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Autore: fotone    04/12/2018    1 recensioni
Elisabetta cammina per un aeroporto, osservando il comportamento delle persone in quel non luogo in un momento atemporale, sentendosi irreale, distaccata dal mondo, lontana da se stessa.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cammino per l'aeroporto. Sono in largo anticipo, quindi posso vagare senza sosta per quanto desidero senza che questo momento esista. Questo luogo non esiste, l'antropologo di fama mondiale Marc Augè definisce gli aeroporti come "non luoghi", staccati da ogni individualità e caratterizzazione, uguali in serie milioni di volte nel mondo. Quindi io, una non persona auto dichiarata, vago per un non luogo in un non momento; indossando non vestiti, che non dicono niente, che sono stati prodotti in serie da qualche multinazionale che risucchia ogni nostra individualità. Cosa in me dichiara una non differenziazione ontologica? Io sono come quell'uomo indiano davanti a me, io sono come quella donna francese che attende alla cassa dello Starbucks: le nostre individualità, le nostre differenze, non esistono davvero in questo non momento, in questo non luogo, in questi non vestiti. Mi guardo intorno, guardo il McDonald's, guardo lo Starbucks, il beauty free, la biglietteria, e mi sento vuota. Vorrei piangere, vorrei ridere. Vorrei aver dentro qualcosa che generi in me, dentro di me, una reazione emotiva sufficiente a rendermi diversa dagli altri esseri umani - dagli altri manichini - che mi girano intorno. Secoli fa, avrei preso una nave, a vela, che sarebbe stata caratterizzata dall'unicità che, nel passato, caratterizzava ogni cosa. Avrei visto i negozi del paese, non "dei" negozi del Paese. Avrei visto i miei compaesani, non chi condivide lo stesso pianeta con me. Se la globalizzazione dell'epoca post-moderna e post-industriale ha il vantaggio di metterci a contatto con il globo intero, di renderci uguali a chiunque, qual è il prezzo? Cosa stiamo perdendo? Non ci sono diseguaglianze, ma il fatto non è un estremo di perfezione, ma l'assenza di diseguaglianze è solo un punto su uno spettro di positività-negatività. Se siamo tutti uguali, abbiamo tutti gli stessi diritti e gli stessi doveri; ma, se siamo tutti uguali, perdiamo la nostra unicità. Perdiamo noi stessi, perdiamo i nostri nomi. I filosofi medievali si sono occupati a lungo di "universali o particolari", affrontando argomenti che sono - da un punto di vista superficiale - noiosi, ma, in fondo, estremamente veri anche e specialmente nella nostra epoca. Siamo tutti persone, siamo tutti umani, siamo tutti esseri viventi, ma io sono Elisabetta, io sono una donna, io sono della bilancia, e gli altri no. Mi siedo, aspettando. Aspettare mi sembra ora una non azione. Che mi rende ancora più non persona. Mi rendo conto che devo essere dissociata, derealizzata, depersonalizzata, che la mia visione sulla realtà e sull'umanità può essere falsata da ciò. Mi alzo, nervosa, pensando che Augè stesso ha asserito che in tutti i luoghi esiste una porzione di non luoghi e in tutti i non luoghi, viceversa, esiste una porzione di luoghi. Devo cercare il luogo vero in questo non luogo falso, voglio trovare ciò che è eterno, necessario, particolare, in questo ambiente effimero, provvisorio, non necessario, generale; in questo mondo che annulla ciò che resiste di diverso, in nome di una malata e morbosa volontà di uguaglianza. Non voglio essere uguale, non voglio vivere in un mondo uguale ovunque, omogeneo. Voglio essere un individuo particolare ed unico che vive nella varietà di un mondo che conserva le sue specialità. Cerco ciò che ci può essere qui di speciale, di unico, di diverso.
   
 
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