Anime & Manga > Card Captor Sakura
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Autore: steffirah    13/12/2018    2 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Calore di un fiore
 

 
“Un rapporto superficiale di amicizia”. Ecco cosa desiderava Li-kun. Non me l’aveva detto esplicitamente, ma rielaborando le sue parole e i suoi modi di fare tanto intricati e talvolta persino contraddittori ero giunta a quella conclusione.
Il punto era che non avevo idea di come far sì che tutto filasse liscio, se dovevo attenermi ad una relazione di quel genere. Non gli parlavo, non lo guardavo, tentavo anche di non rispondergli quelle rare volte in cui era lui a cedere per primo rivolgendomi la parola, ma ci riuscivo sì e no per qualche minuto. E il tempo diminuiva sempre più, fino a che non mi resi conto che non attendevo neppure cinque secondi prima di rispondergli.
Solitamente lui evitava proprio di conversare con me, anche se non mi rifiutava un saluto di cortesia sia al mattino che il pomeriggio, prima di andarcene; ciononostante c’erano situazioni in cui era inevitabile comunicare, come quando i sensei ci mettevano a lavorare insieme.
Quel venerdì, ad esempio, alla terza ora avevamo scienze e il professore ci fece spostare tutti nel laboratorio. Senza che neppure mi guardassi attorno sapevo già che il mio compagno sarebbe stato lui. Lui e nessun altro, perché per nessun altro esisteva. Quindi ci sedemmo automaticamente uno accanto all’altro, in attesa che Saito-sensei ci illustrasse il compito del giorno alla lavagna. Dovevamo analizzare del polline al microscopio e indovinare a quale pianta appartenesse. Già lo detestavo.
Ci mise all’opera e afferrai il mio, ingrandendo la lente al massimo. Mi tirai indietro sorpresa. Sembrava un riccio di mare, con le spine sull’arancio-rossastro. Ci pensai su. Doveva per forza esserci nel libro di testo. Mi spremetti le meningi, controllandolo in continuazione, ma quanto più lo guardavo tanto più somigliava ad un konpeito. Non trattenni un risolino, ma per fortuna riuscii a mantenere un tono basso e soltanto Li-kun mi udì.
«Che pianta è?» si incuriosì.
«Ah non lo so, però mi fa ridere.»
Feci una risata sommessa e lui si allungò sul mio microscopio, prendendolo momentaneamente in prestito. Diede una rapida occhiata, restituendomelo nel giro di pochi secondi.
«Sei fortunata. È facile.»
«Mmm, per te magari sì» sbuffai, riosservandolo. Eppure, effettivamente, mi sembrava di aver già visto quella forma da qualche parte. E non nelle caramelle.
Mi si avvicinò impercettibilmente, suggerendo: «È un fiore che conosci bene.»
Rimuginai sottovoce a braccia conserte, scavando nella mia mente. Ci doveva stare, di certo….
«Dicesti che “trasmetteva calore”.»
«Girasole!» esclamai, ricordando martedì, quando cambiai le campanule, portando io fiori nuovi.
Li acquistai quella stessa mattina dal fioraio e raggiunsi scuola tutta contenta. Quando Li-kun mi vide chiese come mai avessi scelto proprio quei fiori e io risposi: «Perché trasmettono un po’ di calore, in questa città grigia e fredda. Non ti sembra che adesso l’aula sia più luminosa?» A questo  quesito fece un giro a 360 gradi, ma non replicò in alcun modo, finendo col guardarmi in viso più a lungo del dovuto.
A volte aveva quella strana fissa di guardarmi. C’erano momenti in cui, anche durante le lezioni, mi sembrava di sentire i suoi occhi perforarmi la nuca. In quei frangenti mi capitava spesso di rabbrividire dalla testa ai piedi, e allora quella percezione svaniva.
Tornai al presente, accorgendomi che tutti mi fissavano con aria interrogativa, a metà tra l’essere divertiti e scocciati. Come al solito, mi ero fatta notare da studenti e docenti.
Mi scusai e affondai goffa il viso sul quaderno, scrivendo la risposta e abbozzando quello che vedevo. Dovetti dare qualche altra sbirciata per essere più precisa, ma alla fine non era altro che un gomitolo sferico con gli aculei. Lo colorai anche coi pastelli e mi appoggiai allo schienale, soddisfatta, notando solo allora che Li-kun aveva finito da un pezzo.
Mi feci più vicina, curiosando, provando a leggere il nome senza riuscirci. Era stato tracciato in romaji.
«Ri…Lishi…»
«Lisianthus» pronunciò per me.
Mi voltai verso di lui attonita, restando china sul suo quaderno. Lui rimase fermo nella sua posizione, non spostandosi neppure di un centimetro, ma mi sorprese nel farsi trovare con un pugno sulle labbra, quasi stesse trattenendo una risata.
«Che pianta sarebbe? Non l’ho mai sentita.»
«Forse lo conosci come “eustoma”.»
«Oh! Sì, ho capito qual è!»Doveva essere quel grazioso fiore che avevo visto in molte composizioni, con i tanti petali ad imbuto. Dava un senso di allegria e leggerezza, quasi un invito a librarsi in volo.
Proprio come aveva fatto anche lui prima, guardai all’interno del suo microscopio, confrontando il vetrino con il disegno da lui tracciato. Era una replica perfetta! Incredibile, veramente incredibile. Si era pure impegnato a fare le sfumature più chiare e scure.
Tornai al mio posto, con un pizzico di invidia. Non era rivolta soltanto al campo artistico, bensì era un discorso molto più in generale.
Per esempio, quando facevamo educazione fisica i miei occhi erano costantemente puntati su di lui. I nostri compagni di classe lo ignoravano, o almeno fingevano di farlo, mentre c’erano alcuni studenti che lo fissavano di sottecchi per non farsi notare e altri che non nascondevano astio misto ad apprezzamento. Non era certamente rispettoso nei suoi riguardi, eppure in parte li capivo: Li-kun era abilissimo in tutto quel che gli veniva chiesto di provare e per ora si era trattato di calcio, basket, badminton e pallavolo. Chissà di che club faceva parte e se mi era concesso chiederlo….
«Li-kun…» osai, facendomi avanti.
Mi fece un cenno di silenzio e così vidi che il prof aveva richiamato l’attenzione di tutti, cominciando a girare per i tavoli. Soffiai dal naso, abbattuta. Ecco una delle tante occasioni sprecate.
Dopo aver completato il giro il sensei rivelò che soltanto pochi di noi si erano sbagliati – dovevo ringraziare Li-kun se io non rientravo tra questi. Ci delucidò quindi su tutte le risposte, spiegandone le ragioni, insieme a come avremmo potuto capirne le caratteristiche e come individuare le differenze con le altre tipologie di polline. Vi prestai attenzione soltanto a metà; mi serviva per gli esami, di certo non nella vita. Dubitavo che, qualunque carriera avessi deciso di intraprendere in futuro, avrebbe avuto a che fare con la scienza.
A fine lezione stavo per raccogliere le mie cose per avviarmi in classe a recuperare il bentou, quando Li-kun mi fermò.
«Cosa stavi per dire?»
«Nulla di importante» minimizzai, facendo un cenno con una mano come a dire che poteva anche dimenticarlo.
«Sicura?»
Mi venne un’idea geniale. No, non gliel’avrei detto. Almeno non per il momento.
«Te lo dirò un altro giorno, così avremo una scusa per parlarci.»
Gli sorrisi furba e me ne andai in classe, lieta e soddisfatta. Non poteva respingermi, ero sicurissima che volesse saperlo.
Presi il bentou tutta contenta, rivolgendomi alle ragazze.
«Mangiamo in classe?»
«Ci tocca, il vento fuori è aumentato» fece notare Rika-chan.
Unimmo i nostri banchi, sedendoci in circolo, augurandoci buon appetito. Tra un morso e l’altro scherzavamo, chiacchierando di argomenti leggeri e quotidiani, finché non mi bloccai con un pezzo di carota a mezz’aria. Là fuori, tra gli alberi smossi dal vento, seduto comodamente su uno dei rami più alti, mi parve di vedere Li-kun. Sbattei le palpebre, ma quando riguardai non c’era più. Hoe? Lo avevo immaginato?
Osservai il suo posto, trovandolo vuoto. In effetti, a ora di pranzo non era mai nei paraggi. Chissà dove si rintanava. Un posto solitario…. Forse la terrazza! Ma con quel vento non gli conveniva di certo.
«Alla ricerca di Li-kun?» mi punzecchiò Chiharu-chan.
Sobbalzai, colta sul vivo.
«M-mi chiedevo solo dove fosse…» provai a giustificarmi, miserevolmente.
«Sei proprio presa ormai» sospirò Rika-chan, dandomi una pacca su una spalla.
«Metticela tutta, non è una facile conquista» aggiunse Chiharu-chan, ponendo la mano sull’altra mia spalla.
Hoe?
«Sappi che avrai tutto il nostro sostegno» soggiunse Naoko-chan.
Ma cosa avevano capito?!
«Non è come pensate! È solo che stiamo diventando amici… credo….»
«In effetti, sembrate proprio in sintonia.» Rika-chan si puntò una mano al mento, meditabonda.
«È la prima volta che assistiamo a qualcosa del genere.»
Guardai confusa Naoko-chan.
«A volte non riesco a capire perché sia tanto emarginato» riflettei ad alta voce. «Mi sembra una persona gentile e disponibile.» Escludendo alcuni momenti in cui era un po’ più lunatico.
«Se lo è si mostra così soltanto a te, perché quando noi provavamo a parlargli se rispondeva lo faceva con monosillabi» ribatté Chiharu-chan.
Sospirai, preferendo lasciar perdere. Forse, se fossi riuscita a mantenere un rapporto “stabile” con lui, avrei convinto anche gli altri che in realtà era una brava persona.
«Parlando d’altro, oggi vieni a fare shopping con noi?» mi ricordò Rika-chan.
«Certamente!» esclamai energica.
«Allora ci vediamo verso le cinque alla fermata degli autobus» decretò allegra Chiharu-chan.
Annuii entusiasta.  Non vedevo l’ora di uscire un po’ da quella cittadina, almeno per qualche ora.
La sera prima avevamo deciso di approfittare del fatto che quel giorno nessuna di noi avesse i club e che il sabato non ci fosse scuola per poter andare a Furano. Si trattava di una città montana le cui località, a quanto dicevano le ragazze, erano spesso utilizzate come set fotografici pre-matrimonio.
«Hai presente la fotografia dei miei genitori in soggiorno?» chiese qualche ora dopo Chiharu-chan, mentre in pullman passavamo dinanzi ai campi.
Rievocai quell’immagine pittoresca dei due coniugi immersi in onde di lavanda e strisce di altri fiori colorati sul pendio di una collina.
Annuii visualizzandola e lei svelò, indicando quei campi aridi e stepposi, ove ora bruciavano colori caldi: «Vennero a scattarla qui.»
«Non avrei mai detto che fosse lo stesso luogo» sussurrai colpita, seguendone l’estensione a perdita d’occhio.
«In effetti il cambiamento è grande da stagione a stagione. Ma ti assicuro che in tarda primavera questa zona è stupenda.»
Le sorrisi persuasa e mentre Naoko-chan prendeva il sole – esattamente come me, per questo avevo il viso praticamente schiacciato contro il finestrino, per rubarvi un po’ di calore – Rika-chan guardava l’esterno con aria sognante.
«Quanto mi piacerebbe sposarmi qui, al di sotto della campana sulla collina degli innamorati…»
«Su con la vita Rika-chan, un altro anno e potrai esaudire questo desiderio!» la rincuorò Chiharu-chan, facendola avvampare.
Un altro anno?
«Hai diciassette anni?»
«Li ho compiuti il 24 giugno.»
«Hoe? Siete tutte più grandi di me?»
«Io sono nata il 28 maggio» annuì Chiharu-chan.
«Io invece ho ancora sedici anni» concluse Naoko-chan. «Ne compio diciassette l’11 ottobre.»
Mancavano circa due settimane! Dovevo tenerlo a mente e trovare qualcosa da regalarle.
«Ma io sono la più piccola» mi imbronciai.
«Quand’è il tuo compleanno?» si incuriosirono.
«Il primo aprile.»
«Sei nata in primavera!» gioì Rika-chan. «Che meraviglia!»
«In effetti sì, è una stagione bellissima. Sono nata insieme ai ciliegi.»
«E per questo “Sakura”» ammiccò Chiharu-chan.
Ridemmo tutte e io, intanto, confermai. Da lì aveva origine il mio nome. Perché dopo che mia madre mi diede alla luce, come guidati dal mio primo vagito entrarono dalla finestra dell’ospedale i petali di quegli alberi, che rigogliosi fiorivano lungo tutte le strade. Fu la prima cosa che ella vide dopo di me e, a detta di papà, uno di essi mi si posò su una guancia. In quel momento mia madre pronunciò con dolcezza “sakura” e dato che io sorrisi a quel suono, quasi lo avessi capito, lo si scelse come mio nome.
Giunte a destinazione scendemmo dal mezzo pubblico, inoltrandoci per le strade di quella città, più grande di quanto mi aspettassi. Entrammo in negozietti molto carini, che vendevano accessori maschili e femminili per tutte le età. Mi persi dietro una lunga collezione di oggetti con una marca il cui simbolo erano degli adorabili orsetti abbracciati e senza farmi notare presi un grappolo di portachiavi con un orsacchiotto colorato. Andai a pagarli lesta e poi mi avvicinai alle ragazze, porgendo quello giallo a Chiharu-chan, quello bianco a Rika-chan e quello blu a Naoko-chan, tenendomi quello rosa.
«Come simbolo della nostra amicizia» spiegai.
Loro parvero tutte commuoversi e mi strinsero in un abbraccio, ripetendomi con le lacrime agli occhi che fosse stato un gesto troppo dolce, non necessario. Lo appendemmo tutte accanto alla cerniera delle nostre borse e uscimmo di lì contente, facendoli tintinnare.
Mentre proseguivamo pensai che fosse meglio comprare qualcosa anche a Tomoyo-chan ed Eriol-kun, per ringraziarli dell’ospitalità. Gironzolammo per i vicoli, passando poi in un antiquariato che vendeva articoli bellissimi. Sembrava così ricco di storia. Diedi un’occhiata a tutto, chiedendomi se non avessi potuto trovare proprio lì qualcosa che avrebbe fatto al caso mio. Presi un caleidoscopio e lo portai accanto ad un occhio, chiudendo l’altro. Lo girai lentamente, estasiata. Era una fusione di gemme inserite in rosoni, che formavano cangianti figure floreali di tutti i colori dell’arcobaleno. Lo rimisi a posto, colta da un’illuminazione. Ma certo!
Mi accostai alla vetrina accanto al bancone, osservando le pietre preziose. E allora vidi proprio ciò che stavo cercando: due bracciali identici, uno con una goccia d’ametista, l’altro con un minuscolo zaffiro. Erano perfetti, splendenti come i loro occhi. Chiesi al negoziante se potesse aprire la teca per mostrarmeli da vicino e me li studiai per bene. Sì, ce li vedevo bene attorno ai loro polsi. Avevano anche un laccetto color lillà e l’altro di un blu chiarissimo, simile alla polvere. Speravo che potessero apprezzarli.
Decisi di prenderli, facendomeli mettere in un sacchetto che riposi in borsa e mentre ricevevo il resto i miei occhi caddero su altri due ciondoli uguali. Stavolta erano simili a due magatama, una dritta e l’altra capovolta, intagliate in una mezza monetina d’argento legata ad una collana con catenina di cuoio nero. Sembravano quasi completarsi, perché mettendole vicine creavano una circonferenza perfetta. Le studiai attentamente. Quella dritta era verde, forse fatta di smeraldi. Un colore cui ero abituata da sempre, che incontravo ogni volta che mi guardavo allo specchio. Il colore dei miei occhi, ereditato dalla mamma. Quella capovolta, tuttavia, pure mi risultava familiare. Forse fin troppo familiare. Era ambra. Avrei potuto paragonarla al colore delle iridi di Yukito-san – sebbene il suo fosse più simile a quello dei ricci delle castagne – ma sapevo che non reggeva assolutamente il confronto. Erano gli occhi di Li-kun.
Mi riscossi da quell’osservazione, accettando il resto del commesso che mi fissava in attesa, e raggiunsi in fretta le ragazze, lasciandomela alle spalle.
Mostrai i miei acquisti e dopo che uscimmo di lì facemmo un giro in una libreria, dove Naoko-chan acquistò una decina di libri; successivamente entrammo, come avevamo originariamente pianificato, in negozi di abbigliamento. Trovammo con nostra fortuna molti capi graziosi scontati, ma alla fine me ne uscii quasi a mani vuote, non avendo bisogno di nulla. Mi bastavano i vestiti portati da casa – insieme a ciò che mia cugina aveva preso a cucire per me – e le uniche cose che ebbi premura di comprare furono un piumino bianco e un maglione sui toni del verde chiaro, non avendolo trovato rosa. Mi dicevano sempre che fosse un colore che mi donasse, perché evidenziava il colore dei miei occhi.
Occhi, occhi, occhi.
Il mio pensiero circolare tornava sempre lì e non avevo idea di come spezzarlo. Non c’era una mano più grande che potesse reciderne il filo, ponendo fine a quel loop apparentemente infinito?
Tornate in strada ci avviammo verso la fermata, ma a metà tragitto le ragazze si arrestarono, porgendomi una busta.
La afferrai curiosa e mentre la aprivo e ne estraevo il contenuto loro tre esclamarono in coro: «Il nostro regalo per te!»
Osservai senza parole la sciarpa a maglia coi motivi a treccia, di un caldo rosa pesca, con una rosa realizzata a uncinetto su un’estremità. Le guardai toccata, prossima alle lacrime. 
«Non dovevate» piagnucolai commossa.
«È per ricambiare» mi zittì Chiharu-chan, non volendo sentire repliche.
Le ringraziai di cuore, sostituendo quella anonima che indossavo con questa, riponendo la precedente in busta.
«Come mi sta?» domandai contenta, piroettando.
«Ti dona tantissimo» approvarono all’unisono, alzando un pollice.
Risi con loro e tutte assieme, avvolte dai nostri caldi sorrisi, ce ne tornammo a casa.










 
Angolino autrice:
Buon dicembre a tutti! (Meglio tardi che mai)
Chiedo scusa per il ritardo, non mi ero minimamente resa conto che fosse trascorso tutto questo tempo dall'ultimo aggiornamento. Purtroppo, di nuovo, non so quando riuscirò ad aggiungere il prossimo capitolo, spero prima di Natale o prima dell'anno nuovo. 
Spiegazioni: 
- i konpeito sono caramelle/confettini sferici colorati che sembrano avere degli aculei dalla punta arrotondata, fatti prettamente con acqua e zucchero (se qualcuno ha guardato "Kobato", sono quelli che deve raccogliere nella bottiglietta)
- il romaji è il sistema di scrittura con l'alfabeto latino. Il fatto che Sakura si confonda con "ri" e "li" è per una questione di pronuncia (in giapponese vi è un suono a metà tra i due) e "shi" è perché non esiste il suono "si" in giapponese. Se vi chiedete perché Syaoran è in grado di pronunciarlo, vi ricordo che il cinese ha una fonetica differente.
- la magatama è una perla curva a forma di virgola, solitamente le trovate di giada verde.
Traduzioni: sensei = prof, bentou = cestino per il pranzo, sakura = ciliegio.
Penso di aver detto tutto, se restano dubbi non esitate a chiedere.
Grazie mille per continuare a leggere nonostante i miei ritardi çwç
  
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