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Autore: Lila May    08/12/2018    1 recensioni
|VictorianAge!| |RosalyaxLeigh, LysanderxRosalya, LysanderxDolcetta, CastielxDebrah|
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Regno Unito, 1881.
Durante gli ultimi respiri della Victorian Age, il giovane Lysander Ainsworth, orfano e fratello minore di un ricco produttore di tessuti, sente il bisogno di liberarsi per sempre dall'oppressione di una società che non sembra averlo mai voluto accettare. Il suo sogno è quello di andare in America, dove la realtà sui giornali appare molto più diversa dalla miseria e le ingiustizie con cui convive da quando è nato. Tuttavia, un incidente invertirà la rotta del suo destino, incatenandolo ad una condizione che dovrà accettare per il bene comune; sarà solamente l'incontro con una ragazza, Alice, una come lui, a decidere quale sorte gli toccherà subire, per porre fine al grande supplizio che non smette di torturarlo da anni.

Storia terminata.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Leigh, Lysandro, Rosalya
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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x.



Alice non smetteva di fissare il piattino di biscotti davanti a sé, agitata da febbrili emozioni di sconcerto e paura mischiate insieme. Quattro tazzine fumanti di ceramica lo circondavano, emanando un piacevole odore di pesca, tre quasi finite, una ancora perfettamente piena di liquido ambrato.
La sua.
Ma non avrebbe bevuto quel thé, anche se era maleducazione lasciarlo a raffreddare, e sua madre le aveva insegnato le buone maniere da manuale, visto il suo essere ormai signora. No, no. Davvero non ne avrebbe inghiottito un solo sorso. Fu un piccolo gesto di ribellione che si concesse, insieme alle gambe rigide e le risposte laconiche. Seduto di fronte a lei stava il secondo promesso all'altare, visto che il primo lo aveva bocciato dopo neanche mezz'ora di conversazione. Sapeva che la questione della "scelta" era stato un modo, per i suoi genitori, di farla sentire ancora libera ed indipendente. Ma non c'era nessuna libertà nell'oppressione dei sentimenti. "quindi grazie del pensiero, mamma, e papà.", pensò, intenta a scrutare male il suo thé.
Credere che l'uomo funzionasse così, fosse costretto a stare sottomesso, non faceva parte della sua mentalità.
Né sua, né di Lysander.
Nonostante questo, però, doveva ammettere che l'uomo che l'avrebbe presa in sposa non era male, non come il primo. Sembrava educato, composto, di modo, anche se i trentasei anni parevano un pochino di più a causa delle profonde rughe attorno alle labbra rosee, della camicia sgualcita e la barba lunga fino alla gola. Almeno non stava fumando come un turco in casa sua. Gli fu grata per quel piccolo pensiero, delle sigarette ancora impacchettate nella tasca del frac blu oceano.
-Così lavorate, eh?
Si riscosse quando sentì la sua voce premerle contro le orecchie.
-Quando diverrete mia moglie, non dovrete farlo più.
Andò in panico, e reagì con una smorfia talmente angosciata che il gomito della madre arrivò, deciso contro le sue costole tese d'ansia, a ricordarle che quella era un'opportunità che non poteva lasciarsi sfuggire, e che, in qualità di donna lavoratrice – e ancora zitella –, non poteva certo comparare le condizioni pessime di una fabbrica al taschino benestante di un signore di mondo come quello che avevano dinanzi. -no, sire- annaspò però Alice, un attimo interdetta, e si sforzò di mostrarsi grata e riluttante al contempo, abbandonando l'idea di condire il tutto con un po' di vittimismo. Non poteva lasciare la fabbrica. Non poteva smettere di vedere Lysander, amarlo, bearsi dei suoi occhi, del suo passo da cervo, solo per un matrimonio combinato al fine di portare un po' di soldi in più a casa. Non era così che funzionava l'amore, per lei. -lasciatemi almeno il lavoro...
Sua madre sobbalzò e scoppiò a ridere. Ad Alice stridette il cuore, ma si sforzò di continuare a fissare il thé, per amore di Lysander e di tutto ciò che voleva far crescere insieme a lui. Non avrebbe rinunciato alla fabbrica.
-Alice, suvvia, cosa vai dicendo al signore...!
-No, ve ne prego...- replicò, avvilita, implorante. -mi serve. E' tutto ciò che ho, la mia unic--
-Alice, per carità!
Lui parve stupito da quella decisione, dagli occhi gialli di lei, e sgranò le iridi castane, senza sapere bene come replicare.
Alice continuò imperterrita a sostenere la sua misera tesi. -E' una piccola soddisfazione personale che vorrei continuare a praticare per conto mio. Se permettete, necessito di questa indipendenza... io... so che chiedo troppo, ma-- ho bisogno di questa sicurezza.
Poi sorrise, e le lentiggini le brillarono lungo tutto il profilo del viso. Come avrebbe fatto a farsi rapire da Lysander, altrimenti? Mica sarebbe potuto presentarsi alla porta – sul retro – della sua nuova casa, con la fede al dito pure lui, armato di macchina e tanta voglia di correre ancora su quel letto a baldacchino a cui la giovane, dopo esserci stata per la prima volta, non aveva più smesso di pensare. Sua madre accorse a fornire spiegazioni quando si rese conto che il nuovo membro della famiglia era rimasto piacevolmente senza parole. -è un lavoro che le permetterà di essere a casa per l'ora di cena, o giù di lì. Inizia comunque molto presto! Non vi preoccupate, signor Canon, mia figlia saprà benissimo occuparsi della casa e lavorare allo stess...!
Il signor Canon sollevò la mano guantata di velluto bianco, facendola tacere all'improvviso. -no, apprezzo la determinazione della ragazza. Se tiene tanto a questo lavoro, non posso certo pretendere che lei rinunci per farmi un favore. D'altro canto, mi conviene sottolineare che io viaggio per lavoro. Probabilmente a cena non ci sarò mai, e comunque dispongo di una servitù ben capace di provvedere alla cucina, in caso manchi Alice.
Alice sorrise, questa volta rincuorata dalle parole del suo futuro sposo. Non avrebbe dovuto rinunciare a vedere Lysander, e il brivido d'amore che la percorse nel ripensare a come si erano baciati bastò a renderla allegra, e ad allungarsi verso la tazzina di thé. -mi fa piacere sentir dire queste parole.
-Ottimo. Posso chiedervi dove lavorate, dunque? Sapete bene che le condizioni deplorevoli delle fabbriche lasciano ben poco a desiderare, ai giorni d'oggi. Mi stupisce il fatto che voi, così giovane, così minuta, a differenza delle altre donne, siate tanto legate ad un luogo che viene criticato persino dai più celebri scrittori del nostro contemporaneo. Non è distopico affermare che siano posti disagevoli.- proseguì lui, e poi si sporse interessato, passandosi due dita intorno al mento profumato di pesca.
-Lavoro alla Ainsworth's fabrics.
-Oh, capisco. Spero vi trattino con i guanti, allora, sapete che si dice così, in giro?
-Lo so, e ve lo confermo.- rispose la castana, e rise quando si immaginò, un po' confusa, Lysander darle ordini dopo averla picchiata con un bastone di ferro. Era davvero trattata con i guanti, lì dentro. Troppo, forse, per essere una donna di poco conto, quando altolocate piene di vestiti meravigliosi passavano la peggio vita nei quartieri più chic di Londra. Anche l'uomo rise, seppur per un motivo totalmente differente da quello di lei. Alice si sentiva così felice che si allungò per prendere il piattino, questa volta, e poi glielo mise di fronte al naso, mostrando i denti in un cordiale sorrisetto da bimba. -volete favorire?
-Grazie.- il signor Canon prese un biscottino a forma di cuore e lo portò alla bocca. -li avete fatti voi?
"Ti piacerebbe", pensò la castana, ma finse di sì, sì, che li aveva fatti lei con le sue preziose manine pallide, guadagnandosi un'occhiata vittoriosa – e una angosciata di papà – da parte della madre, impettita in un ridicolo vestito pieno di esagerate decorazioni.
Poi si disse che in fondo, quell'incontro, sarebbe potuto andare molto peggio.
L'importante per lei era rimanere con Lysander. Al resto ci avrebbe semplicemente fatto le ossa.

 


La nebbia era così grigia da dare quasi una parvenza di realismo ai mattoni chiazzati di inquinamento che circondavano le strade, alle vie da poco riasfaltate su cui le marmitte di macchine accese gettavano ogni genere di schifezza. Lysander e Alice procedevano lungo il marciapiede che costeggiava l'infinita fila di negozi e ciminiere attive, volando in mezzo alla gente, e come sempre non avevano paura. Né di mostrarsi sorridenti, né di mostrare a loro stessi quanto bene stessero così vicini. Era il giorno libero dei lavoratori, domenica, ed entrambi avevano pensato di architettarsi per uscire un po' insieme e godersi il tepore del sole. La loro testa era libera da tutto, così come i loro cuori, che adesso battevano leggeri al sicuro sotto un'intricata coperta di vene calde. Morte, mali, costrizioni. Persino l'aria acida di gas e fumo sembrava non turbarli, immersi com'erano nel loro mondo fatto solo di baci e amore devoto. Stavano andando dal tatuatore, perché quando Alice gli aveva visto il tatuaggio dietro la schiena, la prima volta che avevano fatto l'amore, ne aveva desiderato uno uguale, nello stesso suo posto. E lui l'aveva accontentata. Anche se era una cosa poco normale, poco "da femmine".
Lysander la trovò ancora più stupenda. -sei emozionata?
-Ho paura faccia male- fu l'unico commento di lei, infilata in un maestoso abito nero che il canuto si era silenziosamente procurato dai vestiti di cui Rosalya voleva sbarazzarsi, ma che tutte le volte si dimenticava di farlo. Non se ne sarebbe accorta. Neanche se fossero spariti tutti. Ed era felice di vedere che le calzava a pennello, anche se faceva un po' fatica a camminare a causa dell'impalcatura sotto il tessuto pesante. Vestita così, Alice accanto a lui sembrava davvero una dama della Middle Class, e non una semplice operaia camuffata da signora importante.
Ci teneva a farla sentire il meno possibile distante da lui. Era il chiodo fisso di Lysander, la sua missione da quando avevano fatto l'amore insieme, e avevano compreso entrambi, spogliandosi delle loro insicurezze e difficoltà, di essere disposti a rinunciare a tutto, tutto, pur di rimanere insieme.
-E infatti farà male. Un male cane.
-Tu lo hai sentito?
-Mi hanno dato qualcosa da mordere mentre me lo facevano. Lo daranno anche a te.
-Oh, per tutti i santi!- Alice sbiancò e lui rise affettuoso a quella reazione. -E' comunque un'incisione sulla pelle.- spiegò, e mimò il gesto premendosi un dito sul grande palmo aperto. -Ma quando sarà finito, potrai vantarti di avere un bel tatuaggio anche te. Sei contenta?
-Sarò contenta solo se sopravviverò a questa tortura.
-Sei ancora in tempo per tornare indietro.
-Ma no. Pfff, per chi mi hai presa?
Arrivarono dal tatuatore, che stava lustrando gli aghi con un fazzoletto intriso d'acqua e alcool. Alice si scrutò intorno curiosa mentre Lysander si toglieva il doppiopetto per appenderlo all'attaccapanni. Se prima si era sentita a disagio negli abiti di una donna completamente diversa da lei, ora quel sentimento si ingrossò ancora di più quando si trovò in mezzo a mille occhi di uomini mezzi nudi, intenti a farsi incidere inchiostro sulla pelle. Si strinse nelle spalle quando questi la guardarono, un po' attoniti. Non era un luogo per donne, quello. Così raggiunse Lysander, che stava controllando ingenuamente l'ora un po' confuso. -Lys- lo trascinò a sé, distranendolo dal suo capire perché la lancetta stesse procedendo a scatti troppo lenti per il normale trascorrere del tempo. -fa un po' strano essere qui.
-Non ti preoccupare, ci sono io.
E meno male, perché quando lui si chinò di quindici centimetri per baciarla, i gran signori capirono che era accompagnata da un uomo, e tornarono a concentrarsi sul loro dolore. -Andiamo.
Raggiunsero un bancone pieno di album di disegni raffiguranti motivi orientali e giapponesi, dove l'uomo smise improvvisamente di lustrare gli aghi, per poterli guardare. -oh!- riconobbe Lysander e gli diede una bella pacca sulla schiena. -chi si rivede! Quanti anni, amico mio.
-Troppi.
-Sei qui per farti ancora uccidere? Abbiamo nuovi apparecchi, non scherzano. Macdonald può solo inchinarsi.
-No, sono qui per far uccidere lei.
A quel punto, il tatuatore portò lo sguardo su Alice, che si fece piccola contro il braccio di Lysander. -Però!- esclamò, e sorrise mostrando un dente dorato. -Tosta la ragazza. Seguitemi.-
Era bastato pronunciare "tosta" per convincerla a fidarsi di lui con tutta sé stessa. Era amico del suo uomo, era simpatico e non le aveva detto nulla riguardo al fatto che fosse donna, o che fosse insolitamente strano trovarla lì intenzionata a farsi tatuare un groviglio di ali grosso quanto metà schiena. Finirono in uno stanzino piuttosto isolato, con un lettino al centro; accanto, una fila di aghi rifletteva il suo bagliore sotto la lampada bianca che dondolava sopra le loro teste. -hai già pensato al tatuaggio, amica?
Alice annuì e sorrise mentre ripensava a quello di Lys, e a quanto le fosse piaciuto. Non solo per il disegno realizzato con cura, e che donava alla sua schiena una potenza eterea. Anche per il significato; che tu sia grande, grosso, magro, piccolo, nero, bianco, o semplicemente diverso, ricordati che apparteniamo tutti alla stessa specie. Ali di mosca, di pavone, di angelo, farfalla. Sempre ali sono. Giusto? -lo stesso che hai fatto a lui.
-Ohoh, interessante. Lys, posso chiederti di mostrarmelo un attimo?- chiese al tatuatore, poi tornò ad Alice mentre Lysander armeggiava con camicie e giacche al fine di spogliarsi. -sai, non ho la copia di quel disegno. Lo ha inventato lui. E solo lui la possiede, ma sulla sua pelle. Non ti dispiacerà se lo faccio un attimo scoprire.
-Ma si figuri...
Lysander le lanciò un' occhiatina divertita, e poi fece calare la camicia sulle spalle forti, quel tanto che bastava per aiutare l'uomo a ricordare che razza di reperto d'arte gli avesse reso indelebile sulla pelle. E per lasciare Alice con la bava alla bocca, le gote rosse, il cuore sparato come un razzo contro il petto pieno di lui.
Poi si ricoprì, così la ragazza si fece coraggio pensando che più tardi avrebbe potuto rivedere ancora quelle spalle che aspettavano solo i suoi baci. Sorrise. Bellissimo dire alla madre che sarebbe uscita col signor Canon. Non aveva nemmeno osato affacciarsi alla finestra, si era fidata non appena aveva visto l'auto. O meglio, la sua seconda auto.
Si sentiva euforica nell'averle raccontato quell'enorme cazzata.
-Bene, signorina, lo vuoi dove ce l'ha lui o preferisci qualche altra parte?
-Dove ce l'ha lui.
-Va benissimo.- il tatuatore uscì insieme a Lysander, che la guardò col suo occhio giallo mentre sorrideva divertito, la mano premuta sulla maniglia della porta. Alice si chiese perché se ne stessero andando. Soprattutto lui. -devi calarti il vestito e metterti di pancia sul lettino.
-Perché esci?
-Non è da uomini rimanere a guardare una signorina spogliarsi.
-Odio il tuo pudore. Dai, resta.
Lys chiuse la porta ridendo, e le permise di calarsi l'abito senza che ci fossero due occhi a vagliarle ogni centimetro di pelle, perché sapeva che non sarebbe stato in grado di tenere a freno quel piacere. Quando Alice ebbe terminato, il giovane bussò e le chiese se era pronta. Al suo sì entrò col tatuatore, che subito le sollevò un po' il lettino, per avvicinarsi la schiena di lei alle mani.
Lysander invece andò ad accomodarsi su una sedia lì vicino, e si portò le dita alle ginocchia, allegro. Lei lo guardò, un po' in panico, così le fece cenno di fidarsi. -Andrà tutto bene.
-Non potete drogarmi un po' prima di, oh!- l'ago affondò nella sua pelle, e i denti di Alice cigolarono stridendo di un dolore mai provato prima di allora. Le mani corsero ad avvinghiare il nulla, pallide, gli occhi si strinsero fino a divenire due sottili fili dorati. Il tatuatore fece una pausa. -ti faccio male?
-no, ma no, è una passeggiata in mezzo ai fiori.
-quello che mi aspettavo di sentire.- rispose, e le porse un pezzo di morbido tessuto da agguantare tra i denti. Alice lo fece senza esitare, mentre un rivolo di sudore le scivolava giù per la fronte pulsante di dolore.
Poi arrivò Lys a prenderle la mano, a tenergliela forte per darle supporto morale. -sei pazza- le sussurrò, senza smettere di sorridere orgoglioso.
Alice lo guardò adorante, gli occhi gonfi di lacrime. Poi gli stritolò le dita quando l'ago graffiò e scivolò sulle ossa tese delle spalle. -Tu mi hai insegnato ad esserlo.

 


Le spalle di Alice erano tutte un fuoco.
Emozioni miste tra il dolore appena subito e l'eccitazione di aver portato a termine un tentato suicidio continuavano a scorrerle nelle vene piene di elettricità, mentre camminava accanto ad un Lysander tranquillo e felice. Si sentiva un drago. Il tatuaggio bruciava ardente sotto la copertura che gli era stata applicata al fine di non rovinarlo. Era quasi sicura che se avesse toccato un albero con un dito, lo avrebbe ucciso in un vortice di fiamme. Ancora tremava.
-Allora? Sei rimasta muta dopo il tatuaggio.
-Allora, è stato fantastico!- esclamò, e Lys le offrì un pezzo di brioche per placarle l'animo in preda alla tempesta. Alice lo inghiottì senza nemmeno masticare da quanto era contenta. -ma... non lo rifarei.
-Troppo male?
-Troppo.
Lo ascoltò ridere deliziato. -Io invece voglio coprirmi tutto il corpo. Ovunque. Tanto, nessuno deve vedere.
-Tranne me.
-Tranne te.
Si guardarono, e i loro occhi lasciarono scorrere senza pudore le immagini della mattina in cui avevano fatto l'amore. Entrambi compresero di volerne ancora, che non si sarebbero mai saziati, ma erano le cinque di pomeriggio, e i genitori di lei avrebbero finito per preoccuparsi se "Canon" non la riportava a casa ad un orario decente. Lysander non pensò nemmeno ai problemi che ne sarebbero conseguiti quando Alice avrebbe cambiato casa. Era troppo felice per dedicarvi un pensiero più approfondito dei soliti cinque minuti in astinenza di bacio. -buono il cornetto!
Glielo diede, perché potesse finirlo.
-Dalla Francia. Parigi.
-Ogni tanto qualcosa di buono la combinano anche loro.
-Ma sentila.
Fecero per raggiungere l'auto, un po' riluttanti all'idea di doversi dividere, quando Lysander si bloccò all'improvviso, e aguzzò la vista verso un punto non identificato oltre le spalle dell'amata, dove la strada principale si frammentava in tante arterie meno importanti. Alice seguì i suoi occhi, e li riconobbe all'istante.
I suoi assalitori.
Il cuore le balzò alla gola, il naso bruciò più del tatuaggio. Si leccò le labbra, e le parve di catturare il sapore del sangue, la corsa in macchina, il buio che ne era conseguito e che era durato l'eterno.
Ainsworth le fece cenno di entrare in macchina, così lei lo fece. Poi osò attirare la loro attenzione, semplicemente senza smettere di fissarli. Gli uomini si accorsero di essere finiti in un fuoco incrociato, e lo guardarono a loro volta, un po' perplessi. Quando videro che si trattava del fratello di Leigh sparirono lontano, dandogli vittoria. Solo a quel punto Lysander entrò in macchina. Non era nel suo carattere attaccar briga, tantomeno imporsi in quella maniera. Il fatto era che non voleva più vederli in giro. Quei soggetti di classe erano liberi solo per il pene attaccato tra le gambe, ma rimanevano lo stesso individui pericolosi. Il loro posto non era tra le strade di Liverpool. Era dentro la cella, con i nasi rotti e grondanti di sangue.
Un favore potevano farglielo, visto che erano liberi come farfalline in mezzo ad un campo di fiori. Girare al largo. Sia quando era con Alice, sia quando c'era solo lei.
Perché non sarebbe ricorso alle denunce, se l'avessero toccata ancora.
Avrebbe usato le mani.
E la galera sarebbe stato solo un piacevole ricordo lontano.
Alice gli posò due dita sulle nocche, per calmarlo, ma lui rimase fisso ai suoi pensieri di vendetta, gli occhi che bruciavano la strada. -te lo giuro- rispose al tocco, con una violenza che non gli apparteneva. -se li rivedo...
-Lys, credo abbiano capito che non devono avere a che fare con te, sei risultato abbastanza minaccioso anche se c'erano mille metri a separarvi. Non hai visto come sono scappati?
-Che scappino.
-Non si metteranno mai contro di te.
Lysander si rabbuiò all'improvviso.
Premette il piede sull'acceleratore, in direzione di casa di Alice.
Non parlarono più per tutto il resto del tragitto.

 


Nessuna cena posata di fronte al suo posto preferito, quella sera. Non che Lysander se la fosse aspettata; sapeva che Rosalya ce l'aveva a morte con lui. Non gli rivolgeva la parola da quando Leigh si era rintanato in camera, divorato di chiazze violacee che sembravano avergli prosciugato persino il grasso al di sotto della pelle. Rosalya aveva cominciato a fare da ronda, vietando persino ai figli di poter vedere il padre.
Vietando persino a lui, suo fratello, suo erede, di parlarci. Di poter starci del tempo insieme, raccontargli sulla fabbrica, che stava andando a gonfie vele. Almeno per ora.
E Leigh era troppo debole per rimproverarla.
Lysander decise che non avrebbe cenato. Gli dava fastidio quel cambiamento repentino in famiglia, perché all'improvviso tutti sembravano essere diventati fantasmi. Girava per le stanze a vuoto, la sera, si guardava intorno, e gli pareva di non riconoscere più gli spazi che lo circondavano. I visi, che lo fissavano senza vederlo realmente, senza più vita. Era orribile, orribile come la tavola sparecchiata accanto al suo fianco reso pesante dalla cintura, su cui era sparito persino il set tanto amato della de Meihlan. Si chiese se i bambini avessero mangiato.
Avrebbe fatto loro la cena, in caso di risposta negativa, per la prima volta in ventidue anni di vita passata a sprecare tempo. La governante entrò in sala quatta come un gatto, e quando Lysander si voltò di mezzo grado tirò un accidente, sobbalzando sugli stivali. La donna chiese umilmente scusa.
Lui tornò ai fornelli spenti. -Siete una gatta, signora O'Connel. I bambini hanno cenato?
-Sì, ho fatto loro qualcosa. Sono già a letto. Signorino...
Il ragazzo si spostò dal ripiano, in quanto lei sembrava intenzionata a cucinare qualcosa. Accese il fuoco e riempì un fornellino di latte. Poi lo posò sulle piccole fiammelle, e per un po' rimase zitta. Quando lo guardò, nei suoi occhi spenti c'era un mare di dolore. -Vi chiedo perdono per...
-No. Ve lo chiedo io, per essermi comportato in quel modo.
-Questa famiglia sta cambiando, sapete. Sono... molto spaventata.
-Non faccio altro che chiedermi come finiremo.
-Rosalya non mangia da giorni.
Lysander non nascose il moto di preoccupazione che lo colse alle iridi riflesse nella luce fioca del lampadario. Leigh era in condizioni pessime, indecenti. Non voleva che anche lei facesse la sua stessa fine, che si lasciasse trascinare dal dolore. Doveva essere più forte. Era sempre stata forte, Rosa.
Così l'aveva conosciuta.
Così, lei e Leigh si erano amati. Con la stessa forza che ora sembrava essere stata messa a tacere. Si augurò non fosse per sempre.
Si augurò di poter riaggiustare tutto, e il dolore gli pervase le vene del polso come una frusta che si sfracella contro una ferita già aperta. La serva versò il latte in una tazza, poi glielo porse. -bevete qualcosa, signorino. Almeno voi, non fatemi stare in pensiero.- e detto questo si ritirò nella sua piccola stanza, trascinandosi i piedi stanchi sulle scale polverose. Lysander si rifletté nel pallore del liquido vischioso, e lo stomaco desiderò sbroccare quando le narici aspirarono un po' del suo odore denso. Si portò un polso alla bocca, chiuse gli occhi.
Attese che passasse.
Poi fece anche lui la rampa di scale, con una lentezza che aveva del surreale. Aveva quasi paura di arrivare al secondo piano. Non sapere cosa aspettarsi, trovarsi faccia a faccia con l'idea di suo fratello morto.
Gli mancava.
Gli era sempre mancato, e se Rosalya continuava a tenerlo lì dentro, gli si sarebbe spaccato il cuore di agonia. Meritava di vederlo. Di stringerlo di nuovo, forte, e tenerlo tra le braccia per fargli capire che con lo stesso ardore avrebbe sorretto anche tutto ciò che lui aveva creato.
Le belle cose, le brutte cose.
Tutto.
Scacciò le lacrime scuotendo il capo. Ma vennero fuori lo stesso, e allora le asciugò col palmo, pensando che non doveva piangere, non più. Che lui doveva rimanere in piedi, quando il resto sarebbe crollato.
Cominciava già a sentire i mattoni cadergli sulla testa. Strinse la tazza e si posizionò dinanzi a Rosalya. Era seduta sul pavimento, con due borse enormi a solcarle gli occhi giallastri. I lunghi capelli le coprivano le spalle esili.
Non sembrava in vena di voler vivere ancora. Lysander la compatì moltissimo. E in un altro momento si sarebbe accomodato accanto a lei, le avrebbe preso la testa e l'avrebbe stretta. Ma si era creato un distacco enorme tra loro.
Non si permise. Tuttavia le porse la tazza, e la invitò a riempirsi lo stomaco con sguardo incoraggiante. Lui non aveva fame. Si era già saziato di dolore. -mi hanno detto che hai smesso di mangiare. Sbagli.
Lei si limitò a guardarlo male.
-Rosalya, fammi questo piacere. Hai bisogno di mettere qualcosa nello stomaco. Devi essere forte, per i tuoi bambini, per me, per Leigh. Non lo vorrebbe.
-Non lo nominare.
-Lo nomino eccome. E' mio fratello, ed è lì, chiuso in quella stanza. Che vorrebbe tu mangiassi.
-Vattene, Lysander. Non ho più nulla a che spartire con te, tranne l'anello.
Quelle parole ferirono Lysander più di un ferro bollente infilato in bocca. Non era colpa sua se quella situazione spiacevole stava facendo strage di esseri umani. Non era colpa sua se presto lui e Rosa sarebbero diventati marito e moglie, e tutto sarebbe diventato solo un cumulo di ceneri fredde. Eppure lei sembrava quasi volerlo accusare. Nel modo in cui lo scrutava, in cui gli parlava, con un disprezzo e un odio da lacerare il petto. Lys rimase in piedi davanti a lei, in silenzio. Avrebbe voluto dirle di sollevarsi, che il pavimento era freddo. Avrebbe voluto darle quella tazza di latte, stringerla. Avrebbe voluto entrare e gettarsi su suo fratello, ma Rosa non si sarebbe spostata nemmeno ad ucciderla.
E come contraddirla, del resto.
Ma faceva male.
Tanto male, eppure se ne andò, arrendendosi all'idea che lei avesse chiuso ogni porta di dialogo. Si fermò un attimo in bagno, e gettò il latte nel lavandino. Poi si chiuse in camera, e i quadri tremarono sul muro tinto di angoscia.



__________________________
nda

eccomi qui! Dopo un po' di tempo ritorno a postare, e scusate il ritardo, ma questo capitoletto, in particolar modo la prima parte, andava un attimo restaurato. Ho cercato di rendere Alice il meno acida possibile, durante la conversazione col suo futuro sposo, in quanto non ho visto la necessità di farla atteggiare con prepotenza, e ho preferito attenermi al fatto che non sempre i matrimoni combinati/riparatori sono simbolo di infelicità. Ho letto molti libri che parlano di questa tematica, e ho voluto ispirarmi all'idea secondo il quale l'amore a volte si impara, non serve che nasca, e che il rispetto reciproco basta per una convivenza tranquilla. Però Alice ama Lysander. E quindi continueranno a vedersi fino alla fine della storia, a prescindere da tutti i problemi che hanno. <3 non volevo dare la sensazione di un possibile marito taccagno e bastardo, e se in diversi avevate pensato così, spero di avervi un po' stupiti uwu
per quanto riguarda la storia, qua dobbiamo in particolar modo parlare dei
tatuaggi. È proprio vero che la moda per la tattoo art "nasce" durante l'Epoca Vittoriana! Si diffonde a partire da MacDonald, il primo a praticare in maniera ufficiale il mestiere di tatuatore. I disegni erano diversi da quelli di oggi, spesso la gente si faceva tatuare grandi frammenti di opere d'arte, angeli, insomma, robe abnormi – e secondo me alcune anche oscene, meh –; si era anche diffusa su larga scala la moda della japonaiserie, ovvero il desiderio di farsi tatuare simboli che rimandavano alla cultura orientale, e più nel dettaglio al Giappone – ad esempio il Koi, la carpa portafortuna –. i tatuaggi erano aperti sia agli uomini che, udite udite, alle donne, anche se in ristretta minoranza. Ancora una volta, il perbenismo si scontra con ciò che si nasconde al di sotto della superficie. Immaginatevi solo quanta gente sotto il panciotto nascondesse enormi macchie di inchiostro... affascinante. Cercate, se siete curiosi, foto sui tatuaggi dell'epoca vittoriana, sono bellissime.
Altra piccola nota  e poi chiudo. L'interpretazione del tatuaggio di Lysandro è mia XD. Ho sempre trovato carina l'idea di rappresentare delle ali tutte diverse, e ho pensato che potesse essere un rimando al fatto che la diversità è ricchezza, e che va preservata.
BAAAASTA, lo giuro.
Altri due capitoli e la storia si conclude! Sono comparsi gli aggressori di Alice... qualcuno tra voi sta già pensando ad un possibile finale?
Ci sentiamo presto!
xo, Lila

   
 
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