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Autore: _Joanna_    03/12/2018    0 recensioni
Alla periferia della grande città di Londra, circondato da alti cancelli, un modesto edificio si erigeva grigio e silenzioso.
I passanti nemmeno lo notavano, troppo occupati nelle loro faccende quotidiane per badare a quella piccola costruzione, dimora degli esclusi, degli ultimi, dei più inutili e insignificanti membri della società inglese.
Quel luogo cupo e dimesso era, infatti, un orfanotrofio, un luogo squallido e tetro, dove una ventina di bambini aveva trovato accoglienza
.
Tutti sapevano, ma nessuno lo disse.
Tutti lo ignoravano, ma un giorno nessuno avrebbe più potuto fingere.
-
Fanfiction incentrata sull'adolescenza di Tom Riddle e sui lunghi anni passati nell'ombra prima di diventare il famigerato Lord Voldemort.
Narratore d'eccezione, un nuovo personaggio che ha già trovato posto in milioni di fanfiction sul tema,
Spero solo di annoiarvi a morte, a questo ci penserà, nel caso, qualcun altro.
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Riddle/Voldermort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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3.3



Capitolo III

Diagon Alley





18 febbraio 1938




Tom stava leggendo ormai da due ore.
Tra poco sarebbe stata ora di cena, ma non credevo che mio fratello avrebbe avuto voglia di mangiare.
Quel giorno eravamo stati a Diagon Alley.
Era un luogo davvero bizzarro, ma anche decisamente affascinante.
Ero felice che mio fratello avesse insisto tanto per andarci; gli avevo detto che avremmo avuto tutto il tempo per recarvici con comodo, visto che la scuola sarebbe iniziata tra più di sei mesi, ma Tom non aveva voluto sprecare altro tempo.
Avevamo già comperato tutti i libri e, ovviamente la bacchetta, ma saremmo comunque dovuti ritornare, per prendere l'occorrente per le pozioni, dal momento che il negoziante ci aveva raccomandato di acquistare ingredienti e prodotti freschi.
Era stata comunque una gita interessante e, a suo modo, già molto istruttiva.

*

Seguendo le precise indicazioni del professor Silente, raggiungemmo il Paiolo Magico e, una volta entrati, ci accorgemmo immediatamente di essere stati catapultati in un mondo a parte.
Decine di uomini e donne, dall'aspetto stravagante, affollavano il locale, qualcuno in piedi, molti seduti ai piccoli tavoli.
Sorseggiavano bevande dall'aspetto ordinario, anche se avrei potuto giurare di aver visto qualcosa di viscido e vivo muoversi sul fondo di uno dei bicchieri, ricolmo di un liquido ambrato.
Il proprietario, che si chiamava Tom, come aveva appunto detto il professor Silente, ci accolse gentilmente e ci mostrò il varco che si apriva sul muro del retrobottega e consentiva l'accesso a Diagon Alley.
Se il pub poteva passare per un luogo semplicemente bizzarro, non c'erano dubbi sul fatto che la via dei maghi fosse un posto davvero fuori dal comune.
Rimasi parecchio sorpresa nel constatare quanto le storie sulle streghe si avvicinassero alla realtà.
Pur non essendo un giorno particolarmente affollato, c'erano molti maghi e streghe che si aggiravano per i negozi, tutti vestiti con assurde tonache sgargianti e cappelli a punta; le botteghe poi, erano ricolme di oggetti curiosi e scoprii che davvero i maghi usavano le scope e i calderoni e facevano intrugli con uova di rana e occhi di salamandra!
Entrammo subito da Potage: Negozio di Calderoni, per acquistare, appunto, i calderoni, quindi ci recammo da Telescope per comprare gli strumenti necessari per Astronomia e infine, non senza un po' di fatica, scorgemmo il Negozio di Abiti Usati, dove prendemmo alcune divise standard per Hogwarts.
Lì vicino c'era anche una bottega piuttosto curiosa, chiamata Il Serraglio Stregato, che vendeva animali.
Proposi a Tom di entrarci, dal momento che sulla lettera da Hogwarts c'era scritto che era permesso agli studenti portare un animale a scuola, ma lui non ne volle sapere di sprecare le nostre già esigue falci, uno dei tagli della valuta dei maghi, per una “creatura inutile”, come la definì lui.
«Un gufo? non abbiamo nessuno a cui scrivere; un gatto? non fa niente di speciale; un rospo? a che diavolo ci può servire un rospo bavoso?» disse e, con queste parole, la questione venne chiusa.
A quel punto restavano da prendere solo due cose: gli ingredienti per Pozioni che, dietro consiglio dello Speziale, decidemmo di comprare in un secondo momento, e la bacchetta magica.
Entrammo così nel negozio di Ollivander, il più famoso costruttore di bacchette d'Inghilterra, a sentire lui.
Era un uomo un po' strano, quasi inquietante, con due piccoli occhi grigi e acuti, e i modi di fare precisi e scattanti.
«Buon pomeriggio» ci salutò, con un largo sorriso «Siete qui per acquistare la vostra prima bacchetta, suppongo».
«Esatto» rispose Tom, con la voce incrinata dall'eccitazione.
«Molto bene, molto bene, signor?»
«Riddle» rispose ancora una volta mio fratello «Tom Riddle, e lei è mia sorella Ophelia».
«Molto bene» ripeté Ollivander, afferrando la sua bacchetta; l'agitò in direzione di un piccolo metro a nastro, che subito si animò.
«Cominciamo con lei, signor Riddle» decise Ollivander e subito il metro fluttuò dolcemente nella sua direzione e iniziò a prendere le misure della vita e delle spalle di mio fratello.
Io osservavo la scena rapita, anche se confusa: non era un negozio di sartoria quello, dopotutto.
«Mano dominante?» chiese Ollivander.
«La destra» rispose Tom, e rapido il metro calcolò la misura del suo braccio destro.
Dopo qualche istante, il negoziante disse «Credo che possa bastare» e il metro subito si fermò, afflosciandosi poi inerte sul pavimento.
Ollivander esitò un istante, la fronte corrucciata, quindi si affrettò a raggiungere uno scaffale, da cui estrasse una lunga, sottile scatola di cartone; tornò davanti al bancone e tese in avanti il contenuto della scatola.
«Frassino, undici pollici e un quarto, nucleo di crine di unicorno» spiegò il negoziante, porgendo a Tom una bacchetta.
Tom la prese con dita leggermente tremanti, quindi, come a voler imitare il gesto dell'uomo, la puntò contro il metro.
Quello saltò in aria di scatto e sfrecciò contro una parete di scaffali, colpendola con violenza tale da far cadere alcune piccole scatole.
«Decisamente no» sentenziò Ollivader, riprendendo la bacchetta e affrettandosi a sceglierne un'altra, che diede il medesimo risultato, e poi un'altra ancora che, quando Tom l'agitò, per poco non mandò il metro a infrangersi contro il lampadario appeso al soffitto.
«Non si preoccupi, signor Riddle» disse Ollivader, giulivo «Ho sempre trovato la bacchetta giusta per ogni mago» assicurò «Sapete,» aggiunse «è la bacchetta a scegliere il mago e non il contrario».
Mio fratello fece una smorfia.
Di certo, pensai, Tom era convinto che la bacchetta dovesse essere solo uno strumento al suo servizio, e non poteva andargli a genio l'idea che invece fosse un misero bastoncino di legno a decidere per lui.
«Quindi le bacchette potenti scelgono i maghi potenti?» chiese Tom a un tratto, afferrando la quarta bacchetta.
«Non esistono bacchette forti e bacchette deboli, signor Riddle» spiegò Ollivander «Anche se mi rendo conto che per un profano possa sembrare così»
«Vedete, ogni bacchetta è composta da elementi di primissima qualità, ognuno dei quali, però, ha le sue peculiarità. La scelta avviene proprio in base all'affinità che la bacchetta ha con il mago o la strega, secondo la sua indole, le sue capacità e potenzialità» continuò «Per esempio, lei mi sembra un ragazzo ambizioso, tenace e combattivo, e il prugnolo è un legno che si sposa bene con queste caratteristiche. Viceversa, il sorbo dà il suo meglio con incantesimi protettivi e di difesa, e l'ontano non è adatto a maghi e streghe particolarmente ostinati, pertanto, se lei usasse una bacchetta di questo materiale, nonostante tutto il suo impegno, non sarebbe mai in grado di ottenere i medesimi risultati che invece avrebbe con una bacchetta fatta di prugnolo, o di sicomoro» spiegò.
Tom annuì, pensieroso, ma per me tutto quello non aveva molto senso.
Negli sport,  pensai, era sempre l'abilità dell'atleta a fare la differenza: uno poteva usare la migliore mazza da croquet, o montare il cavallo più agile e robusto, o guidare la monoposto più veloce, ma era sempre l'atleta, appunto, che determinava il successo della gara.
«Mmm, no non ci siamo» stava intanto dicendo Ollivander.
Tom non era neanche riuscito ad agitare la bacchetta, che l'uomo gliel'aveva subito strappata di mano.
«Provi questa» disse il negoziante, porgendogli una quinta bacchetta.
«Legno di tasso, rigida, 13 pollici e mezzo, nucleo di piuma di fenice» spiegò.
Tom la prese e subito i suoi occhi si allargarono e il suo viso assunse un'espressione deliziata ed euforica.
«Eccellente!» esclamò Ollivander, estasiato «Lei e questa bacchetta siete fatti l'uno per l'altra» decretò.
Tom riconsegnò la bacchetta a Ollivader che la incartò rapidamente.
«Ora veniamo a lei, signorina Riddle» disse l'uomo e ordinò al metro di compiere le medesime misurazioni su di me.
Ero impaziente, ma anche un po' preoccupata.
Non esistevano bacchette deboli, aveva detto Ollivander, ma avevo comunque paura di venire scelta da una fatta di qualche materiale comune, banale, che mostrasse la mia indole decisamente meno determinata e sicura rispetto a quella di Tom.
«Abete, dieci pollici e tre quarti, nucleo di crine di unicorno» descrisse il negoziante, porgendomi la prima bacchetta da provare.
Imitai quello che aveva fatto Tom e puntai la bacchetta sul metro che però, a parte un leggero tremito, rimase immobile.
«No» sentenziò Ollivander, tuffandosi poi sotto il bancone e riemergendone qualche istante più tardi con un'altra bacchetta «Larice, dieci pollici, nucleo di crine di unicorno»
Ancora una volta, quando l'agitai, non accadde nulla.
Cominciavo a sentirmi umiliata e per questo evitai accuratamente di guardare mio fratello.
«Melo, nucleo di corda di cuore di drago, undici pollici e un quarto» continuò Ollivander, ma di nuovo non successe niente.
«Non si preoccupi, signorina Riddle» esclamò Ollivander, sereno, prendendo una quarta bacchetta.
«Noce nero, nucleo di corda di cuore di drago, dodici pollici e tre quarti».
La presi, anzi l'agguantai, quasi con rabbia e, prima ancora che potessi agitarla, sentii una sorta di calore risalire dalla mano al gomito, lungo tutto il braccio e fin dentro le ossa.
Fu una sensazione meravigliosa, rassicurante, magica, nel vero e più pieno senso della parola.
«Ci siamo!» approvò Ollivander, compiaciuto.
Sollevai finalmente lo sguardo e vidi Tom sorridermi.
Pagammo le nostre nuove, costose bacchette e uscimmo dalla bottega.
Era ancora presto, così decidemmo di fare un giro per Diagon Alley e scoprimmo che lì vicino c'era anche un'altra via, dall'aria piuttosto cupa e sinistra, chiamata Notturn Alley.
Tom era tentato di dare un'occhiata, ma io lo convinsi che quello non era un posto adatto a due undicenni.
Verso le quattro, comunque, cominciava a fare freddo, così ci incamminammo per tornare all'orfanotrofio e, una volta arrivati, Tom si immerse subito nella lettura di uno dei libri che avevamo comprato.
Ora era arrivato all'ultimo capitolo di Storia di Hogwarts; non era un testo scolastico, ma mio fratello non aveva potuto fare meno di acquistarlo.
La voce di Martha giunse dal fondo delle scale: la cena era pronta.
Non sprecai tempo a chiamare mio fratello, perché sapevo già che non sarebbe venuto.
Quando raggiunsi la sala da pranzo, scorsi Amanda che mi faceva segno di avvicinarmi.
Nelle ultime settimane non eravamo state spesso insieme.
Da quando avevo ricevuto la lettera di ammissione a Hogwarts, mi sentivo un'estranea in quel posto; dopotutto, pensavo, per i prossimi anni avrei passato lì solo le vacanze estive, e poi, non avevo ancora idea di che cosa avrei raccontato per giustificarmi.
La signora Cole aveva detto a tutti che Tom e io saremmo andati a studiare in una scuola-convitto fuori Londra e i più erano sembrati sollevati dalla notizia.
Naturalmente, Amanda non era stata dello stesso avviso, e da giorni cercava di intercettarmi per farsi dire qualcosa di più.
Presi posto accanto a lei e, come previsto, dopo qualche chiacchiera di circostanza, Amanda mi fece la domanda che da giorni le premeva chiedermi: «Allora andrete davvero a studiare in una scuola lontano da qui?»
Io aspettai un momento prima di rispondere, ripensando alla lettera da Hogwarts, che specificava di non fare parola della scuola e del mondo magico di cui faceva parte.
Annuii debolmente, ma sapevo che ad Amanda non sarebbe bastato e, infatti, lei continuò «Ma è per tuo fratello? Sì, insomma, si tratta di una scuola speciale o - »
La interruppi subito,  un po' brusca.
Avrei voluto urlare che Tom non era pazzo, che era speciale, in un modo che nessuno avrebbe mai potuto eguagliare, e che un giorno sarebbe diventato una persona importante e autorevole.
Ma non potevo farlo, neanche con Amanda, e così mi morsi la lingua.
Non che mi andasse a genio l'idea di mentirle, però.
«No, non proprio, non come pensano tutti» cominciai «È una scuola speciale per ragazzi molto intelligenti e c'è un fondo per aiutare quelli come noi».
Amanda annuì pensierosa, dicendo più a se stessa «Quindi siete delle specie di geni… È strano però, non ne ho mai sentito parlare».
«Perché non è in Inghilterra» dissi subito io «La scuola, intendo, non è in Inghilterra. Per questo non la conosci» precisai.
Amanda annuì di nuovo, quindi riprendemmo entrambe a mangiare e a parlare come sempre.
Finita la cena, decisi di tornare subito in camera mia.
Ero un po' preoccupata per Tom, e non volevo lasciarlo da solo per troppo tempo.
Lo trovai ancora seduto sul letto, con un libro aperto sulle ginocchia e la bacchetta levata.
«Tom, che stai facendo, sei impazzito!» sussurrai, richiudendomi in fretta la porta alle spalle.
«Non possiamo praticare la magia qui, il professor Silente è stato molto chiaro sull'argomento» lo ammonii, agguantando il libro.
Tom mi sibilò contro, ma non me ne preoccupai e ripresi «Dici sempre che detesti questo posto e proprio adesso che abbiamo la possibilità di lasciarlo per sempre, vuoi gettare tutto al vento facendo una cosa così stupida?»
«Finché non mettiamo piede a Hogwartss non ssiamo ssoggetti alle ssue regole» rispose mio fratello serafico «Guarda qui» continuò, prendendo un altro libro e aprendolo con precisione, indicandomi un paragrafo intitolato “La Magia Involontaria”
Perplessa, feci come mi diceva e lessi il breve testo:

Spesso capita che giovani maghi e streghe producano semplici incantesimi senza la volontà di farli. In questi casi si parla appunto di Magia Involontaria, dal momento che chi compie questi incantesimi non ha ancora il controllo su di essi e sulla propria magia, che si manifesta soprattutto in circostanze di particolare emotività.
Una volta ricevuta un'istruzione magica di livello base, i giovani maghi imparano a controllare la loro magia, anche se talvolta può capitare che anche gli adulti producano incantesimi involontari, sia a causa di un turbamento inteso, sia per semplice inabilità.
Generalmente, gli episodi di magia involontaria sono molto utili per verificare le capacità magiche dei bambini.


«Tom,» iniziai con calma «Qui parla di magia involontaria, tu hai in mano una bacchetta, è assolutamente volontario quello che stai facendo».
«Vai avanti a leggere» mi incalzò lui, in tono autoritario.

La Legge Magica stabilisce chiaramente che non è ammesso eseguire incantesimi alla presenza di Babbani, pena la distruzione della bacchetta. Per quanto riguarda i minori, è altresì chiaramente specificato dal regolamento del Ministero e di Hogwarts che ogni forma di magia è severamente vietata al di fuori delle mura della scuola e dai territori di sua competenza, pena l'espulsione dalla stessa. Ciò detto, dal momento che i giovani maghi non sono quasi mai in grado di controllare la propria magia, questi provvedimenti non li riguardano fino a quando non avranno completato il loro primo anno di istruzione.


Finii di leggere e, quando alzai lo sguardo, trovai mio fratello raggiante, la stessa gioia mostruosa e avida che lo coglieva ogni volta che stava per compiere qualcosa di poco accettabile.
«È un po' tirato per i capelli» sentenziai alla fine «Insomma, come puoi essere certo che il professor Silente non lo verrà a sapere e- »
«Inssomma, Lia» sbottò lui, il suo ghigno ora lievemente incrinato «Non può farci niente! Ma sse tu ssei troppo fifona…»
«D'accordo, d'accordo» cedetti alla fine.
Tom, di nuovo raggiante, si rimise all'opera e io, ormai rassegnata, lo lasciai fare.
«Questo a che cosa serve?» chiesi.
«A far levitare gli oggetti, potrebbe esssere utile» spiegò lui, quindi puntò la bacchetta contro la pila dei libri ed esclamò «Wingardium Leviosa!»
Nulla.
Tom riprovò ancora e ancora, ma ottenne sempre lo stesso risultato.
«Prova con questo» gli suggerii «Sembra più facile».
C'era una piccola incrinatura sul vetro della nostra finestra, così Tom puntò la bacchetta in quella direzione e ordinò «Reparo!»
Di nuovo, non accadde niente.
«Forse ci vuole un po' più di determinazione» ragionai ad alta voce.
Mi alzai e presi la divisa di scuola di mio fratello; nonostante non fosse nulla di speciale, nient'altro che una semplice tunica nera, più larga di due taglie, con il blasone di Hogwarts sul petto, sapevo che per Tom significava già molto: era un simbolo della sua unicità, la carta di ingresso nella nuova scuola.
La presi delicatamente tra le mani, poi, con un gesto rapido e deciso, diedi un strattone e la lacerai.
«Che cossa hai fatto!» il ringhio sibilante di Tom mi entrò fin nelle ossa.
«Ssei arrabbiato ora?» gli chiesi.
«Certo-che-lo-ssono.»
«Vuoi aggiusstarla? Allora fallo» lo esortai.
Con l'odio dipinto sul viso, Tom riprovò l'incantesimo.
Sentii la stoffa fremere tra le mie dita e in un attimo lo squarcio sparì, senza lasciare traccia di cuciture o rammendi, come se non ci fosse mai stato.
«Hai vissto?» esclamai gioiosa e decisamente sollevata; non ero poi così sicura che avrebbe funzionato.
«Direi che per sstassera è abbasstanza, andiamo a dormire» proposi.
Ma Tom era troppo euforico per darmi retta e, mentre i miei occhi si chiudevano, lo sentii bisbigliare nel buio.
Una luce flebile, ma di un biancore perfetto illuminò per poco la stanza e sentii mio fratello esultare.
Stava facendo progressi.


* * *



  
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