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Autore: The Blue Devil    15/12/2018    5 recensioni
Eccomi qua, ci son cascato pure io, in una noiosissima Candy/Terence con Albert nell'ombra... davvero?
Chi è il misterioso individuo che si aggira nei luoghi tanto cari alla nostra eroina? Qual è la sua missione? La sua VERA missione? Cosa o chi, alla fine di essa, sarà in grado di trattenerlo a Chicago? Quante domande, le risposte stanno all'interno...
Il titolo è un omaggio a tutti i ''se'' con cui si apre la storia.
dal 3° capitolo:
... Non ne ho parlato con lei, ma io sono sempre rimasto in contatto, in maniera discreta, con Terence. E non le ho neanche mai raccontato di averlo cacciato, quando lo trovai ubriaco da queste parti, anni fa. Vi chiedo di vegliare sempre su di lei, con discrezione, poiché la vedo felice, forse troppo, e non vorrei subisse un’altra delusione".
"Perché parlate così?", chiese, dubbiosa, Miss Pony.
"Non so, ho una strana sensazione, come se stesse per accadere qualcosa di molto spiacevole. E lo consiglio anche a voi: state attente e tenete gli occhi aperti".
"Così ci spaventate, Albert", osservò Suor Maria.
"Non era mia intenzione spaventarvi", asserì Albert, "Forse sono io che mi preoccupo per niente; sì, forse è così...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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In questo capitolo ho voluto inserire un piccolo regalo "bollente"... spero vi sia gradito.
Buona lettura




Capitolo 26
La decisione di Raymond Legan
 
"Ma dico io, sei impazzito? Ora mi spieghi che diavolo hai in quella testa".
Raymond era davvero fuori di sé; chi lo avesse visto e sentito in quei momenti, avendolo conosciuto in precedenza, avrebbe fatto fatica a riconoscerlo:
"Chi? Raymond Legan? Ma va’, è un tipo posato e tranquillo, che non s’arrabbia mai".
Troppe, tutte insieme, gliene aveva combinate suo figlio, un ragazzo diabolico capace di far perdere anche a Giobbe la sua proverbiale pazienza!
"Ma papà, io volevo dimostrarti di non essere l’incapace che tu pensi; volevo che tu fossi fiero di me, che tu...", azzardò il ragazzo, venendo tuttavia bruscamente interrotto.
"Certo figliolo che sono fiero di te! Ma ti ascolti quando parli? Per dimostrarmi di essere capace e far sì che io sia fiero di te, vai a rompere le scatole a Candy, alla Casa di Pony, a Cartwright? Che poi significa dare fastidio a William Andrew in persona? Proprio adesso che c’è in gioco un grossissimo affare? E sì, che ti era stato detto di startene tranquillo, almeno per un po’", e, in cerca di conferma, guardò la moglie, che annuì con un cenno del capo.
"Almeno tua sorella ci ha dato ascolto... ma tu no, tu dovevi giocare a fare il grand’uomo col fiuto per gli affari! Tu hai problemi, hai bisogno di farti curare".
"Ma papà...".
"Niente papà e mammà... ma dico io, radere al suolo l’orfanotrofio di Candy! Ma neanche a un cretino sarebbe venuta in mente un’idea più stupida di questa!".
"Mamma...", rantolò Neal, senza ricevere il conforto sperato.
"Una cosa che non ti potrò perdonare facilmente", proseguì Raymond, "è l’aver coinvolto addirittura il banchiere di fiducia degli Andrew... ma neanche a raccontarle ‘ste cose, ci crederebbe qualcuno! Mio figlio che firma cambiali a nome di William Andrew al banchiere di William Andrew! Roba da matti, da non credere...".
"Conosco solo Bowman...".
"Ora taci, che non ho certo finito. Non ti erano bastate le enormi cazzate...", e qui incassò l’occhiataccia e il grugnito di sua moglie, "Perché quello sono e perdonatemi il termine, ma non ne trovo di più adatti per definire le tue azioni... dicevo che non avendo trovato sufficienti le enormità precedenti, come la scenetta ridicola con Candy, di fronte a tutta la famiglia, e la faccenda della collana di tua madre, di fronte a zia Elroy, hai pensato bene di farmi fare una figuraccia davanti, addirittura, ad un conte e a Bowman; mi sono sentito morire in quei momenti. E anche tu, però, Sarah...".
"E che ne sapevo io? Ho fatto fare ricerche, ma qui a Chicago nessuno lo conosce quel McFly", intervenne la signora Legan.
"E ti credo", rispose Raymond, "come vuoi che lo conoscano qui se è un nobile inglese? Tu lo sapevi chi è Terence Grancester? Sapevi che è il figlio di un duca?".
"Neal mi aveva assicurato che McFly fosse un orfano...", grugnì la donna, lanciando un’occhiata di disapprovazione al figlio.
Raymond, che fino a quel momento aveva "passeggiato" nervosamente per la stanza, passando e ripassando davanti a Neal, andò a sedersi dietro alla scrivania, dopo essersi servito un bicchiere di scotch e aver chiesto a sua moglie se desiderasse un bicchierino di cognac.
"No, grazie Raymond, ma sono a posto così", fu la risposta della donna.
"Ammiro e invidio il tuo sangue freddo", fu il commento del marito.
Seguirono attimi di silenzio, durante i quali Neal rimase in piedi a capo chino, prima che Raymond riprendesse il discorso:
"Guarda, dovrei spedirti in Messico, per tutto quello che hai combinato... e non è detto che non lo faccia... ma Garcia sta facendo un ottimo lavoro e tu sei pur sempre mio figlio, l’unico figlio maschio... per cui, ora ti dico cosa faremo".
Alla parola "Messico" sia Neal, che sua madre, erano trasaliti, sgranando gli occhi, per poi tranquillizzarsi subito dopo. Ora non restava loro che ascoltare le decisioni che Raymond aveva preso sul futuro del figlio.
 
Iriza era stata avvertita della "riunione di famiglia", ma aveva preferito restarsene, da sola, in camera: non voleva vedere nessuno, tantomeno Neal; e comunque poco le interessava quel che gli sarebbe accaduto. Di fronte agli altri si mostrava dura e altera, ma, nel chiuso della sua stanza, non faceva che piangere, stringendo il famoso fazzoletto di "H. G.".
Dorothy aveva già avuto l’occasione di informare di ciò Harrison, mentre anche Stewart si era accorto della situazione. Era tutto eccitato, quando si presentò nelle cucine.
"Ve l’avevo detto io, che oltre alle tue succulente pietanze, c’era qualcosa di grosso in pentola", dichiarò fiero, rivolgendosi alla cuoca, che rispose:
"Sì, il pollo per la cena; lo sai che non sta bene origliare gli affari dei padroni?".
"E come credi che riesca a sopravvivere un maggiordomo, specie in questa gabbia di matti? Comunque tu scherza pure, ma... le urla di questa mattina e poi tutta quella gente, compresi conti e banchieri! E il silenzio... e questa sera si ricomincia a urlare nello studio del padrone, presenti lui, il figlio e la padrona: c’è qualcosa di grosso che bolle in pentola, ve lo ripeto, e, da quel che ho potuto capire, stiamo per liberarci di un gran rompiscatole. E non sapete la parte migliore...".
Dorothy, che immaginava a cosa volesse alludere il maggiordomo, lo pregò:
"No, Stewart, ti prego... lei lasciala stare... sta troppo male".
"Ma è una cosa molto interessante e difficile a credersi".
"Spara", disse la cuoca, attirando l’attenzione delle altre cameriere.
"Si tratta della padroncina Iriza: fa tanto la cattiva e poi se ne sta tutto il giorno a piangere", affermò, mimando l’atteggiamento di una donna che piange.
"Stewart! Ti avevo pregato...", sbottò Dorothy, mentre la cuoca ribatteva:
"Non ci credo: Iriza Legan che piange! Ma va’".
"Te l’assicuro".
"Ma tu l’hai vista?", chiese una delle altre cameriere.
"Sicuro... cioè, no... ma si capisce, si sente".
"Il solito spione", commentò Dorothy, che poi aggiunse:
"Sì, è vero, piange e mi fa tanta pena".
Una delle ragazze protestò:
"Ma che dici? Ti fa pena quella iena? Io dico che se lo merita e basta".
Dorothy, che per anzianità di servizio godeva di un certo prestigio tra la servitù, la riprese duramente:
"Taci tu, come ti permetti di tranciare giudizi sui padroni? Tra l’altro sei l’ultima arrivata, quindi non sai nulla, né del passato, né di quello che sta accadendo: non ti auguro che ti accada ciò che sta accadendo a lei. E bada, che non ti senta mai più parlare della padroncina con quel tono".
Queste parole furono pronunciate con una veemenza tale, che stupì anche Stewart, che pure qualcosa sapeva, e l’anziana cuoca.
La giovane cameriera abbassò il capo e si scusò.
 
Sul divano dell’appartamento di Candy alla "Casa della Magnolia", si stava combattendo una battaglia singolare: un bel ragazzo cercava in tutti i modi di accedere con le mani, riuscendovi in parte, alle parti più intime del corpo di una ragazza bionda, altrettanto avvenente e affascinante.
"Dai Terence... smettila, mmh... non è il momento... ooh", protestava la ragazza, con poca convinzione, come testimoniato dagli ansimi e dai gemiti che ella emetteva.
"Tesoro, non sai quanto ti desideri... lasciami fare che ti piace, lo sento", rispondeva lui, quando ne aveva la possibilità, dato che la sua lingua era in perenne esplorazione nella bocca dell’amata, mentre una sua mano era riuscita a intrufolarsi sotto la gonna della stessa, risalendone la coscia.
"Oh, Terence... potrebbe arrivare qualcuno...", rantolò lei, chiudendo gli occhi e piegando la testa di lato, nel momento in cui la bocca di Terence aveva attaccato il suo collo.
"E chi vuoi che arrivi? E poi la porta è chiusa, mmh...", fu la sua risposta, mentre la sua mano continuava ad agire incessantemente sotto la gonna di Candy.
"Non lo so, magari Gloria...".
Terence interruppe le sue azioni e alzò lo sguardo su di lei:
"E chi sarebbe costei? Devo preoccuparmi? Attenta, che sono geloso...".
"Che stupido! È la portinaia...".
"Temevo che avessi cambiato i tuoi gusti...", ridacchiò lui, rovesciandola sul divano e riprendendo e intensificando – l’altra mano del ragazzo era penetrata nella camicetta di Candy, da sotto e da dietro, tentando di slacciarle il reggiseno – i suoi attacchi di lingua e di mani.
"Sei geloso? E che mi racconti di Susan?".
Lui si fermò ancora:
"Mi stai provocando?".
"Allora non ti fermare... dimostrami il tuo amore...".
Terence riprese a baciarla, sentendo premuto sul suo petto, quello, morbido e pieno, di lei; Candy, invece, "sentiva" l’eccitazione di lui, cosa che la eccitava, a sua volta, e la spaventava insieme: in rispetto dell’educazione ricevuta e delle proprie convinzioni, la ragazza non voleva assolutamente concedergli quello che si concede solo ad un marito. Quindi afferrò la mano di lui, che stava per esplorare una zona proibitissima, e la fermò. All’improvviso si era resa conto di averlo provocato troppo e che se lui non si fosse fermato...
"Ora basta, però... dico sul serio... altrimenti non so cosa potrebbe accadere".
"La cosa più naturale del mondo, direi...".
La virtù di Candy fu salvata dall’evento che lei aveva prospettato poco prima.  
"La porta, Terence, te l’avevo detto...".
A malincuore, Terence si staccò da lei, mormorando:
"Ma chi è che scoccia a quest’ora?".
"Non è mica tardi e potrebbe essere proprio Gloria... sai, in realtà abbiamo una storia", affermò Candy divertita, mentre tentava di ricomporsi, in modo da rendersi presentabile.
Invece era Harrison che, data un’occhiata ai due, comprese di aver interrotto qualcosa.
"Temo proprio di aver interrotto qualcosa", esordì, facendo cenno a Candy di chiudersi la camicetta.
"Ma che vai a pensare? Stavamo parlando, solo che fa un po’ caldo qui...", rispose la bionda "sventolandosi" con una mano.
"Immagino... se volete ripasso un’altra volta".
Candy si affrettò:
"No, no, entra, accomodati pure".
Sia Candy, che Terence, avevano bisogno di sbollire un po’, per evitare di combinare qualche "guaio".
"Sono passato di qua perché ho delle novità e devo delle spiegazioni alla tua splendida ragazza, cugino", disse Harrison, inchinandosi di fronte a lei e esibendosi in un baciamano da perfetto gentiluomo.
"Smettila di fare il cretino e vieni qui", disse Terence, accogliendolo con un abbraccio, "Che devi spiegare tante cose pure a me".

"Ti concedo quarantott’ore per liberare quel bugigattolo, che chiami ufficio, per radunare le tue cose e per salutare gli amici, se ne hai, figliolo; tanto in quell’ufficio non hai combinato nulla, se non guai", disse Raymond, con tono perentorio.
"E poi? Non capisco...".
Legan mandò giù un altro sorso di scotch e riprese:
"Poi si parte, caro; devo fare un lungo giro per affari e tu mi accompagnerai".
Neal lanciò un’occhiata a sua madre, che fece la sua richiesta:
"Ora lo gradirei quel cognac che mi hai offerto prima".
Servita la moglie, il padrone di casa poté proseguire:
"Voglio che ti sia chiaro che non si va in vacanza; ci sarà da lavorare e, se occorrerà, da sudare; prima passeremo dalla tenuta in Messico e poi faremo un bel giro nei siti dove stiamo costruendo i nostri resort; rimboccati le maniche, figliolo, mi aspetto la tua piena collaborazione, così spero che imparerai qualcosa".
Neal avrebbe voluto obiettare, ma comprese che suo padre aveva utilizzato un tono che non ammetteva repliche.
"Ah, dimenticavo: per confermarti che non si va in vacanza, ti informo che non avrai a disposizione neanche un centesimo da spendere; andrai dove andrò io, dormirai dove dormirò io e mangerai quel che mangerò io. Non ti perderò d’occhio neanche un momento, quindi scordati gli agi e i lussi ai quali sei abituato. Sono stato abbastanza chiaro?".
"Sì, papà", rispose mestamente il ragazzo, chiedendosi se sarebbe riuscito a sopportare un cambio di vita così radicale dall'oggi al domani.
"Domattina fatti trovare pronto alle otto: ti accompagnerò a porgere le tue scuse alla zia Elroy, a William, al signor McFly, a Cartwright e a... Candy".
"Ma, caro...", protestò Sarah, senza finire la frase dopo aver notato l’espressione del marito.
"Adesso ci manca solo che mi chieda di scusarmi con la cameriera e siamo a posto...", pensò Neal, mentre si ritirava in camera sua.
 
Quando Terence, Harrison e Candy uscirono dall’appartamento di quest’ultima, era già buio. Harrison aveva voluto informare i due ragazzi di ciò che era accaduto nello studio del signor Legan e sulle decisioni che avevano preso, lui e Albert, riguardo alla "Casa di Pony" e ai terreni su cui sorgeva: inutile dire che Terence andò su tutte le furie, minacciando di "storpiare" Neal, mentre Candy parve molto entusiasta del progetto sull’orfanotrofio pensato dai due. Inoltre, il "conte McFly", volle mettere Candy a parte della sua storia, spiegandole quale fosse il legame che lui aveva con quel piccolo orfanotrofio di Chicago.
Finito il racconto, Candy gli chiese a bruciapelo:
"Cosa c’è tra te e Iriza? Mi pare di aver capito che vorreste mettervi insieme".
Harrison, pensieroso, non rispose e Candy proseguì:
"Ci hai raccontato cose incredibili su di lei... tuttavia non fatico troppo a crederti per due motivi: il primo è che sei cugino di Terence e il mio Terence è una brava persona; il secondo è che io stessa ho assistito a un paio di scene a cui mai avrei creduto di poter assistere".
"Hai capito cugino? Lei ti crede perché sei il cugino di una brava persona... non sei tu la brava persona", intervenne Terence, innescando una risata generale, alla fine della quale Candy aggiunse:
"A parte gli scherzi, se tu, quella sera davanti alla cappella, mi avessi detto Sai, mi piace tanto Iriza Legan, io avrei pensato O questo non sa chi è Iriza Legan o, se la conosce, ha dei problemi".
Risero ancora e Harrison si giustificò dicendo che sapeva chi fosse Iriza Legan, ma non sapeva che quella fosse Iriza Legan. Comunque ci tenne a precisare che Iriza era rimasta totalmente al di fuori delle macchinazioni del fratello, tenendoli all’oscuro dei loro problemi attuali.
Anche Terence avrebbe avuto delle novità da comunicare agli amici, ma, dato che si era fatto tardi, disse a Candy che gliene avrebbe parlato il giorno successivo.
"Faceva troppo caldo oggi, vero cugino?", scherzò Harrison, che poi aggiunse:
"Considerando che Terence deve fare molta più strada per rientrare ai suoi alloggi, mi offro per accompagnarti alla Casa di Pony. Per me non è un problema, ho qualcosa da fare lì in zona...".
"Di’ piuttosto che temi di lasciarci da soli", commentò Terence, suscitando l’ilarità del cugino e l’infiammo delle gote della fidanzata.

Uscito il figlio, il signor Legan, rivolgendosi alla sua consorte, sbraitò:
"Ne sta combinando una dietro l’altra: prima il siparietto con Candy, poi la collana e ora questo! Combina guai, non se ne pente e ne fa di peggiori; non gliene importa nulla di quello che gli viene detto, ma resta sempre qui con noi! Ma che razza di educazione hai impartito ai nostri figli?".
"Ecco bravo, hai detto giusto, i nostri figli! E tu dov’eri? Non sai quanto sia stato difficile seguirli da sola, mentre tu non c’eri mai, sempre impegnato..."
"... a far soldi per farvi vivere bene!", le concluse lui la frase, per poi proseguire:
"Però ti ha fatto comodo! E non tirarmi fuori la storiella del patrimonio della tua famiglia, che se fosse stato per te, saremmo già falliti da un pezzo!".
Sarah non disse nulla e Raymond non si fermò:
"Almeno Iriza sembra aver messo la testa a posto, anche se i problemi non sono finiti".
"Questo te lo concedo", disse lei, di rimando.
"Comunque adesso è inutile rinfacciarci i nostri errori, avremo tempo in seguito per farlo! Ora mi chiedo se quel benedetto ragazzo imparerà mai a far qualcosa di utile".

Lasciata Candy all’orfanotrofio, Harrison proseguì, fermandosi davanti al cancello della villa dei Legan a Lakewood, dove una ragazza, avvolta in una mantellina scura lo stava aspettando. Dopo aver confabulato con lei per cinque minuti, Harrison la ringraziò e risalì in auto.
"Così il caro Neal sta per lasciarci... è proprio una cara ragazza quella Dorothy, penso che Tom sia stato fortunato ad averla trovata... comunque penso proprio che verrò a farti un salutino, prima che tu parta...".
Questi furono i suoi ultimi pensieri prima di ripartire in direzione della città.
















CONSIDERAZIONI DELL’AUTORE:

"Che stupido! È la portinaia...". Vi assicuro che ho avuto la tentazione di farle rispondere: "Non siamo mica in Candiza qui!"... :D
 
The Blue Devil

















Ringrazio tutti i lettori che vorranno imbarcarsi in quest’avventura, che neanch’io so dove ci porterà (se ci porterà da qualche parte)...
   
 
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