nei confronti di Pitch, per quanto questa cosa sembrasse assurda persino a lei stessa.
«Diciamo che non riesco a figurarmene un motivo ma...sì, stranamente lo ritengo abbastanza plausibile.»
Finì di avvolgerle la fasciatura, fermandola con un nodo sulla spalla sinistra.
«Non ho idea di come tu sia arrivata fin lì, sei comparsa all'improvviso. Mi hai colto di sorpresa, lo ammetto, quando ti ho vista corrermi incontro. Io nemmeno credevo tu fossi...» Si fermò, incapace di trovare le giuste parole per concludere la frase.
«Viva?» Lo incalzò Scarlett, pacata ma stupita della piega che gli eventi stavano prendendo.
«Già.» Continuò lui scuotendosi, come per risvegliarsi da un sogno ad occhi aperti.
«Credo sia stato questo a distrarmi, o forse tutto quel rosso, chi lo sa. Forse avrei potuto evitare quel che è accaduto dopo.»
Seguì l'ennesimo silenzio e la ragazza rovesciò gli occhi all'indietro, sbuffando.
«Non fare il criptico con me, Pitch, non ora che ho bisogno di risposte il più chiare e dirette possibili. Cos'è successo dopo che mi hai vista arrivare?»
Con un cenno del capo, Pitch le indicò la medicazione senza guardarla in viso, ma Scarlett non si fece ingannare, era sicura che stesse volutamente evitando il suo sguardo «Una freccia. Ecco a cosa è dovuta quella ferita, te l'ha scagliata addosso il tuo amichetto dorato.»
Il filo della sua mente si sgrovigliò quasi completamente concedendole una fugace visione di quel frangente, ricordandola in modo così cristallino da provare quel dolore ancora una volta, un dolore che la colpiva non solo nel fisico ma anche nell'anima. Posò una mano sul petto ed inspirò a fondo, incredula «Perché? Perché Sandman avrebbe dovuto fare una cosa simile? Non riesco a capire...»
«Non credo che quella freccia fosse destinata a te, se è questo che pensi.» La interruppe prontamente lui.
Scarlett sollevò il capo, come colta da un'improvvisa illuminazione e si volse a guardarlo, stavolta l'Uomo Nero non fece in tempo a sfuggire al suo sguardo, trovandosi costretto a sostenere quei grandi occhi neri (non erano più neri una volta?) che lo scrutavano con stupore «Era te che voleva colpire, non è così?»
Pitch annuì e stavolta fu Scarlett ad interrompere il loro contatto visivo, abbassando il capo per osservare attentamente la medicazione, i capelli le ricaddero in avanti coprendole il viso.
Il silenzio che cadde fu freddo e prolungato, per Pitch quasi snervante, questo fin quando la ragazza non scoppiò improvvisamente a ridere facendolo sussultare, e quasi cadere dalla sedia che aveva affiancato al letto. Scarlett inclinò la testa all'indietro continuando a ridere quasi fino alle lacrime, che le ultime rivelazioni l'avessero fatta completamente impazzire?
«La storia della mia vita!» esclamò a fatica, tra una risata ed un altra, mentre si teneva la pancia per il ridere «”Si trovava nel posto sbagliato al momento peggiore”, ecco cosa verrà scritto sulla mia lapide.» E scoppiò in un'altra fragorosa risata, stavolta più sonora della precedente, era quasi rimasta senza voce ma non riuscì a trattenersi in alcun modo.
Pitch, dal canto suo, rimase in silenzio ed incapace di comprendere esattamente cosa stesse accadendo. Le aveva appena spiegato di essere stata colpita da una freccia non destinata a lei, il che l'aveva fatta finire in una specie di coma soprannaturale per mesi e lei rideva. Non cercava di aggredirlo o cavargli gli occhi in qualche modo, come si immaginava sarebbe capitato, no, rideva. E questo lo colse di sorpresa ancora una volta, come quando ad un passo da quella che avevano entrambi creduto la fine, lei aveva trovato la forza di porgergli la mano «Niente trucchi?» Gli aveva detto facendosi sfuggire un risolino stanco ed una luce aveva brillato nei suoi occhi neri, facendolo esitare. Proprio come in quel momento. Esitava, non sapendo in che modo reagire.
Fu Scarlett a salvarlo dall'imbarazzo.
«Quindi ora sei in debito con me?» Gli chiese rivolgendogli un'occhiata divertita, i suoi occhi brillarono e le labbra si piegarono in un sorriso, proprio come allora.
L'uomo sentì il proprio stomaco stringersi in una morsa ma riuscì a non darlo a vedere, ridacchiando e scuotendo il capo come se la ragazza gli avesse appena raccontato una barzelletta imbarazzante, o forse era semplicemente lui ad essere imbarazzato.
«Hai subito colto la palla al balzo, vedo.» Scherzò Pitch, evitando di risponderle direttamente, mentre si portava la mano destra dietro al collo per massaggiarlo.
Nonostante non avesse ricevuto una vera risposta Scarlett non insistette ulteriormente, il solo sapere che l'aveva accudita per tutto quel tempo le bastava per essere certa che l'uomo si sentisse in debito verso di lei. Rimase invece sconcertata nell'accorgersi che tutto l'astio, provato sino a pochi istanti prima nei confronti di Pitch, era svanito man mano che i ricordi erano riaffiorati. Sebbene il groviglio si fosse districato, era rimasto però un piccolo nodo, ancora troppo stretto per sciogliersi assieme agli altri. Cosa era andata a fare lassù? Sospirò e scacciò quella domanda. Aveva ricevuto più risposte di quelle che avrebbe immaginato e tanto le bastava per il momento, avrebbe pensato all'ultimo nodo più avanti.
Ora aveva bisogno solo di due piccole cose, e per fortuna non si trattava di altre risposte.
«Per quanto sia assurdo per me ammetterlo, credo di doverti ringraziare, sai, per esserti preso cura di me.» Si fermò e guardò Pitch, dandogli la possibilità di aggiungere qualcosa se volesse, ma siccome lui rimase in silenzio si decise a continuare «Ho ancora così tante domande ma sono stanca e non credo di poter assimilare altre informazioni senza che la testa inizi a pulsare, quindi penso che possiamo interrompere qui questo terzo grado, almeno per ora. Ho solo due favori da chiederti.»
«Chiedi pure.» Il volto di Pitch era una maschera di cortesia e serietà, non era certa però di cosa ci si nascondesse sotto.
Attento, Pitch Black! -pensò- Troppa gentilezza da parte tua potrebbe provocarmi un serio shock Si morse il labbro inferiore per trattenersi dal ridere, chinando il capo in avanti per iniziare a giocare con i propri capelli.
«Innanzitutto, ho bisogno di acqua. La mia gola è così secca che potrei iniziare a sputare non sangue ma sabbia.»
L'uomo annuì con un sorriso e si alzò, incamminandosi sino al fondo della stanza per raggiungere la cassettiera, aprì il primo cassetto e ne prelevò una bottiglietta d'acqua per poi tornare da lei.
«Il secondo favore?» Le chiese porgendole la bottiglietta già priva di tappo.
Le guance di Scarlett si colorarono appena di rosso, prese l'acqua e ne bevve subito qualche sorso, senza eccedere o avrebbe dovuto aggiungere i crampi allo stomaco al resto.
«Mi servirebbe qualcosa con cui rivestirmi, suppongo che i miei vecchi vestiti siano andati buttati, con tutto quel sangue, anche una camicia da notte dovrebbe andare benissimo.»
Pitch sollevò il capo, socchiudendo appena gli occhi, probabilmente riflettendo sulla richiesta della ragazza.
«Camicia da notte, ricevuto.» Disse infine avviandosi ai piedi del letto, dove si fermò per un breve istante.
«È un vero peccato, però.» Disse dandole le spalle.
Scarlett inclinò la testa da un lato «Di cosa parli?»
L'uomo si voltò a guardarla e stavolta Scarlett poté vedere nuovamente il solito sorriso da farabutto a cui aveva fatto l'abitudine.
«I vestiti», spiegò indicandola con un cenno del capo «è un vero peccato perché non sei affatto male senza.» Fece quindi schioccare le dita della mano sinistra e repentinamente le ombre della stanza parvero prendere vita, avvolgendolo sino a farlo dissolvere nel nulla, lasciando dietro di sé solo la sua risata.
«Brutto cretino.» Borbottò Scarlett tra se e se, arrossendo e ricoprendosi col lenzuolo fin sopra alle spalle.
   
 
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