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Autore: BalthierSan    13/12/2018    0 recensioni
Salve a tutti! è la prima volta che pubblico su questo fandom, spero che possa essere di vostro gradimento :3
--- Contiene spoiler!! Se non seguite il manga vi sconsiglio di leggerla, o almeno, se non avete ancora letto dal capitolo 184 in poi. Non sono grandi spoiler, ma sarebbe ambientata dopo quell'arc. ---
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Endeavor, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
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Salve!! Sono l'autrice! Vi rubo giusto un paio di secondini preziosi per dirvi che questa fan fic nasce da una mia strana idea sul possibile passato del mio personaggio preferito all'interno dell'universo di My Hero Academia, ossia, Endeavor! Il mio caloroso Enji. 
Non vi spoilero nulla, però spesso che possa piacervi e che possa suscitare in voi le stesse emozioni che ha trasmesso a me durante la stesura, viste le tematiche di violenza ed abusi che ho fatto ricorrere anche nel più lontano passato del pro hero. 
Non vi rubo altro tempo, buona lettura! Fatemi pure sapere che ne pensate. 




Tartarus.
Quell’oscuro posto lontano da ogni anima civile che, forse ignara di quanto potesse essere oscuro quel mondo, viveva la sua vita protetta dall’hero di turno. Erano più di vent’anni che non ci metteva piede. Vi erano rinchiusi criminali così pericolosi che nessuno di loro avrebbe mai avuto delle visite da ricevere. Nessuno sa
no di mente sarebbe voluto stare nello stesso spazio vitale di uno di quei pazzi. 
Todoroki era sicuramente uno tra questi, senza alcun interesse nel mettere piede in quell’inferno terreno, eppure, in uno sprazzo di incoerenza, si ritrovò proprio lì quel giorno. 
Lo avevano espresso per più di una volta come “Il suo ultimo desiderio.” Significava che facendo uno sforzo quel giorno non avrebbe mai più dovuto rivolgere occhio a quel rifiuto. Sarebbe passata senza alcun effetto, come acqua che scorre lungo il corpo, anche la notizia della sua morte. Poteva sforzarsi, se il mondo aveva dato un’altra possibilità a lui e persino sua moglie e sua figlia lo stavano sostenendo in quello, allora lui poteva esaudire l’ultimo desiderio di quell’essere. 

«Todoroki-san, benvenuto. Le chiedo gentilmente di non sorpassare la linea rossa che divide lei dal vetro dentro la cella.»

«Non c’è problema.»

Era totalmente apatico, anzi, i controlli di sicurezza nei suoi confronti, niente meno che il numero 1, gli sembrarono soltanto noiosi. Ormai da decenni aveva sepolto ogni coinvolgimento psicologico o sentimentale con quell’uomo. Stava solo andando incontro alla richiesta di un vecchio pazzo destinato a marcire in quella cella per il resto dei suoi giorni..grazie a lui. 
Infilò le mani nella tasca della propria giacca scamosciata. Aveva deliberatamente deciso di non indossare il proprio costume da prohero, quello scarafaggio non meritava di vederlo in tale veste. 
I suoi occhi turchesi rimasero fissi sull'ultima porta di sicurezza che lo divideva dalla cella, era l’occhio vacuo di chi si sentiva costretto ad essere in quel posto controvoglia, contemporaneamente espressione di una consapevole perdita di tempo. 
Il rumore delle ante della porta di vetro che scorrevano simulando l’apertura di un sipario, sembrò quasi assordante, ma non fu l’unica cosa. I tre passi che mosse in avanti dentro quella cella risuonarono per quei pochi metri quadrati come piombo che si schianta al suolo. 
Ignorò la sedia posta di fronte a quel pannello di sicurezza trasparente, restando in piedi, alto e fiero nella sua posa impassibile. 
Dall'altra parte, un uomo dalla corporatura quasi colossale per l’età che il grigio sfibrato dei suoi capelli sembrava portare. Probabilmente, un tempo, quegli stessi capelli si erano retti alti e spuntati verso il cielo, le punte, ancora dense di quel colore naturale originario, lasciavano intravedere un rosso vermiglio indistinto. 
Chiuso in una speciale camicia di forza, sembrava obbligatoriamente avvolto in dei movimenti impossibilitati ad eccezione della testa. Aprì gli occhi e alzò il capo lentamente pochi istanti dopo aver sentito entrare quella figura stranamente e apparentemente sconosciuta. Un ghigno malvagio adornato da rughe si presentò come primo saluto. 

«Endeavor! Giusto?»

Quello ormai considerabile più giovane dei due non mosse ciglio, mentre l’altro sembrò avere gli occhi di uno strano colore violastro iniettati di odio e accompagnati da un’espressione di pura estasiante, ossessione. 

«Non scaldarti troppo, vecchio.»
«Ah! Non preoccuparti, questa camicia di forza oltre a bloccare i miei movimenti ha un meccanismo refrigerante che non mi permette di scatenare alcuna fiamma nemmeno a volerlo. Avevi paura di prendessi di sorpresa?»
«Umph, le tue ossa non reggerebbero nemmeno un mio pugno, l’unica sorpresa sarebbe l’arrivare a sfiorarmi.»

Il vecchio sputò veleno tramite una fragorosa e terrificante risata fredda al sapore di presa in giro. Dopo un successivo stridio dei suoi stessi denti rialzò nuovamente il capo puntando quello sguardo denominante una degenerata sanità mentale verso il più alto in piedì oltre quel velo rigido. 

«Qualcuno sembra averti più che sfiorato! Che bella cicatrice, ti dona. Te la sei procurata 𝘧𝘢𝘤𝘦𝘯𝘥𝘰 𝘭’𝘦𝘳𝘰𝘦?!»

Quella ferita era fresca, ma non faceva più alcun male nemmeno psicologico. Non si era mai interessato al proprio aspetto, figurarsi se una cicatrice potesse destabilizzarlo. Benché reputasse il proprio inizio da detentore del podio alquanto pietoso, quella cicatrice era solo il simbolo dell’ennesima vittoria contro il male. 

«Sono i rischi del mestiere.»

Non sembrava cogliere quelle provocazioni dette che un tono di voce persino volgare dall'altra parte. Non gli interessava farlo, scaldarsi o altro. Non ne aveva motivo, ormai la vita di quell'uomo era agli sgoccioli e sicuramente l’avrebbe finita tra quelle mura. 

«Ah già, ora è il tuo mestiere. Sai, anche qui dentro corrono voci, sei diventato finalmente il migliore, no? L’ho saputo anche io!» 
Assottigliò lo sguardo, quelle pupille erano così fredde da poter gelare il sangue di chiunque non ci avesse mai avuto a che fare ritrovandoseli addosso per la prima volta. 
«Lo sei diventato solo perché tutti gli altri sono troppo deboli, vero? Non perché sei veramente forte. 𝘚𝘦𝘪 𝘦 𝘳𝘪𝘮𝘢𝘳𝘳𝘢𝘪 𝘴𝘦𝘮𝘱𝘳𝘦 𝘶𝘯 𝘱𝘪𝘦𝘵𝘰𝘴𝘰 𝘧𝘢𝘭𝘭𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰, 𝘌𝘯𝘫𝘪.»

Nello stesso istante in cui pronunciò quel nome, il diretto interessato alzò le spalle lasciandosi sfuggire una risatina sarcastica smorzata sul nascere. 
«A prescindere da ciò e qualunque sia il tuo irrilevante pensiero, questo pietoso fallimento sa mantenere al sicuro le persone da rifiuti umani come te. Anzi, tu sembri essere un fallimento tra gli scarti.. per marcire qua dentro da più di venti cinque anni.»

«Sembri avere piena sicurezza nelle tue doti se ti vanti delle tue opere passate.»

«E tu sembri esserti rammollito oltre modo.»
Gli occhi turchesi di Enji sembrarono accendersi come fiamme al secco caldo d’estate, lasciando trasparire un disprezzo mai sognato da quelle pupille ancora recondito nel più profondo del suo animo. 
«Per cosa mi hai chiamato oltre i tuoi inutili deliri da vecchio pazzo?»

Sostenne quello sguardo seppur una nota negativa attraversò i suoi occhi, che lo avesse impressionato? 
«Suvvia, non essere così cattivo nei miei confronti. In fondo sei il mio ultimo desiderio.»
La sua espressione sembrò cambiare, rilassarsi, accendersi di un sorriso quasi normale, ma in realtà, era tutta una farsa per affondare maggiormente quel muro avanti a sé. 
«Dimmi…..𝘏𝘰 𝘥𝘦𝘪 𝘯𝘪𝘱𝘰𝘵𝘪?» 

«Chiunque sia imparentato con te, sta bene in tua assenza. Anzi, sta persino meglio senza nemmeno conoscerti.»

«𝘗𝘦𝘳𝘤𝘩é 𝘵𝘶 𝘴𝘦𝘪 𝘶𝘯 𝘱𝘢𝘥𝘳𝘦 𝘥’𝘰𝘳𝘰, 𝘝𝘌𝘙𝘖?! 𝘐 𝘵𝘶𝘰𝘪 𝘧𝘪𝘨𝘭𝘪 𝘵𝘪 𝘢𝘥𝘰𝘳𝘢𝘯𝘰, 𝘝𝘌𝘙𝘖?! 𝘕𝘰𝘯 𝘢𝘷𝘳𝘦𝘴𝘵𝘪 𝘮𝘢𝘪 𝘧𝘢𝘵𝘵𝘰 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘵𝘶𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘨𝘦𝘯𝘪𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘤𝘩𝘦 è 𝘴𝘵𝘢𝘵𝘰 𝘧𝘢𝘵𝘵𝘰 𝘢 𝘵𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘦𝘳𝘪 𝘴𝘰𝘭𝘰 𝘶𝘯 𝘣𝘢𝘮𝘣𝘪𝘯𝘰, 𝘝𝘌𝘙𝘖?!»
Le spalle tirate in avanti avrebbero lasciato schiantare il suo viso contro quel pannello divisorio se solo il suo busto non fosse stato legato a quella sedia. L’espressione era ormai diventata un lento contorcersi da una salute mentale ormai deteriorata, il suo occhio sinistro si contorceva continuamente mentre dalle sue labbra screpolate e segnate da dei tagli profondi iniziò a scendere della saliva desiderosa di sangue. 
«𝘚𝘦𝘪 𝘴𝘢𝘯𝘨𝘶𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘮𝘪𝘰 𝘴𝘢𝘯𝘨𝘶𝘦! 𝘗𝘦𝘳 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘵𝘰 𝘵𝘶 𝘷𝘰𝘨𝘭𝘪𝘢 𝘯𝘢𝘴𝘤𝘰𝘯𝘥𝘦𝘳𝘵𝘪 𝘥𝘪𝘦𝘵𝘳𝘰 𝘭’𝘢𝘱𝘢𝘵𝘪𝘢, 𝘳𝘪𝘤𝘰𝘯𝘰𝘴𝘤𝘰 𝘪𝘯 𝘵𝘦 𝘶𝘯 𝘶𝘰𝘮𝘰 𝘱𝘪𝘦𝘵𝘰𝘴𝘰 𝘦 𝘪𝘯𝘤𝘢𝘱𝘢𝘤𝘦 𝘥𝘪 𝘢𝘥𝘦𝘮𝘱𝘪𝘦𝘳𝘦 𝘢𝘪 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪 𝘥𝘰𝘷𝘦𝘳𝘪 𝘷𝘦𝘳𝘴𝘰 𝘭𝘢 𝘧𝘢𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘢! 𝘛𝘶 𝘯𝘰𝘯 𝘴𝘦𝘪 𝘶𝘯 𝘱𝘢𝘥𝘳𝘦! 𝘛𝘪 𝘴𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘳𝘦𝘢𝘭𝘪𝘻𝘻𝘢𝘵𝘰 𝘥𝘪𝘦𝘵𝘳𝘰 𝘭𝘢 𝘮𝘢𝘴𝘤𝘩𝘦𝘳𝘢 𝘥𝘢 𝘦𝘳𝘰𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘪𝘯𝘥𝘰𝘴𝘴𝘪 𝘰𝘨𝘯𝘪 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘰, 𝘮𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘶𝘰𝘮𝘰 𝘴𝘦𝘪?! 𝘊𝘰𝘴𝘢 𝘴𝘦𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘵𝘰𝘳𝘯𝘪 𝘢 𝘤𝘢𝘴𝘢?! 𝘛𝘐 𝘚𝘌𝘕𝘛𝘐 𝘚𝘜𝘗𝘌𝘙𝘐𝘖𝘙𝘌 𝘈 𝘔𝘌, 𝘔𝘈 𝘚𝘌𝘐 𝘐𝘓 𝘔𝘐𝘖 𝘌𝘚𝘈𝘛𝘛𝘖 𝘌𝘎𝘜𝘈𝘓𝘌.»
Rimase con il capo ciondolante verso terra e un fiatone visibilmente faticoso da sostenere. 

«Io non sarò mai come te. E per quanto ti sforzi di ripetertelo, io non sono nemmeno il tuo pietoso fallimento.»

Il rosso sembrava essere rimasto impassibile, ma mentire a sé stessi sarebbe stato futile. Non avrebbe portato a niente. Aveva dimenticato quell’uomo spregevole, non faceva più parte del suo disegno di vita da quando lo aveva sbattuto lì dentro sperando di non doverci avere più niente a che fare. In realtà udire quelle parole dalla voce di cui più di tutti aveva timore da bambino, gli scossero l’animo facendolo sentire più sporco che mai. Come se quello sporco odioso non si fosse minimamente spostato dalla sua anima nera e marcia nonostante il cambiamento avvenuto in lui. 
Eppure sapeva di non essere come lui. Quelle cose indicibili che gli aveva fatto, oltre ad essere uno dei criminali peggiori della sua generazione, non le avrebbe mai emulate, nemmeno per riflesso incondizionato. Tutto ciò che aveva fatto ai suoi figli era il rispecchio della volontà di non essere considerato un fallimento anche da loro. Chi non aveva mai avuto un padre, come poteva pretendere di poter essere un buon riferimento per i suoi futuri figli? Alla fine, crescendo da soli e formando il loro carattere in solitudine, Natsuo e Fuyumi erano diventati un uomo e una donna sicuramente migliori di lui. 
Per quanto riguardasse Shoto, tutto ciò che gli aveva fatto passare era dovuto ad un metodo di apprendimento e formazione della persona che aveva usato su sé stesso da giovane quando dovette crescersi da solo. Non conosceva altri metodi. Non era mai esistita la carota per lui, solo il bastone. Ancor meno, non era mai esistito l’Amore. 

«Tu non sei nemmeno considerabile umano. Io ho ancora la possibilità di diventare un uomo migliore. E non la sprecherò come tu hai fatto con la tua infima esistenza.»

Gli diede le spalle senza nemmeno degnarlo di un ultimo sguardo, come da sempre era: severo con sé e con gli altri. 

«Addio, vecchio.»

Uscito da quel luogo, mentre le urla di colui che sarebbe dovuto essere suo padre non perforavano minimamente le sue spalle, il cielo non gli sembrò mai così azzurro e limpido come quel giorno. Solleva la coscienza dai pesi inutili che non sono mai dipesi da te e poi ripuliscila dallo sporco lasciato dagli errori commessi lungo il percorso della vita. 
Quello era l’input per diventare un uomo nuovo. 
Quel giorno imparò che anche chi non era mai stato figlio, sarebbe potuto diventare padre e lo avrebbe dimostrato al mondo intero.
   
 
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