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Autore: Red_Ginger    07/12/2018    1 recensioni
Quando nella testa hai solo confusione, metterla nero su bianco può aiutarti a dissiparla o può portare alla luce altre domande. Una pagine del mio diario interiore. La persona di cui parlo, purtroppo o per fortuna, sono proprio io. Buona lettura.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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C’è un muro tra me e gli altri.


Non ricordo di averlo costruito, ma se c’è i suoi mattoni devo averli posati io in qualche momento della mia vita, intenzionalmente o meno. Giusto?

Per la maggior parte del tempo non ci faccio caso, anzi, mi sembra di avere una vita normale. Ho degli amici, pochi ma buoni, che conosco da una vita, ho un ragazzo, ho i miei hobby e le mie passioni. Come tutti insomma.

Sono una persona introversa che tende a preferire le attività solitarie e la propria compagnia a quella degli altri, mi ripeto.


In questi momenti mi dico che la mancanza di slancio che mi caratterizza potrebbe anche essere normale: potrei non essere particolarmente emotiva e basta, essere semplicemente cerebrale.

E allora va tutto bene: conduco una vita ordinata, tranquilla e ripetitiva, mischiandomi con gente di cui sento che non mi importa poi così tanto, ma verso cui sono sempre educata, sorridente, simpatica. Penso che vedano una persona tranquilla e pronta a sorridere, ma che tende a farsi i fatti suoi, e il più delle volte è un’etichetta che mi va bene. Meglio apparire posati e tranquilli, forse anche un po’ freddi che squilibrati, mi dice la logica. Se non trovi la felicità cerca almeno la serenità.


Però alla lunga lo sento. Sento che c’è qualcosa che non va.

C’è qualcosa che non va quando dopo aver salutato le amiche che conosco da vent’anni (su ventitré) mi ritrovo a pensare che se sparissero, o se sparissi io, se prendessi e me ne andassi dall’altra parte del mondo di punto in bianco, non sentirei la loro mancanza. Non sentirei la mancanza di nessuno.

Quando mi dicono “ti voglio bene” e io rispondo in automatico, senza sentire nulla. Il tutto mentre predico bene, mentre dico che non sono una persona che dice di voler bene a qualcuno così alla leggera, che è qualcosa che si dice a quelle poche persone veramente importanti che intrecciano il proprio destino con il mio. Sì, belle parole, ma vuote. Vuote come me.


C’è qualcosa che non va quando mi metto con un ragazzo molto preso da me pur non amandolo, ma dicendomi che forse devo solo darmi tempo, che alla fine lo so che con le emozioni sono “lenta”. Non ci penso e vado avanti, ma quando i mesi passano e mi accorgo che per lui non provo niente mentre lui per me prova davvero qualcosa mi rendo conto di essermi infilata in un ginepraio.

E ora, che cosa gli dico? Visto che la logica mi dice che giocare così con lui all’infinito sarebbe come minimo crudele. Non mi piaci più o non mi sei mai piaciuto? Cosa può fargli meno male? Ma soprattutto, spiegarglielo servirebbe davvero a qualcosa, oltre che a farmi dare della stronza? Come potrebbe capire che non ero in malafede, che ci ho provato a farmelo piacere, che non volevo fargli male? Che mi sono data tempo per non sembrare superficiale e per tentare di provare a me stessa che sono normale?

Guarda che faccio fatica a legarmi alle persone, ho bisogno del mio tempo, dei miei spazi. Non ti starò mai appiccicata sì, ok, questo gliel’ho detto subito. Ma col tempo si suppone che qualcosa cambi, giusto?


C’è qualcosa che non va quando vedo che non riesco a legarmi a nessuno, e che nemmeno mi interessa. E mi fa male, perché vorrei essere normale. E invece mi sento solo in colpa, doppiamente in colpa. Perché sto recitando una parte, e perché le persone che ho intorno a quella parte si affezionano. Mi vogliono bene, c’è anche una persona che mi ama, e io cosa posso dare in cambio? Una parte recitata. E recitare alla lunga è anche stancante.


Capisco che c’è qualcosa che non va quando mi sento terribilmente sola e triste. No, non triste. Vuota, desolata, abbandonata. Quando mi dico che dentro ho un mondo che praticamente nessuno conosce, che sotto questo strato di neve polare c’è tanto, così tanto, ma che probabilmente non interessa a nessuno. Quando mi dico cinicamente che lui non è abbastanza per me, quindi che senso avrebbe legarmi a lui, se anche ci riuscissi? Quando mi dico che se vedesse tutto quello che di me c’è sotto la superficie scapperebbe perché io valgo di più. Che io sono più intelligente di lui, che ho preso il peggio che il suo gruppo di amici aveva da offrire.  


Capisco che c’è qualcosa che non va quando per riempire questo squilibrio tutto orientato verso la logica faccio cose tremendamente stupide. Come sprofondare nei digiuni per dimagrire e poi specularmente affogare nelle abbuffate compulsive finché non ho nemmeno bisogno di infilarmi un dito in gola per vomitare. Uno squilibrio per compensare un altro squilibrio, ottimo.

Sì, c’è qualcosa che non va, se ne renderebbe conto chiunque.


Spesso mi domando se sono narcisista. Del resto le manie di grandezza ci sono, l’incapacità di provare emozioni anche, giusto?

Però un narcisista non si sentirebbe male per com’è. Non si sentirebbe in colpa per la recita messa in scena con gli altri, non si sentirebbe male per la sua diversità. Non vorrebbe sentirsi come gli altri, che con le emozioni vivono, gioiscono e si bruciano.

E soprattutto non fuggirebbe dagli altri quando li sente vicini. Anzi, potrebbe manipolarli meglio. Io no. Io mollo la presa. Io devo mantenere le distanze, io devo respirare, io devo proteggermi e anche in questo c’è qualcosa che non va.


C’è qualcosa che non va quando questa mia incapacità mi fa soffrire. Se non sento emozioni perché sto male per questo? Non ha senso, è un cane che si morde la coda, oltre al danno la beffa, ti prendi solo i lati peggiori. Non senti niente e l’unica cosa che senti è il dolore perché non senti niente. Allora qualcosa la sento, no? Sì, ma è l’unica cosa che sarebbe meglio non sentire. Non è vero che anche il dolore è meglio del nulla, soprattutto se è dolore per il nulla.

Preferirei non rendermene conto, non accorgermi di tutto questo. La stupidità sarebbe più gradita di questo limbo.


Capisco che c’è qualcosa che non va in me quando vivo una vita più piena nella mia fantasia che nella realtà. Sono un’anziana di ventitré anni che ciabatta per casa, mentre nella mia testa tutto quello che c’è sotto il ghiaccio lo lascio uscire.

Non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere, è vero, ma se devo vivere così che senso ha?

Io una risposta non la ho.

  
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