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Autore: RikaMizuiro    11/12/2018    1 recensioni
Conosciamo per bene la vita di Bankotsu, temibile assassino leader della squadra dei sette. Si parte dalla prima, si proseguirà con la rinascita. Ma se alla fine dello scontro nel monte Hakurei non rimanesse ucciso che cosa ne sarebbe di lui?
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bankotsu, Jakotsu, Squadra dei Sette
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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AMICIZIA?

 

 

 

 

« Finalmente ti abbiamo preso, dannato ragazzino! »

Un colpo.

« Davvero speravi di farla franca? »

Un altro colpo.

« Sei solo un povero illuso ».

Un altro colpo ancora.

« Perdente, perdente, perdente! »

Sangue.

« Debole, debole, debole! »

Altro sangue.
Poi il terrore, la paura, lo sgomento di provare tali sentimenti. No, lui non poteva aver paura! Non ne ha mai avuta! Non ne ha mai provata in vita sua. Allora perché in quel momento sentiva il corpo intirizzito da quella strana e tanto odiata sensazione? Perché non riusciva a muovere un solo muscolo? Era atterrito fino a quel punto il suo animo?
Gli uomini del villaggio lo avevano preso, lo stavano picchiando a dovere. Sangue che spruzzava dal suo naso. Le gambe gonfie e viola per i lividi. Tumefazioni che chiazzavano la sua pelle ambrata. Le braccia che coprivano invano la testa, per proteggerla dai calci, per attenuare i duri colpi dei bastoni. Gli uomini del villaggio stavano ridendo, mentre lo pestavano, stavano godendo di quella sofferenza.
Sentì il respiro bloccarsi nella sua gola, il magone depositarsi nello stomaco. Poi la voce dell’uomo più anziano. Quel vecchio, il padre di Jakotsu.
Sollevò appena il viso. Le sue guance erano sporche di terra, gli occhi arrossati dalla polvere, i capelli corvini schiacciati sulla fronte, la vista annebbiata. Gli ci volle qualche istante prima che le sue pupille riuscissero a mettere a fuoco chi gli stava di fronte. Non si stava sbagliando. Era proprio quel dannato vecchiaccio! Gli stava sorridendo, quel verme! Si era chinato verso il suo viso, gli mostrava la storta dentatura con sguardo trionfante. Perché aveva vinto? Perché lo aveva massacrato?
Tentò di urlare, di buttare fuori con un grido la sua rabbia, ma non ci riuscì. Le labbra si erano aperte, ma la voce non usciva. Era diventato muto. Il viso dell’uomo si piegò maggiormente per l’ilarità e si avvicinò ancora al suo. Bankotsu fremette, ma si decise a non staccargli gli occhi di dosso.
No, aspetta, ora il suo viso stava scomparendo. Stava sbiadendo! Ma perché? Perché ora stava diventando tutto scuro e perché si trovava avvolto da una nera nebbia? Lo accecava! Lo stava accecando! Maledizione, stava diventando tutto così buio?
Si coprì gli occhi con i palmi delle mani. Premette con forza. Erano forse quelle le tenebre?
Poi arrivò una voce. Era dolce. Era calda. Lo stava chiamando per nome. Ma chi era?

« Bankotsu ».

Riconobbe la voce. Spalancò gli occhi. Jakotsu era in piedi a pochi metri da lui. I lisci capelli castani che ondeggiavano appena, il lungo kimono rosa che arrivava a sfiorarle le caviglie.

« Jakotsu! » urlò Bankotsu. La voce era tornata! « Jakotsu, che ci fai lì? Dove siamo? »

Silenzio. La ragazzina non rispose, né si mosse. Rimase ferma, con le braccia calate lungo i fianchi. Le andava così grande quel kimono che le dita riuscivano a spuntare a malapena dalle maniche.

« Jakotsu! » urlò ancora il bambino.

La ragazzina voltò il viso in sua direzione, lentamente. Poi sorrise.
Bankotsu la osservò senza dire nulla. Poi l’ansia tornò a pervaderlo, perché lei ora si era voltata e se ne stava andando. Anche in quel posto c’era nebbia, nebbia scura, una coltre densa e avvolgente. Jakotsu scomparve tra le sue braccia.

« Aspetta! » urlò Bankotsu. « Non te ne andare! »

Poi il bambino si sollevò in piedi e cominciò a correre. Tuttavia, si accorse che le sue gambe non lo stavano portando da nessuna parte. Non si era mosso di un centimetro.

« Jakotsu! Jakotsu! » urlò Bankotsu, rovinando al suolo. Allungò il braccio nella direzione in cui era scomparsa la bambina. « Jakotsu, dove sei? Dove mi trovo? »

Poi le voci degli uomini del villaggio tornarono. Il padre di Jakotsu stava gridando trionfante.

« Eccolo lì! » diceva, capeggiando il gruppo degli uomini. « Non lasciatevelo scappare! »

No! Non poteva essere! Com’era possibile? Li aveva appena seminati! D’improvviso, sentì le gambe sciogliersi. Finalmente riusciva a correre. Volse lo sguardo indietro e vide gli uomini del villaggio inseguirlo, armati di bastoni e forconi. Strinse i denti e riportò l’attenzione dinnanzi a sé. Jakotsu era di nuovo a qualche metro da lui.

« Jakotsu! Che fine avevi fatto? » domandò, mentre il sudore gli colava lungo la fronte.

Allungò il braccio, la stava quasi per raggiungere, la stava quasi per afferrare, quando l’uomo più anziano lo acchiappò per le spalle.

« Ora te la faremo pagare cara! » disse.

« No! No » urlò Bankotsu.

« Bankotsu! Bankotsu! »

Era la voce di Jakotsu quella?

« Bankotsu, svegliati! »

Bankotsu vedeva appannato. Strinse le palpebre, le sbatté un paio di volte. Il viso di Jakotsu era dinnanzi al suo. Vicinissimo, per diamine! Il bambino si portò una mano sulla fronte, strinse gli occhi. La testa gli martellava.

« Ti senti bene? » domandò Jakotsu, con espressione visibilmente preoccupata. 

Era inginocchiata accanto a Bankotsu e stringeva con la destra un panno bianco gocciolante. Alla sua sinistra c’era un secchio verde e sporco, colmo d’acqua fino all’orlo, con il manico spezzato e arrugginito.

« C-che succede? » domandò Bankotsu con voce roca. Aggrottò la fronte, ma quel gesto gli fece aumentare il dolore alle tempie. Strinse ancora gli occhi. Aveva la nausea. « Che fine hanno fatto gli uomini del villaggio? »

« Gli uomini del villaggio? » domandò Jakotsu perplessa. « Mi sa che hai fatto un incubo » disse, asciugando la fronte sudata di Bankotsu. Immerse lo strofinaccio nel secchio, lo imbevve d’acqua e lo riportò sulla fronte del bambino. « Ti sei lamentato tutta la notte ».

Bankotsu tentò di mettersi seduto, ma la testa prese a martellargli più forte, quasi ci fosse stato un picchio al suo interno. Ora anche gli occhi gli dolevano, la vista traballava e vorticava impazzita. Jakotsu si accorse di quel malessere e lo trattenne per le spalle, evitando che svenisse sul posto. Bankotsu inghiottì un respiro amaro, rantolò appena e strinse i pugni sul grembo. Quasi non riuscì a credersi. Ora si sentiva meglio. Forse mettersi dritto lo aveva aiutato. Che strana sensazione, però! Era come se il peso sulla sua testa fosse svanito all’improvviso, aspirato da un’entità invisibile.
Bankotsu riaprì gli occhi e osservò per un attimo la figura che gli stava di fronte. Jakotsu adesso gli appariva così nitida. Ma come aveva fatto a non capire che quello era solamente un sogno!

« E come potevo… quando si sogna sembra tutto così vero » si rispose bisbigliando e ridacchiando al contempo.

Jakotsu sollevò stranita un sopracciglio, ma non se la sentì di domandare che cosa avesse appena detto. Piuttosto, piegò le labbra in un ennesimo sorriso.

« Hai avuto un febbrone stanotte » disse. Bankotsu trasalì appena, ma cercò di non darlo a vedere. Ci mancava solo l’influenza. « Ma ora ti è passata. Dev’essere perché hai sudato ».

Silenzio. Bankotsu si sentì leggermente in imbarazzo. Chissà quanto si era lamentato. Poi tossicchiò appena, per schiarirsi la gola, le mani ancora serrate in due pugni stretti.

« Tu, piuttosto… » cominciò, evitando di guardarla in faccia, quasi temesse di venire inghiottito dai suoi grandi occhi nocciola. « Sembri molto stanca. Non hai una bella cera… » Le dita allentarono la presa, sentendo le unghie staccarsi a fatica dai palmi. Portò la mano tra i capelli corvini, scompigliandoseli appena.

« E ti credo! » asserì Jakotsu. Sembrava molto orgogliosa di sé in quel momento. Il tono squillante attirò l’attenzione di Bankotsu, che s’affrettò a lanciarle un’occhiata di sottecchi. « Ti ho vegliato tutta la notte » aggiunse. « Non la finivi di lamentarti. All’inizio pensavo fosse per la caviglia, ma quando ti ho toccato la fronte l’ho sentita scottare. Ho capito subito che avevi la febbre. Era anche molto alta, devo dire. Ci ho pensato io a farti scendere la temperatura ». Jakotsu si picchiò il petto ridacchiando soddisfatta.

Bankotsu abbassò nuovamente lo sguardo, osservandosi le punte dei piedi. La fasciatura era ancora ben avvolta attorno alla sua caviglia. Forse Jakotsu gliela aveva aggiustata.

« Grazie… » bofonchiò il bambino.

Jakotsu allargò le labbra felice e prese ad accarezzargli la testa. Bankotsu sembrò infastidirsi, ma non se la sentì di rimproverarla. Temeva che il mal di testa potesse tornare a tediargli le tempie.

« Hai fame? » domandò d'un tratto Jakotsu. « Perché se hai fame, io ho del pane raffermo. Me l’ha lasciato mio padre ieri, ma tanto io non ho fame. Te lo cedo volentieri ».

Senza nemmeno ottenere risposta, la ragazzina si precipitò a prendere il pane. Era avvolto da uno strofinaccio grigio, bucherellato su alcuni punti. Lo porse a Bankotsu, premurandosi prima di scoprirne il contenuto. Il bambino osservò con sguardo quasi famelico quel pezzo di pane raffermo. Era bruciato su alcuni punti della crosta. Laddove era stato spezzato, invece, la mollica appariva rigida e priva di colore.
Bankotsu accettò più che volentieri la proposta di cibo di Jakotsu. Non toccava un tozzo di pane da giorni e vederne uno, seppur duro, gli stuzzicò l’appetito come non mai. Se lo ficcò in bocca con un solo morso. Quasi si dimenticò come si masticava. Jakotsu lo osservava compiaciuta. Quel pezzo di pane era senza dubbio la cosa più buona che avesse mangiato da mesi. In comunità, infatti, non gli veniva data più di una minestra. Le bocche da sfamare erano molte e il cibo assai scarso.

« Purtroppo non ho nient’altro » disse Jakotsu, non appena il suo ospite terminò il suo breve pasto.

Bankotsu si premurò persino di raccogliere e mangiare quelle poche briciole che gli erano finite in grembo. Scosse la testa ed espirò compiaciuto. Alla ragazzina sembrò quasi che il suo cipiglio si era leggermente disteso. Forse stava cominciando a considerarla una sua amica?

« Va più che bene » disse Bankotsu. « Non sono abituato a mangiare. Dove sto io il pane è cosa rarissima ». Sollevò le spalle, in segno di noncuranza.

« Beh, se mi vieni a trovare, qualche volta, magari poss… » cominciò Jakotsu, ma si interruppe. 

Le iridi color nocciola della ragazzina si dilatarono, atterrite. Qualcuno stava bussando alla porta del fienile, con implacabile furore. La sera prima, infatti, temendo spiacevoli visite, Jakotsu aveva accuratamente blindato la porta del fienile.

« JAKOTSU, CHE DIAVOLO STAI COMBINANDO LÌ DENTRO?! » Era la voce di suo padre. « APRI SUBITO QUESTA DANNATA PORTA O TI FARÒ ASSAGGIARE DI NUOVO IL SAPORE DELLA FRUSTA! »

Jakotsu scattò in piedi, lo sguardo perso, le mani sudate, la pelle pallida come la luna, le scure iridi che vagavano da una parte all’altra del fienile. Bankotsu imprecò tra i denti, si rimise in piedi anche lui e raggiunse la ragazzina.

« E ora che faccio? » chiese in preda all’ansia. « Se tuo padre mi trova qui, altro che frusta! Mi farà secco! »

Jakotsu lo afferrò per il polso e lo portò laddove la quantità di fieno arrivava quasi a sfiorare il soffitto. I richiami irosi del padre, accompagnati dai colpi secchi e decisi sulla porta, divennero sempre più insistenti.

« A-Arrivo! » urlò di rimando Jakotsu, nel vano tentativo di placare l’animo del padre.

La bambina, nel mentre, aiutò Bankotsu a nascondersi tra il fieno. Infine, gli raccomandò di non fiatare e non di muoversi. Non avrebbe mai permesso che suo padre lo scoprisse.
Jakotsu corse alla porta, si pulì il kimono dal fieno e aprì.

« Che diavolo stavi facendo? » ruggì l’uomo. « Perché hai chiuso la porta? » 

« L-lupi! Avevo paura che ci fossero i lupi » mentì la bambina. « Avevo sentito degli ululati ieri sera ».

« Bah, non importa » tagliò corto l’uomo. Evidentemente, aveva bevuto quella scusa arrangiata come fosse la più sincera delle verità « La tua punizione è finita. Sbrigati a venire in giardino. Devi spaccare la legna Se non vuoi saltare il pranzo è meglio che cominci subito ».

Detto questo, l’uomo girò sui tacchi e se ne andò. Jakotsu rimase in piedi ad osservarlo, fino a quando la sua bassa e tozza figura scomparve dentro le mura di casa.

La bambina sospirò. Il pericolo era passato.

« Davvero fa spaccare la legna a te? » domandò la voce di Bankotsu. Il bambino era uscito dal nascondiglio e, ora, era in piedi accanto a Jakotsu. « Non mi sembra un lavoro adatto a te… »

La ragazzina rimase immobile, le labbra serrate, contratte. Possibile che Bankotsu non se ne fosse accorto? Ancora insisteva in quella direzione? Sospirò nuovamente. Il bambino aggrottò la fronte, la osservò per un attimo in viso, ma lei sembrava fermamente decisa a non ricambiare la sua occhiata.

« Io devo andare » disse d’un tratto Bankotsu, allacciando le braccia dietro la nuca. « Non vorrei mai che tuo padre tornasse. E poi devo andare ».

Jakotsu non disse nulla. Bankotsu espirò seccato.

« Grazie per il pane » aggiunse, quando si era già incamminato.

Jakotsu, però, lo raggiunse. Gli afferrò il braccio, lo trattenne, tanto che il bambino si trovò costretto ad arrestarsi. La osservò di sbieco. Lei teneva gli occhi serrati, sembrava volergli dire qualcosa, ma anche le sue labbra erano sigillate. La sentì deglutire a fatica.

« Che ti prende? » chiese Bankotsu. « A volte sei strana. Non ti capisco proprio ».

« Se te ne vai, non ci rivedremo più » balbettò Jakotsu e la presa sul braccio del bambino si fece più insistente. « Io voglio rivederti! Quando portò rivederti? » Strinse ancora, tanto da avvolgergli completamente il braccio con le sue.

Bankotsu avvampò. Era la prima volta che una ragazzina lo abbracciava in quel modo, anzi, che lo abbracciava proprio. Ed era anche la prima volta che una ragazzina provasse interesse per lui. Non sapeva se sentirsi lusingato o impacciato. Tossicchiò, portandosi un pugno alle labbra.

« Smettila di fare la scema! » disse Bankotsu. « Se è solo questo non c’è problema » aggiunse. 

Gli occhi di Jakotsu presero ad osservarlo. Bankotsu sentì lo sguardo insistente di lei puntato dritto dritto sulla sua faccia. Ora la ragazzina stava pendendo dalle sue labbra.

« Se vuoi, oggi pomeriggio possiamo vederci alla radura… sì, alla radura… » disse Bankotsu.

« Promettilo! » tagliò corto Jakotsu.

Il bambino sgranò gli occhi, ma lei gli afferrò la mano e intrecciò il suo mignolo con quello di Bankotsu.

« Io prometto che ci sarò » disse Jakotsu, agitando lentamente la mano su e giù. « Ora tocca a te! »

« Non penserai davvero che io faccia una cosa simile! È una sceme…» cominciò Bankotsu, ma poi si interruppe.

Jakotsu lo osservava seria, gli occhi lucidi che minacciavano di scoppiare in lacrime da un momento all’altro.

« Oh, e va bene! Lo prometto! » cedette il bambino.

Il viso di Jakotsu si illuminò per la gioia. Lasciò, poi, la presa dal braccio del bambino. Bankotsu pensò che finalmente era libero di andarsene, ma si sentì nuovamente bloccare. Le mani di Jakotsu gli avevano afferrato il viso. La ragazzina si avvicinò e lo baciò sulla guancia. Poi si allontanò saltellando verso il giardino della casa. Bankotsu sentì uno strano calore concentrarsi proprio sul punto in cui le labbra di Jakotsu si erano posate. Vi appoggiò il palmo e la osservò mentre scompariva dietro l’angolo della casa.

« Non c’è che dire… » si disse, « … quella ragazzina è proprio una furia… »

Con il pensiero di Jakotsu per impiantato nella testa, Bankotsu se ne tornò in comunità. Nemmeno si presentò a pranzo. L’idea della minestra lo nauseava. Forse il sapore del pane mangiato quella mattina gli era rimasto ancora in bocca.
Si sedette in giardino, contro il robusto tronco dell’unico albero lì presente. Sentiva le grida degli altri bambini mentre uscivano dalla casa e se ne andavano a giocare in giardino, a diversi metri da lui. Alcuni si rincorrevano, altri chiacchieravano e ridevano, altri giocavano a nascondino. Gettò lo sguardo al cielo, ora di un azzurro così intenso da risultare quasi accecante. Le nuvole scarseggiavano e il sole brillava come non mai. Era chiaramente mezzogiorno.
Bankotsu si appisolò. Rimase addormentato per un paio d’ore, fino a quando una voce a lui familiare lo svegliò.

« Bankotsu » lo chiamò quella voce.

Era il monaco che gestiva la comunità. Lo stava osservando un un dolce sguardo di rimprovero. Bankotsu piego le labbra disgustato. Non aveva mai visto un’espressione così dannatamente stomachevole. Si stropicciò gli occhi e non esitò a sbadigliargli in faccia, a bocca spalancata.

« Che vuoi? » chiese brusco, dal momento che quel monaco ancora non voleva saperne di muoversi da lì.

« Bankotsu, sono stato al villaggio poco fa » cominciò con un sospiro. Incrociò le braccia al petto. « E mi hanno detto cos’hai combinato ieri pomeriggio. È il caso che vai a scusarti con l’uomo a cui hai rubato la gallina ».

« Tsz » sbuffò Bankotsu. Quell’uomo era il vecchiaccio, il padre di Jakotsu. Mai e poi mai ci sarebbe andato.

« Bankotsu, parlo sul serio » insistette il monaco. « È pomeriggio adesso. Dovremmo riuscire a trovarlo in casa ».

« Pomeriggio? » urlò Bankotsu, scattando in piedi. Gettò un’occhiata al sole. È vero, si era spostato e di parecchio anche.

Il bambino corse via, senza nemmeno degnare il monaco di un’ulteriore risposta. Lui provò ad inseguirlo, ma venne fermato da un gruppo di bambini molto piccoli, che chi chiedevano disperati di recuperare la loro trottola finita chissà come in fondo al laghetto.
Bankotsu corse più veloce che poté. Era in netto ritardo.

“Se ne sarà già andata” pensò tra sé e sé, mentre scendeva a gran velocità la collina. Poi scosse prepotentemente la testa. “Chi se ne importa se è già andata via! Io vado alla radura perché voglio andarci io. E basta… non ci sono altre motivazioni”

Corse ancora per qualche chilometro. Nonostante i precedenti propositi, le gambe gli si muovevano velocemente. Quando arrivò alla radura, aveva ormai il respiro corto e un dolore acuto alla milza. Si gettò a terra, rantolando, massaggiandosi il fianco, quando qualcuno si avvicinò a lui.

« Temevo non venissi più » disse quella voce, dalla cadenza femminea.

« Jakotsu! » si stupì il bambino. Era pronto a scommettere che non l’avrebbe aspettato così tanto. « Non pensavo di trovarti… »

« … ancora qui? » concluse Jakotsu, ridendo. Poi gli afferrò la mano sinistra e intrecciò il mignolo di Bankotsu con il suo. « Se ci promettiamo qualcosa, dobbiamo mantenerla! Se ciò non avverrà, sarà perché è successo qualcosa di veramente grave. E grave vuol dire la morte » rise Jakotsu, agitando la mano su e giù.

Bankotsu si sentì avvampare di nuovo. Possibile che quella bambina sortisse in lui tale effetto?

« Questo è il nostro giuramento, va bene? » domandò la ragazzina. Bankotsu annuì debolmente. « Bene! Allora, che facciamo? » 

Jakotsu aveva grinta da vendere. Ora, scioltasi dalla presa del mignolo di Bankotsu, prese a saltellargli intorno, girando allegra. Il sole, però, era troppo accecante quel giorno, troppo rivelatore e le iridi zaffiro di Bankotsu non riuscirono a non notare quel dettaglio. Era chiaro, troppo evidente. Jakotsu aveva il viso segnato da un profondo livido. All’inizio non l’aveva notato. Si confondeva con il rossore delle sue guance. Tuttavia, ora che i raggi del sole la stavano colpendo dritto dritto in faccia era ben chiaro alla sua coscienza cosa volesse dire. Un orribile sospetto si insidiò dentro di lui.
Bankotsu avanzò in avanti. Era più basso di lei, ma aveva più forza. Le afferrò il polso e la fermò.

« Chi è stato? »

Jakotsu abbandonò l’espressione felice. Non aveva voglia nemmeno lei di girarci troppo intorno. Aveva capito a che cosa si stava riferendo Bankotsu. Perché mentire?
Tuttavia, lei non era triste. La sua espressione non era affatto triste. Ora osservava Bankotsu direttamente negli occhi, con sguardo serio. Era evidente al bambino che lei si vergognasse un po’ di quello che le era capitato, ma ammirò il suo coraggio. O forse non era coraggio. Forse era qualcos’altro, fiducia. E lei sembrava nutrirne così tanta in lui!  Una fiducia grande, pura, che non la faceva mentire su quel fatto, che non la faceva vergognare davanti a lui.

« Non ho terminato di tagliare la legna » spiegò Jakotsu senza troppi giri di parole. « Volevo venire da te in tempo. Mio padre ha visto la pila dei ceppi non tagliati… e anche me, mentre cercavo di sgattaiolare via. Per fortuna ce l’ho fatta, ma nel tentativo di scappare mi ha lasciato un ricordino ».

« Che verme! » si indignò Bankotsu. « Dovresti reagire! »

« Lo farò, te lo prometto ». Gli avrebbe tanto voluto dire che dal momento in cui si erano conosciuti si sentiva molto più forte. È vero, non era passato nemmeno un giorno, ma stare con Bankotsu le dava una forza che mai era riuscita a provare. « Solo che oggi non ne ho avuto il tempo » aggiunse Jakotsu. « Allora, cambiando discorso, che si fa? »

Bankotsu incurvò le labbra in un sorriso furbastro. Gli era venuta una mezza idea. Lei si era aperta tanto con lui e a lui Jakotsu stava cominciando davvero a piacere. Ormai non lo voleva più negare a se stesso.
La prese per mano e cominciò a correre. Jakotsu scoppiò a ridere divertita. Non domandò nulla. Il mistero le piaceva.
Corsero per diverso tempo, sempre tenendosi per mano. Jakotsu non la finiva di ridere e non chiese nulla nemmeno quando Bankotsu, superata la radura, la condusse nel bosco.
Raggiunsero un grande albero, dal tronco storto e dai rami così lunghi e cadenti che minacciavano di sfiorare il suolo. Contro la corteccia erano state sistemate delle assi di legno, che fungevano da parete di un piccolo rifugio.
Jakotsu si avvicinò con sguardo sognante. Osservò i grossi massi che assomigliavano a sedie, la stoffa lillà appesa alle assi e che faceva a porta.

« Ma è magnifico! » disse, giungendo le mani. « Lo hai fatto tu? »

« Mi devo arrangiare » rispose Bankotsu, facendo spallucce. « Ho intenzione di andarmene dal villaggio e da quella comunità di pazzi. Ho costruito questo posto per proprio per questa ragione ».

« Sei magnifico, Bankotsu! » affermò Jakotsu. « Davvero magnifico! »La ragazzina prese di nuovo a saltellare. In quell’istante, una farfalla rossa le passò vicino al viso, impigliandosi infine tra i suoi capelli. Lei se ne accorse, tentò di afferrarla, ma il piccolo insetto volò via dalle sue dita.

« Che peccato » mugugnò.

Jakotsu, però, non conosceva le abilità di Bankotsu e si stupì non poco nel vederlo balzare in avanti e afferrare delicatamente la farfalla per le ali, con un gesto del tutto naturale, privo di alcuno sforzo. Lo sguardo del bambino era rimasto impassibile, non aveva palesato neanche un briciolo di fatica. Pareva tanto che avesse colto un fiore.

« Ecco » disse Bankotsu, porgendo la farfalla a Jakotsu.

Lei la afferrò, arrossendo per la felicità. Osservò l’insetto camminare sulle sue dita, il suo bel colore vermiglio. Lentamente e facendo attenzione a non muovere troppo la mano, Jakotsu si sedette su uno dei grossi massi lì vicino e rimase a contemplare la farfalla per diverso tempo. Anche Bankotsu si sedette, prendendo posto al suo fianco.
Ad un certo punto, però, alcuni rumori attirarono l’attenzione del bambino. Un suono sinistro guizzò alle sue orecchie, era flebile, appena percettibile, ma Bankotsu era un esperto e non gli sfuggì. Jakotsu sembrò non accorgersi di nulla, continuando a giocherellare con le antenne della farfalla.
Dopo qualche istante, tra gli alberi comparve un demone. Aveva due grossi occhi gialli e i denti aguzzi, grondanti di sangue. Evidentemente aveva ucciso qualcuno da poco. Tuttavia, a sua fame non si era placata, perché puntò dritto dritto verso Bankotsu e Jakotsu, con intenzioni tutt’altro che amichevoli. La ragazzina non accorse in tempo di quella presenza. Durò tutto un brevissimo istante. Bankotsu che si alzava di scatto. Bankotsu che, con un balzo, raggiungeva il piccolo rifugio. Bankotsu che vi entrava. Bankotsu che riemergeva dalla tenda, brandendo una spada. E poi, Bankotsu che infilzava il demone con quella lama, tagliandolo in due, schizzandosi il viso del sangue del demone.
Atterrò agilmente a terrà, lasciandosi alle spalle la carcassa squarciata del demone. Non era molto grande, ma nemmeno Bankotsu lo era e quell’atto colmò Jakotsu di ulteriore ammirazione. Si alzò in piedi, non badando più alla farfalla, che se ne volò via.

« Sei stato fantastico! » asserì, con sguardo illuminato.

« Per me questo è un giochetto da ragazzi » si vantò Bankotsu, ridendo beffardo.

Prese a pulire la lama con alcune foglie. Si chinò in avanti e cominciò a spiegare a Jakotsu che quella spada l’aveva costruita lui, con le sue mani. Tronfio il suo sguardo, sornione il sorriso. Non vi era modestia nelle sue parole, tantomeno nel suo tono di voce. Disse anche che, quando sarebbe stato più grande, sarebbe riuscito a forgiare una lama ancora più grande e potente. Le sue ambizioni erano grandi quanto le sue fantasie.
Era così preso dal suo discorso che nemmeno si accorse dell’arrivo di un altro demone. Spuntò proprio alle sue spalle, ragion per cui Jakotsu lo vide perfettamente. In un attimo, la ragazzina afferrò l’elsa della spada di Bankotsu, scattò in avanti e impiantò la lama nel petto del demone. Il colpo non fu mortale, ma riuscì comunque a far accasciare il demone al suolo. Jakotsu estrasse la spada e la impiantò in mezzo alla fronte del demone, uccidendolo. In quel momento il suo sguardo mutò. Dietro di lei, Bankotsu la osservava basito. Balbettò qualche suono, ma non riuscì a formulare una frase di senso compiuto. Non era stata abile quanto lui, ma aveva appena ucciso un demone. Quella ragazzina! Una femmina. E con una spada non tanto affilata. Ma com’era possibile? Non si era nemmeno messa a piangere né aveva gemuto per il terrore. Solitamente, le ragazzine che vedeva strillavano per il terrore alla sola idea dei demoni, figurarsi se sarebbero state in grado di farne fuori uno! Davvero roba da non credere! E poi c’era quello sguardo… Bankotsu non riuscì a spiegarselo, ma assomigliava tanto al suo quando uccideva.

« M-ma… come hai fatto? » domandò  Bankotsu, che ancora la osservava attonito. « Dove hai imparato a fare… queste cose…? »

« Bisogna pur sapersi difendere, no? » rise lei, con espressione fin troppo innocente.

Bankotsu non sapeva se spaventarsi o se mettersi a ridere. Una donna che combatte non l’aveva mai vista, è vero, ma a pensarci bene gli piaceva. La cosa gli piaceva parecchio. Anzi, Jakotsu gli stava piacendo sempre di più. Osservò quella ragazzina, mentre puliva con naturale abilità la lama della spada sulle foglie. Non era affatto impressionata dal sangue, anzi, i suoi occhi parevano illuminati da una scintilla quasi sadica. Bankotsu si domandò cos’altro potesse nascondersi dietro quel viso così dolce e grazioso.

Si salutarono quando ormai il cerchio arancio del sole scomparve dietro le montagne. Jakotsu prese tra le sue le mani di Bankotsu. Sentiva di aver trovato uno spirito affine. Entrambi lo sentivano. C’era qualcosa che li accomunava, se n’erano accorti entrambi, ma ancora non capivano cosa potesse essere quel qualcosa. Forse nemmeno loro sapevano se potesse essere definito con un nome. Forse amicizia? O qualcosa di più profondo? Qualcosa che va al di là di sentimenti umani come amicizia e amore? Forse era proprio un legame indissolubile, che non poteva essere spiegato con le semplici parole. Sta di fatto che, da quel giorno, entrambi non poterono più fare a meno l’uno dell’altra.

…  

Note dell’autrice:
Ebbene, eccomi qua con il secondo capitolo. Devo dire che pensavo di concluderlo in un altro modo, ma mi riserverò quella determinata parte per il capitolo tre ^^
Comunque, cosa ne pensate? Vi piace? Fatemelo sapere, per me è molto importante ricevere un parere!


   
 
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