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Autore: ___MoonLight    16/12/2018    5 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Neutron star




"Spend my days cursing my soul
Wishing I could paint my scars to make me whole
Oh, I know I could be better
But my love, I won't give up"

[West Coast – Imagine Dragons]







28 Aprile, Triskelion, Washington D.C., 16:30

Chissà quante volte suo padre si era seduto in quello stesso punto.
Non era un quesito rilevante, né razionale, né in qualche modo fondato: in realtà era molto probabile che quell'ala del Triskelion non fosse neanche esistita, ai suoi tempi. Il pensiero era semplicemente emerso di sua sponte nella sua testa ed era rimasto lì, percepibile ma non invadente, come un discreto invito a prendere in considerazione quella possibilità. Era lo stesso pensiero che lo spingeva a tenere la schiena un po' più dritta e lo sguardo un po' più saldo anche di fronte alla consueta espressione temporalesca di Fury, seduto dall'altro lato della scrivania.
Tony rimase ancora in pacata attesa che fosse lui a parlare per primo, mentre questi sembrava più incline a stilare un catalogo mentale di ogni oggetto presente nel suo vasto ufficio, almeno a giudicare dal modo in cui il suo sguardo saettava qua e là senza fissarsi in un punto in particolare. Tony gettò un'occhiata annoiata verso Washington, sopra la quale svettava la sagoma appuntita dell'obelisco; non sembrava così maestoso, visto dall'altezza considerevole del quartier generale dello SHIELD che dominava l'intera città dalla sua roccaforte sul Potomac. Aveva un vago ricordo della mastodontica struttura ancora in costruzione, quando da ragazzino suo padre l'aveva trascinato di peso nella capitale in uno dei suoi viaggi d'affari per “insegnargli il mestiere”. Di quel viaggio ricordava solo un paio di riunioni noiose, un breve incontro con Peggy, una visita alla Casa Bianca dalla quale si era defilato e un'infinità di paternali di cui aveva rimosso le parole precise, trattenendone solo il tono burbero e di rimprovero per la sua scarsa attenzione e rispetto verso l'eredità di famiglia.
Allora non aveva neanche lontanamente immaginato che quell'eredità gli sarebbe poi piombata tra capo e collo un paio d'anni dopo, né quali legami intercorressero tra lo SHIELD e le Industries né, tanto meno, che a distanza di quasi vent'anni si sarebbe ritrovato lui stesso coinvolto negli “affari” su cui suo padre aveva mantenuto un religioso riserbo. Non era certo che sarebbe stato fiero di come stava gestendo quel retaggio.
Tamburellò con le dita sulla scrivania, in un gesto di lieve impazienza che sperava riuscisse a rompere l'apparente mutismo di Fury, sprofondato nelle sue elucubrazioni mentali da quando gli aveva annunciato, senza troppi giri di parole, della sua intossicazione e di ciò che avrebbe comportato di lì a tre mesi.
Non aveva esattamente pianificato o annunciato quella visita. Era più corretto dire che, dopo un'estenuante udienza in tribunale e uno sgradito colloquio con Stern al Pentagono, si fosse presentato di punto in bianco al Triskelion. Si era rallegrato del fatto che il suo livello d'autorizzazione fosse rimasto immutato, sufficiente a garantirgli l'accesso all'hub centrale e al piano degli uffici prima di essere intercettato da Coulson. Ci erano volute un po' di moine e qualche sguardo implorante per convincerlo a scortarlo da Fury, ma Agente non aveva poi opposto molta resistenza e, dopo il primo momento di sconcerto probabilmente dovuto al suo aspetto provato, l'aveva accolto con insolita vivacità.
Fury non era sembrato dello stesso umore, e Tony era certo che avesse subodorato all'istante come quella non fosse una semplice visita di piacere. Lui stesso, d'altro canto, non si era più preoccupato di rendere credibile la propria maschera gioviale non appena Coulson aveva lasciato l'ufficio. Aveva saltato in toto i convenevoli e, in altre circostanze, si sarebbe anche compiaciuto della reazione spiazzata di Fury al suo lugubre annuncio.
A giudicare dalla pausa riflessiva del direttore, questo non l'aveva previsto.
«Ti devo delle scuse,» proruppe infine questi, rivolgendogli uno sguardo penetrante che Tony sostenne senza esitazioni.
«Risparmiatele,» replicò lapidario, e quelle parole accentuarono le pieghe sulla fronte del direttore. «Non ho bisogno di sentirmi dire che “ti dispiace” solo perché adesso sto morendo. Se davvero avessi voluto scusarti per come mi hai trattato, lo avresti fatto tempo fa,» continuò piattamente, senza però nascondere il proprio risentimento al ricordo dei primi, atroci mesi subito dopo l'incidente.
L'unica risposta di Fury fu un lungo sospiro e un'aggrottata di sopracciglia, ma, invece di alterarsi come avrebbe solitamente fatto per una risposta così impudente, si limitò a scrollare il capo.
«Non insisterò di certo,» stabilì infine. «Quindi? Sei venuto fin qui solo per dirmi questo?» chiese poi, di nuovo burbero e dritto al punto.
Tony incrociò le braccia tirando le labbra in una smorfia obliqua, riluttante a rispondere.
«Avevo alcune faccende legali da sbrogliare qui a Washington, ma sono sicuro che tu ne sia già al corrente.»
Il lieve cenno d'assenso di Fury confermò le sue parole.
«Sembra che sia stata una vittoria su tutti i fronti,» commentò poi, e Tony captò un sottofondo compiaciuto in quell'affermazione, a cui rispose con un sogghigno tetro.
«Magra consolazione,» disse con amarezza. «E comunque, sono ancora colpevole di essere stato Iron Man, almeno secondo Stern,» aggiunse con uno sbuffo seccato.
«Sempre meglio di essere condannato per omicidio,» gli fece notare Fury, dando peso ad ogni parola.
«Probabilmente l'ho ucciso davvero io,» ribatté Tony, serrando appena la mascella in modo involontario, quasi a frantumare l'immagine di Iron Monger che aveva fatto capolino nella sua testa. «Ma penso che riuscirò comunque a dormire la notte,» aggiunse con spavalderia forzata, visto che non riusciva a ricordare l'ultima volta che avesse dormito indisturbato per più di tre ore di fila. «Spero che lo SHIELD riesca a fare lo stesso,» lo provocò poi, ammiccando con complicità.
Fury scelse di non confermare né negare quell'insinuazione, ma il suo unico occhio s'incupì, e Tony si accontentò di quel silenzio carico di sottintesi. D'altronde, non serviva un genio come lui per capire che il suo processo fosse andato a buon fine non solo grazie alla competenza di Kyle, ma anche e soprattutto per le ingerenze dell'Agenzia; senso di colpa, forse, o forse solo molti interessi a garantirsi le sue simpatie a lungo termine – oltre ai suoi finanziamenti. In fondo, gli stava bene così: non aveva mai preteso di giocare ai migliori amici con Fury, né si aspettava che le manovre di quest'ultimo esulassero dai tornaconti personali dello SHIELD. Se il tutto andava a suo beneficio, tanto meglio.
Anche adesso, era sicuro che le rotelle del direttore stessero ruotando a velocità frenetica alla ricerca di un modo per “tappare il buco”, stavolta definitivo, che Iron Man avrebbe inevitabilmente lasciato di lì a poco. E, probabilmente, a uno per mettere le mani sulla sua tecnologia. Per sua sfortuna, Tony aveva già provveduto a salvaguardare con largo anticipo il proprio retaggio nel modo che gli era più congeniale. Sì, suo padre sarebbe davvero stato fiero di lui...
«Hai intenzione di dirlo alla squadra?» gli chiese a quel punto Fury, dirottando sveltamente l'argomento.
«Mi stai chiedendo cosa voglio? A me? Questa sì che è una novità,» Tony finse stupore, portandosi leziosamente una mano al petto a sottolineare il suo sarcasmo.
Fury si mantenne imperturbabile, in pacata attesa di una risposta; Tony respirò a fondo, reclinandosi sullo schienale e girando appena sulla sedia da ufficio.
«Sì,» sospirò dopo un po', più conciliante. «Non vorrei, ma devo,» puntualizzò, poco entusiasta.
«Non sei obbligato,» lo sorprese Fury, con apparente ovvietà.
Quell'offerta di coprirlo si discostava dalla linea d'azione che Tony aveva previsto: nascondere la sua imminente dipartita sarebbe andato a netto svantaggio di una riorganizzazione logistica della squadra in tempi brevi. E forse, anche di un possibile recupero emotivo dei suoi componenti. Non amava soffermarsi su quell'aspetto, che finiva sempre per dividerlo tra la parte di sé che si aspettava un sospiro di sollievo collettivo per la scomparsa del loro membro più inutile, e quella che temeva invece... non sapeva esattamente cosa. Quando ci pensava, riemergevano sempre gli stessi fotogrammi: Bruce che lo sorreggeva e lo incoraggiava, rimproverandolo duramente per essersi lasciato andare; il biglietto che gli aveva scritto Clint una vita fa, ancora custodito in un cassetto; Nataša che lo abbracciava con calore, contenta di vederlo di nuovo in piedi; la delusione di Thor, perché dall' “uomo di ferro” si era aspettato molto di più; Coulson che si metteva in prima linea per lui, offrendogli una seconda opportunità; Rogers che gli stringeva con naturalezza la mano inerte che lui odiava invece con tutto se stesso.
«Preferisco che lo sappiano da me, piuttosto che lo scoprano da un titolo di giornale probabilmente poco lusinghiero,» rispose infine, con la gola improvvisamente secca che gli arrochì la voce.

Non si meritano il mio silenzio,” concluse, ma tenne quella considerazione per sé.
«Potts lo sa?»
Nonostante l'andamento schematico e formale della conversazione, o interrogatorio, vi fu un'insolita delicatezza nel tono in cui Fury pose quella domanda.
«Da mesi,» confessò quindi, sfuggendo per la prima volta il suo sguardo.
Strinse il cellulare nella tasca con la mano meccanica, terribilmente conscio che Pepper non aveva ancora risposto al messaggio in cui le annunciava di
aver fatto progressi per il rilascio della licenza e di essere stato prosciolto dalla maggior parte delle accuse, sebbene fosse ancora lontano da un'assoluzione completa. Forse avrebbe dovuto chiamarla direttamente, ma percepiva un cardiopalma al solo pensiero, considerando gli eventi di qualche giorno prima. Non lo aveva neanche accompagnato al processo, accampando vaghi impegni organizzativi alla Expo. E la presentazione del Progetto Phoenix era ormai dietro l'angolo. Si costrinse ad allentare la presa, o avrebbe finito per frantumare il telefono.
«E il colonnello Rhodes?» lo riscosse ancora Fury, nel chiaro intento di recuperare tutti i vari tasselli di cui era rimasto all'oscuro finora per comporre una panoramica della situazione.
Tony tacque per qualche istante.
«Abbiamo litigato giusto l'altro giorno,» rivelò infine, decidendo di non girarci troppo intorno. «Non sapeva del mio tentato suicidio e non l'ha presa bene quando ho deciso di dirglielo. Né il suicidio, né il fatto di non averlo saputo prima.»
Lo sguardo di Fury si intensificò e lui molleggiò con fare nervoso sulla sedia, la testa incassata nelle spalle.
«Poi l'ho informato dell'intossicazione e l'ha presa anche peggio.» A quel punto alzò appena lo sguardo. «Ha detto che avrebbe preferito saperlo direttamente al mio funerale, piuttosto che scoprire che gli avevo mentito così a lungo. Non so quanto senso abbia, ma immagino che sia quello che mi merito,» concluse, con un sorriso ironico ma tirato.
Fury inspirò rumorosamente dalle narici, quasi stesse per soffiare fuoco e fiamme, fissandolo in modo indecifrabile ma indubbiamente rabbuiato. Probabilmente stava ponderando cosa diavolo dovesse fare di lui, adesso che si era rivelato inservibile.
«Anch'io avrei gradito aggiornamenti più tempestivi,» masticò infine, e in cuor suo Tony gli fu grato per non aver edulcorato il suo fastidio.
Non avrebbe sopportato di sentirsi trattare con i guanti solo in luce delle sue condizioni.
«Tre mesi non sono molti per trovare un rimpiazzo, ma...» cominciò Tony, con consumata disinvoltura, ma fu interrotto sul nascere:
«Un “rimpiazzo”?» sbottò, seccamente. «Cos'è, pensi che possa prendere il primo agente che passa, ficcarlo nell'armatura e sperare per il meglio?»
Tony emise un verso snervato, alzando l'occhio al cielo.
«Buon Dio, no, così mi faresti rivoltare nella tomba,» scosse la testa, sfoggiando un'espressione orripilata. «Stavo per dire che potrei ovviare io stesso all'inconveniente da me creato,» disse poi, poggiando con nonchalance il braccio metallico sulla scrivania.
Colse una scintilla d'interesse nello sguardo di Fury, un chiaro invito a continuare.
«Tanto per cominciare, avrai comunque l'Iron Legion,» esordì, ricevendo un prudente cenno d'assenso in risposta. «Il progetto è ultimato, ho il primo prototipo pronto e sono sicuro che ne farai buon uso. Poi, ho qualche altro progettino in cantiere...» sfoderò il cellulare e lo poggiò sul tavolo in mezzo a loro, attivando un ologramma con dei tocchi veloci e precisi.
Il modello 3D di un'armatura si materializzò nel cono azzurrino, e Fury si fece corrucciato.
«Questa sarebbe la soluzione?» interpretò poco convinto. «Un restyiling completo dell'armatura con qualche cannone in più?» lo incalzò, ruotando qua e là il modello con un dito mentre esaminava con scetticismo le aggiunte ed evidenti modifiche.
«Progetto War Machine,» enunciò lui, stringato. «L'idea di un'armatura guidata a distanza si è arenata,» confessò con lieve disappunto. «Ci serve ancora un elemento umano, quindi ho pensato che, se cambia la persona all'interno, sarebbe stato meglio distanziare l'armatura dalla vecchia immagine associata a me,» spiegò pragmaticamente. «E poi, Rhodey odia il rosso-oro,» aggiunse con un sorrisetto furbo, compiacendosi dello smarrimento di Fury a quelle parole.
«Credevo aveste litigato,» tentò poi di raccapezzarsi, facendo uno sforzo invidiabile per mantenere la sua aria compassata.
«Non sono nella posizione di poter fare lo schizzinoso ed è l'unica persona a cui passerei il testimone. Il fatto che in questo momento mi detesti è secondario,» replicò lui, senza battere ciglio.
«E lui è al corrente di questa tua decisione?»
«Sì...» Tony guardò ostentatamente il suo orologio da polso e alzò un sopracciglio. «... da circa un paio d'ore, ad essere precisi,» concluse soddisfatto, esibendo un sorriso disarmante.
Fury scosse la testa con fare rassegnato, guardandolo con l'aria di un vecchio preside che scruti con rimprovero un discolo finito per l'ennesima volta nel suo ufficio.
«Dovrò vagliare la proposta, possibilmente discutendone di persona anche con Rhodes,» dichiarò poi. «Nel frattempo, gradirei che non ne facessi parola con la squadra,» si raccomandò, con uno sguardo intimidatorio.
«Sissignore,» gli fece il verso lui. «Quindi ho il permesso di incontrarli?» chiese, con un velo d'ironia.
«Barton e Romanov sono già qui per fare rapporto. Posso convocare gli altri per una riunione straordinaria entro la prossima settimana,» stimò infine, intrecciando le mani sulla scrivania.
«Fallo entro domani,» gli intimò asciutto Tony, facendo leva sul bastone per alzarsi in piedi. «Come avrai intuito, non ho tempo da perdere.»


***


29 Aprile, Triskelion, 15:30

La mano nel petto gli stava comprimendo i polmoni, lentamente, un centimetro alla volta. Non lo diede a vedere e continuò a prendere piccoli respiri superficiali, schiudendo appena la bocca per permettere all'aria di filtrarvi quel tanto che bastava per non andare in ipossia. Tentò di traslare quel flusso al naso, sperando di liberarsi di quella morsa, ma tutto ciò che ottenne fu una contrazione spastica del diaframma e un singulto che riuscì a soffocare quasi del tutto. Catturò comunque l'attenzione di Coulson, che gli rivolse uno sguardo da sopra la spalla mentre frenava appena i suoi passi elastici.
«Tutto bene?»
Si concentrò per costringere l'aria a muoversi e far vibrare le corde vocali, dove si era impigliata in un bolo soffocante. Tirò un sorrisetto disinvolto.
«Sì,» spezzò infine quel lucchetto immaginario e si trattenne dall'inalare troppo apertamente una boccata d'ossigeno. «Solo panico da palcoscenico,» sdrammatizzò, pungolandolo dispettosamente col bastone tra le scapole per sospingerlo.
Coulson emise un mezzo sospiro indecifrabile e coprì gli ultimi metri che li separavano dalla sala riunioni. Gli fece cenno di entrare, già pronto a tornare alle sue occupazioni, ma Tony esitò. L'agente si accigliò, sospettoso come sempre, e prese a scrutarlo da capo a piedi quasi fosse in cerca di un segno rivelatore per giustificare quell'improvvisa titubanza
«Se vuole assistere...» esordì Tony, quasi distrattamente, e l'Agente scrollò le spalle.
«Non ne ho bisogno,» declinò concisamente, inclinando le labbra in un sorriso gentile ma venato di tristezza.
«Fury e la sua “discrezione”... dovevo aspettarmelo,» commentò Tony, scuotendo appena la testa, senza rancore.
«Buona fortuna, Stark,» si congedò Coulson con un lieve cenno del capo, per poi superarlo e allontanarsi senza fretta.
«Grazie, Agente,» replicò lui a mezza voce, senza girarsi e con lo sguardo appuntato sulla maniglia.
Sperò che l'avesse sentito.
Si assicurò di aver riconquistato il controllo dei propri polmoni prima di aprire la porta, trovando un tenue conforto nel fatto che almeno il panico poteva provare a gestirlo, al contrario dei sintomi dell'intossicazione. Si trovò a ringraziare per l'ennesima volta il dilitio e i suoi effetti benefici e lenitivi.
Una sfilza di saluti decisamente più calorosi di quanto si fosse aspettato accolse il suo ingresso, e percepì un sorriso spontaneo disegnarsi sul suo volto, mentre il peso nel petto si alleggeriva.
«Quanto entusiasmo,» commentò con fare compiaciuto, cercando di mantenersi impassibile senza troppo successo. «Per gli autografi dovete mettervi in fila,» aggiunse poi, sfoderando un mezzo ghigno tronfio.
«L'avevo detto che avrebbe ritrovato il suo ego,» lo punzecchiò Nataša, rivolta ai suoi compagni mentre gli scoccava al contempo un'occhiatina ironica.
«E su quali dati avresti basato questa tua supposizione?» Tony s'imbronciò platealmente, fermandosi di fronte a lei con un mezzo sorrisetto trattenuto. «Dopotutto, non mi sembra di averti più vista dalle mie parti... sono quasi offeso, Romanov,» recitò, incrociando le braccia sul petto.
«Non volevo interrompere la “luna di miele”,» replicò lei, con un sorrisino eloquente che gli fece alzare l'occhio al cielo, causandogli anche un lieve vuoto allo stomaco mentre coglieva quegli idioti di Clint e Bruce sogghignare sotto i baffi.
«E tu che mi dici di un certo Capodanno a Times Square?» contrattaccò prontamente, accendendo un lampo omicida nei suoi occhi e facendo trasalire Bruce.
«Stark, così come ti ho rimesso in piedi, ti stendo,» ribatté glaciale, ma con un tocco divertito nella voce.
«Un Capodanno a Times Square?» cadde dalle nuvole Steve, e spostò gli occhi tra lei e Bruce, ora paonazzo, per poi alzare confuso le sopracciglia.
«Rogers, se hai perplessità sulla storia della cicogna, sono certo che potrai trovare qualcun altro a cui chiedere,» si tirò fuori Tony, rivolgendogli uno sguardo inorridito che provocò un sonoro sospiro da parte sua.
«Possiamo tornare al motivo della riunione?» sbottò acuto Bruce, il cui volto sembrava lampeggiare ora di rosso, ora di verde, come se fosse indeciso se sprofondare nell'imbarazzo o ridurli in poltiglia.
«Permesso accordato,» ridacchiò Tony, accomodandosi al tavolo delle riunioni, di fronte a lui e tra Nataša e Clint.
Steve era seduto a capotavola; mancava solo Thor, che era stato trattenuto ad Asgard per qualche bega causata dal fratello alla corte di Odino.
Tony volle godersi quel singolo istante di tranquillità, fingendo di essere anche lui all'oscuro del motivo che li aveva fatti riunire, e lasciando che quel senso di leggerezza che non provava da tempo si dilatasse per ancora qualche secondo.
«L'unico “motivo” di cui mi sento di discutere adesso è quell'orrore,» esordì poi puntando il bastone verso Steve, che si indicò a sua volta sbarrando gli occhi come un qualche animaletto abbagliato dai fari di un'auto.
«Questo?» chiese conferma, pizzicando appena il tessuto sintetico della nuova, discutibile tuta tricolore che indossava, probabilmente un surrogato di quella ormai usurata che lui gli aveva fabbricato tempo addietro. «Cos'ha che non va?» si accigliò.
«Più o meno tutto... ma ho visto di peggio,» gli concesse poi, fingendo magnanimità. «Non spesso, però,» tossicchiò poi, schiarendosi la gola e suscitando un risolino strozzato da parte di Clint.
«E quella, allora?» ribatté Rogers, additandolo a sua volta.
«Io sono giustificato, sono qui in campagna promozionale,» annunciò, mettendo in bella vista il logo sulla maglietta della Expo che indossava sotto la giacca informale. «Biglietti gratis per tutti!» esclamò gioviale, allargando teatralmente le braccia e ritardando ancora le domande, e le discussioni, e tutto ciò che stava per piombargli addosso.
Per ora, tutto ciò che lo raggiunse fu un lieve scappellotto di giocoso rimbrotto da parte di Nataša.
«Abbiamo visto l'inaugurazione in diretta,» intervenne a quel punto Clint. «Sembra che il Futurista sia tornato sul serio,» continuò poi, in un'osservazione quasi casuale che allargò però il sorriso sul volto di Tony.
C'era qualcosa di terribilmente doloroso e allo stesso tempo toccante, nell'immagine della sua squadra al completo che assisteva a quell'evento, al punto che non seppe come rispondere e si limitò ad annuire non fidandosi della propria voce, pronta a rompere quell'illusione di calma. Percepì lo sguardo di Nataša su di sé, come se avesse percepito in qualche modo il suo turbamento, e si strinse nelle spalle quasi a ripararsene.
«Hai usato l'armatura,» proseguì a quel punto Bruce, più allegro di quanto l'avesse visto ultimamente. «Anche Iron Man è pronto a tornare?»
Dal modo in cui pose la domanda, si intuiva come la ritenesse quasi superflua, come se un diniego non fosse neanche contemplato tra le opzioni. Tony avvertì la sua bocca farsi improvvisamente secca, mentre la risposta spiritosa che era stato sul punto di dare gli si incastrava in gola.
«In verità, sono qui per formalizzare il mio ritiro dal Progetto Vendicatori,» disse d'un fiato, senza soffermarsi a pensare e lasciando scorrere via le parole in una sequenza monocorde.
Un silenzio attonito e quattro paia d'occhi sgranati ricambiarono quella rivelazione. Se avesse potuto, Tony sarebbe tornato indietro di dieci secondi esatti e avrebbe dato tutt'altra risposta per passare un'altra mezz'ora in chiacchiere inutili e piacevoli. A pensarci bene, se avesse potuto, sarebbe tornato ben più indietro di soli dieci secondi.

Ormai il danno è fatto,” si rassegnò, senza degnarsi di focalizzare quella considerazione sul momento corrente.
«Ma che stai dicendo?» 
Steve fu il primo a riprendersi, e sembrò pronto a balzare in piedi, come sempre quando si agitava o non capiva al volo qualcosa.
«Mi hai sentito,» rispose Tony, più duramente di quanto intendesse. «È per questo che Fury vi ha convocati d'urgenza.»
«Tony, quello che vuoi fare non ha senso,» scosse la testa Bruce, faticando ad articolare le parole. «Dopo tutto quello che...»
«Credi che dipenda da me?» ribatté lui, senza trattenere un moto di stizza quando si inclinò all'indietro sulla sedia, raccogliendo le energie per quel confronto che, lo sapeva, l'avrebbe sfiancato.
«E da cosa, allora?» lo incalzò Nataša, ancora pacata, ma con gli occhi che guizzavano nervosi qua e là.
«Ho qualche problema di salute,» riuscì a confessare infine, e si chiese perché ci stesse girando così tanto intorno.
Con Pepper era stato più facile. O forse, con Pepper poteva concedersi di mostrarsi come Tony e non solo come Iron Man.
«Pensavo che avessi risolto con...» iniziò Clint, perplesso.
«Non mi riferisco a queste,» Tony picchiettò appena il bastone contro la protesi della gamba, producendo un tintinnio che risuonò nella sala. «Diciamo che la mia batteria non funziona più tanto bene e mi sto... scaricando.» 
Diede una pacca sbrigativa al reattore, nascondendosi dietro alle sue solite metafore, e lesse l'improvvisa confusione sui volti dei suoi interlocutori, insieme a un'ombra di consapevolezza, un tenue sospetto che nessuno sembrava però voler esternare. Si fece forza, e scostò il colletto della t-shirt, rivelando il reticolo scuro sottostante col medesimo gesto che aveva compiuto mesi prima; quella fumosa consapevolezza si cristallizzò, tramutandosi in un doloroso sconcerto.
«Intossicazione da palladio,» spiegò quindi. «Uno degli svantaggi di avere una lampadina nel petto come super potere,» sospirò e lasciò andare la stoffa. «Finora la ricerca di soluzioni non ha dato esattamente i suoi frutti, ma...»
«Tony?»
Nataša lo interruppe chiamandolo per la prima volta in vita sua per nome – quella nuova tendenza da parte di chi lo circondava iniziava seriamente a spiazzarlo – in modo sorprendentemente allarmato e fissandolo con occhi più grandi, verdi e inquisitori del solito.
«Cosa stai cercando di dirci?»
Quella sua improvvisa titubanza gli suonava estranea, quasi forzata, per una spia del suo calibro; il fatto che cercasse comunque una qualche ritrattazione da parte sua lo dissuase dal provare a mentire riguardo alle sue reali condizioni.
«Che sono qui per... per salutarvi, o qualcosa del genere,» rispose piano lui, con un mezzo sorriso mesto che andava a celare la pressione di quelle parole che sembravano pesargli sul volto, irrigidendone i tratti. «Ci tenevo a dirvelo di persona,» concluse, abbassando lo sguardo e aspettando una reazione alla quale non si era veramente preparato.
Come sempre, non metteva mai in conto le conseguenze delle sue parole: si limitava a liberarle e ad accendere la miccia, sperando che il tutto non gli esplodesse in faccia. Non era sicuro che il Doc intendesse esattamente questo, quando gli aveva suggerito di “mettere qualche punto fermo”. Dapprima aveva trovato ridicolo quel proposito, emerso durante una delle loro chiacchierate. Poi si era reso conto di averne un bisogno quasi spasmodico. Il primo tentativo con Rhodey era stato fallimentare, e non riusciva ancora a credere di aver mandato in pezzi un'amicizia durata più di vent'anni. Erano serviti quei giorni in trasferta a Washington, lontano da Pepper, da Rhodey, dalla Expo e da una città traboccante di ricordi, per fargli apprezzare davvero i benefici del rimanere da solo coi propri pensieri. Faticava comunque a ritrovare l'ottimismo che si era ripromesso di mantenere fino alla fine ma, d'altra parte, non poteva neanche mentire alla squadra dicendo con sicurezza che sarebbe andato tutto bene. Quella era una bugia che prima o poi avrebbe dovuto smettere di raccontarsi, ma non era quello il momento giusto per farlo.

Va ancora tutto bene,” si rammentò, impedendo al proprio respiro di tradirlo proprio adesso. “Ho ancora tempo,” continuò, in quel mantra insensato che aveva però il potere di calmarlo.
Rialzò lo sguardo, trovando davanti a sé un solido muro d'incredulità che mise a dura prova la sua compostezza, ma che si impegnò a infrangere:
«Ehi, non pensavo bastasse così poco a commuovervi,» scherzò, con un gesto della mano come a scacciare quell'aria negativa che sembrava comprimerli. «Per ora sto bene, non c'è bisogno di fare quei musi lunghi,» riprese il discorso, con brio in parte forzato, in parte reale.
Si sentiva veramente molto meglio dopo quell'iniezione di dilitio e abbastanza in forze da poter fare tutto ciò che voleva, incluso scherzare sulle proprie condizioni di salute, almeno in pubblico.
«Stark...» la voce di Steve recava in sé una traccia di commiserazione così palese che a Tony quasi non saltarono i nervi, ma si spalmò una cortina ironica in faccia e si costrinse a non reagire in malo modo.
«Capitan Ghiacciolo, non dirmi che stai per scioglierti in lacrime, quello potrebbe veramente uccidermi,» si lagnò, cercando con lo sguardo il supporto dei suoi compagni, che però sembravano occupati a trovare una reazione consona al suo annuncio.
Si fece un po' più serio, rendendosi conto che l'espressione addolorata del Capitano si rifletteva anche sul volto degli altri, con vari gradi d'intensità. Si mosse a disagio al proprio posto, rimproverandosi mentalmente: che si era aspettato?
In cuor suo, forse aveva sperato che gli eroi più forti della Terra fossero in qualche modo anche meno toccati da eventi simili – meno umani – o che ignorassero la cosa, o la svalutassero come un problema minore che non li riguardava. Forse così avrebbe avuto modo anche lui di ridimensionare tutto ciò che sentiva incombere su di lui.
«A cosa devo tutta questa empatia?» commentò con forzata impassibilità, sentendosi invadere da un senso di calore per quell'evidente preoccupazione nei suoi confronti, ma anche percependo una profonda frustrazione.
La reazione giusta sarebbe stata accettare il suo ritiro come un qualcosa di sensato e tanti saluti ad Iron Man. Porte chiuse, punti fermi: non sarebbe dovuto essere così difficile ottenerli.
«Sei un membro della squadra,» intervenne Clint, nel suo solito tono piatto che lasciava però trapelare un'ombra di turbamento.
«Sei un amico,» lo corresse Bruce, che aveva continuato a fissare il pavimento fino ad allora, rigidamente a braccia conserte come se stesse cercando di trattenere il proprio corpo pronto ad esplodere.
«E tu sei arrabbiato,» ribatté Tony con più serietà, accennando al suo orologio da polso che segnava dei battiti cardiaci fuori norma.
«Lo sono sempre,» alzò le spalle lui, per poi sospirare con irritazione. «Capisco perché tu non ce l'abbia detto prima, ma avremmo potuto aiutarti,»
«Ne dubito,» lo rimbeccò lui, bruscamente. «Cerco una soluzione e un'alternativa al palladio da quasi un anno e...»
«Non intendevo quello, Tony,» Bruce scosse la testa, infastidito.
«Lo so,» scandì lui, con un tremito nella voce. «Non sono un idiota, nonostante tutti continuino a pensarlo,» sbottò, irritandosi repentinamente. «Ma non volevo coinvolgervi per evitare di scatenare ciò che sta succedendo adesso, ovvero l'avvicinarsi di una compassionevole festicciola di piagnistei perché, oh, che dispiacere, Tony Stark si è finalmente deciso a morire davvero
Il gelo calò nella stanza, nonostante l'aria attorno a loro sembrasse sfrigolare per la tensione improvvisa. Tony si prese la radice del naso tra le dita, immettendo più aria nei polmoni contratti e brucianti e sentendosi comunque pronto a esplodere di nuovo.
«Tony, nessuno vuole che tu muoia.»
Steve pronunciò quelle parole con una naturalezza e una traccia di infantile sconcerto tali da indurlo a trarre un altro respiro profondo per non lasciarsi sfuggire una replica sferzante. Era sull'orlo del vortice e non capiva neanche come ci fosse arrivato; eppure era diventato abile a sottrarsi al panico, e ancor più a impedire che quell'ombra densa e costante che si portava appresso lo ghermisse a tradimento, spremendo fuori dalla sua mente ogni sprazzo di positività.
Lanciò uno sguardo ai suoi compagni e percepì il loro disagio e la loro confusione, ma anche, gli sembrò, disprezzo e delusione: era sempre lui l'anello debole che rischiava di far sfaldare tutta la catena. Represse quei ragionamenti, perché sapeva che provenivano dal vortice, ma una particella di dubbio continuò ad aleggiare nella sua testa, e lui ad oscillare sul bordo, incapace di tirarsi in salvo.
Gli si era inceppato il meccanismo interno, quello inserito in qualche parte recondita nel suo corpo che gli permetteva di andare avanti, di essere se stesso. Era come se non fosse più lui a parlare, o muoversi, o pensare. Rimaneva solo un riflesso evanescente, sbiadito e apatico. Non erano suoi quei pensieri, quella rassegnazione; sembrava semplicemente che li captasse da qualcun altro nell'etere, ritrovandoseli in testa senza sapere cosa farsene, o se fossero davvero suoi. E quel meccanismo rimaneva bloccato, stridendo inutilmente nel tentativo di riprendere a girare. Voleva sbloccarlo con tutte le sue forze. Voleva tornare a respirare aria pura, a muoversi liberamente, a volare, a combattere, a stringere Pepper a sé senza sentirsi incompleto. Mai come in quel momento aveva il bisogno di “mettere dei punti fermi”.
Fece per rispondere, ma si rese conto di non riuscire a formulare alcuna parola arguta per farlo.
«Neanch'io voglio,» gracchiò infine, lasciando svanire il suo primo, superficiale strato d'indifferenza e sfuggendo i loro sguardi. «Per questo mi sto fidando di voi,» continuò, deglutendo a fatica. «Ho solo bisogno di qualcuno che mi copra le spalle mentre sistemo questo casino,» concluse in fretta.
«Finché non tornerai,» completò Bruce, fissandolo con un fare a metà tra lo speranzoso e l'intimidatorio.
Tony guardò ciascuno di loro negli occhi, soppesando quella possibilità che gli era sempre sembrata uno spiraglio lontano e pronto a richiudersi, per poi realizzare che voleva crederci con tutto se stesso.
«Finché non tornerò,» concordò, tenendo aperto quello spiraglio.


***


29 Aprile, Manhattan, 22:30

Lo squillo del campanello lo colse impreparato. Era sicuro che Pepper si sarebbe fermata a dormire fuori, e il fatto che fosse invece di ritorno gli causò un lieve picco d'ansia, considerando che non si vedevano dall'inaugurazione. D'altronde, che bisogno aveva di suonare, se aveva libero accesso all'appartamento?
Lo squillo si ripeté, fugando il dubbio che fosse stato solo un parto della sua mente esausta. Distolse l'attenzione dalla tv e si forzò in piedi, zoppicando poi verso la porta e rinunciando a recuperare il bastone rotolato sotto il tavolino. Ignorò ogni norma di sicurezza e buonsenso, preoccupandosi solo che il pigiama andasse a coprire totalmente i segni dell'intossicazione, e aprì la porta senza controllare chi fosse l'inatteso visitatore notturno.
Quasi perse l'appoggio della gamba sana nel ritrovarsi di fronte a Rhodey, serio e compito sulla soglia, con le mani giunte in grembo quasi fosse sull'attenti. Tony trasecolò ancora qualche istante, mentre il suo sarcasmo di solito estremamente reattivo arrancava per tenere il passo con la situazione.
«Non ho ordinato nulla a domicilio,» sparò, fingendo rammarico. «Quindi, se vuole lasciarmi alle mie occupazioni notturne le sarei più che...»
Rhodey sospirò così sonoramente da farlo interrompere.
«Sei uno stronzo,» dichiarò, e prima che potesse rispondere a tono, fu attratto da lui in un abbraccio tanto impacciato quanto energico.
S'irrigidì per un singolo istante, percependo mille sensori d'allarme che scattavano all'unisono per quel contatto inaspettato, ma li mise a tacere con foga, e ricambiò con qualche istante di ritardo, altrettanto goffamente.
«E te ne accorgi ora?» bofonchiò divertito, tremando appena per il sollievo di rivedere il suo migliore amico. «E poi, non sono io quello che ha detto...»
«Lo so quello che ho detto,» si affrettò a troncarlo l'altro, dandogli una pacca sulla schiena per poi lasciarlo andare con sguardo contrito, una mano ancora sulla sua spalla. «Mi dispiace. Non ero lucido,» ammise, e Tony notò come i suoi occhi scattarono fugaci verso il reattore.
Fu grato che non fosse visibile, sebbene la luce azzurrina trapelasse fiocamente sotto la stoffa scura. Rimase in silenzio per qualche istante, con le parole della loro precedente discussione che gli rimbombavano in testa. Avrebbe potuto rinfacciargliele e spintonarlo via, ma il timore di non poter avere un'altra occasione per rivederlo mise a tacere quel proposito.
«Adesso che abbiamo concluso i saluti strappalacrime, vorrei evitare che mi si congeli il piede che mi rimane,» osservò, accennando alle piante nude sul pavimento di marmo gelido. «Quindi, se vuoi accomodarti...» si fece da parte, invitandolo con un gesto del capo.
Rhodey sembrò sorpreso da quella sua reazione, forse aspettandosi più freddezza, o più sarcasmo, o semplicemente distacco come aveva fatto in precedenza e in più occasioni, poi lo superò con poche, ampie falcate. Tony chiuse la porta alle sue spalle e optò per sedersi su uno dei vicini sgabelli della penisola, piuttosto che sul divano, visto che la protesi inferiore gli stava ricordando di non essere proprio in piena forma. Rhodey notò quella deviazione e sembrò sul punto di commentarla, ma si trattenne visibilmente. Tony gli scoccò un'occhiata penetrante, prima di lasciar andare un sospiro esasperato.
«Rhodey, sto bene,» puntualizzò, lasciando ondeggiare appena il piede meccanico nel vuoto. «Penso di averlo ripetuto più volte in una settimana che in tutta la mia vita,» aggiunse poi, poggiando il gomito sul tavolo in una posa svogliata.
Rhodey in tutta risposta scosse la testa e si sedette sullo sgabello accanto al suo, voltandolo poi verso di lui.
«Ti rendi conto di non essere credibile, vero?»
Tony tirò le labbra e si limitò ad allungarsi sul piano per afferrare una borraccia di clorofilla, prendendo poi a sorseggiarla con la massima disinvoltura.
«Potrei stare peggio,» borbottò poi, in automatico e senza troppa convinzione.
Si premurò di sistemarsi la maglietta che era scivolata troppo in avanti, scoprendo una porzione dell'intreccio violaceo sottostante; sapeva che Rhodey l'aveva comunque adocchiato, così come aveva sicuramente notato il suo deperimento.
«Vuoi spiegarmi?» lo incalzò a quel punto l'amico, e il suo tono insolitamente pacato gli fece chiedere se l'avesse mai visto così teso in vita sua, lui che di solito non ci pensava due volte a mandarlo a quel paese quando gli faceva perdere le staffe.
«È una storia lunga,» svagò Tony, pur consapevole che esigere delle spiegazioni riguardo a tutto ciò che gli aveva rivelato fosse lecito.
«Mi accontento anche di un riassunto,» ritrattò Rhodey, quasi ad attenuare la sua richiesta.
«Hai così tanta fretta di andar via?» evitò di rispondere lui.
«Sapevo che avrei dovuto cavarti fuori ogni parola con la forza,» si scoraggiò l'altro.
«Non vedo il motivo di tenermi altri segreti.» Tony bevve un altro sorso di clorofilla, a prendersi una breve pausa, poi ripose la borraccia ormai vuota per sostituirla con un bicchier d'acqua. «A quale puntata delle “Mirabolanti Avventure di Tony Stark” sei rimasto?»
«Al “sono un idiota che mente al mio migliore amico”,» replicò secco Rhodey, e Tony si lasciò sfuggire un mezzo sorrisetto amaro nel veder riemergere l'indole intransigente di Rhodey.
«Ti beccherai quel riassunto a breve,» temporeggiò lui, suscitando un lieve fastidio sul volto dell'amico. «Tu, piuttosto, cosa ti spinge a bussare alla mia porta a quest'ora indecente? A parte la sete di conoscenza, intendo,» rivoltò poi il discorso, indicandolo con un guizzo furbo della mano.
Rhodey si accomodò sul suo sedile e intrecciò le mani sul tavolo, come faceva sempre quando si trovava in una posizione che riteneva difficile. Tony attese pazientemente la risposta, anche se aveva un tangibile presentimento sui motivi che potevano aver fatto cambiare idea a una testa dura come Rhodey in modo così repentino.
«Fury mi ha convocato per discutere del progetto War machine,» disse infatti, e Tony abbassò lo sguardo al bicchiere che teneva in mano, improvvisamente concentrato a seguirne i rilievi coi polpastrelli.

Non ha davvero perso tempo,” osservò tra sé, indeciso se ritenersi compiaciuto o meno per quella solerzia nei suoi confronti.
«E?»
«E ho rifiutato.»
«Rhodey...»
Tony si abbandonò sullo schienale, con l'impressione di potersi liquefare e scivolare a terra in una pozzetta di scoramento da un momento all'altro, mentre il sollievo che si era aspettato di provare si convertiva in uno stringente nodo d'ansia.
«Non se ne parla, Tones. Non ho alcuna intenzione di prendere il tuo posto; al massimo potrò affiancarti in futuro, se ancora vorrai,» continuò serratamente.

In futuro,” pensò lui tra sé con disfattismo, scoccandogli uno sguardo incredulo, e Rhodey lo sostenne senza alcuna esitazione.
«Non so se essere commosso o arrabbiato,» sbottò poi, poggiando la fronte al palmo della mano. «Mi farete diventare pazzo. Tu, Fury, la banda di stramboidi e Pepper,» sbottò con incontenibile frustrazione.
«Perché ci preoccupiamo per te?»
«Cos- No! Cioè, sì, anche per quello!» s'infervorò lui, agitando le mani. «Fury si scusa con me, i Vendicatori non vogliono che me ne vada, tu mandi all'aria i miei buoni propositi per non rendere inutile tutto ciò che ho fatto e Pepper non...» incespicò, costretto a riprendere fiato e incapace di formulare qualsiasi pensiero coerente riguardo a lei.
Rhodey gli rivolse uno sguardo inquisitore.
«Non mi dire che avete litigato di nuovo.»
«Non esattamente. In realtà siamo... come dire...» roteò la mano in un gesto vago, come se bastasse a spiegare tutto.
«Ti prego, dammi la notizia che aspetto da dieci anni,» quasi lo implorò Rhodes, mettendo per un attimo da parte tutto il resto.
Tony si rifugiò dietro un sorrisetto poco convincente.
«È successo quel che è successo,» lo sviò, senza soddisfare la sua curiosità. «Ma il... tempismo è pessimo, come puoi intuire,» articolò evasivo.
Rhodey incrociò le braccia e lo fissò severamente, come se stesse cercando di risolvere un puzzle particolarmente complesso da cui mancavano però un paio di pezzi. Poteva quasi vedere le sue rotelle girare cigolando dentro la sua testa.
«E quindi?» proferì dopo qualche secondo di attento ragionamento. «Lasci che vada tutto a monte?»
«L'alternativa qual è? Morirle tra le braccia?» scattò Tony, facendosi caustico, e si pentì delle sue parole nel vedere l'espressione sempre immutabile dell'amico rattristarsi appena.
«L'alternativa è fare quello che volete fare da una vita,» ribatté calmo, pur con la mascella contratta che sembrava dover tenere a bada i suoi occhi ora lucidi. «E spero davvero che lei non ti senta mai dire qualcosa del genere, considerando quello che le hai fatto passare l'anno scorso,» aggiunse più duramente.
«Quello è esattamente il motivo per cui voglio tenerla lontana,» s'intestardì lui, puntando un indice contro il tavolo a sottolineare il concetto. «Pensi che altrimenti esiterei?» si lasciò sfuggire poi, con un'incertezza fin troppo marcata.

Esiterei?” si chiese in risposta quella vocina che gli strisciava in testa, ricordandogli del ferro, e delle cicatrici, e delle ferite che potevano riaprirsi al minimo tocco.
«Tony, vuoi darti una svegliata?» sbottò Rhodes, improvvisamente accalorato. «Piantala di trovare scuse: ci siete entrambi dentro fino al collo, a prescindere da come stai o cosa hai fatto! Ti sta accanto da mesi, le hai affidato l'azienda... vivete insieme, maledizione, per quanto vuoi fare finta che...»
«Ci sono dei limiti, Rhodey,» replicò piano lui, in un tono molto più calmo di quanto non si sentisse lui stesso; si strinse d'istinto il ginocchio della protesi.
«Sei tu a importeli,» lo rimbeccò l'amico, senza cedere di un passo.
«Non penso proprio,» ribatté lui, con veemenza. «Non me li sono scelti io, questi “limiti”,» proseguì, alzando il braccio meccanico con fare esplicativo, per poi interrompersi di colpo nel realizzare cosa avesse appena rivelato.
Rhodey sembrò momentaneamente spiazzato dal modo in cui la discussione era scivolata dall'ambito metaforico a quello fisico, a riconfermargli che nessuno era mai stato sfiorato dal pensiero che lui, Tony Stark, potesse avere un problema col proprio corpo.
«No, ma hai scelto di vederli come tali,» si riprese l'amico, con considerevole prontezza. «Quelle dovrebbero ricordarti che li hai superati, piuttosto. E pensi davvero che a Pepper interessi come sei fatto?»
Tony poté percepire chiaramente una vampata di calore risalirgli al volto, subito interrotta da un velo di sudore gelido e dalla sensazione che il suo intero corpo fosse stato prosciugato di ogni goccia di sangue. Perché stavano parlando di quello? Rhodey non era venuto a rimproverarlo per avergli mentito? Iniziava a desiderare di non aver mai aperto la porta.
«Ha detto di no, ma...» iniziò in tono stanco, quasi distratto, volendo solo disconnettersi dalla realtà.
A quel punto fu convinto che Rhodey fosse sul punto di mettergli le mani addosso e porre fisicamente fine alla loro amicizia, visto che quasi scattò in piedi all'istante.
«Te l'ha detto? Esplicitamente?» lo incalzò, pressante.
Tony fece solo un breve cenno d'assenso, percependo di nuovo quel pesante senso di spossatezza a cui iniziava a fare l'abitudine che si adagiava sulle sue spalle.
«E... e non ci credi?» cercò di raccapezzarsi Rhodey, sempre più sconcertato.
«Sì, ma non è così semplice,» mormorò lui, sentendosi distante, ancora una volta costretto a specchiarsi nel vortice e a trovare un'immagine che non gli corrispondeva a ricambiare il suo sguardo. «Ci sto provando,» continuò, con voce spenta. «Ci sto provando e non so se ci riuscirò in tempo,» confessò poi, sentendo i muscoli contrarsi e le parole trapelare appena dalla sua mascella serrata.
Rhodey sembrò finalmente a corto di parole e Tony lesse nei suoi occhi la paura che aveva cercato di tenere a bada fino a quel momento, emersa senza preavviso. Cercò di cavarsi fuori di bocca qualche parola rassicurante, ma Rhodey lo anticipò e si alzò piazzandosi di fronte a lui, improvvisamente rianimato:
«Lo sai che ti dico?» esordì con fare perentorio, nonostante la sua voce tremasse sensibilmente. «Che avevi ragione: la depresso-mobile è una rottura di palle,» sbottò, puntandosi le mani sui fianchi e facendogli alzare un sopracciglio perplesso in risposta.
«Ecco, quando dico che non hai un briciolo di sensibilità è a questo che...»
«... quindi adesso sali sulla mia spasso-mobile senza fare storie e...»
«Piantala, non fai ridere,» protestò lui, scivolando poi giù dallo sgabello e trattenendo al contempo una risatina traditrice.
«... e ti ricordi chi cavolo sei,» concluse, calandogli una mano sulla spalla sana.
«Un idiota?» sparò lui, con un sospiro esagerato.
«Un grandissimo idiota,» specificò Rhodey, sempre serissimo. «E un bugiardo, e un cataclisma, e colui che mi ha fatto rischiare l'espulsione un centinaio di volte e che mi farà prendere un esaurimento nervoso. Ma sei anche Tony Stark. E deve ancora arrivare il problema che tu non sai risolvere,» continuò, adesso stritolandogli la spalla, quasi volendosi aggrappare con tutte le sue forze a quell'affermazione.
Tony sbuffò, restio ad abbandonare il proprio scetticismo, ma sentì un sorriso sincero tendergli le labbra. Gli strinse esitando il polso, aggrappandosi a sua volta a quell'isola di certezza e supporto che aveva scelto di ignorare fino ad allora, quel punto fermo che aveva deciso di cancellare per timore di vederlo svanire e allontanarsi da lui. Avrebbe dovuto dire molte cose, scusarsi, ringraziarlo o rassicurarlo, ma si rese conto che, con Rhodey, non ce n'era mai stato bisogno.
«Lo vuoi ancora, quel riassunto?» disse invece, senza più esitare.
Rhodey lo fissò sorpreso, per poi rivolgergli un sorriso incoraggiante.
«Certo. Ma la spasso-mobile ha bisogno di un paio di birre per carburare, quindi...»
«Sei un deficiente,» sentenziò Tony ridendo, dandogli uno spintone mentre si avviava verso il frigo.


***


30 Aprile, Manhattan, 11:00

«Com'è andata?»
«Come vuole che sia andata, Doc... esattamente come avevo previsto. Sono emotivamente compromesso.»
«Il che non è per forza un male... come si sente in generale?»
«È lei lo strizzacervelli, quindi mi aiuti a decidere tra “depresso” o “disperato”.»
«Altre opzioni?»
«“Sorprendentemente sollevato” si guadagna il terzo posto.»
«Non vorrei suonare ridondante, ma gliel'avevo detto.»
«Qual è il prossimo passo? Farmi scrivere letterine di scuse ai compagni delle elementari che ho offeso?»
«Le giuro che se continua a fare un uso improprio del sarcasmo la spedisco davvero a Kathmandu a ritrovare la pace interiore.»
«Mi sembrava di aver già declinato l'esilarante offerta del suo amico schizoide.»
«Sono più scettico di lei, lo sa, ma potrebbe almeno prenderla in considerazione se...»
«Doc, per me è già un grande sforzo accettare di essere sdraiato su un lettino a parlare con il soffitto, non mi ci vedo proprio a gambe incrociate con un turbante in testa, mh?»
«Ci ho provato. Adesso che si è tolto un po' di preoccupazioni, ha deciso di cosa vuole parlare?»
«Uh, bella domanda... ho un repertorio quasi infinito da cui scegliere.»
«Il mio datore di lavoro mi ha concesso due ore, se ben ricorda...»
«Dunque, potrei cominciare da... non so, dal fatto che avevo ancora una balia a quattordici anni? Non so se c'entri molto, ma...»
«Senta, perché non comincia dall'inizio?»
«E quale sarebbe?»
«Non devo dirglielo io.»
«Facciamo Gennaio 2009? Quello mi sembra un buon inizio...»


***


30 Aprile, Stark Expo, 20:15

La concentrazione di ossigeno nell'aria si era decisamente rarefatta. Non riusciva a capire se fosse il buio interrotto qua e là dai faretti ad accentuare quell'impressione, o l'afa soffocante che regnava dietro le quinte. Un altro colpevole piuttosto probabile poteva essere il suo papillon troppo stretto, che sciolse per l'ennesima volta con un gesto brusco, ponderando se non fosse il caso di abbandonarlo del tutto.
Si sfregò il viso, per poi imprecare quando rischiò di far staccare inavvertitamente la benda adesiva, che si affrettò a far aderire di nuovo alla cicatrice. Controllò per l'ennesima volta l'orologio, che ticchettava inesorabile, e indirizzò un cenno di OK a uno degli addetti, a intendere che era pronto a entrare sul palco – una palese menzogna. Sperò che la sua facciata sicura di sé non stesse vacillando come le sue gambe e strinse più volte i pugni, scrollando le spalle per sciogliere la tensione, poi si cacciò il bastone sotto il braccio e provò di nuovo ad annodarsi il papillon. Le dita gli tremavano così tanto che riusciva a malapena a mantenere la presa, e per un attimo non vi fu differenza tra quelle vere e quelle metalliche. Rinunciò con un lento sospiro, lasciando i due lembi a ricadere sulla camicia immacolata. Si accasciò lateralmente contro il muro, traendo ancora molti, inutili respiri profondi, sentendosi la gola costretta in una tenaglia.
Forse poteva fingere uno svenimento. Sarebbe stato meglio o peggio di farsi prendere un attacco d'ansia in diretta? Il suo intero corpo era in tumulto: per quanto ne sapeva, poteva essere sull'orlo di un infarto. Si portò una mano al petto, dove erano raggruppate le schegge, e gli parve di avvertire un dolore sordo. Si inumidì le labbra, spostando la mano sul reattore e lasciando che il suo basso ronzio fungesse da calmante, scacciando quelle sensazioni fasulle. Era tutto sotto controllo. Avrebbe sempre potuto tagliare la presentazione e anticipare la sua uscita di scena.
Il suo ennesimo sospiro nervoso fu interrotto da un rumore improvviso.
Tacchi. Si avvicinavano, cadenzati, e il suo cuore prese a palpitare a singhiozzo quasi cercasse di seguirne il ritmo. Tenne lo sguardo fisso sulle punte lucide delle sue scarpe, e osò alzarlo solo quando il rumore si interruppe. Si sentì sciogliere dal sollievo, tanto che non si arrischiò a lasciare il proprio appoggio.
«Scusi il ritardo,» esordì Pepper, a bassa voce per non turbare la quiete soffusa. «Sono stata intercettata dalla stampa,» spiegò, e controllò rapidamente che il suo elaborato chignon fosse ancora intatto; la sua solita ciocca ribelle era comunque sfuggita al laccetto a sua insaputa, arricciandosi a incorniciarle il viso.
Tony notò solo allora quanto sembrasse accaldata, come se avesse corso. O forse si era solo infuriata con qualcuno dei giornalisti – e in quel caso poteva farsi anche un'idea di chi potesse essere.
«Pensavo che non sarebbe venuta,» si lasciò sfuggire, e Pepper quasi sbarrò gli occhi per la sorpresa, per poi addolcirli appena.
«Gliel'avevo promesso,» dichiarò con semplicità.
Tony preferì non soffermarsi troppo su quelle parole, che avevano uno spiacevole retrogusto d'obbligo a cui non volle dar peso: conosceva Pepper quel tanto che bastava per sapere che, se era lì, era perché voleva esserci.
Si distolse dai suoi pensieri quando udì in sottofondo la voce decisa e un po' gracchiante di suo padre: il filmato d'introduzione doveva essere partito, concedendogli gli ultimi minuti di preparativi.
Fu allora che la donna adocchiò fugacemente il suo papillon sfatto, in una domanda silenziosa.
«Le... le dispiace?» mormorò lui, appena udibile e senza incrociare il suo sguardo, sollevando un'estremità del nastro tra le dita ed esitando ad aggiungere altro per giustificare quella richiesta.
«Ancora non ha imparato?» lo trasse d'impaccio lei con un sorriso leggero.
«Perché devo imparare, se c'è lei?» rispose furbamente, in un guizzo d'impertinenza che suscitò un lieve sbuffo da parte sua che poté percepire sulla propria pelle.
Non sapeva perché si fosse cacciato in quel vicolo cieco, quando la soluzione più semplice sarebbe stata togliersi quell'affare dal collo; si maledisse ancora quando Pepper si accostò a lui, riducendolo a un unico, teso fascio di nervi pronti ad andare in cortocircuito. Tenne lo sguardo puntato dietro di lei nei pochi secondi che le servirono ad annodare impeccabilmente il papillon, lasciandolo abbastanza lento per permettergli di respirare quel cocktail di anidride carbonica che era diventata l'aria attorno a lui – la stessa che stava respirando lei, ora così vicina da poterle contare le ciglia.
«Perfetto,» annunciò con soddisfazione, raddrizzando il fiocco e riguadagnando le distanze.
Prima che completasse il movimento, Tony protese appena la mano sfiorandole le dita, ignorando il suo buonsenso – che non era davvero il suo buonsenso, lo sapeva, ma piuttosto la vocina maligna che risaliva il vortice e voleva devastarlo camuffata come tale. Lei lo guardò meravigliata, ma non si ritrasse a quel contatto appena accennato che Tony stava cercando in tutti i modi di mantenere, nonostante la paura folle che gli pulsava nello stomaco.
«Sei bellissima,» mormorò sincero, contrastandola e intrecciando al contempo le dita alle sue, bollenti tra le proprie nonostante si sentisse lui stesso sul punto di squagliarsi.
Pepper ricambiò delicatamente la stretta, abbassando gli occhi chiari come sempre quando la metteva in imbarazzo.
«Grazie,» replicò piano. «E anche tu non hai niente da invidiarmi,» aggiunse, con un lieve, genuino impaccio che accentuò le fossette sulle sue guance.
Tony mancò un paio di battiti, non riuscendo a ricordare l'ultima volta che qualcuno gli aveva detto qualcosa del genere, soprattutto ultimamente e soprattutto in modo così spontaneo. Riuscì a sciogliersi in un sorriso esitante.
Vi fu un breve momento di silenzio, interrotto solo dal discorso ovattato che risuonava dagli altoparlanti e dal mormorio del pubblico poche decine di metri più in là.
«Sto letteralmente per mettermi a nudo di fronte al mondo,» riprese Tony sempre a bassa voce; nel parlare strinse con più forza la sua mano, non poté farne a meno. «Questo dovrebbe essere più semplice,» accennò col capo alle loro dita intrecciate, sperando che capisse quello che neanche lui era in grado di esternare a parole.
«E perché non lo è?» gli chiese, senza alcuna malizia ed evitando di guardarlo, forse per non farlo sentire pressato.
Una bolla di silenzio assoluto li avvolse, per poi scoppiare al vigoroso applauso del pubblico: il filmato era giunto al termine. Le ovazioni della folla invisibile a pochi passi da loro mandarono fuori tempo il suo cuore, dandogli l'impressione che si stesse affrettando nella sua corsa per recuperare il ritmo.
Deglutì a fatica.
«Non lo so, ma forse...»
«Forse non è questo il momento più adatto,» concluse lei, con dolcezza, e Tony annuì grato in risposta, rilassandosi un poco.
«Più tardi?» arrischiò subito dopo, fissando il palco illuminato e in loro attesa.
Pepper esitò, forse presa alla sprovvista da quella richiesta.
«Più tardi,» confermò poi, regalandogli un sorriso attraversato da una vena di nervosismo.
Tony mosse un passo titubante verso il palco, e non poté frenare il lieve tremito che gli invase la mano, subito bloccato dalla presa salda di Pepper. Si arrestò sulla linea d'ombra che lo divideva dalla luce dei riflettori. Cercò il suo sguardo e lo trovò, come sempre: due soli azzurri in una costellazione di efelidi.
Strinse un'ultima volta la sua mano, per poi lasciare la sua sicurezza e fare per primo il suo ingresso sul palco, lasciandosi inghiottire dalle acclamazioni.


***


1° Maggio, Manhattan, 02:30

«È andata bene,» commentò infine Tony, dopo un silenzio che come pochi giorni prima si era prolungato per tutta la lunga, tesa mezz'ora di tragitto da Flushing Meadows a Manhattan.
Passò la tessera magnetica nel lettore di fianco alla porta, offrì l'impronta del suo pollice sul touch-screen e la serratura si sbloccò, consentendo loro l'accesso all'appartamento.
«Direi di sì,» replicò Pepper con qualche secondo di ritardo, varcando la soglia prima di Tony, che le tenne aperta la porta con spontanea galanteria.
«Mi hanno applaudito,» rincarò lui, quasi apprensivo, gettando la giacca dello smoking sullo schienale del divano e liberandosi del papillon, come un condannato graziato all'ultimo che si libera del nodo scorsoio.
«E la cosa la stupisce?»
Pepper stava accuratamente evitando di guardarlo in volto, ma almeno sembrava aver ritrovato la parola; lui si impegnò a sua volta a distogliere educatamente lo sguardo quando lei si chinò accanto a lui per togliersi i tacchi.
«Un po'. Mi aspettavo fischi e gente che prendeva torce e forconi per la caccia al mostro,» sbuffò, attraversando il salone e lasciandosi cadere sulla poltrona con malcelata insofferenza, dopo aver abbandonato il bastone per terra senza troppe cerimonie.
Stese la gamba meccanica sul poggiapiedi e si beò del netto sollievo che si propagò dal moncherino in su non appena la pressione su di esso diminuì. Probabilmente sarebbe stato meglio rimuoverla per la notte, ma piuttosto che compiere l'operazione davanti a Pepper avrebbe preferito tornare sul palco con migliaia di occhi appuntati addosso.
«In tal caso, non saresti stato tu a dover scappare,» osservò lei, con una luce vagamente omicida negli occhi che la diceva lunga sulla linea di difesa che stava progettando in previsione dell'imminente boom di gossip.
«Ricordami di non prestarti mai l'armatura,» sorrise Tony, ricevendo uno sbuffo divertito in risposta, in verità non molto rassicurante.
La osservò affascinato mentre si liberava con sollievo i capelli dalla complessa acconciatura in cui erano costretti, togliendo una ad una le forcine e lasciandoli ricadere in onde ramate sulle spalle, per poi raccoglierli di nuovo in una crocchia morbida. Lei intercettò il suo sguardo e Tony lo abbassò con un istante di ritardo; colse un sorrisino esitante da parte sua, ma poteva anche essere stato solo un'ombra fugace.
La donna si sedette nell'angolo del divano a un passo dalla sua poltrona, con le gambe ripiegate sotto di sé, e Tony torse appena il busto per rivolgersi verso di lei, nonostante nessuno dei due sembrasse avere intenzione di guardare in faccia l'altro.
«Vuoi ancora parlarne?» cominciò esitante Pepper dopo quelli che parvero interi minuti, riprendendo il discorso lasciato in sospeso dietro le quinte.
Tony sfuggì il suo sguardo e lo puntò sulla skyline di New York, fingendo interesse per un elicottero di passaggio e fingendo anche che le sue budella non avessero preso ad annodarsi tra loro in modi fantasiosi e inestricabili.
«Ne ho già parlato col Doc,» esordì, sviando solo momentaneamente il discorso, e poté cogliere il moto di sgomento della donna anche senza guardarla. «E con Rhodey. E anche la presentazione di oggi ha aiutato a vedere il tutto in modo più... razionale.» Esitò, umettandosi le labbra. «Sono riuscito a mettere qualche dettaglio in prospettiva. Vorrei fare lo stesso adesso, con te,» enunciò d'un fiato.
Le scoccò un'occhiata di sottecchi e mantenne il capo chino, accavallando le gambe nonostante la fitta lancinante che ciò gli provocò.
«Hai risolto con Rhodes?» s'informò lei, con chiara aspettativa, e Tony non si stupì del fatto che avesse frenato la sua curiosità per altre questioni concentrandosi su quella che sapeva essere importante per lui.
«Se ieri fossi tornata, ci avresti trovati mezzi brilli a rivangare tutte le cazzate che abbiamo combinato al MIT,» offrì lui in risposta, con un sorriso sghembo che lei ricambiò appena.
«Sono contenta che abbiate chiarito. Rhodey ci tiene, a te,» aggiunse, con ovvietà.
«Lo so. Forse anche più di quanto mi merito,» ribatté, con un pizzico di amarezza, e non riuscì a frenare uno sguardo verso di lei, a sottintendere tutte le altre cose che non si sarebbe meritato.
«E in base a cosa decidi cosa ti meriti?» gli chiese a tradimento Pepper, con una calma assoluta che non gli riusciva di decifrare come positiva o negativa.
«Diciamo che essere un C-3PO mancato non aiuta la mia causa,» ribatté spigliato, col suo solito fare sicuro minato in verità da mille dubbi, e nel dirlo sollevò la protesi.
«Hai parlato anche di questo, con Ian e Rhodey?» indagò Pepper, e Tony fu grato per quella sua pacatezza, e per il modo in cui stava cercando di non farlo sentire giudicato mentre si addentravano nell'argomento.
«Più o meno,» bofonchiò, sprofondando più comodamente nella poltrona. «Non di tutto. Ho pensato che fosse meglio chiarire un paio di fatti solo con te,» spiegò, con crescente nervosismo.
«Ti ascolto,» rispose lei, senza esitare.
A quel punto sollevò lo sguardo verso di lui, in attesa. Lui tentennò. Di nuovo, sapeva cosa stava facendo... e non lo sapeva, brancolava nel buio dei suoi stessi pensieri, che ormai vedevano solo un solido muro a tre mesi di distanza. E non sapeva parlare alle persone; soprattutto, non sapeva parlare di se stesso ad altri, e farlo con Pepper era quanto di più terrificante riuscisse a immaginare. Ma doveva riuscirci.
«Che non straveda per il mio corpo credo sia evidente,» proferì infine, frettolosamente, come se il minimo istante di esitazione avesse potuto far svanire quelle parole. «D'altronde, non pensavo che la clausola del contratto per diventare Iron Man implicasse diventarlo di nome e di fatto.»
Nel momento stesso in cui finì di parlare, ebbe la netta impressione di essere completamente nudo di fronte ai suoi occhi, con anche un paio di riflettori a mettere in risalto ogni suo difetto. Strinse i denti e incrociò le braccia facendosi più piccolo che poté sul suo sedile, colto dalla frustrazione e da quel bisogno improvviso e vitale di ritrarsi, coprirsi e nascondere le sue brutture, le sue ferite, le sue protesi, tutto ciò che percepiva come sbagliato ed estraneo e che pesava ogni giorno di più. Desiderò di avere di nuovo l'armatura addosso per potersi almeno librare in aria nonostante quel fardello.
«E da quando è diventato un problema?»
La voce gentile di Pepper fu un balsamo. Tony masticò a vuoto, cercando il coraggio che gli era mancato per più di un anno.
«Non so dire con esattezza quando, ma... la mia immagine pubblica non ha aiutato,» confessò infine, con lo sguardo puntato con decisione su una giuntura della protesi inferiore, escludendo tutto ciò che lo circondava e cercando di ignorare la sensazione che qualcuno stesse sghignazzando alle sue spalle. «Insomma, per mesi non si è parlato d'altro che... lo sai. Avrai letto lo scoop della Everhart,» s'impappinò, odiandosi per quelle incertezze e per non essere più in grado di calare una rassicurante maschera sul proprio volto.
«L'ho letto,» rispose Pepper, gli parve con freddezza. «E non sei certo tu a doverti vergognare,» concluse, e una occhiata fugace nella sua direzione bastò a focalizzare il suo cipiglio improvvisamente fosco. «Forse è davvero un bene non saper usare la tua armatura,» aggiunse, in un blando tentativo di calmarsi che non soffocò comunque la sua voce vibrante d'indignazione.
Tony le sorrise, e percepì un sordo indolenzimento al centro delle spalle non appena i suoi muscoli contratti si rilassarono appena, per poi contrarsi alle successive parole della donna:
«Non fraintendermi: penso ancora che tu abbia agito in modo sconsiderato, ma non per i motivi che pensi tu,» puntualizzò, adesso lievemente irritata. «Se non fosse stato per quelle foto, avremmo concluso il processo molto prima,» spiegò poi, con voce priva d'inflessione.
«Quindi è solo per quello?» 
Tony non poté nascondere un pizzico di delusione che si rendeva conto essere totalmente fuori luogo, e che suscitò infatti lo sguardo severo di Pepper.
«Ho visto donne uscire dal tuo letto per dieci anni, Tony. Non sono così impressionabile,» replicò, con secca schiettezza e un alone rosso che iniziava a propagarsi sulle sue guance.
«Il contratto di sincerità vincola entrambi,» le ricordò senza scomporsi, indirizzandole un occhiolino d'incoraggiamento.
Lei esalò un sospiro, in cui a Tony parve di sentire un sorriso. Nella penombra, non poteva esserne certo.
«Mi ha... infastidita,» ammise, laconica e vagamente scocciata.
«Vede? Ormai la conosco, signorina Potts,» esultò lui, rivolgendole però uno sguardo privo di malizia e colmo invece di colpevolezza, ora certo di quanto quel fatto l'avesse turbata all'epoca.
«Ti ricordo che all'inizio tu eri geloso di Kyle,» contrattaccò Pepper, inoppugnabile.
«Touché,» sospirò a sua volta Tony, colto in fallo e senza argomenti a suo favore.
Un breve silenzio seguì quella parentesi scherzosa, lasciando loro modo di riprendere il filo dei propri pensieri.
«Quando sei tornato dall'Afghanistan ho apprezzato il tuo “cambio d'abitudini”,» riprese poi Pepper, attirando di nuovo la sua attenzione. «Quello che hai fatto con la Everhart mi ha... spiazzato. Credevo di aver frainteso tutto.»
Tony inspirò a fondo, e a lungo, prima di decidersi a rispondere.
«Ero talmente arrabbiato, Pep. Avevo bisogno di... distrarmi, di sentirmi normale, magari di tornare per un attimo ai “vecchi tempi”. Ho ceduto. E dopo ero solo più arrabbiato con me stesso, con lei, col mondo che mi avrebbe riso in faccia come in effetti ha fatto...» risucchiò un respiro tremolante. «È andato tutto a catafascio da lì in poi, per una scopata finita male,» sbottò, in un tentativo d'ironia che si ridusse a uno sbocco di fiele.
Il solo ricordo gli causò una vampata di vergogna che gli risalì al volto, e fu lieto di non essere in piena luce.
«È per quello che ti sei ubriacato e... e tutto il resto?»
«Anche,» Tony soppesò la domanda, faticando a trovare dei nessi logici nelle sue azioni. «Avevo rovinato tutto con le mie mani, ti avevo messa in mezzo al processo e avevo allontanato te e chi cercava di aiutarmi,» disse d'un fiato, gettando fuori tutto, di nuovo, come aveva fatto con Ian e con Rhodey.
E stavolta fu più facile, come se si fosse allenato a dovere per una corsa invece di presentarsi il giorno della gara pretendendo di vincere senza aver fatto sforzi.
«Poi ti ho ferita, e quello è qualcosa che non potevo e non posso perdonarmi,» concluse, stentando a trovare la voce.
«Tony, è stato un incidente,» replicò lei, senza rancore, ma notò il modo in cui portò la mano al braccio, proprio dove le aveva fatto male.
«Essere stato ubriaco non è una scusa, anzi,» la contraddisse, senza vacillare e rifiutando giustificazioni inesistenti.
«Infatti non lo è,» ribadì lei, con durezza e senza scontare le sue responsabilità. «Ma so che non lo faresti mai di proposito. Se avessi avuto anche un solo dubbio al riguardo, non sarei qui.»
Tony tacque, rendendosi conto di aver serrato il pugno metallico fino a farlo tremare.
«Mi dispiace,» riuscì a dire, incapace di guardarla.
«Lo so,» rispose lei, in tono così delicato da sembrare una carezza. «Ma questo non è un buon motivo per tenermi a distanza,» aggiunse, ancora più piano.
Tony si girò finalmente verso di lei, come mosso dalla sua voce, e incontrò i suoi occhi, che invece sembravano non essersi mai distolti da lui per tutto quel tempo. Si sentì di nuovo messo a nudo, ma non nel modo derisorio che aveva imparato a odiare, ma in quello con cui Pepper era sempre riuscita a superare tutte le sue barriere.
«Cosa vuoi fare, adesso?» gli chiese a sorpresa.
«Trovare una soluzione, come sempre,» replicò piattamente lui, d'istinto.
«Cosa vuoi fare davvero?»
«La lista dei miei hobby si è drasticamente ridotta,» svicolò di nuovo lui.
«Tony, non ti ho visto lavorare al reattore da almeno un mese,» lo assecondò infine, rinunciando a ottenere una risposta alla sua vera domanda.
Lui non replicò e prese a tormentarsi intentamente una giuntura della mano meccanica.
«Perché non ho fatto alcun progresso.»
Vide Pepper impallidire.
«Il dilitio serve solo ad alleviare i sintomi e a rallentare un po' l'intossicazione. Sto meglio, ma non sto davvero guarendo,» fece una pausa, lasciando che Pepper assorbisse quella notizia, nonostante non fosse una novità per nessuno dei due.
«Quanto...»
«Tre mesi,» la anticipò lui, a mezza voce. 
«Non puoi arrenderti così, Tony,» esalò lei, con un'acuta nota di paura nella voce.
«Ho fatto il possibile,» replicò lui, in tono stanco. «Ora voglio solo...» si bloccò, mentre un fiume di immagini si riversava nella sua testa.
Il fischio del vento quando volava; la sabbia calda sotto i piedi a Malibu e le onde fresche e salmastre dell'oceano; i battibecchi con Cap e le zuffe con Nat e i dibattiti con Bruce; gli incontri di boxe e le gare sulla Pacific con Happy; le feste noiose animate da Rhodey e da qualche drink di troppo; il suo laboratorio e le diatribe senza fine con Dum-E e U, i traffici notturni per costruire quel che voleva esattamente come lo immaginava; Pepper e i suoi capelli setosi, il suo profumo di casa, il suo tocco gentile, le sue labbra morbide e le braccia che avrebbe voluto accettare per sentirla con tutto se stesso.
«Non voglio più perdere tempo,» si trovò a mormorare quasi tra sé, in quella che era più una preghiera che una risoluzione.
Di nuovo, si appellò a lei e ai suoi occhi, che lo ricambiarono con quieta aspettativa. 
«Ma non so come dovrei...» s'interruppe ed inspirò bruscamente, alzandosi poi a fatica e approcciandola senza la minima idea di cosa stesse facendo, col cuore che tambureggiava nel petto. «Non so neanche da dove cominciare, e non...» s'interruppe quando Pepper si alzò davanti a lui, con elegante cautela.
Gli prese lentamente la mano, come aveva fatto lui prima della presentazione. Tony si contrasse d'istinto, ancora consapevole del peso delle protesi e con l'unico desiderio di coprire il proprio volto e di riempire quel silenzio, ma riuscì a perdersi in quel semplice contatto, estraniandosi da tutto il resto.
«È davvero così difficile?» lo canzonò dolcemente Pepper, posando anche l'altra mano a racchiudere la sua, e Tony inclinò appena le labbra nel suo solito sorrisetto obliquo.
«È che non sono abituato a...»
"... ad essere amato," pensò, in un lampo fuggevole.
«... a un interesse disinteressato,» parafrasò invece, annodandosi la lingua e facendola sorridere appena. «Mi confonde, non... non rientra nei miei parametri e finisco per fare stronzate. Come dopo l'inaugurazione,» terminò d'un fiato, e si rese conto di essersi inconsapevolmente accostato a lei, col corpo che riusciva finalmente a ignorare almeno in parte le catene che lo trattenevano.
La sua mano si mosse d'istinto, liberandosi dalla presa di Pepper, e per una volta non la trattenne, nonostante la rigida titubanza con cui si mosse: catturò quella ciocca di capelli sfuggente che le cadeva sempre davanti al volto e gliela sistemò dietro l'orecchio, portando a termine un gesto rimasto troppo a lungo in sospeso. Pepper non gli diede il tempo di fare o dire nient'altro e lo cinse in vita con un abbraccio, stringendo con forza la stoffa della camicia sulla sua schiena. Tony sobbalzò, ma si mosse impacciato a ricambiare, e si accorse subito di quanto Pepper fosse rimasta rigida nella sua stretta; per un attimo temette di aver commesso un qualche errore irreparabile e si chiese se non dovesse ritrarre il braccio meccanico, ma quando accennò a farlo, fu Pepper stessa a trattenerlo.
«Promettimi che non ti arrenderai,» la sentì sussurrare contro di lui, con una voce contratta che gli ferì le orecchie.
Lui annuì appena, stordito, evitando di ricordarle che non era bravo a mantenere le promesse.
«Pep, te l'ho appena detto, io...»
«Ho bisogno di sentirtelo dire,» lo incalzò, con una sofferta urgenza che non aveva mai sentito.
La vocina invadente continuava a gridargli di staccarsi da lei, che stava sbagliando, che avrebbe dovuto annullarsi in quell'istante e rifuggire quel contatto che sembrava bruciargli addosso, scaldandolo al contempo.
Invece si ritrasse da quel vortice minaccioso e invitante e la strinse di più a sé col respiro corto, lasciando che nascondesse il viso nell'incavo della sua spalla. La sentì sussultare appena e non ebbe bisogno di guardarla in volto per capire che stava piangendo, né aveva intenzione di farlo. Si sentiva come se stesse custodendo qualcosa di estremamente raro, fragile e prezioso che non aveva però diritto a guardare. La cullò in silenzio, accompagnando il suo pianto con lievi, impalpabili carezze lungo la schiena, lasciando che liberasse il suo dolore e fornendole al contempo gli argini per contenerlo, impedendole di rimanerne sopraffatta.
Solo dopo lunghi minuti, quando la sentì tirare un lungo sospiro tremolate, trovò il coraggio di inclinarle appena il viso con un indice e lasciarle un bacio sulle labbra, senza osare di più. Il suo cuore sfarfallò in uno sprazzo di viva euforia
quando le sentì inclinarsi appena verso l'alto, per poi tornare a lambire le sue, altrettanto delicate. Si sentì lontano da lì e dal proprio corpo, avvolto completamente in quel contatto, che andò ad espandere quel piccolo punto tra il reattore e il cuore finché non gli invase del tutto il petto, in una vertigine che sciolse i nodi che lo ancoravano a terra,
«Te lo prometto,» mormorò a un soffio da lei, ancorandosi ora alle sue iridi lucide per non far tremare la voce.
Lei annuì impercettibilmente, e la sorresse quando la sentì rilassarsi del tutto nelle sue braccia. Premette le labbra sui suoi capelli, ne aspirò a fondo il profumo e lo sentì farsi strada nei polmoni, nel petto, nello stomaco, fino a permeare il suo intero corpo di un calore sottile che raggiungeva anche i suoi pezzi freddi e inerti.
I punti fermi, in fondo, erano sempre stati accanto a lui.




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Note Dell'Autrice:

E fu così che dopo sei anni, 44 gatti capitoli e infinityi fiumi d'angst, habemus Pepperony! *squillo di trombe angeliche* 
Vi avevo ingannato con quel "Supernova" accoppiato ai buchi neri, eh? (sperodisì) Invece, strano a dirsi, Tony ha scampato il buco nero :')
Questo l'ho soprannominato il "capitolo delle chiacchiere", per ovvi motivi. E spero che il tutto, seppur abbastanza denso di eventi, sia risultato gradevole e coerente con tutto ciò che è accaduto in precedenza.

Ringrazio enormemente _Atlas_, T612, Enigmista96, 50shadesOfLOTS_Always ed Emyclarinet che hanno recensito lo scorso capitolo mandandomi al settimo cielo. Ringrazio in particolare T612, che mi ha ispirato il dialogo sui limiti tra Rhodey e Tony grazie alla sua one-shot Limitless, che vi invito caldamente a leggere, perché merita veramente tanto <3
Infine, dedico il capitolo alla mia carissima Atlas, che 'sta scena l'ha aspettata per sei anni interi :') E so che mi hai maledetta ad ogni stretta di mano tra Tony e Pepper... ma spero di essermi fatta perdonare ;)

I prossimi aggiornamenti saranno uno attorno a Natale (tra il 24 e il 27) e uno nell'anno nuovo (tra il 6 e il 10). Non so dare una data precisa perché dalla settimana prossima sarò dispersa in terra tedesca e intenta ad abbuffarmi di dolcetti&birra&vin brulé, quindi il tempo per scrivere sarà ridotto. Almeno uno dei due è però assicurato :)
Nel dubbio, vi saluto augurandovi tante Buone Feste <3
Un abbraccio a tutti voi,

-Light-

P.S. Gli Imagine Dragons hanno fatto uscire il loro nuovo album in fase di stesura di questo capitolo: grazie a loro e alla canzone d'intro (di cui avrei anche potuto mettere tutto il testo, che tanto pareva fatto apposta per quello che volevo scrivere), vi siete scampati il triplo dell'angst previsto <3

*COMUNICAZIONE DI SERVIZIO*

A partire dal prossimo capitolo, Phoenix verrà trasferita sul fandom di The Avengers!


 

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