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Autore: Ksyl    14/12/2018    4 recensioni
Seguito di Crossroads, qualche mese dopo
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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"C'è un'uscita poco più avanti, ti va se facciamo una piccola deviazione?", propose Kate indicandogli un puntino sul navigatore, interrompendo così il silenzio rilassato che si era instaurato tra loro.
All'inizio Castle si era sforzato di riempire le pause paventando che celassero un non detto potenzialmente sgradito che a suo avviso sarebbe stato invece meglio chiarire, arrivando al punto di immaginare che lei si fosse perfino pentita di aver accettato di allontanarsi dalla città in un momento delicato. L'aveva spiata senza farsi notare, mentre cercava disperatamente di zittire le paranoie, generando goffi tentativi di conversazione, per nulla naturali.
Dopo qualche sforzo maldestro, la sua espressione assorta, a tratti illuminata da un sorriso spontaneo, lo aveva convinto che si stava semplicemente godendo il viaggio ancora senza meta, dimostrando - al contrario dei suoi timori - un fiducioso abbandono di cui doveva essere lieto e non stranito.

Era la prima richiesta concreta che manifestava da quando erano partiti, ed era più che mai deciso ad accontentarla. Non aveva idea di che cosa l'avesse colpita del paesaggio circostante al punto da spingerla a voler fare tappa proprio nella cittadina segnalata a pochi chilometri - a suo avviso del tutto anonima e probabilmente senza nessuna attrattiva paesaggistica - ma mise diligentemente la freccia e si spostò verso la corsia di uscita, limitandosi a rivolgerle un'occhiata interrogativa. Non voleva darle l'impressione che la stesse trascurando, solo perché non voleva starle troppo addosso. Si trattava solo di un minimo di buona educazione, in fondo.

"Temo di dover far più pause alla toilette di quante tu ne abbia programmate", offrì Kate come spiegazione alla sua muta domanda, un po' in imbarazzo. "Tua figlia ormai mi concede poco autonomia", sussurrò, abbassando gli occhi, quasi a volersene scusare e facendolo così sentire un compagno di viaggio inqualificabile, a essere gentili.
Nonostante avesse cercato di pensare a tutto, e si pregiasse in realtà di averlo fatto, non aveva messo in conto quel particolare bisogno, che, a sua discolpa, era da poco comparso. Si era limitato a guidare spinto dalla fretta di lasciarsi alle spalle la città caotica, rilassando il piede sull'acceleratore solo quando erano stati circondati da un maestoso paesaggio autunnale, pregustando la possibilità di bighellonare senza meta nel mattino di un giorno feriale, cosa che non si concedevano da moltissimo tempo.

Si infilò in un parcheggio abbastanza centrale e visibile, che era la cosa che gli premeva di più. La cittadina era praticamente deserta e nell'aria c'era qualcosa di indefinito che lo metteva a disagio, anche se i suoi potevano essere pregiudizi dovuti al fatto di aver sempre vissuto in una metropoli.
In ogni caso, meglio sbrigarsi a fare quello che dovevano e ripartire. Si ripromise di trovare in fretta un caffè aperto e adatto ai loro scopi, per venire incontro alle legittime esigenze di sua moglie, e poi se ne sarebbero andati senza rimpianti.

Kate non disse una parola mentre lui era alle prese con una serie di ragionamenti silenziosi necessari a preservare l'incolumità di entrambi. Se ne rimase al suo posto, permettendogli perfino l'estremo ardire di aprirle la portiera dell'auto, un privilegio che gli concedeva solo quando erano da soli e possibilmente fuori città. E anche in quel caso, malvolentieri.
Sospettò che tanta docilità risiedesse anche nel fatto che le era difficile, a quel punto, mantenere l'usuale agilità, visto l'ingombro del grembo prominente, che la costringeva a chiedere aiuto più spesso di quanto le facesse piacere. Perché lei era una donna autonoma eccetera.

Era felice di aiutarla. Gli piaceva, in fondo – così in fondo che non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura -, che avesse bisogno di lui per delle piccole incombenze o attività concrete di cui non poteva più occuparsi, quando lui era più che disposto a venirle in soccorso.
Sapeva che per lei doveva trattarsi di un affronto difficile da digerire, quello di accettare di farsi dare una mano ad alzarsi dal divano o portare le borse della spesa, ma del resto la gravidanza riguardava entrambi, le aveva riferito in tono compunto, perché non gli permetteva di contribuire in qualche modo? Non doveva vederlo come un aiuto, ma come una sorta di collaborazione.
Fortunatamente in quell'occasione era stata troppo stanca per ribattere a tono, perché era stato certo che lo sguardo furente che gli aveva lanciato fosse solo la premessa di un lungo panegirico sull'identità strettamente personale del corpo che de facto si stava interamente dedicando al compito di far crescere un bambino. Si era limitata a bofonchiare qualcosa sull'esigua entità del suo contributo, solo iniziale per giunta, e su dove poteva infilarsi tutta l'intera faccenda della collaborazione. Grazie a quel briciolo di saggezza duramente conquistato negli anni, aveva preferito fare marcia indietro e la questione non era più stata affrontata.

Trovarono una tavola calda non appena girarono l'angolo - la cittadina doveva essere molto piccola, quattro vie in tutto, o loro assistiti da un angelo custode particolarmente solerte.
Castle la salutò, tenendo per sé raccomandazioni varie tra cui "non toccare niente" e "ti prego di non fuggire dalla finestra del bagno perché non sopporti più le mie fissazioni", anche se in effetti non era più agile come un tempo, e rimase al bancone ad aspettarla, lanciando occhiate sospette agli avventori presenti e controllando l'entrata della toilette dove lei era scomparsa e che era collocata nella zona più buia del locale che, a suo avviso non così modesto, doveva nascondere qualche traffico illecito. Non aveva passato anni al distretto, sotto la sua guida impeccabile e severa, senza essere ormai in grado di notare a prima vista quando qualcosa non quadrava. Dal canto suo avrebbe preferito cercare altrove, ma Kate si era impuntata, come faceva quando lui iniziava a diventare inutilmente sospettoso – lui avrebbe detto prudente. Così alla fine si erano separati, suo malgrado.

Comprendeva di non poterla seguire, o aspettare fuori dalla porta, ma era pronto a fare irruzione se avesse tardato ancora qualche minuto. Gli sembrava quasi che lei avesse perso la sua solita cautela, o la sfiducia nel genere umano per deformazione professionale, e quindi toccava a lui occuparsene per entrambi.
Impaziente, trangugiò il caffè che aveva ordinato e che, dovette ammettere a denti stretti, era meno imbevibile di quanto avesse immaginato, o sperato. Fu solo quando appoggiò la tazzina sul bancone che sussultò sentendosi sfiorare il braccio con delicatezza. Non l'aveva sentita arrivare, preso com'era dalla sua attività di silenzioso pattugliamento.
"Tutto bene?" chiese con discrezione, mantenendosi sul vago, anche perché non voleva far sapere ai pochi clienti dei fatti privati che non li riguardavano. Gli rispose con un sorriso sbarazzino. Era troppo luminosa e bella per quel posto, dovevano andarsene il prima possibile. Fuggire, se fosse stato necessario.

Lo prese sottobraccio, forse per stroncare lo scambio di occhiate non del tutto amichevoli in corso tra lui e l'uomo appostato dietro il bancone, che aveva visto tempi migliori. Sia l'uomo che il bancone.
"Non vuoi fermarti a pranzo qui?", domandò Kate, dimostrando così che la gravidanza le aveva completamente tolto la capacità di giudizio.
"Assolutamente no", ribatté a voce un po' troppo alta, cosa che fece girare qualche testa. La gente non aveva un lavoro? Delle occupazioni ricreative? Che ci facevano tutti lì?
"Perché no? Hanno del cibo e io ho fame", spiegò pragmatica e sintetica, con il tono di chi sta faticando a non sottolineare l'ovvio.
"Non vuoi..." si guardò intorno e abbassò la voce a un sussurro. "Qualcosa di meglio? Un ristorante, magari? Perché non torniamo in auto e cerchiamo il posto giusto?".
"È questo il posto giusto, Castle. Non abbiamo bisogno di tovaglie di pizzo e posate d'argento. Mi serve solo uno spuntino per ripristinare il livello degli zuccheri, poi possiamo andarcene".
Lo fissò con aria di sfida. Sapeva benissimo che quando giocava la carta delle condizioni di salute meno che ideali e in progressivo deterioramento, lui era costretto a capitolare. Non era stato così previdente da pensare di tenere del cibo in macchina per ogni evenienza, ecco tutto. Sapeva fin dall'inizio della gravidanza che non poteva rimanere a digiuno troppo a lungo, pena il ripresentarsi di alcuni disturbi, ma erano partiti troppo in fretta. O lui aveva davvero una malattia degenerativa che gli intaccava la memoria.

Lo sospinse all'esterno con decisione. "Andiamo a sederci fuori, Castle, la temperatura è ottima", lo invitò – trascinandolo - , dopo aver ricevuto un cenno di consenso dall'energumeno che non aveva smesso di osservarli con fare accigliato, anche se a Kate aveva riservato maniere più educate. Almeno rispettava le donne, gli concesse. O forse era lui a non andargli particolarmente a genio, e la stima era reciproca.
"Va bene, ma solo se è un pranzo veloce. E presta attenzione a quello che ordini", la ammonì per salvare almeno un briciolo di orgoglio, prendendo posto davanti a lei lungo il tavolo di legno stranamente ben lucidato. Da quella posizione poteva tenere d'occhio la strada, era tutto quello che poteva fare a quel punto.
"Castle, rilassati. Siamo in vacanza, che cosa vuoi che ci succeda?".
Tutto poteva succedere. L'intero mondo poteva rivoltarsi contro di loro e far accadere tragedie, non lo avevano forse imparato a loro spese? Tenne queste amenità per sé. L'atmosfera era troppo spensierata per rovinarla introducendo del solido realismo di cui qualcuno avrebbe dovuto occuparsi. Lui, nella fattispecie.
"Dubito che questo posto supererebbe dei normali controlli sanitari, te ne sei accorta? Ma se ti piace e vuoi pranzare qui, farò uno sforzo". Le sorrise, per farsi dire che era davvero uno splendido marito che metteva le preferenze della moglie al primo posto, ma lei non pronunciò nessuna di quelle incontrovertibili verità.

Avrebbe mangiato il minimo indispensabile e non le avrebbe permesso di assaggiare niente che non fosse più che sicuro, anche se lei era molto ligia alle restrizioni alla dieta e in generale molto responsabile, glielo riconosceva. Niente carne poco cotta o verdure che non avesse personalmente provveduto a disinfettare. E per personalmente intendeva lui con le sue stesse mani, e con i soli prodotti di cui si fidava.
"Ti ringrazio per la tua generosità". Sapeva che amava prendersi gioco di lui e magnanimamente glielo concesse. Era magnifico vederla tanto allegra, erano secoli che non accadeva, e quindi accettava volentieri di diventare la vittima preferita, nonché unica, delle sue canzonature. "E grazie per aver proposto questo viaggio. Mi sento già meglio", aggiunse con espressione più grave, cogliendolo alla sprovvista, mentre era impegnato a bearsi del gioco di luce che alcuni timidi raggi autunnali creavano tra i suoi capelli lucidi e folti.
Tornò a concentrarsi su di lei, e scelse di soffermarsi sulla parte positiva dell'affermazione e non su quel meglio, che implicava l'esistenza di un peggio, che non voleva ancora indagare.

Intrecciò le dita tra le sue, modulandosi sul suo umore. "Lo avrei fatto prima, se avessi saputo che sarebbe stato così facile portarti via dal distretto". Kate distolse lo sguardo senza rispondere, volgendo lo sguardo sul fitto bosco di conifere a qualche metro da loro, che riempiva l'aria di un profumo inebriante. Le strinse la mano, per riportarla al presente, senza lasciare che la sua mente vagasse in zone a lui inaccessibili e non confortevoli. "Magari saremmo potuti davvero andare a Parigi", mormorò tanto per dire qualcosa, anche se gli era rimasto quel desiderio, sorto in lui quando era stata dimessa dall'ospedale in primavera, e che non si era potuto realizzare perché nessuno si sarebbe preso la responsabilità di farli volare oltreoceano, visto il suo stato di salute precario.

Ricevette in cambio una risata argentina. "Non mi avresti mai permesso di mettere piede sulla scaletta dell'aereo, Castle, stai vaneggiando. Sei convinto che questo posto sia pieno di pericolosi malviventi quando è frequentato da cinque persone in tutto e due siamo noi. E in realtà si mangia benissimo e nessuno è minimamente interessato alla nostra esistenza. Figuriamoci un Paese straniero di cui non conosci alla perfezione le politiche alimentari e sanitarie, pur essendo in Europa e non chissà dove nel mondo".
Aveva ragione, anche sul fatto che il cibo si fosse rivelato molto più buono del previsto, nonostante le maniere un po' rustiche del gestore che si occupava anche di servire ai tavoli e probabilmente procacciarsi la legna a mani nude.
Ed era vero che nessuno li aveva disturbati. Trovava euforizzante la sensazione di totale anonimato da cui erano circondati che, dopo la doppia sparatoria, era merce rara da trovare in città. Il celebre romanziere e la moglie, capitano di polizia, aggrediti nel loro loft a Manhattan.
Era stata una notizia impossibile da ignorare ed erano andati avanti a lungo, ricordava ancora con orrore i titoli cubitali che le aveva a fatica tenuti nascosti. Nonostante fosse abituato alla notorietà, aveva scarsamente tollerato la curiosità morbosa della stampa, in una situazione tanto delicata.

Venne interrotto dal movimento ipnotico della mano di lei che si accarezzava il pancione, un gesto che non si accorgeva di compiere, nel quale si rifugiava inconsciamente. Solo guardandola veniva trasportato in un regno privato e meraviglioso, dove le preoccupazioni della vita quotidiana si defilavano, perdendosi sullo sfondo, mentre veniva riempito di gioia e ricaricato di entusiasmo. In quei momenti esisteva solo il moto carezzevole che la sua mano compieva, i cerchi concentrici che disegnava distrattamente, il volgersi all'interno in un dialogo muto che aveva la stupefacente capacità di coinvolgerlo e non lasciarlo fuori. Era con loro, faceva parte del cerchio d'amore da lei intessuto. Lui aveva sempre creduto nella magia, ma era lei quella davvero capace di trasformarla in realtà.

"Rimaniamo qui", disse lei d'impulso, senza interrompere il movimento.
"Ti prego non farmi questo", agonizzò, esagerando per divertirla.
"Non intendo proprio qui", puntualizzò dandosi una rapida occhiata intorno. "Dubito che abbiano delle camere libere, o delle camere in generale, o vuoi che ci informiamo?".
"Per quanto mi alletti l'idea di trovare una camera...", la fissò con aria inequivocabile. "Tutti i sani principi su cui ho basato la mia vita, direi con un certo successo, mi impediscono di fermarmi a dormire in questo posto", la informò, sperando che lei non si impuntasse per il solo gusto di farlo impazzire, sapendo benissimo che avrebbe ceduto.

Sogghignò. "Condivido la tua idea", concesse generosamente, facendolo tornare a respirare. "Intendevo dire che mi piacerebbe fare tappa in questa zona, dove sono sicura avrai già individuato alloggi di lusso nel giro di qualche chilometro, che aspettano solo una tua conferma, proprio mentre stiamo parlando. Ho ragione?".
Naturalmente. Aveva visionato ogni singola possibilità abitativa, il pomeriggio precedente, mentre lei schiacciava un pisolino dopo pranzo, dal quale si era districato con un certo rimpianto e solo per occuparsi di questioni di estrema importanza, come quella.

Sì, il viaggio doveva essere la metafora di una libertà faticosamente riconquistata e per questo ufficialmente senza meta prestabilita, esattamente come stava accadendo. Ma questo non implicava che non fosse necessaria almeno una minima pianificazione che riguardasse il luogo dove avrebbero trascorso le loro notti o riposato durante il giorno, per cui aveva diligentemente organizzato una mappa di soluzioni desiderabili che rispettassero i suoi standard. Molto, molto elevati.
"Se lasci fare a me, ti prometto...", iniziò spinto dall'entusiasmo di poterla finalmente portare in un luogo più consono di quello in cui erano finiti.
"Se lascio fare a te finiremo in un hotel a cinque stelle dotato di ogni lusso, con vista sull'ospedale e un'ostetrica reperibile per la durata del nostro soggiorno. Perché non farla dormire direttamente nella nostra suite?", lo interruppe visibilmente sarcastica e orgogliosa di esserlo.
Le fece una boccaccia.
"Per quanto l'idea non mi dispiaccia, e se non la smetti di essere tanto perfida potrei davvero realizzarla, pensavo a qualcosa di più... solitario. Solo tu e io. Non voglio avere intorno troppe persone in questo viaggio, ostetriche a parte. Ti fidi di me?".

La vide dubbiosa prima di annuire con fare riluttante. Stava già per protestare vivacemente, quando si accorse che, ancora una volta, voleva solo stuzzicarlo, mentre lui tendeva a prendere sempre tutto sul serio, se ne rendeva conto sempre con il senno di poi. Stare con lei l'avrebbe aiutato a sciogliere passo dopo passo quella cappa scura, melmosa, che ogni tanto tendeva a limitare il suo orizzonte. Ci stava già riuscendo, in effetti, bastava guardarla, sfavillante com'era, per sentirsi subito meglio, rinvigorito. Si chiese chi dei due avesse più bisogno di essere guarito, e se sarebbe mai finita la necessità di farlo. Avrebbero mai superato del tutto il trauma passato o avrebbe per sempre fatto capolino nelle occasioni più gioiose?

Forse per via dell'aria corroborante, dei piatti succulenti con i quali si era saziato o l'atmosfera briosa da vacanza, si sentì fiducioso. Riassaporò la sensazione della pienezza della vita, che un tempo gli era stata abituale. Si trattava solo di timidi accenni, ma riuscì quantomeno a immaginare la possibilità di una realtà fatta di progetti, nuovi inizi, gioie, sfide e non tensione continua e infinita. Sentì le spalle rilassarsi e la leggerezza farsi strada in lui, a piccoli passi, cominciando dal petto contratto fino a invaderlo completamente.

   
 
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