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Autore: ___MoonLight    26/12/2018    4 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Highway to Hell




"And I will no longer do as I am told
And I am no longer afraid to walk alone
Let me go, let me be
I'm escaping from your grip
You will never own me again"

[The Handler – Muse]








Due fessure azzurrine nel buio e un circoletto di luce poco più sotto. Attorno si intuivano dei riflessi metallici, rilucenti nell'oscurità.
Tony aggrottò la fronte con fare un po' seccato: di nuovo l'armatura?
"Il mio laboratorio di sogni sta esaurendo l'inventiva."
Si guardò intorno, realizzando di essere nella solita, sterminata stanza nera. Tanto per cambiare era nudo, ma per lo meno aveva tutti i pezzi al posto giusto, incluso il reattore, a cui diede una pacca sollevata. Era strano non sentire il peso del braccio meccanico, non avvertire la rigidezza della gamba e avere un preciso senso della profondità con entrambi gli occhi. Erano delle sensazioni alle quali si era ormai disabituato, e che gli sembravano quasi estranee.
Scrollò le spalle e si incamminò verso quelle tre luci. Non che ci fosse molto altro da fare.
"Dovrò scrivere una lettera di protesta a Morfeo," sbuffò tra sé.
Camminò per un po'. L'armatura era più lontana di quanto gli fosse sembrato.
Una corrente d'aria lo sfiorò e rabbrividì, ritrovandosi con la pelle d'oca. Ruotò capo e occhi, cercandone inutilmente la fonte. Ora che ci faceva caso il suo corpo era stranamente sensibile, al contrario di quasi tutti i sogni precedenti.
Sotto le piante dei piedi avvertiva una superficie regolare, piana e leggermente ruvida.
"Cemento?"
Si arrestò e portò una mano alla nuca, come sempre quando rifletteva su qualcosa, e le sue dita incontrarono delle ciocche lunghe e ribelli, invece del taglio corto che portava da qualche tempo. Ritrasse la mano, tirandosi appena le punte dei capelli con fare perplesso.
Riprese la marcia e accelerò il passo. L'armatura si avvicinava.
C'era vento, adesso. Distingueva un mormorio di automobili in sottofondo, assieme a un sentore di fumo acre, come di gomma bruciata e benzina. I suoi sensi stavano ricostruendo una scena che gli sembrava familiare e che accendeva un pizzicore spiacevole nel suo stomaco, impossibile da focalizzare.
Era l'Afghanistan? No, si rassicurò subito: lì c'erano solo il lezzo di sangue rappreso, il crepitio costante di braci morenti e il sapore di acqua torbida in bocca, nelle narici, nei polmoni...
Aumentò ancora il passo, sfociando in una corsetta nervosa e impaziente.
Arrivò davanti all'armatura col fiato leggermente corto. Solo allora si rese conto che qualcosa non andava: dovette alzare la testa per guardare il reattore; le fessure azzurre incombevano minacciose su di lui.
"Da quando è così grande...?"
Fu allora che quel pizzicore inquieto si tramutò in un blocco solido di terrore, proprio quando Iron Monger si rianimò con un ruggito metallico scagliandosi contro di lui.


***


5 Gennaio 2009, Settore 16, Stark Industries

L'atterraggio sul tetto fu più duro di quanto avesse previsto e batté la tempia contro la calotta interna dell'elmo, mentre cercava inutilmente di frenare la caduta coi propulsori ormai agonizzanti. Il colpo lo stordì, ma riuscì a liberarsi in tempo del guanto sinistro, ormai in cortocircuito e sul punto di ustionargli una mano. Tentò di rialzarsi a fatica, rintronato e con la testa leggera, ma la gamba destra non reagiva come avrebbe dovuto e crollò di nuovo su un ginocchio. All'inizio non capì se ciò dipendesse dall'armatura o dal suo corpo, poi percepì con chiarezza il metallo che gli penetrava nella carne, mozzandogli il fiato ad ogni minima contrazione dei muscoli e delle ossa che si muovevano in modo anomalo e agghiacciante. Abbassò lo sguardo e una stoccata nauseante lo colpì allo stomaco. Mise a fuoco oltre un velo di lacrime il gambale accartocciato che gli stritolava il polpaccio, ormai una massa contorta di metallo cremisi e sangue così scuro da sembrare nero.
Quando era successo? Forse quando l'aveva scaraventato contro quell'autobus...
Provò a muovere il piede, ma quello non rispose, come fosse sconnesso dal resto del suo corpo.
«Tony!» la voce squillante di Pepper risuonò nell'auricolare.
Provò a parlare, ci provò con tutto se stesso, ma gli uscì solo un respiro spezzato.
«Oddio, sta... sta bene?»
Stavolta colse una crescente nota di panico nelle sue parole e si obbligò a rispondere, deglutendo a stento sangue e saliva:
«Più o meno. Ho perso potenza e –...» una fitta lancinante al ginocchio lo fece interrompere con un sibilo. «Credo... di avere una gamba rotta,» annaspò infine, schiudendo l'elmo.
Accolse con sollievo la ventata d'aria fresca che lo investì sul volto madido e fu scosso al contempo da un conato. Adesso avrebbe vomitato, ne era certo. La sensazione delle ossa scomposte nella gamba gli stava rivoltando le budella, ma riuscì solo a sputare un po' di sangue che gli lasciò la bocca più impastata di prima. Per un istante gli parve di percepire la consistenza ruvida della sabbia in gola, ma s'impedì di focalizzarla, concentrandosi invece sulla voce di Pepper:
«I soccorsi stanno arrivando. Rimanga dov'è, e...»
Un boato fece tremare il tetto oscurando la sua voce e lui si voltò di scatto, verso la colossale armatura che era appena atterrata dinanzi a lui. Richiuse di scatto la visiera e si appiattì a terra appena in tempo per schivare il gancio che stava per disintegrargli la testa.
Si rialzò sul ginocchio integro e d'istinto fece per lanciare un raggio dal guanto, prima di realizzare di aver usato la mano disarmata. Il secondo pugno lo colpì in pieno volto, cozzando contro la maschera e sbalzandolo via di qualche metro. Una scarica di adrenalina residua gli permise di ignorare il dolore quel tanto che bastava per attivare i propulsori posteriori e scagliarsi a testa bassa contro Stane, per ricambiare la cortesia con tutta la forza che gli rimaneva. Provò un moto di feroce soddisfazione nel sentire il proprio pugno metallico impattare col suo casco con un rintocco di gong, strappandogli un lamento soffocato.
"Questo è per la gamba, bastardo."
Si pentì della propria avventatezza quando si trovò avviluppato nella sua stretta ferrea, che ora minacciava di frantumargli le vertebre. Si dibatté debolmente sentendosi un pesce preso all'amo, e la furia di poco prima si tramutò in paura quando sentì le placche posteriori dell'armatura che iniziavano a cedere con un cigolio. Avvertì un'acuta fitta al costato e il suo cervello andò momentaneamente in stand-by, impedendogli di processare ciò che sentiva per reagire di conseguenza. Il corpo smise di rispondere ai comandi, scivolando in una gelida paralisi. Gli mancava l'aria: vide rosso, poi bianco, infine la sua vista si oscurò, animata solo da migliaia di minuscole stelle intermittenti man mano che sentiva la pressione aumentare fino a strizzargli i polmoni. Le fessure azzurrine di Iron Monger sembravano deriderlo nel buio.
La sua paura si tramutò in qualcos'altro, un terrore cieco e ancestrale che gli rianimò membra e cervello, in un fiotto prepotente di calore che gli scosse la spina dorsale e gli artigliò la nuca. Riprese a pensare e le sinapsi si riavviarono come saette concitate che presero a rimbalzare nel suo cranio. Respirare diventava sempre più laborioso.
"Gamba rotta, repulsori fuori uso, missili offline..." elencò frenetico. "Stai per schiattare, fai
qualcosa!"
«Razzi!» riuscì ad articolare infine, e l'armatura eseguì, accecando momentaneamente Stane con delle piccole esplosioni, poco più di qualche petardo, ma abbastanza per fargli allentare la presa e mandargli in tilt i sensori ottici.
Puntò la gamba sana contro la massiccia corazza e fece leva, per poi attivare i propulsori riuscendo infine a rompere quella morsa. Rovinò a terra inerte e solo allora si rese conto di aver semplicemente ritardato l'inevitabile. 
Non riusciva a muoversi.
Non riusciva a muoversi
La sua testa si fece leggera, quasi si fosse separata dal corpo. Fece leva sugli avambracci e riuscì solo a trascinarsi di un passo per poi ricadere a terra, ancora protetto dal denso e basso fumo dei razzi. I passi di Stane si abbattevano sul tetto, riverberando nelle sue ossa mentre si agitava alla sua ricerca in quella nebbia per ora impenetrabile, ma destinata a disperdersi per lasciarlo di nuovo indifeso.

Abbatté un pugno a terra, sopraffatto dalla frustrazione e dal dolore, ma si rifiutò di abbandonarsi lì. Si sollevò sul fianco sano e strisciò sui gomiti dietro a un bocchettone d'areazione, un precario riparo che però lo proteggeva alla vista.
"Sono spacciato," gli rimbombò nella mente, ottenebrata dalla consapevolezza che, qualunque morte lo attendesse, non sarebbe stata eroica né indolore.
Il suo respiro accelerò e iniziò ad iperventilare, in cerca d'aria, di una via di fuga, ma sotto di sé c'era solo solido cemento, e il cielo velato sopra di lui gli era precluso.
"Non posso morire così. Ho fatto ancora troppo poco."
Piegò la gamba devastata e soffocò un grido: poteva ancora muoverla, anche se a caro prezzo.
"E poi che penserà il resto della boy-band? Non sono solo un 'uomo-scatoletta', non posso darla vinta a Capitan Ghiacciolo!"
Fece leva sulla gamba integra, poggiandosi alla parete metallica per mantenersi in piedi.
"E se finisco all'aldilà che racconto a Yinsen? Che sono morto spiaccicato da una brutta copia della mia stessa armatura? Sai che ridere."
Chiuse per un momento gli occhi e fu sul punto di perdere i sensi, a un passo da un piacevole e allettante oblio che avrebbe annullato tutte le sensazioni spiacevoli e dolorose che...–
"No! No, resta sveglio! Là sotto c'è Pepper. C'è Pepper e non puoi farle questo, non
puoi farle questo, svegliati!"
Si morse con forza l'interno della guancia, costringendosi a riaprire di scatto gli occhi e tornare presente a se stesso, col sapore del sangue a impregnargli la lingua. Era un genio, era Tony Stark: avrebbe trovato una soluzione, anche adesso. 
Riuscì a trascinarsi dietro al gabbiotto d'accesso al tetto, ponendo una difesa più solida tra lui e le morse mortali della gigantesca armatura. Sbirciò appena oltre l'angolo, mettendo a fuoco il suo nemico che setacciava l'area, facendo tremare il tetto ancora avvolto da una sottile nebbiolina. La consapevolezza che là dentro ci fosse Stane riemerse prepotente. Aveva appena tentato di ucciderlo senza alcuna esitazione.
Una strana morsa gli afferrò il petto, un misto di delusione, rabbia e profondo sgomento a cui non seppe dare un nome se non dopo qualche istante: tradimento. Affondò come una lama proprio nel punto in cui si raggruppavano le schegge che minacciavano il suo cuore.
"Cazzo, papà, ti sei scelto proprio degli amici di merda," riuscì a pensare quasi rassegnato, e gli sembrò che la lama si torcesse nel suo petto, allargando una ferita già aperta.
Poi fu distante da lì, avvolto da una calma assoluta e gelida.
Era di nuovo nella grotta. Davanti a lui c'era il bastardo dagli occhi di vipera che lo guardava dimenarsi sull'orlo di un barile implorando per una boccata d'aria, o accartocciarsi sotto le percosse con la testa e il volto protetti solo dalle sue stesse, deboli braccia. E stavolta dietro di lui intravide un'ombra più cupa, quella di un burattinaio che tirava le fila di tutto quel macabro teatrino, guidando da dietro le quinte ogni colpo che si era abbattuto sul suo corpo e ogni mano che gli aveva strappato i capelli per costringerlo sott'acqua. Durò un istante, un attimo di puro gelo che fece poi largo a una marea bruciante. I suoi occhi si appuntarono su quell'armatura mastodontica desiderando solo di poterla fondere con lo sguardo, catturando tra quei flutti roventi la bestia che aveva ordinato di squarciargli il petto per infiggervi un cuore di metallo.
Quando parlò la sua voce era trasfigurata, tremante e gutturale come se scaturisse da una caverna.
«Potts. È lì?»
Vedeva la foto associata al suo contatto sullo schermo rotto, sfigurata dalle crepe che lo attraversavano, e fu solo aggrappandosi al suo volto che riuscì a rimanere lucido e a non slanciarsi verso Obadiah per cavargli gli occhi, o fracassargli la gabbia toracica come avevano fatto con lui, o massacrarlo di pugni fino a...
«Tony!» la voce di Pepper arrivò come un toccasana, interrompendo quel flusso di immagini che non avrebbe mai creduto di poter evocare, pronto a montare di nuovo non appena avesse lasciato il freno al suo raziocinio traballante.
Doveva essere terrorizzata, forse più di lui, e forse più per il tono in cui l'aveva involontariamente appena chiamata che per tutto il resto. Pensò alla serata di beneficenza, al contrasto tra l'onda calda dei suoi capelli e la stoffa blu cobalto che andava a esaltare la sfumatura più chiara delle sue iridi. Il velo d'acqua che sembrava ovattargli le orecchie si assottigliò, permettendogli di parlare con più lucidità:
«Ho un piano,» ansimò, cercando inutilmente di mascherare le sue reali condizioni che trasparivano comunque dalla voce sforzata. «Dobbiamo sovraccaricare il reattore,» cominciò, cercando di continuare a pensare.
Ci fu un breve silenzio dall'altro capo e si sentì raggelare, nonostante Obadiah fosse ancora nel suo campo visivo – e pericolosamente diretto verso di lui, che si appiattì ancor di più contro il muro.
«E come pensa di fare?» gli arrivò infine, con un misto di sollievo nel sentirla rispondere e di angoscia per ciò che prevedeva il suo piano.
«Lo farà lei,» si obbligò a dire, maledicendosi con tutto se stesso, ma troppo nel pallone per riuscire a formulare una valida alternativa.
Iniziava a sentirsi la testa leggera, e la gamba era un inferno bruciante di dolore che catalizzava tutta la sua attenzione, stritolandogli il cervello. Sentì i passi metallici dell'armatura di Stane in avvicinamento e si trascinò all'altra estremità del muro, riprendendo a parlare più piano che poté:
«Vada alla console centrale e accenda tutti i circuiti,» esalò, percependo una vibrazione più forte che scosse la terra sotto i suoi piedi. «Quando mi sarò allontanato, prema il pulsante del bypass principale. Farà un bel botto,» cercò di assumere un tono più leggero nel tentativo di rassicurarla, e fu grato che non potesse vederlo in quel momento.
«Ok, sto entrando adesso,» rispose lei, tesa, ma senza esitazioni, e riuscì ad immaginare nitidamente la linea sottile e tirata delle sue labbra e le sopracciglia appena corrugate per la concentrazione.
Assieme alla paura cieca che lo afferrò alla gola provò anche un netto moto d'orgoglio verso di lei, che scacciò almeno in parte il tremito che lo scuoteva da capo a piedi.
«Aspetti che io sia sceso dal terrazzo,» si raccomandò, stringendo più volte i pugni e preparandosi a scattare. «Io le guadagno un po' di tempo,» concluse, ricalcando con tardiva consapevolezza l'eco di parole fin troppo fresche nella sua memoria.
La mano di Iron Monger sbucò oltre l'angolo, poggiata al muro poche decine di centimetri sopra la sua testa, e l'intonaco sbriciolato picchiettò sul suo casco metallico. Inspirò a fondo, incamerando tutta l'aria che poté e si concentrò unicamente su quello, scacciando l'impronta rovente del dolore dalla propria percezione.
Fece leva sulla gamba integra e lasciò il riparo del muro, scagliandosi contro Stane. Questi ebbe un fugace tentennamento nel vederselo arrivare addosso senza preavviso e lui ne approfittò per issarsi sulle sue spalle, andando ad afferrare a colpo sicuro un fascio di fibre ottiche tra le placche metalliche, sradicandolo poi con tutte le sue forze dall'armatura. Stane mosse il capo qua e là, prevedibilmente accecato, e iniziò a dimenarsi come un ossesso nel tentativo di scrollarselo di dosso; prima che Tony potesse mirare al cavo d'alimentazione degli arti superiori, si sentì afferrare e tirare per il casco; fu costretto a sganciarlo dal suo supporto e a mollare la presa per non venire decapitato, e Stane riuscì finalmente a disarcionarlo e scagliarlo via come fosse incorporeo, privandolo di quella difesa. Impattò a peso morto sulla vetrata sovrastante il reattore, boccheggiando in cerca d'aria. Il suo tentativo di rimettersi in piedi fallì: ormai la gamba devastata era completamente inerte.
Rimase carponi, con l'impressione di respirare dei chiodi incandescenti.
Sentiva Obadiah blaterare in sottofondo, preso da un delirio di onnipotenza, e registrò a malapena il proprio elmo accartocciato che rimbalzava accanto a lui sulla vetrata, gettato via con disprezzo dal suo ex- socio. Il suo sguardo era puntato in basso, verso il puntino rossiccio che si aggirava rapido nell'azzurro abbagliante, armeggiando attorno alle centraline di comando del reattore. Si sentiva prosciugato di ogni energia, e la volontà che si dibatteva nel suo petto era appena sufficiente a impedirgli di rannicchiarsi a terra, chiudere gli occhi e lasciare che ciò che non era successo sei mesi prima accadesse ora, ironicamente di nuovo per mano di qualcosa creato da lui. Sentiva il buio che lambiva i suoi sensi, allettante e carezzevole, come una buonanotte promessa di un sonno dolce e lieve.
"È questa, l'ultima sfida del grande Tony Stark?"
Si forzò a sollevare gli occhi, e incontrò quelli spenti del suo casco rosso-oro sfigurato; subito dietro, si ergeva la figura minacciosa e torreggiante di Stane. Si trovò a digrignare i denti: quella era la
sua armatura, la sua promessa di libertà in una grotta oscura; quei pezzi metallici erano stati forgiati dalle sue mani e da quelle di Yinsen. Portò una mano al proprio reattore, solo un pallido riflesso di quello davanti a lui, eppure egualmente brillante, custode di tutta la fiducia che gli altri vi avevano riposto.
Si issò su un ginocchio, contrastando con furia il buio, deciso a non abbandonarsi docilmente a quel sonno ingannevole.
Non cedette di un solo centimetro, piantandosi al suo posto con le forze che gli rimanevano e sostenendo lo sguardo di Obadiah, ora a viso scoperto, con un misto di sufficienza e rabbia. Il suo padrino, con gli occhi accesi da una lucida follia, gli puntò addosso una delle mitragliatrici senza alcuna esitazione, e Tony ebbe appena il tempo di pararsi il volto scoperto con un braccio, usando uno dei flap anteriori come scudo improvvisato. Socchiuse le palpebre nella pioggia di scintille, rintronato dal fracasso del metallo contro metallo, cercando di mantenere l'equilibrio mentre sentiva la vetrata iniziare a cedere sotto di lui, colpita dai proiettili.
Poi accaddero troppe cose insieme, e fu come essere sballottato qua e là da una mano invisibile, senza riuscire a ricollegare le sue sensazioni al mondo reale. La voce di Pepper lo raggiunse, appena udibile oltre la spessa vetrata, ma il suo istinto di attivare i propulsori per abbandonare il tetto fu stroncato da una fitta straziante al volto e dalla sensazione di precipitare. Annaspò nel vuoto e la trave metallica a cui si avvinghiò gli mozzò il respiro, mentre il peso dell'armatura lo trascinava in basso, ad oscillare inerme sopra il nucleo ribollente del reattore. Scalciò debolmente nel vuoto, con la vista oscurata dal sangue e la sensazione di avere un ferro rovente conficcato nell'occhio, mentre sentiva il resto della vetrata disintegrarsi sotto i colpi alla cieca di Stane. I suoi pensieri sfarfallanti andarono a Pepper e alla pioggia acuminata che l'aveva appena investita. E se lui fosse morto, Obadiah sarebbe passato a lei.
«Premi il bottone!» si sgolò, con la voce deformata dal dolore.
«Così morirai!» la sentì protestare, sensatamente, nonostante il panico che riconobbe in quelle parole.
Un missile sparato da Stane esplose a qualche metro da lui; il contraccolpo gli fece perdere la presa, e riuscì a recuperarla solo con la flebile forza che gli rimaneva nelle dita.
«Premilo!» ripeté, preparandosi ad attivare i propulsori posteriori.
Sentì la propria mano cedere e seppe che stava per morire, scomparendo proprio nella creazione di suo padre.
L'improvvisa scarica di energia lo sbalzò invece in alto, e riuscì a deviare la traiettoria il tanto che bastava per non esserne completamente risucchiato. Atterrò sul telaio del lucernario e rimase lì, con la vista offuscata e il respiro spezzato, cercando di muoversi il meno possibile. L'armatura era leggermente più reattiva e sentì il blocco al petto alleviarsi un poco: la scarica doveva aver fornito un pizzico d'energia al reattore morente. Attraverso il velo di lacrime e sangue, distinse Stane che veniva investito in pieno dal raggio, le sue grida perse nella cacofonia di elettricità e lamiere divelte. Il cielo si illuminò a giorno, come acceso da un lampo mostruoso, per poi spegnersi con un brontolio profondo.
Il silenzio premette sulle sue orecchie, interrotto solo dallo schianto dell'enorme armatura che collassava a pochi metri da lui, ponendo entrambi in precario equilibrio sui resti del telaio della vetrata. Obadiah, ancora all'interno della corazza, sembrava morto, o forse solo svenuto.
Tony concentrò tutte le sue forze nel mantenersi vigile, contrastando la sua coscienza sempre più fluttuante, resa labile dall'emorragia e tormentata dalle fitte al volto e alla gamba. Portò la mano nuda a detergersi il sangue che gli oscurava la vista, e non trattenne un grido non appena le sue dita sfiorarono lo squarcio. Non ebbe tempo per soffermarsi a valutare il danno: le travi metalliche mandarono un lamento preoccupante e le sentì inclinarsi, facendo scivolare di qualche centimetro lui e Stane. Intravide quest'ultimo muoversi debolmente, incastrato nell'armatura, e sganciare le cinghie di sicurezza che lo imbracavano all'interno. Il telaio cedette ancora, sollecitato dal suo dimenarsi, ed entrambi trattennero involontariamente il respiro.
Tony sentì il nugolo di violente emozioni che l'aveva invaso poco prima scemare, e lasciar posto a un senso di disgusto e pena per l'uomo accanto a lui, intento a districarsi tra i resti contorti del suo stesso operato. Lo vide protendere una mano nella sua direzione, con l'altra ancora intrappolata nell'arto metallico di Iron Monger. Mirava a una trave sporgente poco più in alto di lui per trarsi in salvo, e Tony percepì il telaio affossarsi pericolosamente, sul punto di spezzarsi di netto e trascinarli entrambi verso morte certa. Si scansò a fatica, il tanto che bastava per porsi sul solido cornicione di cemento, mentre Obadiah tentava inutilmente di sporgersi ancor di più, riuscendo però solo a sfiorare la trave con la punta delle dita.
Era a portata di mano, realizzò Tony. Gli sarebbe bastato allungare il braccio per offrirgli l'appiglio che cercava. Serrò i denti, pensando alla grotta, pensando a Yinsen, e al reattore incastonato nel suo petto, e a come quella serpe avesse tradito sia la sua fiducia che quella di suo padre e avesse tentato di uccidere Pepper.
Fissò la mano tesa verso di lui, continuando a rimestare incessantemente quel calderone colmo d'odio. Un singolo fotogramma emerse nella catena di ricordi convulsi e colmi di sofferenza che si stava sforzando di evocare, sovrapponendosi al presente: un Obadiah più giovane e con solo una spruzzata di grigio nella barba biondiccia, stretto in uno sgargiante completo anni '70 e con un panama a coprirgli i capelli folti. Anche allora tendeva una mano verso di lui, nascondendo solo in parte la sagoma squadrata di un robottino rosso sgargiante. Suo padre era sullo sfondo, già affrettato verso il suo ufficio e a mani vuote, e sentiva quelle gentili di sua madre posate sulla spalla in un gesto al contempo affettuoso e protettivo.
Per un istante, rivide quel robottino rosso nella mano protesa di Stane, e il suo braccio scattò d'istinto in avanti proprio quando il telaio cedette ancora con un assordante cigolio.
Stane si aggrappò a lui, scampando la caduta con un grido sorpreso. Tony sentì il suo peso tendere ogni muscolo del proprio braccio, e si puntellò contro il bordo con ogni residuo di forza e volontà che gli rimaneva. Stane gli rivolse uno sguardo stralunato, nel quale tentò di riconoscere il proprio padrino, trovando solo due fredde lastre inespressive, ma non mollò la presa. Si accorse solo allora che Stane non stava tirando per issarsi in alto, ma per trascinare lui verso il basso.
«Abbiamo fatto la nostra parte,» proferì, in un tono agghiacciante che fece defluire da lui ogni stilla di benevolenza. «Adesso è il momento di uscire di scena.»
Con un gesto repentino, allungò l'altra mano ancora avvolta dall'enorme guanto metallico e la serrò appena sopra il suo gomito, trasformando quella presa in una morsa ferrea dolorosa. Tony non riuscì a contrastare la sua forza e si sentì sbalzare in avanti, verso il vuoto e il magma elettrico del reattore. Riuscì ad artigliarsi ai resti del telaio, dove rimase incastrato tra le sue travi divelte, che funsero da rete di sicurezza. Fu allora che la porzione su cui poggiava Stane cedette definitivamente: lui precipitò ancora aggrappato al suo braccio, e Tony lo sentì allungarsi più di quanto fosse naturale, mentre ogni singolo tendine e muscolo bruciava e ogni singolo osso tremava con agonizzante nitidezza, sul punto di frantumarsi. Si sentì gridare come da molto lontano mentre tentava di sganciare alla cieca il rivestimento dell'armatura, inutilmente.
L'ultima cosa che percepì fu un secco schiocco di legno spezzato e uno strappo di stoffa lacerata, poi la disturbante realizzazione che il suo corpo fosse diventato più leggero del dovuto.
Il buio arrivò pietoso ad offuscare i suoi sensi.


***


Fu risvegliato dalla vertigine che lo prendeva allo stomaco, e per un momento fu convinto di star decollando come al solito con la propria armatura. L'illusione s'infranse quando si sentì cadere per quelle che parvero miglia, finché l'impatto sulla schiena non gli spezzò il respiro. 
Il mondo era dolore e sangue e metallo. 
Socchiuse l'occhio pesto e tutto ciò che mise a fuoco fu un riflesso azzurro e indefinito sopra di lui. Lo riportò al cielo terso in Afghanistan, e agli occhi benevoli di Yinsen, e al nucleo vivo del reattore nella grotta, e alle onde del Pacifico che lo accoglievano a casa.
L'aria gli sfuggì dalle labbra spaccate in un refolo stentato e lasciò che palpebra ricadesse a privarlo di quel colore familiare. Era certo che l'avrebbe ritrovato al suo risveglio, negli occhi di chi l'aveva aspettato per tre mesi – o forse per dieci anni – e lo chiamava, anche adesso, indicandogli una via d'uscita che non riusciva a vedere.
Si abbandonò di nuovo quietamente all'incoscienza, distaccandosi dal suo corpo sofferente, ed entrò in un inquietante mondo sospeso fatto di specchi, abissi e riflessi estranei.


***


"Dove sono?"
Acqua, e delle luci in lontananza. Lo sciabordio delle onde contro la chiglia di un battello. Altre luci fluttuano tutt'intorno. Il vento porta con sé un odore salmastro e le note di un organetto. Una città galleggia sulla laguna, illuminata dall'ultimo chiarore azzurrino del crepuscolo estivo.
«Tony? Si sbrighi, è tardi.»
Si gira verso di lei e rimane incantato ad ammirarla. Si è dimenticato di quel vestito verde smeraldo e di quanto le stia bene. Spesso dimentica semplicemente quanto sia bella lei. 
Le rivolge un sorriso senza neanche pensarci; gli affiora spontaneo alle labbra, sospinto da quella bolla leggera che a volte gli invade il petto quando la guarda.
«Arrivo. Solo un momento.»
Esita e rivolge di nuovo lo sguardo alla placida distesa d'acqua. Ha la sensazione di aver dimenticato qualcosa. Lo cerca speranzoso nelle luci lontane, ma quelle occhieggiano indifferenti in risposta.
È in ritardo. Lo sa, lo sente, ma indugia ancora.
«Anthony.»
Una voce permea l'aria calda. È cupa, profonda e fin troppo conosciuta, carica però di una preoccupazione estranea.
"Ignoralo. Lui ti ha sempre ignorato."
Quando muove il primo passo, la laguna è già sparita.
È rimasto il buio, ora punteggiato da mille, fredde luci azzurrine che sembrano trafiggerlo.
«Anthony! Che cosa stai facendo?»




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Note Dell'Autrice:

Ah, la magia del Natale <3
Non potevo davvero scegliere capitolo più allegro e festivo per questo periodo, in effetti... ma ho compensato altrove con dosi di miele illegale, quindi penso di essere giustificata, su.
Parto col dire che questo capitolo esiste da sei anni. La primissima bozza è stata scritta a quattro mani, poi ho ovviamente colmato i vari buchi emersi con la revisione, ma il succo della questione rimane lo stesso: Stane è uno stronzo <3 E le varie elucubrazioni su di lui verranno approfondite in seguito, ma sono un misto tra i fumetti e il mio headcanon che lo riguarda. La scena in cui Stane si aggrappa al suo braccio è una versione rielaborata di una scena eliminata del film Iron Man, di cui ho ripreso alcune battute.

Sono felicissima di vedere che nuovi lettori si siano avvicinati alla storia, per cui ringrazio tantissimo Flavia_14 e Sissi Malfoy Black che hanno recuperato tutto i capitoli e hanno commentato l'ultimo, facendomi uno stupendo regalo di Natale <3 Grazie anche a _Atlas_, T612, Enigmista96, Emyclarinet e 50ShadesOfLOTS_Always che hanno commentato lo scorso capitolo e/o i precedenti. Non avete idea di quanto mi rendiate felice con ogni parola che mi lasciate <3

Qui chiudo, prima che diventi un manoscritto. Spero vivamente di aggiornare entro il 10 gennaio :)
Buone feste e un caro saluto a tutti voi,

-Light-


P.S. La parte in cui Tony si rialza "contrastando con furia il buio" e quella immediatamente precedente sono rielaborazioni della poesia Do not go gentle into that goodnight di Dylan Thomas, che è una delle mie preferite in assoluto e vi consiglio di leggere se non la conoscete già <3


   
 
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