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Autore: Emmastory    10/12/2018    6 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-II-mod
 
 
Capitolo XXXII

Famigerati e scaltri

Ininterrotte ore di cammino mi avevano condotta al villaggio del mio amato, e con Sky al mio fianco, ora restavo in piedi sul selciato di fronte ad un perfetto sconosciuto. Vestito di nero da capo a piedi, aveva detto di poterci essere d’aiuto, e ci eravamo fidate. Ferme e inermi, non muovevamo un muscolo, e in completo disaccordo con le mie razionali decisioni, il mio cuore non voleva saperne di smetterla. Batteva forte, come impazzito, e pur conscia di star esagerando, potevo letteralmente giurare di sentirlo in gola. Il tempo scorreva senza sosta, muovendosi continuamente e ignorando le proprie creature con la stessa e identica pesantezza di un macigno. Lontana miglia e miglia dalla tranquillità, stringevo i pugni con fare inquieto, spostando lo sguardo in ogni possibile direzione. Mi era incredibile, eppure non riuscivo ancora a trovarlo. Le parole di Marisa erano state fonte d’aiuto e di confusione insieme, e per qualche arcana ragione, sentivo che la soluzione a quest’intricato enigma mi stesse guardando dritto in faccia, ridendo e beffandosi di me, come le voci avevano fatto poche ore prima. Sì, le voci. Quegli stessi tetri sussurri che da tempo sentivo echeggiare nella mia mente, e che ora, finalmente mute, continuavano a serpeggiare nei miei ricordi. Sospirando, rilassai i muscoli del corpo, riaprendo i pugni che a stento mi ero accorta di aver serrato. “Hai detto che puoi aiutarci, qual è il prossimo passo?” chiesi, rompendo come vetro il silenzio creatosi fra di noi. “Impaziente, creatura naturale. Non è un bene per le fate come te, sai?” rispose il ragazzo, rivolgendomi per una frazione di secondo uno sguardo che avrei potuto unicamente definire malevolo. Sbuffando scocciata, mi imposi di star zitta, e chiudendo ancora i pugni, finii per conficcarmi le unghie nel palmo della mano, ferendomi da sola. “Ha ragione, Kaleia. Sai anche tu che ci vuole tempo per certe cose.” Disse poco dopo Sky, facendo le veci dell’uomo e prendendo quasi inconsciamente le sue difese. Respirando lentamente, provai a ragionare, ma in quel momento, prolungare qualsiasi tipo di attesa mi sembrava sciocco oltre che ridondante. Mantenendo il silenzio, trassi un profondo respiro, ma per mia sfortuna, anche quel tentativo di tener stretti i lumi della ragione non mi servì a nulla. Rigida come un’asse di legno, mi sforzavo di non perdere le staffe, ma negarlo era inutile. Tesa e rigida come un’asse di legno, non riuscivo a pensare ad altro, e l’unica cosa che desideravo era riavere Christopher al mio fianco. Poteva sembrare strano, stupido, o addirittura folle, ma bramavo i suoi occhi nei miei, le sue mani lente sulla mia schiena e nei miei capelli, i suoi baci, la loro infinita dolcezza e il loro delizioso sapore. Agli occhi di altri tutto era falso, malsano e sbagliato, ma i miei sentimenti per lui erano tanto forti quanto reali, e nonostante i minuti che ci scorrevano intorno come l’acqua di un fiume placido e tranquillo, non mutavano mai. Fu questa l’unica ragione che mi spinse a parlare, a dar di nuovo voce alle mie emozioni fino a perderne quasi il controllo. “Tempo? Tu vieni a parlare a me di tempo? Quanto ne sarà passato ormai? Siamo vicine, e lo sento, ma perché continuiamo a star ferme? È ignobile nei suoi confronti!” urlai improvvisamente, con il viso bagnato da lacrime figlie di un dolore che non sapevo di star trattenendo. Colpita, Sky si limitò a guardarmi sgranando gli occhi per la paura, e al ritmo con il mio cuore pulsante, anche il gioiello che portavo al collo parve iniziare a reagire. Spaventata, abbassai lo sguardo, e solo allora, lo notai a mia volta, indietreggiando con lentezza. Appena un attimo dopo, il mio respiro si fece affannoso, e priva di un equilibrio, crollai a terra. Con uno scatto fulmineo, Sky fu lì per aiutarmi, ma il ragazzo la richiamò a sé, immobile al suo fianco come una statua di granito. “Ferma, Sky, lasciala a quest’esperienza.” Le disse, calmo e sicuro di sé stesso, continuando a fissare con sguardo deciso il mio apparentemente esanime corpo. “Lasciarla? Ma non vedi cosa le sta succedendo? Potrebbe essere…” protestò lei, affatto convinta e con la voce corrotta da una distinta vena di preoccupazione. “È qui che sbagli, non è affatto in pericolo.” Si limitò a risponderle il ragazzo, incrociando le braccia e lasciando che un sorriso gli si dipingesse il volto. Sconfitta, mia sorella si ridusse al silenzio,e sorda al loro battibeccare, non forzai gli eventi. Fu questione di soli attimi, e incontrando il terreno, non mi feci alcun male. Incerta sul da farsi, mi ritrovai in ginocchio, e per un attimo, un bianco bagliore mi avvolse. Non vidi né sentii nulla, ma con il cuore nuovamente calmo, sperimentai quella che chiunque avrebbe potuto definire pace dei sensi. Lentamente, posai a terra una mano aperta, e respirando, rimasi ferma, in ascolto e attesa. Da allora in poi, un silenzio più gentile di altri divenne il mio unico compagno, e in quella sorta di trance, una sola e distinta figura. Lo stesso simbolo che avevo visto nella notte durante il mio viaggio verso la casa della signora Vaughn, irradiato da due tenui luci. Una era verde come il mio elemento, l’altra rossa come mai avevo visto, e così come mi aveva colta, quella visione svanì, lasciandomi con la mente chiara e il corpo scosso da una nuova speranza. Libera da quella gabbia di luce, riuscii a tornare in me, e rimettendomi in piedi, corsi verso i miei due compagni di viaggio.“Ragazzi, forse ho capito. Finalmente so dove si trova.” Dichiarai in tono solenne, mirando per un istante il cielo e notando solo allora lo splendere del dorato sole, che per tutto quel tempo aveva illuminato il mio cammino mostrandomi  la vera retta via. Fiduciosa, strinsi il mio smeraldo, e resa forte da quella nuova iniziativa, iniziai una folle corsa verso il mio obiettivo, percorrendo quella che avevo identificato come strada della verità. Mettendomi in testa alla marcia, superai un imprecisato numero di case, e giunta al primo spiazzo d’incontaminata natura, scoppiai a ridere, felice come una bambina. Probabilmente Sky non mi avrebbe creduta,  e il nostro nuovo aiutante mi avrebbe sicuramente considerata pazza, ma ora che tutto mi era chiaro, c’era una sola anima a cui davvero potessi rivolgermi. “Red! Red, dove sei?” chiamai, affidando la mia voce al vento, che da bravo messaggero l’avrebbe sparsa per il resto del villaggio. “Red!” riprovai, sentendo dopo meri attimi un’eco in lontananza. Ci volle del tempo prima che tutto si acquietasse, e quando accadde, l’unico verso che avrei mai voluto sentire fece la sua comparsa nel verde circostante. Un latrato simile a quello di un cane, che il mio attento orecchio riconobbe essere quello di una volpe. Inginocchiandomi ancora, attesi, e poco dopo lo vidi. Red. Il mio amico dal pelo rossastro, le cui nere zampe si muovevano leste, colpendo ritmicamente il terreno. Alla mia vista, mi corse incontro abbaiando, e non appena fu abbastanza vicino da sfiorarmi, spiccò un balzo, atterrandomi giocosamente e finendo per farmi le feste. Lieta di rivederlo dopo così tanto tempo, lo accarezzai dolcemente, e avvicinando la mano al suo orecchio, lo grattai com’ero solita fare. Abbaiando festoso, l’animale mi piantò le zampe sul petto, e quasi cadendo all’indietro fra l’erba per una seconda volta, lo allontanai spintonandolo, con gesti semplici e sgombri da cattiveria alcuna. Dandosi un contegno, la volpe voltò lo sguardo, fissandolo sul selciato che avevo da poco percorso, e mugolando mestamente, come a volermi invitare a seguirlo. Rialzandomi da terra, camminai al suo fianco senza proteste, e ben presto anche Sky fu con me. Seppur riluttante, il ragazzo non si fece pregare, e unendosi a sua volta a noi, parve unicamente concentrato su altro, come contare il tempo che era certo di aver sprecato aiutandoci. Ad essere sincera, non nutrivo alcuna simpatia nei suoi confronti, ma volendo mostrare clemenza, decisi di porgere l’altra guancia. In fin dei conti, l’avevo appena conosciuto, e non sapendo neanche come si chiamasse o perché avesse volontariamente deciso di venire in nostro soccorso, sentii che meritava un’occasione. Incuriosito, Red gli si avvicinò, e annusandolo, si allontanò quasi subito, con la stessa aria di pura confusione che era solita caratterizzarlo in momenti di quel genere.“Come ti chiami, straniero?” azzardò Sky, sperando di rompere il ghiaccio e dare inizio ad una normale conversazione. Ignorandola, il diretto interessato non rispose, e soltanto un colpo di tosse da parte mia, benchè involuto, lo convinse a parlare. “Major, figlia dell’aria, e tu?” rispose infatti, mostrando unicamente l’accenno di un sorriso sulle labbra chiare e leggermente strette. “Sky.” Replicò mia sorella, tardando a rispondere e perdendo per un attimo il passo e la cognizione dello spazio in cui ci trovavamo. “Felice di scoprirlo, cara.” Continuò il ragazzo, sorridendole. “Per me è lo stesso.” Si limitò a rispondergli, per poi ritrovarsi senza volere a imitarlo mentre camminava. Guardandoli, ebbi uno strano presentimento, ma sopprimendo il brivido che avvertii dietro la schiena, mi strinsi nelle spalle, certa di stare immaginando ogni cosa. Di lì a poco, il nostro cammino riprese, e nel pieno di quella giornata piena di sole, un cambiamento. L’inconfondibile odore de fumo mi investì le narici, e l’ululato di un lupo mi bucò il timpano. Il villaggio degli umani era vicino alla foresta, ed era vero, ma cosa ci faceva un lupo nei nostri boschi? Non lo sapevo, e se quella domanda rimase senza una risposta, la seconda trovò la propria all’istante. Stava succedendo qualcosa, e arrestando il mio cammino, fui nuovamente colta da quella strana sensazione di freddo. Alzando poi lo sguardo che avevo tenuto a terra, mi accorsi di aver raggiunto la casa di Christopher, e quasi istintivamente, tirai un sospiro di sollievo. Farlo mi era costato energie e sacrifici, ma alla fine ce l’avevo fatta. Così, con gli occhi che brillavano per la felicità, mi avvicinai alla porta, e provando ad aprirla, spinsi. Come unica risposta, ricevetti una strana resistenza, e dopo un secondo e un terzo tentativo, desistetti. Avanzando, Major mi pregò di farmi da parte, ma fallì nel suo intento. Uggiolando tristemente, Red disturbò la nostra quiete, e guardandolo, lo vidi coprirsi il muso con una zampa. “Mi dispiace. Era qui un attimo fa.” Sembrava dire, visibilmente in colpa per quell’errore. “Va tutto bene, bello, tranquillo.” Gli sussurrai in risposta, accovacciandomi per accarezzarlo. Grato, l’animale mi lasciò fare, ma appena un attimo dopo, la tensione prese possesso del suo corpo, e rizzando le orecchie, corse via da me. Interdetta, guardai alternativamente Sky e Major, studiando l’espressione sul volto di quest’ultimo, che con il solo uso dello sguardo, mi incoraggiò a continuare quel viaggio. Annuendo, seguii quel povero animale, e con il sole vicino a tramontare, gli occhi lucidi e le gambe ormai stanche per tanto camminare, ricordai uno dei primi moniti del mio Christopher, secondo cui uomini infidi abitavano la foresta proprio come noi fate, e che qualunque gesto da parte loro doveva essere visto come una sorta di presagio o avvertimento, in quanto, con il favore di tetre apparenze avevano lentamente conquistato il titolo di famigerati e scaltri.

 
   
 
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