44
Neutron star
"Spend my days cursing my soul
Wishing I could paint my scars to make me whole
Oh, I know I could be better
But my love, I won't give up"
[West Coast – Imagine Dragons]
28 Aprile, Triskelion, Washington D.C., 16:30
Chissà
quante volte suo
padre si era seduto in quello stesso punto.
Non era un quesito
rilevante, né razionale, né in qualche modo
fondato: in realtà era
molto probabile che quell'ala del Triskelion non fosse neanche
esistita, ai suoi tempi. Il pensiero era
semplicemente emerso di sua sponte nella sua testa ed era rimasto
lì,
percepibile ma non invadente, come un discreto invito a prendere in
considerazione quella possibilità. Era lo stesso pensiero
che lo spingeva a tenere la schiena un po' più dritta e lo
sguardo
un po' più saldo anche di fronte alla consueta espressione
temporalesca di Fury, seduto dall'altro lato della scrivania.
Tony rimase ancora in pacata
attesa che fosse lui a parlare per primo, mentre questi sembrava
più
incline a stilare un catalogo mentale di ogni oggetto presente nel
suo vasto ufficio, almeno a giudicare dal modo in cui il suo sguardo
saettava qua e là senza fissarsi in un punto in particolare.
Tony gettò un'occhiata
annoiata verso Washington, sopra la quale svettava la sagoma
appuntita dell'obelisco; non sembrava così maestoso, visto
dall'altezza considerevole del quartier generale dello SHIELD che
dominava l'intera città dalla sua roccaforte sul Potomac.
Aveva un
vago ricordo della mastodontica struttura ancora in costruzione,
quando da ragazzino suo padre l'aveva trascinato di peso nella
capitale in uno dei suoi viaggi d'affari per “insegnargli il
mestiere”. Di quel viaggio ricordava solo un paio di riunioni
noiose, un breve
incontro con Peggy, una visita alla Casa Bianca dalla quale si era
defilato e un'infinità di paternali di cui aveva rimosso le
parole
precise, trattenendone solo il tono burbero e di rimprovero per la
sua scarsa attenzione e rispetto verso l'eredità di famiglia.
Allora non aveva neanche
lontanamente immaginato che quell'eredità gli sarebbe poi
piombata
tra capo e collo un paio d'anni dopo, né quali legami
intercorressero tra lo SHIELD e le Industries né, tanto
meno, che a
distanza di quasi vent'anni si sarebbe ritrovato lui stesso coinvolto
negli “affari” su cui suo padre aveva mantenuto un
religioso
riserbo. Non era certo che sarebbe stato fiero di come stava gestendo
quel retaggio.
Tamburellò con le dita
sulla scrivania, in un gesto di lieve impazienza che sperava
riuscisse a rompere l'apparente mutismo di Fury, sprofondato nelle
sue elucubrazioni mentali da quando gli aveva annunciato, senza
troppi giri di parole, della sua intossicazione e di ciò che
avrebbe comportato di lì a tre mesi.
Non aveva esattamente
pianificato o annunciato quella visita. Era più corretto
dire che,
dopo un'estenuante udienza in tribunale e uno sgradito colloquio con
Stern al Pentagono, si fosse presentato di punto in bianco al
Triskelion. Si era rallegrato del fatto che il suo livello
d'autorizzazione fosse rimasto immutato, sufficiente a garantirgli
l'accesso all'hub centrale e al piano degli uffici prima di essere
intercettato da Coulson. Ci erano volute un po' di moine e qualche
sguardo implorante per convincerlo a scortarlo da Fury, ma Agente non
aveva poi opposto molta resistenza e, dopo il primo momento di
sconcerto probabilmente dovuto al suo aspetto provato, l'aveva
accolto con insolita vivacità.
Fury non era sembrato
dello stesso umore, e Tony era certo che avesse subodorato
all'istante come quella non fosse una semplice visita di piacere. Lui
stesso, d'altro canto, non si era più preoccupato di rendere
credibile la propria maschera gioviale non appena Coulson aveva
lasciato l'ufficio. Aveva saltato in toto i convenevoli e, in altre
circostanze, si sarebbe anche compiaciuto della reazione spiazzata di
Fury al suo lugubre annuncio.
A giudicare dalla pausa riflessiva del
direttore, questo non l'aveva previsto.
«Ti devo delle scuse,»
proruppe infine questi, rivolgendogli uno sguardo penetrante che Tony
sostenne senza esitazioni.
«Risparmiatele,»
replicò lapidario, e quelle parole accentuarono le pieghe
sulla
fronte del direttore. «Non ho bisogno di sentirmi dire che
“ti
dispiace” solo perché adesso
sto morendo. Se davvero avessi
voluto scusarti per come mi hai trattato, lo avresti fatto tempo
fa,»
continuò piattamente, senza però nascondere il
proprio risentimento
al ricordo dei primi, atroci mesi subito dopo l'incidente.
L'unica risposta di Fury
fu un lungo sospiro e un'aggrottata di sopracciglia, ma, invece di
alterarsi come avrebbe solitamente fatto per una risposta
così
impudente, si limitò a scrollare il capo.
«Non insisterò di
certo,» stabilì infine. «Quindi? Sei
venuto fin qui solo per dirmi
questo?» chiese poi, di nuovo burbero e dritto al punto.
Tony incrociò le
braccia tirando le labbra in una smorfia obliqua, riluttante a
rispondere.
«Avevo alcune faccende
legali da sbrogliare qui a Washington, ma sono sicuro che tu ne sia
già al corrente.»
Il lieve cenno d'assenso
di Fury confermò le sue parole.
«Sembra che sia stata
una vittoria su tutti i fronti,» commentò poi, e
Tony captò un
sottofondo compiaciuto in quell'affermazione, a cui rispose con un
sogghigno tetro.
«Magra consolazione,»
disse con amarezza. «E comunque, sono ancora colpevole di
essere
stato Iron Man, almeno secondo Stern,»
aggiunse con uno
sbuffo seccato.
«Sempre meglio di
essere condannato per omicidio,» gli fece notare Fury, dando
peso ad
ogni parola.
«Probabilmente l'ho
ucciso davvero io,» ribatté Tony, serrando appena
la mascella in
modo involontario, quasi a frantumare l'immagine di Iron Monger che
aveva fatto capolino nella sua testa. «Ma penso che
riuscirò
comunque a dormire la notte,» aggiunse con spavalderia
forzata,
visto che non riusciva a ricordare l'ultima volta che avesse dormito
indisturbato per più di tre ore di fila. «Spero
che lo SHIELD
riesca a fare lo stesso,» lo provocò poi,
ammiccando con complicità.
Fury scelse di non
confermare né negare quell'insinuazione, ma il suo unico
occhio
s'incupì, e Tony si accontentò di quel silenzio
carico di
sottintesi. D'altronde, non serviva un genio come lui per capire che
il suo processo fosse andato a buon fine non solo grazie alla
competenza di Kyle, ma anche e soprattutto per le ingerenze
dell'Agenzia; senso di colpa, forse, o forse solo molti interessi a
garantirsi le sue simpatie a lungo termine – oltre ai suoi
finanziamenti. In fondo, gli stava bene così: non aveva mai
preteso
di giocare ai migliori amici con Fury, né si aspettava che
le
manovre di quest'ultimo esulassero dai tornaconti personali dello
SHIELD. Se il tutto andava a suo beneficio, tanto meglio.
Anche adesso, era sicuro
che le rotelle del direttore stessero ruotando a velocità
frenetica
alla ricerca di un modo per “tappare il buco”,
stavolta
definitivo, che Iron Man avrebbe inevitabilmente lasciato di
lì a
poco. E, probabilmente, a uno per mettere le mani sulla sua tecnologia.
Per sua sfortuna, Tony aveva già provveduto
a salvaguardare con largo anticipo il proprio retaggio nel modo che
gli era più congeniale. Sì, suo padre sarebbe
davvero stato fiero di lui...
«Hai intenzione di
dirlo alla squadra?» gli chiese a quel punto Fury, dirottando
sveltamente l'argomento.
«Mi stai chiedendo cosa
voglio? A me?
Questa sì che è una novità,»
Tony finse
stupore, portandosi leziosamente una mano al petto a sottolineare il
suo sarcasmo.
Fury si mantenne
imperturbabile, in pacata attesa di una risposta; Tony
respirò a
fondo, reclinandosi sullo schienale e girando appena sulla sedia da
ufficio.
«Sì,» sospirò dopo
un po', più conciliante. «Non vorrei, ma
devo,»
puntualizzò, poco entusiasta.
«Non sei obbligato,»
lo sorprese Fury, con apparente ovvietà.
Quell'offerta di coprirlo si
discostava dalla linea d'azione che Tony aveva previsto: nascondere
la sua imminente dipartita sarebbe andato a netto svantaggio di una
riorganizzazione logistica della squadra in tempi brevi. E forse,
anche di un possibile recupero emotivo dei suoi componenti. Non amava
soffermarsi su quell'aspetto, che finiva sempre per dividerlo tra la
parte di sé che si aspettava un sospiro di sollievo
collettivo per
la scomparsa del loro membro più inutile, e quella che
temeva
invece... non sapeva esattamente cosa. Quando ci
pensava,
riemergevano sempre gli stessi fotogrammi: Bruce che lo sorreggeva e
lo incoraggiava, rimproverandolo duramente per essersi lasciato
andare; il biglietto che gli aveva scritto Clint una vita fa, ancora
custodito in un cassetto; Nataša che lo abbracciava con
calore,
contenta di vederlo di nuovo in piedi; la delusione di
Thor,
perché dall' “uomo di ferro” si era
aspettato molto di più;
Coulson che si metteva in prima linea per lui, offrendogli una
seconda opportunità; Rogers che gli stringeva con
naturalezza la
mano inerte che lui odiava invece con tutto se stesso.
«Preferisco che lo
sappiano da me, piuttosto che lo scoprano da un titolo di
giornale probabilmente poco lusinghiero,» rispose infine, con
la
gola improvvisamente secca che gli arrochì la voce.
“Non si meritano il
mio silenzio,” concluse, ma tenne quella considerazione per
sé.
«Potts lo sa?»
Nonostante l'andamento
schematico e formale della conversazione, o interrogatorio, vi fu
un'insolita
delicatezza nel tono in cui Fury pose quella domanda.
«Da mesi,» confessò
quindi, sfuggendo per la prima volta il suo sguardo.
Strinse il cellulare
nella tasca con la mano meccanica, terribilmente conscio che Pepper
non aveva ancora risposto al messaggio in cui le annunciava di aver fatto progressi per il rilascio della licenza e di essere
stato prosciolto dalla maggior parte delle accuse, sebbene fosse
ancora lontano da un'assoluzione completa. Forse avrebbe dovuto
chiamarla direttamente, ma percepiva un cardiopalma al solo pensiero,
considerando gli eventi di qualche giorno prima. Non lo aveva neanche
accompagnato al processo, accampando vaghi impegni organizzativi alla
Expo. E la presentazione del Progetto Phoenix era ormai dietro
l'angolo. Si costrinse ad allentare la presa, o avrebbe finito per
frantumare il telefono.
«E il colonnello
Rhodes?» lo riscosse ancora Fury, nel chiaro intento di
recuperare tutti i vari tasselli di cui era rimasto all'oscuro finora
per comporre una panoramica della situazione.
Tony tacque per qualche
istante.
«Abbiamo litigato giusto l'altro giorno,»
rivelò infine, decidendo di non girarci
troppo intorno. «Non sapeva del mio tentato suicidio e non
l'ha
presa bene quando ho deciso di dirglielo. Né il suicidio,
né il
fatto di non averlo saputo prima.»
Lo sguardo di Fury si
intensificò e lui molleggiò con fare nervoso
sulla sedia, la testa
incassata nelle spalle.
«Poi l'ho informato
dell'intossicazione e l'ha presa anche peggio.» A quel punto
alzò
appena lo sguardo. «Ha detto che avrebbe preferito saperlo
direttamente al mio funerale, piuttosto che scoprire che gli avevo
mentito così a lungo. Non so quanto senso abbia, ma immagino
che sia
quello che mi merito,» concluse, con un sorriso ironico ma
tirato.
Fury inspirò
rumorosamente dalle narici, quasi stesse per soffiare fuoco e fiamme,
fissandolo in modo indecifrabile ma
indubbiamente rabbuiato. Probabilmente stava ponderando cosa diavolo
dovesse fare di lui, adesso che si era rivelato inservibile.
«Anch'io avrei gradito
aggiornamenti più tempestivi,» masticò
infine, e in cuor suo Tony
gli fu grato per non aver edulcorato il suo fastidio.
Non avrebbe sopportato
di sentirsi trattare con i guanti solo in luce delle sue condizioni.
«Tre mesi non sono
molti per trovare un rimpiazzo, ma...» cominciò
Tony, con consumata
disinvoltura, ma fu interrotto sul nascere:
«Un “rimpiazzo”?»
sbottò, seccamente. «Cos'è, pensi che
possa prendere il primo agente
che passa, ficcarlo nell'armatura e sperare per il meglio?»
Tony emise un verso
snervato, alzando l'occhio al cielo.
«Buon Dio, no, così mi
faresti rivoltare nella tomba,» scosse la testa, sfoggiando
un'espressione orripilata. «Stavo per dire che potrei ovviare
io
stesso all'inconveniente da me creato,» disse poi, poggiando
con
nonchalance il braccio metallico sulla scrivania.
Colse una scintilla
d'interesse nello sguardo di Fury, un chiaro invito a continuare.
«Tanto per cominciare,
avrai comunque l'Iron Legion,» esordì, ricevendo
un prudente cenno
d'assenso in risposta. «Il progetto è ultimato, ho
il primo
prototipo pronto e sono sicuro che ne farai buon uso. Poi, ho qualche
altro progettino in cantiere...» sfoderò il
cellulare e lo poggiò
sul tavolo in mezzo a loro, attivando un ologramma con dei tocchi
veloci e precisi.
Il modello 3D di
un'armatura si materializzò nel cono azzurrino, e Fury si
fece
corrucciato.
«Questa sarebbe la
soluzione?» interpretò poco convinto.
«Un restyiling completo
dell'armatura con qualche cannone in più?» lo
incalzò, ruotando
qua e là il modello con un dito mentre esaminava con
scetticismo le
aggiunte ed evidenti modifiche.
«Progetto War Machine,»
enunciò lui, stringato. «L'idea di un'armatura
guidata a
distanza si è arenata,» confessò con
lieve disappunto. «Ci serve
ancora un elemento umano, quindi ho pensato che, se cambia la persona
all'interno, sarebbe stato meglio distanziare l'armatura dalla vecchia
immagine associata a me,» spiegò pragmaticamente.
«E poi, Rhodey odia
il rosso-oro,» aggiunse con un sorrisetto furbo,
compiacendosi dello
smarrimento di Fury a quelle parole.
«Credevo aveste
litigato,» tentò poi di raccapezzarsi, facendo uno
sforzo
invidiabile per mantenere la sua aria compassata.
«Non sono nella
posizione di poter fare lo schizzinoso ed è l'unica persona
a cui
passerei il testimone. Il fatto che in questo momento mi detesti
è
secondario,» replicò lui, senza battere ciglio.
«E lui è al corrente
di questa tua decisione?»
«Sì...» Tony guardò
ostentatamente il suo orologio da polso e alzò un
sopracciglio. «...
da circa un paio d'ore, ad essere precisi,» concluse
soddisfatto,
esibendo un sorriso disarmante.
Fury scosse la testa con
fare rassegnato, guardandolo con l'aria di un vecchio preside che
scruti con rimprovero un discolo finito per l'ennesima volta nel suo
ufficio.
«Dovrò vagliare la
proposta, possibilmente discutendone di persona anche con
Rhodes,»
dichiarò poi. «Nel frattempo, gradirei che non ne
facessi parola
con la squadra,» si raccomandò, con uno sguardo
intimidatorio.
«Sissignore,» gli fece
il verso lui. «Quindi ho il permesso di
incontrarli?» chiese, con un velo d'ironia.
«Barton e Romanov sono
già qui per fare rapporto. Posso
convocare gli altri per una riunione straordinaria entro la prossima
settimana,» stimò infine, intrecciando le mani
sulla scrivania.
«Fallo entro domani,»
gli intimò asciutto Tony, facendo leva sul bastone per
alzarsi in
piedi. «Come avrai intuito, non ho tempo da
perdere.»
***
29 Aprile, Triskelion, 15:30
La mano nel petto gli
stava comprimendo i polmoni, lentamente, un centimetro alla volta.
Non lo diede a vedere e continuò a prendere piccoli respiri
superficiali, schiudendo appena la bocca per permettere all'aria di
filtrarvi quel tanto che bastava per non andare in ipossia.
Tentò di
traslare quel flusso al naso, sperando di liberarsi di quella morsa,
ma tutto ciò che ottenne fu una contrazione spastica del
diaframma e
un singulto che riuscì a soffocare quasi del tutto.
Catturò comunque
l'attenzione di Coulson, che gli rivolse uno sguardo da sopra la
spalla mentre frenava appena i suoi passi elastici.
«Tutto bene?»
Si concentrò per
costringere l'aria a muoversi e far vibrare le corde vocali, dove si
era impigliata in un bolo soffocante. Tirò un sorrisetto
disinvolto.
«Sì,» spezzò infine
quel lucchetto immaginario e si trattenne dall'inalare troppo
apertamente una boccata d'ossigeno. «Solo panico da
palcoscenico,»
sdrammatizzò, pungolandolo dispettosamente col bastone tra
le
scapole per sospingerlo.
Coulson emise un mezzo
sospiro indecifrabile e coprì gli ultimi metri che li
separavano
dalla sala riunioni. Gli fece cenno di entrare, già pronto a
tornare
alle sue occupazioni, ma Tony esitò. L'agente si
accigliò,
sospettoso come sempre, e prese a scrutarlo da capo a piedi quasi
fosse in cerca di un segno rivelatore per giustificare
quell'improvvisa titubanza
«Se vuole assistere...»
esordì Tony, quasi distrattamente, e l'Agente
scrollò le spalle.
«Non ne ho bisogno,»
declinò concisamente, inclinando le labbra in un sorriso
gentile ma
venato di tristezza.
«Fury e la sua
“discrezione”... dovevo aspettarmelo,»
commentò Tony, scuotendo
appena la testa, senza rancore.
«Buona fortuna, Stark,»
si congedò Coulson con un lieve cenno del capo, per poi
superarlo e
allontanarsi senza fretta.
«Grazie, Agente,»
replicò lui a mezza voce, senza girarsi e con lo sguardo
appuntato
sulla maniglia.
Sperò che l'avesse
sentito.
Si assicurò di aver
riconquistato il controllo dei propri polmoni prima di aprire la
porta, trovando un tenue conforto nel fatto che almeno il panico
poteva provare a gestirlo, al contrario dei sintomi
dell'intossicazione. Si trovò a ringraziare per l'ennesima
volta il
dilitio e i suoi effetti benefici e lenitivi.
Una sfilza di saluti
decisamente più calorosi di quanto si fosse aspettato
accolse il
suo ingresso, e percepì un sorriso spontaneo disegnarsi sul
suo
volto, mentre il peso nel petto si alleggeriva.
«Quanto entusiasmo,»
commentò con fare compiaciuto, cercando di mantenersi
impassibile
senza troppo successo. «Per gli autografi dovete mettervi in
fila,»
aggiunse poi, sfoderando un mezzo ghigno tronfio.
«L'avevo detto che
avrebbe ritrovato il suo ego,» lo punzecchiò
Nataša, rivolta ai
suoi compagni mentre gli scoccava al contempo un'occhiatina ironica.
«E su quali dati
avresti basato questa tua supposizione?» Tony
s'imbronciò
platealmente, fermandosi di fronte a lei con un mezzo sorrisetto
trattenuto. «Dopotutto, non mi sembra di averti
più vista dalle mie
parti... sono quasi offeso, Romanov,» recitò,
incrociando le
braccia sul petto.
«Non volevo
interrompere la “luna di miele”,»
replicò lei, con un sorrisino
eloquente che gli fece alzare l'occhio al cielo, causandogli anche un
lieve vuoto allo stomaco mentre coglieva quegli idioti di Clint e
Bruce sogghignare sotto i baffi.
«E tu che mi dici di un
certo Capodanno a Times Square?» contrattaccò
prontamente,
accendendo un lampo omicida nei suoi occhi e facendo trasalire Bruce.
«Stark, così come ti ho
rimesso in piedi, ti stendo,» ribatté glaciale, ma
con un tocco
divertito nella voce.
«Un Capodanno a Times
Square?» cadde dalle nuvole Steve, e spostò gli
occhi tra lei e
Bruce, ora paonazzo, per poi alzare confuso le sopracciglia.
«Rogers, se hai
perplessità sulla storia della cicogna, sono certo che
potrai
trovare
qualcun altro a cui chiedere,» si
tirò fuori Tony,
rivolgendogli uno sguardo inorridito che provocò un sonoro
sospiro
da parte sua.
«Possiamo tornare al
motivo della riunione?» sbottò acuto Bruce, il cui
volto sembrava
lampeggiare ora di rosso, ora di verde, come se fosse indeciso se
sprofondare nell'imbarazzo o ridurli in poltiglia.
«Permesso accordato,»
ridacchiò Tony, accomodandosi al tavolo delle riunioni, di
fronte a
lui e tra Nataša e Clint.
Steve era seduto a
capotavola; mancava solo Thor, che era stato
trattenuto ad Asgard per qualche bega causata dal fratello alla corte
di Odino.
Tony
volle godersi quel singolo istante di tranquillità, fingendo
di
essere anche lui all'oscuro del motivo che li aveva fatti riunire, e
lasciando che quel senso di leggerezza che non provava da tempo si
dilatasse per ancora qualche secondo.
«L'unico “motivo” di cui mi
sento di discutere adesso è quell'orrore,»
esordì poi
puntando il bastone verso Steve, che si indicò a sua volta
sbarrando
gli occhi come un qualche animaletto abbagliato dai fari di un'auto.
«Questo?» chiese
conferma, pizzicando appena il tessuto sintetico della nuova,
discutibile tuta
tricolore che indossava, probabilmente un surrogato di quella ormai
usurata che lui gli aveva fabbricato tempo addietro. «Cos'ha
che non
va?» si accigliò.
«Più o meno tutto...
ma ho visto di peggio,» gli concesse poi, fingendo
magnanimità.
«Non spesso, però,»
tossicchiò poi, schiarendosi la gola e
suscitando un risolino strozzato da parte di Clint.
«E quella, allora?»
ribatté Rogers, additandolo a sua volta.
«Io sono
giustificato, sono qui in campagna promozionale,»
annunciò,
mettendo in bella vista il logo sulla maglietta della Expo che
indossava sotto la giacca informale. «Biglietti gratis per
tutti!» esclamò
gioviale, allargando teatralmente le braccia e ritardando ancora le
domande, e le discussioni, e tutto ciò che stava per
piombargli
addosso.
Per ora, tutto ciò che
lo raggiunse fu un lieve scappellotto di giocoso rimbrotto da parte di
Nataša.
«Abbiamo visto
l'inaugurazione in diretta,» intervenne a quel punto Clint.
«Sembra
che il Futurista sia tornato sul serio,» continuò
poi, in
un'osservazione quasi casuale che allargò però il
sorriso sul volto
di Tony.
C'era qualcosa di
terribilmente doloroso e allo stesso tempo toccante, nell'immagine
della sua squadra al completo che assisteva a quell'evento, al punto
che non seppe come rispondere e si limitò ad annuire non
fidandosi
della propria voce, pronta a rompere quell'illusione di calma.
Percepì lo
sguardo di Nataša su di sé, come se avesse
percepito in qualche
modo il suo turbamento, e si strinse nelle spalle quasi a
ripararsene.
«Hai usato l'armatura,»
proseguì a quel punto Bruce, più allegro di
quanto l'avesse visto
ultimamente. «Anche Iron Man è pronto a
tornare?»
Dal modo in cui pose la
domanda, si intuiva come la ritenesse quasi superflua, come se un
diniego non fosse neanche contemplato tra le opzioni. Tony
avvertì la sua
bocca farsi improvvisamente secca, mentre la risposta spiritosa che
era stato sul punto di dare gli si incastrava in gola.
«In verità, sono qui
per formalizzare il mio ritiro dal Progetto Vendicatori,»
disse d'un
fiato, senza soffermarsi a pensare e lasciando scorrere via le parole
in una sequenza monocorde.
Un silenzio attonito e quattro paia d'occhi sgranati ricambiarono
quella rivelazione. Se
avesse potuto, Tony sarebbe tornato indietro di dieci secondi esatti
e avrebbe dato tutt'altra risposta per passare un'altra mezz'ora in
chiacchiere inutili e piacevoli. A pensarci bene, se avesse potuto,
sarebbe tornato ben più indietro di soli dieci secondi.
“Ormai il danno è
fatto,” si rassegnò, senza degnarsi di focalizzare
quella considerazione sul
momento corrente.
«Ma che stai dicendo?»
Steve fu il primo a riprendersi, e sembrò pronto a balzare
in piedi, come sempre quando si agitava o non capiva al volo qualcosa.
«Mi hai sentito,»
rispose Tony, più duramente di quanto intendesse.
«È per questo
che Fury vi ha convocati d'urgenza.»
«Tony, quello che vuoi
fare non ha senso,» scosse la testa Bruce, faticando ad
articolare
le parole. «Dopo tutto quello che...»
«Credi che dipenda da
me?» ribatté lui, senza trattenere un moto di
stizza quando si
inclinò all'indietro sulla sedia, raccogliendo le energie
per quel
confronto che, lo sapeva, l'avrebbe sfiancato.
«E da cosa, allora?» lo incalzò
Nataša, ancora pacata, ma con gli occhi che guizzavano
nervosi qua e là.
«Ho qualche problema
di salute,» riuscì a confessare infine, e si
chiese perché ci
stesse girando così tanto intorno.
Con Pepper era stato più
facile. O forse, con Pepper poteva concedersi di mostrarsi come Tony
e non solo come Iron Man.
«Pensavo che avessi
risolto con...» iniziò Clint, perplesso.
«Non mi riferisco a
queste,» Tony picchiettò appena il bastone contro
la protesi della
gamba, producendo un tintinnio che risuonò nella sala.
«Diciamo che
la mia batteria non funziona più tanto bene e mi sto...
scaricando.»
Diede una pacca sbrigativa al reattore, nascondendosi dietro alle sue
solite metafore, e lesse l'improvvisa confusione sui volti dei suoi
interlocutori, insieme a un'ombra di consapevolezza, un tenue sospetto
che nessuno sembrava però voler esternare. Si fece forza, e
scostò
il colletto della t-shirt, rivelando il reticolo scuro sottostante
col medesimo gesto che aveva compiuto mesi prima; quella fumosa
consapevolezza si cristallizzò, tramutandosi in un doloroso
sconcerto.
«Intossicazione da
palladio,» spiegò quindi. «Uno degli
svantaggi di avere una
lampadina nel petto come super potere,» sospirò e
lasciò andare la
stoffa. «Finora la ricerca di soluzioni non ha dato
esattamente i
suoi frutti, ma...»
«Tony?»
Nataša lo interruppe
chiamandolo per la prima volta in vita sua per nome – quella
nuova
tendenza da parte di chi lo circondava iniziava seriamente a
spiazzarlo – in modo sorprendentemente allarmato e fissandolo
con
occhi più grandi, verdi e inquisitori del solito.
«Cosa stai cercando di
dirci?»
Quella sua improvvisa
titubanza gli suonava estranea, quasi forzata, per una spia del suo
calibro; il fatto che cercasse
comunque una qualche ritrattazione da parte sua lo dissuase dal
provare a mentire riguardo alle sue reali condizioni.
«Che sono qui per...
per salutarvi, o qualcosa del genere,»
rispose piano lui, con
un mezzo sorriso mesto che andava a celare la pressione di quelle
parole che sembravano pesargli sul volto, irrigidendone i
tratti.
«Ci tenevo a dirvelo di persona,» concluse,
abbassando lo sguardo e
aspettando una reazione alla quale non si era veramente preparato.
Come sempre, non metteva
mai in conto le conseguenze delle sue parole: si limitava a liberarle
e ad accendere la miccia, sperando che il tutto non gli esplodesse in
faccia. Non era sicuro che il Doc intendesse esattamente questo,
quando gli aveva suggerito di “mettere qualche punto
fermo”.
Dapprima aveva trovato ridicolo quel proposito, emerso durante una
delle loro chiacchierate. Poi si era reso
conto di averne un bisogno quasi spasmodico. Il primo tentativo con
Rhodey era
stato fallimentare, e non riusciva ancora a credere di aver mandato
in pezzi un'amicizia durata più di vent'anni. Erano serviti
quei
giorni in trasferta a Washington, lontano da Pepper, da Rhodey, dalla
Expo e da una città traboccante di ricordi, per fargli
apprezzare
davvero i benefici del rimanere da solo coi propri pensieri. Faticava
comunque a
ritrovare l'ottimismo che si era ripromesso di mantenere fino alla
fine ma, d'altra parte, non poteva neanche mentire alla squadra
dicendo con sicurezza che sarebbe andato tutto bene. Quella era una
bugia che prima o poi avrebbe dovuto smettere di raccontarsi, ma non
era quello il momento giusto per farlo.
“Va ancora
tutto bene,” si rammentò, impedendo al proprio
respiro di tradirlo
proprio adesso. “Ho ancora tempo,”
continuò, in quel mantra
insensato che aveva però il potere di calmarlo.
Rialzò lo sguardo,
trovando davanti a sé un solido muro
d'incredulità che mise a dura
prova la sua compostezza, ma che si impegnò a infrangere:
«Ehi, non pensavo
bastasse così poco a commuovervi,»
scherzò, con un gesto della
mano come a scacciare quell'aria negativa che sembrava comprimerli.
«Per ora sto bene, non c'è bisogno di fare quei
musi lunghi,»
riprese il discorso, con brio in parte forzato, in parte reale.
Si sentiva veramente molto
meglio dopo quell'iniezione di dilitio e abbastanza in forze da poter
fare tutto ciò che voleva, incluso scherzare sulle proprie
condizioni di salute, almeno in pubblico.
«Stark...» la voce di
Steve recava in sé una traccia di commiserazione
così palese che a
Tony quasi non saltarono i nervi, ma si spalmò una cortina
ironica
in faccia e si costrinse a non reagire in malo modo.
«Capitan Ghiacciolo,
non dirmi che stai per scioglierti in lacrime, quello potrebbe
veramente uccidermi,» si lagnò,
cercando con lo sguardo il
supporto dei suoi compagni, che però sembravano occupati a
trovare
una reazione consona al suo annuncio.
Si fece un po' più
serio, rendendosi conto che l'espressione addolorata del Capitano si
rifletteva anche sul volto degli altri, con vari gradi
d'intensità.
Si mosse a disagio al proprio posto, rimproverandosi mentalmente: che
si era aspettato?
In cuor suo, forse aveva
sperato che gli eroi più forti della Terra fossero in
qualche modo
anche meno toccati da eventi simili – meno umani –
o che ignorassero la cosa, o la
svalutassero come un problema minore che non li riguardava. Forse
così avrebbe avuto modo anche lui di ridimensionare tutto
ciò che
sentiva incombere su di lui.
«A cosa devo tutta
questa empatia?» commentò con forzata
impassibilità, sentendosi
invadere da un senso di calore per quell'evidente preoccupazione nei
suoi confronti, ma anche percependo una profonda frustrazione.
La reazione giusta sarebbe stata accettare il suo ritiro come un
qualcosa di sensato e tanti saluti ad Iron Man. Porte chiuse, punti
fermi: non sarebbe dovuto essere così difficile ottenerli.
«Sei un membro della
squadra,» intervenne Clint, nel suo solito tono piatto che
lasciava
però trapelare un'ombra di turbamento.
«Sei un amico,» lo
corresse Bruce, che aveva continuato a fissare il pavimento fino ad
allora, rigidamente a braccia conserte come se stesse cercando di
trattenere il proprio corpo pronto ad esplodere.
«E tu sei arrabbiato,»
ribatté Tony con più serietà,
accennando al suo orologio da polso
che segnava dei battiti cardiaci fuori norma.
«Lo sono sempre,»
alzò le spalle lui, per poi sospirare con irritazione.
«Capisco
perché tu non ce l'abbia detto prima, ma avremmo potuto
aiutarti,»
«Ne dubito,» lo
rimbeccò lui, bruscamente. «Cerco una soluzione e
un'alternativa al
palladio da quasi un anno e...»
«Non intendevo quello,
Tony,» Bruce scosse la testa, infastidito.
«Lo so,» scandì lui,
con un tremito nella voce. «Non sono un idiota, nonostante
tutti
continuino a pensarlo,» sbottò, irritandosi
repentinamente. «Ma
non volevo coinvolgervi per evitare di scatenare ciò che sta
succedendo adesso, ovvero l'avvicinarsi di una compassionevole
festicciola di piagnistei perché, oh, che dispiacere, Tony
Stark si
è finalmente deciso a morire davvero.»
Il gelo calò nella
stanza, nonostante l'aria attorno a loro sembrasse sfrigolare per la
tensione improvvisa. Tony si prese la radice del naso tra le dita,
immettendo più aria nei polmoni contratti e brucianti e
sentendosi
comunque pronto a esplodere di nuovo.
«Tony, nessuno
vuole che tu muoia.»
Steve pronunciò quelle
parole con una naturalezza e una traccia di infantile sconcerto tali
da indurlo a trarre un altro respiro profondo per non lasciarsi
sfuggire una replica sferzante. Era sull'orlo del vortice e
non capiva neanche come ci fosse arrivato; eppure era diventato abile
a sottrarsi al panico, e ancor più a impedire che
quell'ombra densa
e costante che si portava appresso lo ghermisse a tradimento,
spremendo fuori dalla sua mente ogni sprazzo di positività.
Lanciò uno sguardo ai
suoi compagni e percepì il loro disagio e la loro
confusione, ma
anche, gli sembrò, disprezzo e delusione: era sempre lui
l'anello
debole che rischiava di far sfaldare tutta la catena. Represse quei
ragionamenti, perché sapeva che provenivano dal vortice, ma
una
particella di dubbio continuò ad aleggiare nella sua testa,
e lui ad
oscillare sul bordo, incapace di tirarsi in salvo.
Gli si era inceppato il
meccanismo interno, quello inserito in qualche parte recondita nel
suo corpo che gli permetteva di andare avanti, di essere se stesso.
Era come se non fosse più lui a parlare, o muoversi, o
pensare.
Rimaneva solo un riflesso evanescente, sbiadito e apatico. Non erano
suoi quei pensieri, quella rassegnazione; sembrava semplicemente che
li captasse da qualcun altro nell'etere, ritrovandoseli in testa
senza sapere cosa farsene, o se fossero davvero suoi. E quel
meccanismo rimaneva bloccato, stridendo inutilmente nel tentativo di
riprendere a girare. Voleva sbloccarlo con tutte le sue forze. Voleva
tornare a respirare aria pura, a muoversi liberamente, a volare, a
combattere, a stringere Pepper a sé senza sentirsi
incompleto. Mai
come in quel momento aveva il bisogno di “mettere dei punti
fermi”.
Fece per
rispondere, ma si rese conto di non riuscire a formulare alcuna
parola arguta per farlo.
«Neanch'io voglio,»
gracchiò infine, lasciando svanire il suo primo,
superficiale strato
d'indifferenza e sfuggendo i loro sguardi. «Per questo mi
sto fidando di voi,» continuò, deglutendo
a fatica. «Ho solo
bisogno di qualcuno che mi copra le spalle mentre sistemo questo
casino,» concluse in fretta.
«Finché non tornerai,»
completò Bruce, fissandolo con un fare a metà tra
lo speranzoso e
l'intimidatorio.
Tony guardò ciascuno di
loro negli occhi, soppesando quella possibilità che gli era
sempre
sembrata uno spiraglio lontano e pronto a richiudersi, per poi
realizzare che voleva crederci con tutto se stesso.
«Finché non tornerò,»
concordò, tenendo aperto quello spiraglio.
***
29 Aprile, Manhattan, 22:30
Lo squillo del
campanello lo colse impreparato. Era sicuro che Pepper si sarebbe
fermata a dormire fuori, e il fatto che fosse invece di ritorno gli
causò un lieve picco d'ansia, considerando che non si
vedevano dall'inaugurazione. D'altronde, che bisogno aveva di suonare,
se aveva libero
accesso all'appartamento?
Lo squillo si ripeté,
fugando il dubbio che fosse stato solo un parto della sua mente
esausta. Distolse l'attenzione dalla tv e si forzò in piedi,
zoppicando poi verso la porta e rinunciando a recuperare il bastone
rotolato sotto il tavolino. Ignorò ogni norma di
sicurezza e buonsenso, preoccupandosi solo che il pigiama andasse a
coprire totalmente i segni dell'intossicazione, e aprì la
porta
senza controllare chi fosse l'inatteso visitatore notturno.
Quasi
perse l'appoggio della gamba sana nel ritrovarsi di fronte a Rhodey,
serio e compito sulla soglia, con le mani giunte in grembo quasi
fosse sull'attenti. Tony trasecolò ancora
qualche istante, mentre il suo sarcasmo di solito estremamente
reattivo arrancava per tenere il passo con la situazione.
«Non ho ordinato nulla
a domicilio,» sparò, fingendo rammarico.
«Quindi, se vuole
lasciarmi alle mie occupazioni notturne le sarei più
che...»
Rhodey sospirò così
sonoramente da farlo interrompere.
«Sei uno stronzo,»
dichiarò, e prima che potesse rispondere a tono, fu attratto
da lui
in un abbraccio tanto impacciato quanto energico.
S'irrigidì per un
singolo istante, percependo mille sensori d'allarme che scattavano
all'unisono per quel contatto inaspettato, ma li mise a tacere con
foga, e ricambiò con qualche istante di ritardo, altrettanto
goffamente.
«E te ne accorgi ora?»
bofonchiò divertito, tremando appena per il sollievo di
rivedere il
suo migliore amico. «E poi, non sono io quello che ha
detto...»
«Lo so quello che ho
detto,» si affrettò a troncarlo l'altro, dandogli
una pacca sulla
schiena per poi lasciarlo andare con sguardo contrito, una mano
ancora sulla sua spalla. «Mi dispiace. Non ero
lucido,» ammise, e
Tony notò come i suoi occhi scattarono fugaci verso il
reattore.
Fu grato che non fosse
visibile, sebbene la luce azzurrina trapelasse fiocamente sotto la
stoffa scura. Rimase in silenzio per qualche istante, con le parole
della loro precedente discussione che gli rimbombavano in testa.
Avrebbe potuto rinfacciargliele e spintonarlo via, ma il timore di non
poter avere un'altra occasione per rivederlo mise a tacere quel
proposito.
«Adesso che abbiamo
concluso i saluti strappalacrime, vorrei evitare che mi si congeli il
piede che mi rimane,» osservò, accennando alle
piante nude sul
pavimento di marmo gelido. «Quindi, se vuoi
accomodarti...» si fece
da parte, invitandolo con un gesto del capo.
Rhodey sembrò sorpreso
da quella sua reazione, forse aspettandosi più freddezza, o
più
sarcasmo, o semplicemente distacco come aveva fatto in precedenza e
in più occasioni, poi lo superò con poche, ampie
falcate. Tony chiuse la porta
alle sue spalle e optò per sedersi su uno dei vicini
sgabelli
della
penisola, piuttosto che sul divano, visto che la protesi inferiore
gli stava ricordando di non essere proprio in piena forma. Rhodey
notò quella
deviazione e sembrò sul punto di commentarla, ma si
trattenne
visibilmente. Tony gli scoccò un'occhiata penetrante, prima
di
lasciar andare un sospiro esasperato.
«Rhodey, sto bene,»
puntualizzò, lasciando ondeggiare appena il piede meccanico
nel
vuoto. «Penso di averlo ripetuto più volte in una
settimana che in
tutta la mia vita,» aggiunse poi, poggiando il gomito sul
tavolo in
una posa svogliata.
Rhodey in tutta risposta
scosse la testa e si sedette sullo sgabello accanto al suo,
voltandolo poi verso di lui.
«Ti rendi conto di non
essere credibile, vero?»
Tony tirò le labbra e
si limitò ad allungarsi sul piano per afferrare una
borraccia di
clorofilla, prendendo poi a sorseggiarla con la massima disinvoltura.
«Potrei stare peggio,»
borbottò poi, in automatico e senza troppa convinzione.
Si premurò di
sistemarsi la maglietta che era scivolata troppo in avanti, scoprendo
una porzione dell'intreccio violaceo sottostante; sapeva che Rhodey
l'aveva comunque adocchiato, così come aveva sicuramente
notato il
suo deperimento.
«Vuoi spiegarmi?» lo
incalzò a quel punto l'amico, e il suo tono insolitamente
pacato gli
fece chiedere se l'avesse mai visto così teso in vita sua,
lui che di solito non ci pensava due volte a mandarlo a quel paese
quando gli faceva perdere le staffe.
«È una storia lunga,» svagò
Tony, pur consapevole che esigere delle spiegazioni riguardo a tutto
ciò che gli aveva rivelato fosse lecito.
«Mi
accontento anche di un riassunto,» ritrattò
Rhodey, quasi ad attenuare la
sua richiesta.
«Hai così tanta fretta
di andar via?» evitò di rispondere lui.
«Sapevo che avrei dovuto cavarti fuori ogni parola con la
forza,» si scoraggiò l'altro.
«Non vedo il motivo di
tenermi altri segreti.» Tony bevve un altro sorso di
clorofilla, a prendersi
una breve pausa, poi ripose la borraccia ormai vuota per sostituirla
con un bicchier d'acqua. «A
quale puntata delle “Mirabolanti Avventure di
Tony Stark” sei rimasto?»
«Al “sono un idiota
che mente al mio migliore amico”,»
replicò secco Rhodey, e Tony
si lasciò sfuggire un mezzo sorrisetto amaro nel veder
riemergere
l'indole intransigente di Rhodey.
«Ti beccherai quel
riassunto a breve,» temporeggiò lui,
suscitando un lieve fastidio sul volto dell'amico. «Tu,
piuttosto,
cosa ti spinge a bussare alla mia porta a quest'ora indecente? A parte
la sete di conoscenza, intendo,»
rivoltò poi il discorso, indicandolo con un guizzo furbo
della mano.
Rhodey si accomodò sul
suo sedile e intrecciò le mani sul tavolo, come faceva
sempre quando
si trovava in una posizione che riteneva difficile. Tony attese
pazientemente la risposta, anche se aveva un tangibile presentimento
sui motivi che potevano aver fatto cambiare idea a una testa dura
come Rhodey in modo così repentino.
«Fury mi ha convocato
per discutere del progetto War machine,» disse infatti, e
Tony
abbassò lo sguardo al bicchiere che teneva in mano,
improvvisamente
concentrato a seguirne i rilievi coi polpastrelli.
“Non ha davvero perso
tempo,” osservò tra sé, indeciso se
ritenersi compiaciuto o meno
per quella solerzia nei suoi confronti.
«E?»
«E ho rifiutato.»
«Rhodey...»
Tony si abbandonò sullo
schienale, con l'impressione di potersi liquefare e scivolare a terra
in una pozzetta di scoramento da un momento all'altro, mentre il
sollievo che si era aspettato di provare si convertiva in uno
stringente nodo d'ansia.
«Non se ne parla,
Tones. Non ho alcuna intenzione di prendere il tuo posto; al massimo
potrò affiancarti in futuro, se ancora vorrai,»
continuò
serratamente.
“In futuro,”
pensò
lui tra sé con disfattismo, scoccandogli uno sguardo
incredulo, e
Rhodey lo sostenne senza alcuna esitazione.
«Non so se essere
commosso o arrabbiato,» sbottò poi, poggiando la
fronte al palmo
della mano. «Mi farete diventare pazzo. Tu, Fury, la banda di
stramboidi e Pepper,» sbottò con incontenibile
frustrazione.
«Perché ci
preoccupiamo per te?»
«Cos- No! Cioè,
sì,
anche per quello!» s'infervorò lui, agitando le
mani. «Fury si
scusa con me, i Vendicatori non vogliono che me ne vada, tu mandi
all'aria i miei buoni propositi per non rendere inutile tutto
ciò che ho
fatto e Pepper non...» incespicò, costretto a
riprendere fiato e
incapace di formulare qualsiasi pensiero coerente riguardo a lei.
Rhodey gli rivolse uno
sguardo inquisitore.
«Non mi dire che avete
litigato di nuovo.»
«Non esattamente. In
realtà siamo... come dire...» roteò la
mano in un gesto vago, come
se bastasse a spiegare tutto.
«Ti prego, dammi la
notizia che aspetto da dieci anni,» quasi lo
implorò Rhodes,
mettendo per un attimo da parte tutto il resto.
Tony si rifugiò dietro
un sorrisetto poco convincente.
«È successo quel che è
successo,» lo sviò, senza soddisfare la sua
curiosità. «Ma il...
tempismo è pessimo, come puoi
intuire,»
articolò evasivo.
Rhodey incrociò le
braccia e lo fissò severamente, come se stesse cercando di
risolvere
un puzzle particolarmente complesso da cui mancavano però un
paio di pezzi. Poteva quasi vedere le sue rotelle girare cigolando
dentro la sua testa.
«E quindi?» proferì
dopo qualche secondo di attento ragionamento. «Lasci che vada
tutto
a monte?»
«L'alternativa qual è?
Morirle tra le braccia?» scattò Tony, facendosi
caustico, e si pentì delle
sue parole nel vedere l'espressione sempre immutabile dell'amico
rattristarsi appena.
«L'alternativa è fare
quello che volete fare da una vita,» ribatté
calmo, pur con la
mascella contratta che sembrava dover tenere a bada i suoi occhi ora
lucidi. «E spero davvero che lei non ti senta mai dire
qualcosa
del
genere, considerando quello che le hai fatto passare l'anno
scorso,»
aggiunse più duramente.
«Quello è esattamente
il motivo per cui voglio tenerla lontana,»
s'intestardì lui,
puntando un indice contro il tavolo a sottolineare il concetto.
«Pensi che altrimenti esiterei?» si
lasciò sfuggire poi, con
un'incertezza fin troppo marcata.
“Esiterei?” si
chiese in risposta quella vocina che gli strisciava in testa,
ricordandogli del ferro, e delle cicatrici, e delle ferite che
potevano riaprirsi al minimo tocco.
«Tony, vuoi darti una
svegliata?» sbottò Rhodes, improvvisamente
accalorato. «Piantala di trovare scuse: ci siete
entrambi dentro fino al collo, a prescindere da come stai o cosa hai
fatto! Ti sta
accanto da mesi, le hai affidato l'azienda... vivete
insieme,
maledizione, per quanto vuoi fare finta che...»
«Ci sono dei limiti,
Rhodey,» replicò piano lui, in un tono molto
più calmo di quanto
non si sentisse lui stesso; si strinse d'istinto il ginocchio della
protesi.
«Sei tu a importeli,»
lo rimbeccò l'amico, senza cedere di un passo.
«Non penso proprio,»
ribatté lui, con veemenza. «Non me li sono scelti
io, questi
“limiti”,» proseguì, alzando
il braccio meccanico con fare
esplicativo, per poi interrompersi di colpo nel realizzare cosa
avesse appena rivelato.
Rhodey sembrò
momentaneamente spiazzato dal modo in cui la discussione era
scivolata dall'ambito metaforico a quello fisico, a riconfermargli
che nessuno era mai stato sfiorato dal pensiero che lui,
Tony
Stark, potesse avere un problema col proprio corpo.
«No, ma hai scelto di
vederli come tali,» si riprese l'amico, con considerevole
prontezza. «Quelle
dovrebbero ricordarti che li hai superati,
piuttosto. E pensi davvero che a Pepper interessi come sei
fatto?»
Tony poté percepire
chiaramente una vampata di calore risalirgli al volto, subito
interrotta da un velo di sudore gelido e dalla sensazione che il suo
intero corpo fosse stato prosciugato di ogni goccia di sangue.
Perché
stavano parlando di quello? Rhodey non era venuto a
rimproverarlo per avergli mentito? Iniziava a desiderare di non aver
mai aperto la porta.
«Ha detto di no, ma...»
iniziò in tono stanco, quasi distratto, volendo solo
disconnettersi dalla realtà.
A quel punto fu convinto
che Rhodey fosse sul punto di mettergli le mani addosso e porre
fisicamente fine alla loro amicizia, visto che quasi scattò
in piedi
all'istante.
«Te l'ha detto?
Esplicitamente?» lo incalzò, pressante.
Tony fece solo un breve
cenno d'assenso, percependo di nuovo quel pesante senso di
spossatezza a cui iniziava a fare l'abitudine che si adagiava sulle
sue spalle.
«E... e non ci credi?» cercò di
raccapezzarsi
Rhodey, sempre più sconcertato.
«Sì, ma non è così
semplice,» mormorò lui, sentendosi distante,
ancora una volta
costretto a specchiarsi nel vortice e a trovare un'immagine che non
gli corrispondeva a ricambiare il suo sguardo. «Ci sto
provando,»
continuò, con voce spenta. «Ci sto provando e non
so se ci riuscirò
in tempo,» confessò poi, sentendo i muscoli
contrarsi e le parole
trapelare appena dalla sua mascella serrata.
Rhodey sembrò
finalmente a corto di parole e Tony lesse nei suoi occhi la paura che
aveva cercato di tenere a bada fino a quel momento, emersa senza
preavviso. Cercò di cavarsi fuori di bocca qualche parola
rassicurante, ma Rhodey lo anticipò e si alzò
piazzandosi di fronte
a lui, improvvisamente rianimato:
«Lo sai che ti dico?»
esordì con fare perentorio, nonostante la sua voce tremasse
sensibilmente. «Che avevi ragione: la depresso-mobile
è una rottura
di palle,» sbottò, puntandosi le mani sui fianchi
e facendogli
alzare un sopracciglio perplesso in risposta.
«Ecco, quando dico che
non hai un briciolo di sensibilità è a questo
che...»
«... quindi adesso sali
sulla mia spasso-mobile senza fare storie
e...»
«Piantala, non fai
ridere,» protestò lui, scivolando poi
giù dallo sgabello e
trattenendo al contempo una risatina traditrice.
«... e ti ricordi chi
cavolo sei,» concluse, calandogli una mano sulla spalla sana.
«Un idiota?» sparò
lui, con un sospiro esagerato.
«Un grandissimo
idiota,» specificò Rhodey, sempre serissimo.
«E un bugiardo, e un
cataclisma, e colui che mi ha fatto rischiare l'espulsione un centinaio
di volte e che mi farà prendere un esaurimento nervoso. Ma
sei anche Tony Stark. E deve ancora arrivare il problema che tu
non sai risolvere,» continuò, adesso
stritolandogli la spalla,
quasi volendosi aggrappare con tutte le sue forze a
quell'affermazione.
Tony sbuffò, restio ad
abbandonare il proprio scetticismo, ma sentì un sorriso
sincero
tendergli le labbra. Gli strinse esitando il polso, aggrappandosi a
sua volta a quell'isola di certezza e supporto che aveva scelto di
ignorare fino ad allora, quel punto fermo che aveva deciso di
cancellare per timore di vederlo svanire e allontanarsi da lui. Avrebbe
dovuto dire
molte cose, scusarsi, ringraziarlo o rassicurarlo, ma si rese conto
che, con Rhodey, non ce n'era mai stato bisogno.
«Lo vuoi ancora, quel
riassunto?» disse invece, senza più esitare.
Rhodey lo fissò
sorpreso, per poi rivolgergli un sorriso incoraggiante.
«Certo. Ma la
spasso-mobile ha bisogno di un paio di birre per carburare,
quindi...»
«Sei un deficiente,» sentenziò Tony
ridendo, dandogli uno spintone mentre si avviava verso il frigo.
***
30 Aprile, Manhattan, 11:00
«Com'è
andata?»
«Come vuole che sia
andata, Doc... esattamente come avevo previsto. Sono emotivamente
compromesso.»
«Il che non è per
forza un male... come si sente in generale?»
«È lei lo
strizzacervelli, quindi mi aiuti a decidere tra
“depresso” o
“disperato”.»
«Altre opzioni?»
«“Sorprendentemente
sollevato” si guadagna il terzo posto.»
«Non vorrei suonare
ridondante, ma gliel'avevo detto.»
«Qual è il prossimo
passo? Farmi scrivere letterine di scuse ai compagni delle elementari
che ho offeso?»
«Le giuro che se
continua a fare un uso improprio del sarcasmo la spedisco davvero
a Kathmandu a ritrovare la pace interiore.»
«Mi sembrava di aver
già declinato l'esilarante offerta del suo amico
schizoide.»
«Sono più scettico di
lei, lo sa, ma potrebbe almeno prenderla in considerazione
se...»
«Doc, per me è già un
grande sforzo accettare di essere sdraiato su un lettino a parlare
con il soffitto, non mi ci vedo proprio a gambe incrociate con un
turbante in testa, mh?»
«Ci ho provato. Adesso
che si è tolto un po' di preoccupazioni, ha deciso di cosa
vuole
parlare?»
«Uh, bella domanda...
ho un repertorio quasi infinito da cui scegliere.»
«Il mio datore di
lavoro mi ha concesso due ore, se ben ricorda...»
«Dunque, potrei
cominciare da... non so, dal fatto che avevo ancora una balia a
quattordici anni? Non so se c'entri molto, ma...»
«Senta, perché non comincia
dall'inizio?»
«E quale sarebbe?»
«Non devo dirglielo
io.»
«Facciamo Gennaio 2009? Quello
mi sembra un buon
inizio...»
***
30 Aprile, Stark Expo, 20:15
La concentrazione di
ossigeno nell'aria si era decisamente rarefatta. Non riusciva a
capire se fosse il buio interrotto qua e là dai faretti ad
accentuare quell'impressione, o l'afa soffocante che regnava dietro
le quinte. Un altro colpevole piuttosto probabile poteva essere il
suo papillon troppo stretto, che sciolse per l'ennesima volta con un
gesto brusco, ponderando se non fosse il caso di abbandonarlo del
tutto.
Si sfregò il viso, per
poi imprecare quando rischiò di far staccare
inavvertitamente la
benda adesiva, che si affrettò a far aderire di nuovo alla
cicatrice. Controllò per l'ennesima volta l'orologio, che
ticchettava inesorabile, e indirizzò un cenno di OK a uno
degli
addetti, a intendere che era pronto a entrare sul palco – una
palese menzogna. Sperò che
la sua facciata sicura di sé non stesse vacillando come le
sue gambe
e strinse più volte i pugni, scrollando le spalle per
sciogliere la
tensione, poi si cacciò il bastone sotto il braccio e
provò di
nuovo ad annodarsi il papillon. Le dita gli tremavano così
tanto
che riusciva a malapena a mantenere la presa, e per un attimo non vi
fu differenza tra quelle vere e quelle metalliche. Rinunciò
con un lento
sospiro, lasciando i due lembi a ricadere sulla camicia immacolata.
Si accasciò lateralmente contro il muro, traendo ancora
molti,
inutili respiri profondi, sentendosi la gola costretta in una
tenaglia.
Forse poteva fingere uno
svenimento. Sarebbe stato meglio o peggio di farsi prendere un
attacco d'ansia in diretta? Il suo intero corpo era in tumulto: per
quanto ne sapeva, poteva essere sull'orlo di un infarto. Si
portò
una mano al petto, dove erano raggruppate le schegge, e gli parve di
avvertire un dolore sordo. Si inumidì le labbra, spostando
la mano
sul reattore e lasciando che il suo basso ronzio fungesse da
calmante, scacciando quelle sensazioni fasulle. Era tutto
sotto controllo. Avrebbe sempre potuto tagliare
la presentazione e anticipare la sua uscita di scena.
Il suo ennesimo sospiro
nervoso fu interrotto da un rumore improvviso.
Tacchi. Si
avvicinavano, cadenzati, e il suo cuore prese a palpitare a
singhiozzo quasi cercasse di seguirne il ritmo. Tenne lo sguardo
fisso sulle punte lucide delle sue scarpe, e osò alzarlo
solo quando
il rumore si interruppe. Si sentì sciogliere dal sollievo,
tanto che
non si arrischiò a lasciare il proprio appoggio.
«Scusi il ritardo,»
esordì Pepper, a bassa voce per non turbare la quiete
soffusa. «Sono
stata intercettata dalla stampa,» spiegò, e
controllò rapidamente
che il suo elaborato chignon fosse ancora intatto; la sua solita
ciocca ribelle era comunque sfuggita al laccetto a sua insaputa,
arricciandosi a incorniciarle il viso.
Tony notò solo allora
quanto sembrasse accaldata, come se avesse corso. O forse si era solo
infuriata con qualcuno dei giornalisti – e in quel caso
poteva
farsi anche un'idea di chi potesse essere.
«Pensavo che non
sarebbe venuta,» si lasciò sfuggire, e Pepper
quasi sbarrò gli
occhi per la sorpresa, per poi addolcirli appena.
«Gliel'avevo promesso,»
dichiarò con semplicità.
Tony preferì non
soffermarsi troppo su quelle parole, che avevano uno spiacevole
retrogusto d'obbligo a cui non volle dar peso: conosceva Pepper quel
tanto che bastava per sapere che, se era lì, era
perché voleva
esserci.
Si distolse dai suoi
pensieri quando udì in sottofondo la voce decisa e un po'
gracchiante di suo padre: il filmato d'introduzione doveva essere
partito, concedendogli gli ultimi minuti di
preparativi.
Fu allora che la donna
adocchiò fugacemente il suo papillon sfatto, in una domanda
silenziosa.
«Le... le dispiace?» mormorò
lui, appena udibile e senza incrociare il suo sguardo, sollevando
un'estremità del nastro tra le dita ed esitando ad
aggiungere altro
per giustificare quella richiesta.
«Ancora non ha
imparato?» lo trasse d'impaccio lei con un sorriso leggero.
«Perché devo imparare,
se c'è lei?» rispose furbamente, in un guizzo
d'impertinenza che
suscitò un lieve sbuffo da parte sua che poté
percepire sulla propria pelle.
Non sapeva perché si
fosse cacciato in quel vicolo cieco, quando la soluzione più
semplice sarebbe stata togliersi quell'affare dal collo; si maledisse
ancora quando Pepper si accostò a lui, riducendolo a un
unico, teso
fascio di nervi pronti ad andare in cortocircuito. Tenne
lo sguardo puntato dietro di lei nei pochi secondi che le servirono
ad annodare impeccabilmente il papillon, lasciandolo abbastanza lento
per permettergli di respirare quel cocktail di anidride carbonica che
era diventata l'aria attorno a lui – la stessa che stava
respirando
lei, ora così vicina da poterle contare le ciglia.
«Perfetto,» annunciò
con soddisfazione, raddrizzando il fiocco e riguadagnando le
distanze.
Prima
che completasse il movimento, Tony protese appena la mano sfiorandole
le
dita, ignorando il suo buonsenso – che non era davvero
il suo buonsenso, lo sapeva, ma piuttosto la vocina maligna che
risaliva il vortice e
voleva devastarlo camuffata come tale. Lei lo guardò
meravigliata,
ma non si ritrasse a quel contatto appena accennato che Tony stava
cercando in tutti i modi di mantenere, nonostante la paura folle che
gli pulsava nello stomaco.
«Sei bellissima,»
mormorò sincero, contrastandola e intrecciando al contempo
le dita alle sue,
bollenti tra le proprie nonostante si sentisse lui stesso sul punto
di squagliarsi.
Pepper ricambiò
delicatamente la stretta, abbassando gli occhi chiari come sempre
quando la metteva in imbarazzo.
«Grazie,» replicò
piano. «E anche tu non hai niente da invidiarmi,»
aggiunse, con un
lieve, genuino impaccio che accentuò le fossette sulle sue
guance.
Tony mancò un paio di
battiti, non riuscendo a ricordare l'ultima volta che qualcuno gli
aveva detto qualcosa del genere, soprattutto ultimamente e soprattutto
in modo così
spontaneo. Riuscì a sciogliersi in un sorriso esitante.
Vi fu un breve momento
di silenzio, interrotto solo dal discorso ovattato che risuonava
dagli altoparlanti e dal mormorio del pubblico poche decine di metri
più in là.
«Sto
letteralmente per mettermi a nudo di fronte al mondo,»
riprese Tony
sempre a bassa voce; nel parlare strinse con più forza la
sua mano, non poté
farne a meno. «Questo
dovrebbe essere più semplice,» accennò
col capo alle loro dita
intrecciate, sperando che capisse quello che neanche lui era in grado
di esternare a parole.
«E perché non lo è?»
gli chiese, senza alcuna malizia ed evitando di guardarlo, forse per
non farlo sentire pressato.
Una bolla di silenzio
assoluto li avvolse, per poi scoppiare al vigoroso applauso del
pubblico: il filmato era giunto al termine. Le ovazioni della folla
invisibile a pochi passi da loro mandarono fuori tempo il suo cuore,
dandogli l'impressione che si stesse affrettando nella sua corsa per
recuperare il ritmo.
Deglutì a fatica.
«Non lo so, ma
forse...»
«Forse non è questo il
momento più adatto,» concluse lei, con dolcezza, e
Tony annuì
grato in risposta, rilassandosi un poco.
«Più tardi?»
arrischiò subito dopo, fissando il palco illuminato e in
loro
attesa.
Pepper esitò, forse
presa alla sprovvista da quella richiesta.
«Più tardi,» confermò
poi, regalandogli un sorriso attraversato da una vena di nervosismo.
Tony mosse un passo
titubante verso il palco, e non poté frenare il lieve
tremito che
gli invase la mano, subito bloccato dalla presa salda di Pepper. Si
arrestò sulla linea d'ombra che lo divideva dalla luce dei
riflettori. Cercò il suo sguardo e lo trovò, come
sempre: due soli
azzurri in una costellazione di efelidi.
Strinse un'ultima volta la
sua mano, per poi lasciare la sua sicurezza e fare per primo il suo
ingresso sul
palco, lasciandosi inghiottire dalle acclamazioni.
***
1° Maggio, Manhattan, 02:30
«È andata
bene,»
commentò infine Tony, dopo un silenzio che come pochi giorni
prima
si era prolungato per tutta la lunga, tesa mezz'ora di tragitto da
Flushing Meadows a Manhattan.
Passò la tessera
magnetica nel lettore di fianco alla porta, offrì l'impronta
del suo
pollice sul touch-screen e la serratura si sbloccò,
consentendo loro
l'accesso all'appartamento.
«Direi di sì,»
replicò Pepper con qualche secondo di ritardo, varcando la
soglia
prima di Tony, che le tenne aperta la porta con spontanea galanteria.
«Mi hanno applaudito,»
rincarò lui, quasi apprensivo, gettando la giacca dello
smoking
sullo schienale del divano e liberandosi del papillon, come un
condannato graziato all'ultimo che si libera del nodo scorsoio.
«E la cosa la
stupisce?»
Pepper stava
accuratamente evitando di guardarlo in volto, ma almeno sembrava aver
ritrovato la parola; lui si impegnò a sua volta a
distogliere educatamente lo
sguardo quando lei si chinò accanto a lui per togliersi i
tacchi.
«Un po'. Mi aspettavo
fischi e gente che prendeva torce e forconi per la caccia al
mostro,»
sbuffò, attraversando il salone e lasciandosi cadere sulla
poltrona con malcelata insofferenza, dopo aver abbandonato il bastone
per terra senza troppe cerimonie.
Stese la gamba meccanica sul poggiapiedi e si beò del netto
sollievo che si propagò dal moncherino in su non appena la
pressione
su di esso diminuì. Probabilmente sarebbe stato meglio
rimuoverla
per la notte, ma piuttosto che compiere l'operazione davanti a Pepper
avrebbe preferito tornare sul palco con migliaia di occhi appuntati
addosso.
«In tal caso, non
saresti stato tu a dover scappare,»
osservò lei, con una
luce vagamente omicida negli occhi che la diceva lunga sulla linea di
difesa che stava progettando in previsione dell'imminente boom di
gossip.
«Ricordami di non
prestarti mai l'armatura,» sorrise Tony,
ricevendo uno sbuffo
divertito in risposta, in verità non molto rassicurante.
La osservò affascinato
mentre si liberava con sollievo i capelli dalla complessa
acconciatura in cui erano costretti, togliendo una ad una le forcine e
lasciandoli ricadere in onde
ramate sulle spalle, per poi raccoglierli di nuovo in una crocchia
morbida. Lei intercettò il suo sguardo e Tony lo
abbassò con un istante
di ritardo; colse un sorrisino esitante da parte sua, ma poteva anche
essere stato solo un'ombra fugace.
La donna si sedette
nell'angolo del divano a un passo dalla sua poltrona, con le gambe
ripiegate sotto di sé, e Tony torse appena il busto per
rivolgersi
verso di lei, nonostante nessuno dei due sembrasse avere intenzione
di guardare in faccia l'altro.
«Vuoi ancora parlarne?»
cominciò esitante Pepper dopo quelli che parvero interi
minuti,
riprendendo il discorso lasciato in sospeso dietro le quinte.
Tony sfuggì il suo
sguardo e lo puntò sulla skyline di New York, fingendo
interesse per
un elicottero di passaggio e fingendo anche che le sue budella non
avessero preso ad annodarsi tra loro in modi fantasiosi e
inestricabili.
«Ne ho già parlato col
Doc,» esordì, sviando solo momentaneamente il
discorso, e poté
cogliere il moto di sgomento della donna anche senza guardarla.
«E
con Rhodey. E anche la presentazione di oggi ha aiutato a vedere il
tutto in modo più... razionale.» Esitò,
umettandosi le labbra.
«Sono riuscito a mettere qualche dettaglio in prospettiva.
Vorrei
fare lo stesso adesso, con te,» enunciò d'un fiato.
Le scoccò un'occhiata
di sottecchi e mantenne il capo chino, accavallando le gambe
nonostante la fitta lancinante che ciò gli
provocò.
«Hai risolto con
Rhodes?» s'informò lei, con chiara aspettativa, e
Tony non si stupì del fatto che avesse frenato la sua
curiosità per altre questioni concentrandosi su quella che
sapeva essere importante per lui.
«Se ieri fossi tornata, ci avresti trovati mezzi brilli a
rivangare tutte le cazzate
che abbiamo combinato al MIT,» offrì lui in
risposta, con un
sorriso sghembo che lei ricambiò appena.
«Sono contenta che
abbiate chiarito. Rhodey ci tiene, a te,» aggiunse, con
ovvietà.
«Lo so. Forse anche più
di quanto mi merito,» ribatté, con un pizzico di
amarezza, e non
riuscì a frenare uno sguardo verso di lei, a sottintendere
tutte le
altre cose che non si sarebbe meritato.
«E in base a cosa decidi
cosa ti meriti?» gli chiese a tradimento Pepper, con una
calma
assoluta che non gli riusciva di decifrare come positiva o negativa.
«Diciamo che essere un
C-3PO mancato non aiuta la mia causa,» ribatté
spigliato, col suo
solito fare sicuro minato in verità da mille dubbi, e nel
dirlo
sollevò la protesi.
«Hai parlato anche di
questo, con Ian e Rhodey?» indagò Pepper, e Tony
fu grato per
quella sua pacatezza, e per il modo in cui stava cercando di non
farlo sentire giudicato mentre si addentravano nell'argomento.
«Più o meno,»
bofonchiò, sprofondando più comodamente nella
poltrona. «Non di
tutto. Ho pensato che fosse meglio chiarire un paio di fatti solo con
te,» spiegò, con crescente nervosismo.
«Ti ascolto,» rispose
lei, senza esitare.
A quel punto sollevò lo sguardo verso
di lui,
in attesa. Lui tentennò. Di nuovo,
sapeva cosa stava facendo... e non lo sapeva, brancolava nel buio dei
suoi stessi pensieri, che ormai vedevano solo un solido muro a tre
mesi di distanza. E non sapeva parlare alle persone; soprattutto, non
sapeva parlare di se stesso ad altri, e farlo con Pepper era quanto
di più terrificante riuscisse a immaginare. Ma doveva
riuscirci.
«Che non straveda per
il mio corpo credo sia evidente,» proferì infine,
frettolosamente,
come se il minimo istante di esitazione avesse potuto far svanire
quelle parole. «D'altronde, non pensavo che la clausola del
contratto per diventare Iron Man implicasse diventarlo di nome e di
fatto.»
Nel momento stesso in
cui finì di parlare, ebbe la netta impressione di essere
completamente nudo di fronte ai suoi occhi, con anche un paio di
riflettori a mettere in risalto ogni suo difetto. Strinse i denti e
incrociò le braccia facendosi più piccolo che
poté sul suo sedile, colto
dalla frustrazione e da quel bisogno improvviso e vitale di ritrarsi,
coprirsi e nascondere le sue brutture, le sue ferite, le sue protesi,
tutto ciò che percepiva come sbagliato ed estraneo e che
pesava ogni
giorno di più. Desiderò di avere di nuovo
l'armatura addosso per
potersi almeno librare in aria nonostante quel fardello.
«E da quando è
diventato un problema?»
La voce gentile di
Pepper fu un balsamo. Tony masticò a vuoto, cercando il
coraggio che
gli era mancato per più di un anno.
«Non so dire con
esattezza quando,
ma... la mia immagine pubblica non ha
aiutato,»
confessò infine, con lo sguardo puntato con decisione su una
giuntura della protesi inferiore, escludendo tutto ciò che
lo
circondava e cercando di ignorare la sensazione che qualcuno stesse
sghignazzando alle sue spalle. «Insomma, per mesi non si
è parlato
d'altro che... lo sai. Avrai letto lo scoop della Everhart,»
s'impappinò,
odiandosi per quelle incertezze e per non essere più in
grado di
calare una rassicurante maschera sul proprio volto.
«L'ho letto,» rispose
Pepper, gli parve con freddezza. «E non sei certo tu
a
doverti vergognare,» concluse, e una occhiata fugace nella
sua
direzione bastò a focalizzare il suo cipiglio
improvvisamente fosco.
«Forse è davvero un bene non saper usare la tua
armatura,»
aggiunse, in un blando tentativo di calmarsi che non soffocò
comunque la sua voce vibrante d'indignazione.
Tony le sorrise, e
percepì un sordo indolenzimento al centro delle spalle non
appena i
suoi muscoli contratti si rilassarono appena, per poi contrarsi alle
successive parole della donna:
«Non fraintendermi:
penso ancora che tu abbia agito in modo sconsiderato, ma non per i
motivi che pensi tu,» puntualizzò, adesso
lievemente irritata. «Se
non fosse stato per quelle foto, avremmo concluso il processo molto
prima,» spiegò poi, con voce priva d'inflessione.
«Quindi è solo
per quello?»
Tony non poté nascondere un pizzico
di delusione che
si rendeva conto essere totalmente fuori luogo, e che
suscitò infatti lo
sguardo severo di Pepper.
«Ho visto donne uscire
dal tuo letto per dieci anni, Tony. Non sono così
impressionabile,»
replicò, con secca schiettezza e un alone rosso che iniziava
a
propagarsi sulle sue guance.
«Il contratto di
sincerità vincola entrambi,» le ricordò
senza scomporsi,
indirizzandole un occhiolino d'incoraggiamento.
Lei esalò un sospiro,
in cui a Tony parve di sentire un sorriso. Nella penombra, non poteva
esserne certo.
«Mi ha... infastidita,»
ammise, laconica e vagamente scocciata.
«Vede? Ormai la conosco,
signorina Potts,» esultò lui, rivolgendole
però uno sguardo privo
di malizia e colmo invece di colpevolezza, ora certo di quanto quel
fatto l'avesse turbata all'epoca.
«Ti ricordo che
all'inizio tu eri geloso di Kyle,»
contrattaccò Pepper, inoppugnabile.
«Touché,»
sospirò a sua volta Tony, colto in fallo e senza argomenti a
suo
favore.
Un breve silenzio seguì
quella parentesi scherzosa, lasciando loro modo di riprendere il filo
dei propri pensieri.
«Quando sei tornato
dall'Afghanistan ho apprezzato il tuo “cambio
d'abitudini”,»
riprese poi Pepper, attirando di nuovo la sua attenzione.
«Quello
che hai fatto con la Everhart mi ha... spiazzato. Credevo di aver
frainteso tutto.»
Tony inspirò a fondo, e
a lungo, prima di decidersi a rispondere.
«Ero talmente
arrabbiato, Pep. Avevo bisogno di... distrarmi, di sentirmi normale,
magari di tornare per un attimo ai “vecchi tempi”.
Ho ceduto. E
dopo ero solo più arrabbiato con me stesso, con lei, col
mondo che
mi avrebbe riso in faccia come in effetti ha fatto...»
risucchiò un
respiro tremolante. «È andato tutto a catafascio
da lì in poi, per
una scopata finita male,» sbottò, in un tentativo
d'ironia che si ridusse a uno sbocco di fiele.
Il solo ricordo gli
causò una vampata di vergogna che gli risalì al
volto, e fu lieto di non essere in piena luce.
«È per quello che ti
sei ubriacato e... e tutto il resto?»
«Anche,» Tony soppesò
la domanda, faticando a trovare dei nessi logici nelle sue azioni.
«Avevo rovinato tutto con le mie mani, ti avevo messa in
mezzo al
processo e avevo allontanato te e chi cercava di aiutarmi,»
disse
d'un fiato, gettando fuori tutto, di nuovo, come aveva fatto con Ian
e con Rhodey.
E stavolta fu più
facile, come se si fosse allenato a dovere per una corsa invece di
presentarsi il giorno della gara pretendendo di vincere senza aver
fatto sforzi.
«Poi ti ho ferita, e
quello è qualcosa che non potevo e non posso
perdonarmi,»
concluse, stentando a trovare la voce.
«Tony, è stato un
incidente,» replicò lei, senza rancore, ma
notò il modo in cui
portò la mano al braccio, proprio dove le aveva fatto male.
«Essere stato ubriaco
non è una scusa, anzi,» la contraddisse, senza
vacillare e
rifiutando giustificazioni inesistenti.
«Infatti non lo è,»
ribadì lei, con durezza e senza scontare le sue
responsabilità. «Ma
so che non lo faresti mai di proposito. Se avessi
avuto anche
un solo
dubbio al riguardo, non sarei qui.»
Tony tacque, rendendosi
conto di aver serrato il pugno metallico fino a farlo tremare.
«Mi dispiace,» riuscì
a dire, incapace di guardarla.
«Lo so,» rispose lei,
in tono così delicato da sembrare una carezza. «Ma
questo non è un buon motivo per tenermi a
distanza,» aggiunse, ancora
più piano.
Tony si girò finalmente
verso di lei, come mosso dalla sua voce, e incontrò i suoi
occhi,
che invece sembravano non essersi mai distolti da lui per tutto quel
tempo. Si sentì di nuovo messo a nudo, ma non nel modo
derisorio che
aveva imparato a odiare, ma in quello con cui Pepper era sempre
riuscita a superare tutte le sue barriere.
«Cosa vuoi fare,
adesso?» gli chiese a sorpresa.
«Trovare una soluzione,
come sempre,» replicò piattamente lui, d'istinto.
«Cosa vuoi fare
davvero?»
«La lista dei miei
hobby si è drasticamente ridotta,»
svicolò di nuovo lui.
«Tony, non ti ho visto
lavorare al reattore da almeno un mese,» lo
assecondò infine,
rinunciando a ottenere una risposta alla sua vera domanda.
Lui non replicò e prese
a tormentarsi intentamente una giuntura della mano meccanica.
«Perché non ho fatto alcun progresso.»
Vide Pepper impallidire.
«Il dilitio serve solo ad
alleviare i sintomi e a rallentare un po' l'intossicazione. Sto meglio,
ma non sto davvero guarendo,»
fece una pausa, lasciando che Pepper assorbisse quella notizia,
nonostante non fosse una novità per nessuno dei due.
«Quanto...»
«Tre mesi,» la
anticipò lui, a mezza voce.
«Non puoi arrenderti così, Tony,»
esalò lei, con un'acuta nota di paura nella voce.
«Ho fatto il
possibile,» replicò lui, in tono stanco.
«Ora voglio solo...» si
bloccò, mentre un
fiume di immagini si riversava nella sua testa.
Il fischio del vento quando volava; la sabbia calda sotto i piedi a
Malibu e le onde fresche e salmastre dell'oceano; i battibecchi con Cap
e le zuffe con Nat e i dibattiti con Bruce; gli incontri di boxe e le
gare sulla Pacific con Happy; le feste noiose animate da Rhodey e da
qualche drink di troppo; il suo laboratorio e le diatribe senza fine
con Dum-E e U, i traffici notturni per costruire quel che voleva
esattamente come lo immaginava; Pepper e i suoi capelli setosi, il suo
profumo di casa, il suo tocco gentile, le sue labbra morbide e le
braccia che avrebbe voluto accettare per sentirla con tutto se stesso.
«Non voglio più
perdere tempo,» si trovò a mormorare quasi tra
sé, in quella che
era più una preghiera che una risoluzione.
Di nuovo, si
appellò a
lei e ai suoi occhi, che lo ricambiarono con quieta
aspettativa.
«Ma
non so come dovrei...» s'interruppe ed inspirò
bruscamente,
alzandosi poi a fatica e approcciandola senza la minima idea di cosa
stesse facendo, col cuore che tambureggiava nel petto. «Non
so
neanche da dove cominciare, e non...» s'interruppe quando
Pepper si
alzò davanti a lui, con elegante cautela.
Gli prese lentamente la
mano, come aveva fatto lui prima della presentazione. Tony si
contrasse d'istinto, ancora consapevole del peso delle protesi e
con l'unico desiderio di coprire il proprio volto e di riempire quel
silenzio, ma riuscì a
perdersi in quel semplice contatto, estraniandosi da tutto il resto.
«È davvero così
difficile?» lo canzonò dolcemente Pepper, posando
anche l'altra
mano a racchiudere la sua, e Tony inclinò appena le labbra
nel suo
solito sorrisetto obliquo.
«È che non sono
abituato a...»
"... ad essere
amato," pensò, in un lampo fuggevole.
«... a un interesse
disinteressato,» parafrasò invece, annodandosi la
lingua e
facendola sorridere appena. «Mi confonde, non... non rientra
nei
miei parametri e finisco per fare stronzate. Come dopo
l'inaugurazione,» terminò d'un fiato, e si rese
conto di essersi
inconsapevolmente accostato a lei, col corpo che riusciva finalmente
a ignorare almeno in parte le catene che lo trattenevano.
La sua mano si mosse
d'istinto, liberandosi dalla presa di Pepper, e per una volta non la
trattenne, nonostante la rigida titubanza con cui si mosse:
catturò
quella ciocca di capelli sfuggente che le cadeva sempre davanti al
volto e gliela sistemò dietro l'orecchio, portando a termine
un
gesto rimasto troppo a lungo in sospeso. Pepper non gli diede il
tempo di fare o dire nient'altro e lo cinse in vita con un abbraccio,
stringendo con forza la stoffa della camicia sulla sua schiena. Tony
sobbalzò, ma
si mosse impacciato a ricambiare, e si accorse subito di quanto
Pepper fosse rimasta rigida nella sua stretta; per un attimo temette di
aver commesso un qualche errore irreparabile e si chiese se non dovesse
ritrarre il braccio meccanico, ma quando accennò a farlo, fu
Pepper stessa a trattenerlo.
«Promettimi che non ti
arrenderai,» la sentì sussurrare contro di lui,
con una voce contratta che gli
ferì le orecchie.
Lui annuì appena,
stordito, evitando di ricordarle che non era bravo a mantenere le
promesse.
«Pep, te l'ho appena
detto, io...»
«Ho
bisogno di sentirtelo dire,» lo
incalzò, con una sofferta urgenza che non aveva mai sentito.
La vocina invadente
continuava a gridargli di staccarsi da lei, che stava sbagliando, che
avrebbe dovuto annullarsi in quell'istante e rifuggire quel contatto
che sembrava bruciargli addosso, scaldandolo al contempo.
Invece si ritrasse da quel vortice minaccioso e invitante e la strinse
di più a sé
col respiro corto, lasciando che nascondesse il viso nell'incavo
della sua spalla. La sentì sussultare appena e non ebbe
bisogno di
guardarla in volto per capire che stava piangendo, né aveva
intenzione di farlo. Si sentiva come se stesse custodendo qualcosa di
estremamente raro, fragile e prezioso che non aveva però
diritto a
guardare. La cullò in silenzio, accompagnando il suo pianto
con
lievi, impalpabili carezze lungo la schiena, lasciando che liberasse il
suo dolore e fornendole al contempo gli argini per contenerlo,
impedendole di rimanerne sopraffatta.
Solo dopo lunghi minuti,
quando la sentì tirare un lungo sospiro tremolate,
trovò il
coraggio di inclinarle appena il viso con un indice e lasciarle un
bacio sulle labbra, senza osare di più. Il suo cuore
sfarfallò in uno
sprazzo di viva euforia quando
le sentì inclinarsi appena
verso l'alto, per poi tornare
a lambire le sue,
altrettanto delicate. Si sentì lontano da lì e
dal proprio corpo, avvolto completamente in quel contatto, che
andò ad espandere quel piccolo punto tra il reattore e il
cuore finché non gli invase del tutto il petto, in una
vertigine che sciolse i nodi che lo ancoravano a terra,
«Te lo prometto,»
mormorò a un soffio da lei, ancorandosi ora alle sue iridi
lucide
per non far tremare la voce.
Lei annuì
impercettibilmente, e la sorresse quando la sentì rilassarsi
del
tutto nelle sue braccia. Premette le labbra sui suoi capelli, ne
aspirò
a fondo il profumo e lo sentì farsi strada nei polmoni, nel
petto,
nello stomaco, fino a permeare il suo intero corpo di un calore
sottile che raggiungeva anche i suoi pezzi freddi e inerti.
I punti fermi, in fondo, erano sempre stati accanto a lui.
E fu così che dopo sei anni, 44
Vi avevo ingannato con quel "Supernova" accoppiato ai buchi neri, eh? (sperodisì) Invece, strano a dirsi, Tony ha scampato il buco nero :')
Questo l'ho soprannominato il "capitolo delle chiacchiere", per ovvi motivi. E spero che il tutto, seppur abbastanza denso di eventi, sia risultato gradevole e coerente con tutto ciò che è accaduto in precedenza.
Ringrazio enormemente _Atlas_, T612, Enigmista96, 50shadesOfLOTS_Always ed Emyclarinet che hanno recensito lo scorso capitolo mandandomi al settimo cielo. Ringrazio in particolare T612, che mi ha ispirato il dialogo sui limiti tra Rhodey e Tony grazie alla sua one-shot Limitless, che vi invito caldamente a leggere, perché merita veramente tanto <3
Infine, dedico il capitolo alla mia carissima Atlas, che 'sta scena l'ha aspettata per sei anni interi :') E so che mi hai maledetta ad ogni stretta di mano tra Tony e Pepper... ma spero di essermi fatta perdonare ;)
I prossimi aggiornamenti saranno uno attorno a Natale (tra il 24 e il 27) e uno nell'anno nuovo (tra il 6 e il 10). Non so dare una data precisa perché dalla settimana prossima sarò dispersa in terra tedesca e intenta ad abbuffarmi di dolcetti&birra&vin brulé, quindi il tempo per scrivere sarà ridotto. Almeno uno dei due è però assicurato :)
Nel dubbio, vi saluto augurandovi tante Buone Feste <3
Un abbraccio a tutti voi,
-Light-
P.S. Gli Imagine Dragons hanno fatto uscire il loro nuovo album in fase di stesura di questo capitolo: grazie a loro e alla canzone d'intro (di cui avrei anche potuto mettere tutto il testo, che tanto pareva fatto apposta per quello che volevo scrivere), vi siete scampati il triplo dell'angst previsto <3
*COMUNICAZIONE DI SERVIZIO*
A partire dal prossimo capitolo, Phoenix verrà trasferita sul fandom di The Avengers!
© Marvel