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Autore: Alicat_Barbix    16/12/2018    1 recensioni
Trama:
John, forse il migliore agente a servizio dell'MI6, viene inviato sotto copertura ad indagare in uno dei più eminenti Night Club di Londra, per stanare la mente criminale più pericolosa che il mondo abbia mai conosciuto. A questa missione John è pronto, sa che non può fallire, che nelle sue mani vi è il destino di Londra e non solo. O almeno, crede di essere pronto, ma un bizzarro incontro con uno dei dipendenti del locale ha il potere di ribaltare le carte in tavola.
Sherlock, decisamente il miglior prostituto all'interno del Morningstar, vive felicemente la sua vita densa di sesso, avventure e disinibizione. Sherlock ama il suo lavoro, lo trova divertente e sa di essere il migliore e che niente potrebbe mai cambiare la sua vita da condannato all'Inferno che però tanto adora. O almeno, crede che niente possa cambiare la sua vita "perfetta", ma un bizzarro incontro con un ex medico militare così facile eppure difficile da leggere con le sue deduzioni ha il potere di stravolgere la sua intera esistenza.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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BEYOND 
EVERYTHING

 
by Alicat_Barbix



I Don't Want You To Let Me Go
 
Sherlock non dormiva propriamente da giorni interi. Le notti le trascorreva a rigirarsi nel letto, prediligendo la veglia agli incubi. Percepiva il suo malessere interiore crescere di ora in ora, tanto che un mattino si ritrovò rannicchiato su se stesso, tremante, due lacrime a rigargli il volto. Dopo averlo massacrato di colpi, Moriarty gli aveva gentilmente concesso un congedo di un paio di settimane, declamando a gran voce la sua clemenza.
Erano passati circa otto giorni dalla promessa di Andy e ancora non riusciva a smettere di pensarci. Aveva ormai smesso di corteggiarlo spudoratamente come aveva fatto in precedenza e si era rassegnato ad un’amicizia genuina e incondizionata. Rassegnato, già… Non si era reso conto di quello in cui tanto ardentemente sperava finché lui stesso non se l’era precluso: il cuore di Andy. A pensare certe cose, si sentiva uno stupido adolescente con gli ormoni impazziti, eppure il solo ricordo dell’abbraccio dolce e tenero del medico lo colmava di un tepore ristoratore. Era amore? Forse no, non ancora. O magari se ne stava solo convincendo per non soffrire.
Andy era quanto di più irraggiungibile, ormai, esisteva nella sua vita, perché era libertà, era indipendenza, era affetto, era calore, era passione, era amore. Troppe clausole a cui non avrebbe mai dovuto aspirare, né lì dentro né fuori. Victor, un paio di sere prima, era irrotto nella sua stanza, le lacrime agli occhi e il viso deturpato dal dolore.
“Mi ha lasciato.” aveva singhiozzato nel suo petto. Aveva confessato ogni cosa alla sua fidanzata… ex, a quanto pareva, e lei non era riuscita ad accettare il tradimento e le menzogne. Vane erano state le spiegazioni di lui, il suo racconto, le sue suppliche. Si era alzata dal tavolo di uno dei più rinomati ristoranti della città, dove Trevor aveva prenotato per compiere il grande passo, ed era sparita in un taxi, nel buio della notte.
L’amore era un difetto chimico, niente di più. E per quanto Sherlock stesse cercando di convincersene, non ci credeva più, non da quando Andy Rose era entrato nella sua vita. Ma non poteva provare simili sentimenti, legarsi in una maniera così definitiva a qualcuno, per lui era e sarebbe per sempre stato impossibile.
Era una tiepida notte di Febbraio una di quelle in cui all’esterno infuriava la tempesta. Sherlock sedeva tristemente al bar, le labbra attaccate ad un bicchiere di birra, gli occhi persi a scrutare tutto e niente. Cercava risposte, forse, in quel vuoto indefinito, in quel punto che il suo subconscio lo spingeva a fissare. Cercava una giustizia, divina o terrena che fossero, ma non riusciva a trovare né l’una, né l’altra. Victor, accanto a lui, fumava in silenzio, senza preoccuparsi di essere all’interno, due profonde occhiaie gli cerchiavano gli occhi rossi a causa delle molte lacrime che ancora piangeva e della mancanza di sonno.
Due uomini costretti a terra da quella puttana che era la vita. Si erano rinchiusi in una gabbia mastodontica e avevano buttato loro stessi la chiave. Poi si erano illusi che qualcuno, all’esterno, l’avesse ritrovata e fosse disposto ad aprire quella cella di sbarre e dolore. Si erano illusi? Probabile. O magari, era stato solo il loro ennesimo errore. Sherlock aveva allontanato il suo salvatore di proposito, mentre Victor era stato semplicemente sfortunato.
Un tocco gentile alla spalla lo fece sussultare e voltare di scatto. Andy gli sorrideva benevolmente, i vestiti bagnaticci a causa del temporale che imperava all’esterno. Ogni volta che i loro sguardi s’incrociavano, per Sherlock era come tornare a respirare dopo interminabili momenti di totale apnea.
“Ehi.” lo salutò in un sussurro, nonostante la musica alta.
“Ehi.” rispose quello senza accennare a muoversi da quella posizione. “Come vanno i lividi?”
Si passò una mano sull’addome, tastandoselo cautamente. Era stato proprio Andy a medicargli le ferite, a prendersi cura di lui per l’ennesima volta, a risollevarlo da terra. A volte, percepiva ancora strascichi di dolore, in particolar modo la notte, quando cambiava spesso posizione, preda dell’insonnia e dei brutti pensieri.
“Meglio. Ormai sono quasi come nuovo.”
Il medico assunse un’espressione mesta, mentre gli accarezzava delicatamente uno zigomo su cui, ancora, vi era la traccia del pugno di Jim. Sotto quel tocco, come sempre, rabbrividì. Era possibile provare così tanto, sentirsi così inadeguati nonostante la sua immensa disinibizione? Era davvero possibile sentirsi così solo perché accarezzato da quell’ometto dai grandi occhi blu?
“Ah, Vic.” si riscosse il biondo all’improvviso, rivolgendosi a Trevor che, fino a quel momento, era rimasto in disparte ad affogare il suo tormento nell’alcol, degnando il nuovo arrivato di a malapena un cenno di saluto. “All’entrata ho incontrato una ragazza che ti cercava. Jackson, come al solito, ha fatto lo stronzo, ma sono riuscito a convincerlo a farla passare.”
Victor sputò la birra, scosso da un groppo di tosse, battezzando il bancone da bar, e si volse in direzione di Andy con occhi sgranati. “Dov’è?”
“E’ là, in un angolino. Se devo essere sincero non mi sembra esattamente a suo agio qua dentro.”
Trevor scattò in piedi e si alzò sulle punte per scorgere la figura che il medico aveva appena indicato attraverso quel groviglio di teste e braccia alzate. Anche Sherlock si levò da sedere e seguì l’indicazione dell’amico, finché i suoi occhi non intercettarono una donna dai lunghi capelli biondi rintanata accanto alle portefinestre che davano sul giardino, intenta a guardarsi intorno più che con disgusto con preoccupazione e una buona dose di rammarico, forse anche delusione. Non era mai stato troppo bravo a decifrare i sentimenti umani, ma di una cosa poteva dirsi certo: quella giovane donna era sconvolta.
“Non solo hai un debole per biondi e bionde, ma si tratta di quella precisa tonalità di biondo.” ironizzò lanciando un’occhiata divertita prima all’uno e poi all’altro amico, ricevendo uno sguardo torvo dal primo e uno confuso dal secondo.
“Che faccio, Sherlock?” domandò con voce angosciata Victor facendoglisi vicino.
“Vai lì e ci parli.”
“Non posso parlarle qui.”
“E allora portala fuori, in fondo è la tua serata di riposo. In un posticino carino, romantico, se proprio vuoi.”
“Vieni con me.”
Sherlock scoppiò a ridere e scosse la testa. “Non ci pensare neanche. Non posso fare il terzo in comodo.”
“Non farai il terzo in comodo, idiota!” ribatté l’amico con un sospiro, tirandoselo ancora più vicino. “Dovrai solo stare nel nostro stesso locale e fingere di essere un semplice avventore.”
“Non vedo il giovamento in tutto questo.” rimarcò però lui, un sopracciglio inarcato.
“Supporto morale, mai sentito? Cristo, Sherlock, sei o non sei mio fratello? Ti scongiuro, non posso farcela da solo. Portati Andy dietro, avrete anche voi l’occasione di stare insieme lontani da questa merda.”
Il moro arrossì appena e ringraziò la penombra della discoteca che celava il suo evidente imbarazzo originato da quella sciocca osservazione. “Non è la stessa cosa, Vic.”
“Ne sei certo?”
Erano rare le volte in cui Sherlock avvertiva il bisogno di prendere a pugni qualcuno. Era capitato spesso e volentieri con quel pallone gonfiato di suo fratello maggiore, col suo insegnante di violino e con Moran, ma mai, mai si sarebbe aspettato di provare quel desiderio proprio in presenza del suo migliore amico. Le parole di Victor erano innocenti, pronunciate con ingenuità, non volevano risultare scomode né tantomeno dolorose, ma quello fu il loro effetto. Avrebbe voluto salire su uno di quei ridicoli sgabelli neri, afferrare un microfono e urlare al mondo che no, non era la stessa cosa, non lo sarebbe mai stata e che era tutta colpa di quel girone dell’Inferno in cui la coda di Minosse lo aveva relegato.
Istintivamente, guardò Andy, Andy che lo stava osservando con la sua solita espressione mite, Andy che non aveva udito una parola di quello scambio, Andy che negli occhi custodiva una luce incomprensibilmente brillante e tenue al tempo stesso. Su una cosa, il suo amico aveva ragione: sarebbe stata un’occasione per passare un po’ del tempo lontani da Moriarty e da quel macello di anime.
“E va bene.” si arrese. “Dove la porterai?”
“Da Angelo.” rispose Victor, ora concentrato sulla figura della donna che amava.
“Ci vediamo lì.”
Detto questo, Sherlock si avviò sveltamente verso l’uscita, superando lo sorveglianza di quell’idiota di Jackson e sbucando sul vicoletto su cui dava il locale. Non dovette rivolgersi ad Andy. Fu estremamente naturale ritrovarselo di fianco, sul marciapiede, in attesa di un taxi.
“Dove vai?” gli domandò innocentemente quello.
“E’ un segreto.” rispose furbescamente.
“Un segreto o una sorpresa?”
“Se fosse una sorpresa sarebbe come se tu venissi con me, no?”
Lo sguardo di Andy, per un attimo, si oscurò. “E non è così?” chiese in un sussurro, come un bambino impaurito.
Sherlock lo guardò con fare misterioso, tremendamente divertito eppure tremendamente riscaldato da quell’atteggiamento così insicuro. Se solo quel piccolo medico militare avesse saputo quanto la sua presenza, nella sua vita, fosse diventata se non indispensabile, importante… Se solo avesse saputo quanti pensieri gli rivolgeva in ogni minuto di ogni giorno… Se solo avesse saputo, Andy Rose…
“Beh, direi di sì.”
“Spero che il secondo appuntamento sia meglio dello scorso.”
Un taxi si accostò a loro ed entrambi salirono rapidamente, mentre alle loro spalle, Victor e la sua – ex? – fidanzata uscivano mantenendo una distanza imbarazzata fra loro, diretti verso la motocicletta argentea di quello.
“Lo sarà.”
 
Il tavolo che Angelo, un bonario italiano affezionato a Victor e a Sherlock da quando erano ragazzini, assegnò loro era accostato alla finestra, offrendo loro una placida visione su Northumberland Street, popolata da un mosaico di individui che il moro avrebbe avuto il delizioso piacere di dedurre col suo spiccato intuito, dote di famiglia.
“Allora, Sherlock. Che cosa posso portarvi… Oh, Victor! E questa bella signorina chi è? Venite, cari, venite! Ecco il vostro tavolo.”
I due nuovi arrivati si accomodarono in un tavolo non troppo distante dal loro – Angelo, come sempre, era stato rapido ad interpretare le occhiate allusive di Victor – mentre l’italiano tornò momentaneamente da loro.
“Appuntamento a quattro?” domandò loro con sguardo malizioso.
“Non stiamo insieme.” replicò subitamente Sherlock, in un modo tale da fargli guadagnare un’occhiata indagatoria da parte di Andy – ormai avvezzo ai suoi tentativi di corteggiarlo sempre e comunque.
“In effetti, ora che ci penso, che ci fa Victor qui?” intervenne il biondo facendo correre lo sguardo al tavolo di Trevor.
“E’ una lunga storia. Che cosa puoi portarci, Angelo?”
“Tutto quello che trovate sul menù ve lo offre la casa. Solo il meglio per te e per il tuo ragazzo.”
“Non stiamo insieme.” ripeté con un che di esasperato – che ricordava quasi il modo in cui Andy si era rivolto a Janine in quella che sembrava una vita fa – ma Angelo continuò con allusioni più o meno implicite circa il loro rapporto finché non sgattaiolò da Victor e dalla povera malcapitata che avrebbe dovuto sorbirsi i commentini ironici dell’italiano.
“Mi spieghi che succede?” chiese Andy, una volta soli, mettendo da parte il menù.
“Niente di che, Victor deve riconquistare la sua ex fidanzata che l’ha lasciato perché ha scoperto del suo… stile di vita e così…”
“Non mi riferivo a Victor, mi riferivo a te.” lo bloccò fermamente il medico, incrociando le dita sul tavolo.
“Che intendi?”
“Sei strano, Sherlock. Sei diverso. E’ come se… come se non mi sopportassi più. Ultimamente sei scostante – e non mi riferisco solo al fatto che hai smesso di corteggiarmi che, forse, è l’unica cosa buona di tutta questa storia – però sei freddo, sembra quasi che ti voglia liberare di me…”
Sherlock agì d’istinto e quasi non si rese conto della mano che scattò a prendere quella dell’altro, stringendola con fare quasi disperato, mentre i loro occhi si allacciavano insieme. “Mai. Non pensare mai una cosa del genere. Non potrei mai volermi liberare di te.”
Andy rimase in silenzio alcuni istanti, lo sguardo che si abbassò sulle loro mano intrecciate assieme. “E allora che c’è? Spiegami, perché davvero non lo capisco.” continuò con espressione combattuta e amareggiata. “Voglio aiutarti, Sherlock, ma non posso farlo se tu mi respingi, lo capisci?”
“Cristo, Andy.” sospirò allora il moro, lasciandosi cadere sui cuscinoni del divanetto su cui sedeva, allontanando la mano. “Mi stai facendo questa scenata solo perché ho tenuto a precisare che non sei il mio ragazzo? Deciditi, una volta tanto, per Dio! Non eri tu quello che non sopportava la confidenza con cui mi approcciavo a te? Adesso che ho imparato a starmene buono e a recitare la parte dell’amico, tu te ne esci con un discorso simile?”
Sapeva che era sbagliato ciò che stava dicendo. Sapeva che Andy non aveva colpa. Sapeva che Andy aveva ragione. Sapeva che lo stava tenendo a distanza. Però era come se in quel momento tutta la frustrazione accumulata nella settimana precedente stesse risalendo a galla come il magma di un vulcano. L’eruzione era a pochi secondi di distanza. Sentiva le fiamme, i lapilli, spingere per uscire, ma Andy era l’unico al mondo che non si meritava quell’eruzione. Cercò di controllarsi, di scacciare il dolore, l’angoscia, la paura, il ricordo del discorso con Moriarty, le botte, l’emozione che lo aveva avvolto nel vedere Andy alle sue spalle, riflesso nello specchio… Poi, una voce lo distolse dai suoi pensieri.
“Ci ho pensato molto.” diceva quella voce. “E ho preparato questo discorso con attenzione, me lo sono ripetuta diverse volte di fronte allo specchio… ma la verità è che quello che voglio dirti non può essere il frutto di un’elaborazione premeditata.”
I suoi occhi corsero alla fidanzata di Victor, seduta di spalle rispetto a lui, appoggiata con entrambi i gomiti al tavolo. La sua voce chiara e calda era una delle poche voci femminili che aveva mai apprezzato: odiava quella di Mary, una delle ballerine di lap dance al Morningstar – falsa, subdola – tollerava a stento quella di Irene – saccente e provocatoria – e accettava con grandi difficoltà quella di Molly, una ragazzina che da tempo, aveva notato essere solita girargli intorno come un cagnolino – così petulante e infantile. La voce di quella donna, invece, era dolce e posata, le sue spalle rilassate nonostante la portata del discorso che si stava apprestando a fare, le sue mani ferme, a dispetto della tensione e dello stress. Non la conosceva ancora, eppure quella donna gli ispirava una sicurezza che non sapeva definire, gli ricordava quasi Andy, con la sua pacata serenità nell’esprimersi e nell’atteggiarsi.
“Quando l’altra sera mi hai raccontato ogni cosa, io… sono andata fuori di testa. Per giorni ti ho… immaginato a letto con altre o altri e la sola idea mi dilaniava. Mi sono chiesta se il tuo amore fosse sincero, se il mio amore fosse sincero…” Si prese qualche istante di pausa in cui sfiorò con le dita affusolate il bicchiere d’acqua di fronte a lei – forse un tic nervoso o forse il suo subconscio che le suggeriva di idratarsi per riprendere le fila del discorso. “Quante balle, Victor… Sei mesi di una relazione costruiti solo su bugie e su facciate…”
“No, aspetta, questo non è vero.” s’intromise Victor, sporgendosi in avanti per esserle più vicino. “Questi sei mesi sono stati i più belli della mia vita e sai perché? Perché sono stati vita. Prima di te non ero nessuno… Celine, tu mi hai illuminato l’esistenza, capisci? E lo so che ho commesso una cazzata abnorme nel tenerti all’oscuro di ciò che faccio, ma la verità è che mi vergognavo, Celine, mi vergognavo come un ladro e mi vergogno tutt’ora, perché io non sono degno di te. Tu sei bella, intelligente, hai un lavoro meraviglioso, e sei perfetta in ogni cosa che fai… Io non ti merito. Ed è per questo che ho costruito l’immagine di Victor il segretario di un importante studio medico, per illudere me di essere alla tua altezza e non per ingannare te.” Tacque, le mani che durante il monologo si erano strette a quelle di lei. “Anche io ho pensato molto a quello che è successo e… Ti amo, Celine. E proprio perché ti amo sono pronto a qualunque cosa pur di renderti felice, anche proteggerti da me stesso, da quello che sono. Se stessi con me… non ti saprei offrire niente di ciò che meriti e non potrei mai perdonarmi una tua possibile infelicità futura. Perciò, sappi che sono pronto a tutto, Celine, a tutto.”
Sherlock strinse entrambi i pugni mentre un dolore sordo prendeva a corrodergli il petto. Victor aveva dato voce a quello che provava. Victor era così simile a lui… Victor era così uguale a lui. Il suo amore per quella donna era tanto forte da accettare di lasciarla andare pur di renderla felice. Come in uno dei più scontati film romantici, eccetto che tutto quello era reale, che i sentimenti di Victor erano reali, che il dolore di Celine era reale, che le loro difficoltà erano reali.
Inconsciamente, guardò Andy, perso a seguire quella scena delicata e tesa. Anche lui si stava comportando come Victor? Alla fine, era davvero così scontato? Innamorarsi di qualcuno da difendere? Il cavaliere ammazza-draghi innamorato della damigella in difficoltà?
In quel preciso momento, Andy si volse verso di lui e il suo cuore, di fronte a quegli occhi blu, sobbalzò. C’era una qualche consapevolezza sul suo viso, una tenera coscienza della situazione che stava – che stavano – attraversando. Il fiato gli si bloccò nei polmoni e rimase in uno stato di apnea per svariati secondi, i loro sguardi fusi assieme. Sherlock Holmes, grande esperto del sesso e dell’erotismo, quella sera si domandò se fosse possibile fare l’amore con i soli occhi. Poteva accadere? Se era davvero possibile, allora era esattamente quello che stavano facendo. L’amore.
“Victor.” Di nuovo, fu la voce di Celine a riscuoterlo dalle sue riflessioni. “Sei un idiota.” sputò con voce tremante, probabilmente a causa di lacrime che lui, però, non riusciva a scorgere. “Sei un idiota… Credi davvero che tu sia l’unico dei due ad amare? Credi di essere l’unico dei due a provare qualcosa di talmente forte da sacrificare se stessi? Victor, sei un idiota bastardo mentitore, ma non posso negare il fatto che ti amo. Ti amo e se tu mi giuri che quella vita farà parte del passato… allora sono disposta ad andare avanti. Non potrei vivere senza di te, Vic. Però voglio che tu, da ora in avanti, sia sempre sincero con me, non importa cosa ti tenga dentro o quanto – stupidamente – possa sentirti inadeguato per me… dovrai raccontarmi tutto. Voglio provarci, Victor, voglio davvero provarci, non so se riuscirò da subito a… dimenticare o accettare tutto questo… Però ti amo, Vic, Dio se ti amo e Dio se ho sofferto questi giorni lontano da te. Non voglio che tu mi lasci andare, so di che cosa ho bisogno per essere felice, e ho bisogno di te.”
Una sedia cadde a terra. Victor si era alzato e si era chinato di lato alla sedia di Celina, le mani a prendere quelle di lei, le labbra a baciarne i palmi. Si udirono soffocati ti amo tra un singhiozzo di sollievo e l’altro. Sherlock osservò il suo amico cazzone sciogliersi in un pianto da bambino, abbracciando le ginocchia di quella donna.
Non voglio che tu mi lasci andare. aveva detto lei. So di che cosa ho bisogno per essere felice.
Una seconda sedia venne strisciata sul pavimento. Sherlock non fece in tempo a realizzare cosa stesse succedendo che si sentì trascinato verso l’uscita, la mano stretta attorno a quella di un Andy determinato. Fuori diluviava. Si fermarono all’ingresso, i nasi rivolti al cielo piangente.
“Dove diavolo vuoi andare?” chiese all’altro mentre un tuono sferzava lo scrosciare della pioggia.
“Non ne ho idea. Ho voglia di correre sotto la pioggia.”
“Tu sei pazzo.”
Andy scoppiò a ridere mentre rafforzava la presa sulla sua mano. “Dev’essere la tua influenza.”
Fu in quell’istante che cominciò tutto. Iniziarono a correre, le gocce di pioggia che picchiettavano aggressivamente su di loro, le mani allacciate assieme. Ridevano. Ridevan0 senza un motivo vero. Ridevano perché erano dei pazzi. I pochi passanti li guardavano come se avessero avuto di fronte due folli. I clacson delle auto urlavano contro quelle matte figure che attraversavano di corsa le strade, rischiando di venire investiti… Sherlock, ad un tratto, scivolò, inzuppandosi le ginocchia in una pozzanghera, giocandosi una delle sue paia di pantaloni preferiti, ma si rialzò ridendo più di prima, gli addominali che bruciavano per la corsa e per le risa. La pioggia scrosciava, il vento ululava, i tuoni ruggivano, e Sherlock e Andy ridevano…
Quando furono entrambi senza fiato, si ripararono nel porticato di un blocco di appartamenti, ansanti e infradiciati. La dinamica degli eventi non fu pienamente chiara. Qualcosa accadde, doveva essere accaduto, ma semplicemente, sul momento non si capì che cosa fosse stato. Sherlock si ritrovò con la schiena premuta contro il muro, il petto che si alzava e abbassava freneticamente in cerca di aria, e un sorrisetto sulle labbra. Andy era a pochissima distanza da lui, entrambe le mani che stringevano le sue. Erano vicini ed entrambi si osservavano con aria complice e divertita. Sherlock non capiva più niente, aveva dimenticato ogni cosa, e aveva un’unica certezza: Andy lo avrebbe baciato. Era palese dallo sguardo che gli campeggiava in viso e da quella ricerca disperata di un contatto fisico. Andy lo avrebbe baciato. Si era sognato, una notte, di loro due, insieme e si era risvegliato irrigidito, come un adolescente alle prime prese col suo corpo troppo cresciuto. In quel sogno, Andy lo stava spogliando lentamente, senza baciarlo o accarezzarlo, ma lo faceva con una tale calma da risultare frustrante. Allora, lui si era fatto avanti, lo aveva ghermito per il colletto della camicia e aveva iniziato a baciarlo con foga bruciante, cercando il contatto con la sua pelle nuda. Poi si era svegliato.
Ora, erano lì, ad un soffio l’uno dall’altro, le loro dita intrecciate. Sherlock percepiva il suo intero corpo fremere d’impazienza dinnanzi a quello sguardo così irrealmente intriso di malizia per il medico militare. Ad un tratto, con cipiglio sicuro, Andy sciolse la presa delle loro mani e portò le proprie al muro, intrappolandolo tra la parete e il suo corpo. Il suo fiato caldo, che sapeva appena del Chianti di Angelo, s’infrangeva morbidamente e terribilmente erotico su di lui. Attendeva e l’attesa si rivelava sfibrante, il battito del suo cuore era incontrollabilmente accelerato. Avrebbe voluto sussurrare il suo nome, implorarlo, supplicarlo di baciarlo o piuttosto di non farlo, di salvare entrambi…
Di nuovo, Andy spostò le mani e, stavolta, dalla parete le portò al suo viso, circondandolo dolcezze e Dio se era stupendo quel contatto… Andy Rose, l’uomo inarrivabile, inseducibile, ora gli stava baciando un angolo delle labbra una, due, tre volte… Sherlock era immobile, paralizzato, terrorizzato… Avrebbe dovuto pensare alle conseguenze, al dopo, ma cazzo se era difficile con quelle labbra a così poca distanza dalle sue… Il dopo sarebbe giunto, prima o poi, e sarebbe stato crudele, spiazzante, disarmante, ma loro stavano vivendo il presente. Un presente che ammetteva soltanto loro due e basta.
“Baciami.”
Un sussurro, una preghiera. Sherlock spalancò gli occhi a quelle parole. Andy lo fissava implorante, il naso che sfiorava il suo, le labbra che tremavano appena.
“Baciami.” mormorò nuovamente socchiudendo le ciglia e la bocca nello stesso momento.
E Sherlock rispose. Dapprima, fu un contatto semplice, delicato, come il bacio che si erano scambiati la notte in cui Sherlock era stato male per la febbre unita agli effetti della droga, poi la presa di Andy sul suo volto si fece più marcata, addirittura disperata, racchiudeva una muta richiesta ad andare oltre… Sherlock gli afferrò i fianchi e lo spinse contro di sé come se da quella stretta fosse dipesa la sua intera vita, la sua lingua stuzzicò il labbro inferiore dell’altro, e Andy sorrise a quel contatto. Quando le loro bocche diedero accesso l’una all’altra, come scrigni che offrivano ad un coraggioso esploratore i loro tesori, le loro lingue si incontrarono a metà strada e vi fu un attimo di ilarità scaturita dalla foga, dalla pazza voglia che ghermiva l’animo di entrambi. Fu Sherlock ad indietreggiare, a lasciare spazio e piena libertà alla lingua di Andy che, riconoscente, si immise nella sua bocca, esplorandogliela curiosa e bramosa. Sherlock aveva baciato tante e tante persone, ma mai un bacio gli era sembrato così bello. Persino il piacere elettrizzante di un orgasmo non poteva essere paragonato a quella magia che stava condividendo col medico militare.
“Mi farai morire.” ansimò scostandosi appena, con una mezza risata.
“Non ti lascerai andare qui, in un luogo pubblico, spero.”
“Non in quel senso, idiota.” rispose Sherlock simulando un’espressione raccapricciata. “Nel senso che non mi hai fatto prendere respiro neanche per un istante.
“Siamo solo all’inizio, mio caro.”
E, di nuovo, le loro labbra si incontrarono con l’intento di assaggiarsi, gustarsi, divorarsi. Sherlock si era appiattito ancora di più contro il muro alle sue spalle, schiacciato dal corpo caldo e rigido dell’altro. A contatto con l’inguine pulsante dell’altro, Sherlock si trovò a sospirare un gemito, mentre quello gli artigliava i fianchi quasi con violenza e lo spingeva ancora di più contro di sé, dando sfogo ad un nuovo lamento.
“Andy, Andy, Andy…” lo richiamò a fatica scostandosi nuovamente, senza fiato e la fronte ora imperlata non solo dalla pioggia, ma anche dal sudore. “M-meglio fermarsi qui…” sussurrò appoggiando la nuca alla parete e chiudendo gli occhi, cercando di riacquistare il controllo.
Andy ridacchiò mentre gli si affiancava e, a sua volta, si addossava al muro. “Meglio, sì…”
Per un po’, a spezzare il silenzio vi furono solo i loro ansiti e la pioggia. Le loro mani si cercarono reciprocamente e, una volta trovatesi, si allacciarono con forza, tanto che quasi rischiarono di bloccarsi la circolazione sanguigna a vicenda.
“Avevo ragione, comunque…” sputò infine Sherlock tra un fiato e l’altro.
“Riguardo a cosa?”
“La tua frustrazione sessuale. La prima volta che ti ho incontrato ti ho detto che eri sessualmente frustrato.”
“Non lo ero prima di conoscere te.”
Sherlock gli rivolse uno sguardo vittorioso. “Dunque ho vinto.”
“La scommessa era portarmi a letto, cosa che di fatto non è ancora avvenuta, quindi no, non hai vinto.”
Il volto di Sherlock si adombrò e, ora che l’eccitazione e la foga del momento stavano pian piano sbiadendo, rifletté su ciò che era appena successo. Su ciò che non sarebbe dovuto accadere. Che cazzo aveva appena fatto? Si era lasciato andare e… aveva coinvolto anche Andy con i suoi stupidi impulsi sessuali. Perché doveva essere così stupido?
“Andy…” esordì con tono grave, incapace, però, di lasciargli andare la mano. “Andy, forse… forse non avremmo dovuto.”
Andy si prese qualche istante per contemplarlo. “No… No, infatti… Abbiamo fatto una cazzata.”
Sherlock si voltò di scatto verso di lui, combattuto tra la speranza e il dolore. “Davvero? Quindi sei d’acco-”
Ma le labbra dell’altro lo ammutolirono, catturando le sue in un nuovo bacio, stavolta più dolce e nostalgico, uno di quelli che sapevano realmente di Andy Rose. E per quanto il desiderio di salvare quel poco che era rimasto da salvare sembrasse l’unica soluzione ragionevole, Sherlock non riuscì a resistergli. Ripresero a baciarsi lentamente, prendendosi tutto il tempo per riconoscere ogni piccola ferita nelle loro bocche, ogni dente, ogni sapore… Andy si staccò dopo interminabili istanti, rimanendo però accostato alla fronte del moro.
“Mi è sembrato meglio. Sapeva meno di cazzata, che dici?”
“Andy…” sospirò però Sherlock, serrando gli occhi per ricercare dentro di sé la forza di separarsi da lui. “Andy, sono serio, non è una buona idea… Io sono un casino, lavoro in un bordello, non posso fare niente per liberarmi di ciò che sono…”
“Tu no, ma io sì, Sherlock. Ti tirerò fuori di lì.”
Un sorriso triste sfociò sulle sue labbra. “Credi davvero che basti tirarmi fuori da quel posto?”
“Francamente… sì.”
Sherlock si sciolse in una risata amara, mentre le mani accarezzavano il volto celestiale di quel piccolo medico militare che era improvvisamente divenuto la stella attorno a cui ruotava. “Sei un povero illuso, Rose.”
Le dita di Andy si chiusero attorno ai suoi polsi e gli occhi incrociarono i suoi. “Lo so che è complicato, che il tuo capo ti tiene legato a sé come il suo cucciolo, però devi fidarti di me, Sherlock. Riuscirò a tirarti via di lì.”
“E una volta fuori, Rose? Cosa intendi fare dopo che mi avrai salvato dal mostro che mi tiene prigioniero? Non potrai salvarmi da tutto.”
Le labbra del biondo gli baciarono teneramente la punta del naso. “Io posso tutto per te.”
“Stai diventando fin troppo stucchevole, ora.” osservò Sherlock non riuscendo, però, a trattenere un sorriso. “Mi viene il dubbio che ti sia già dimenticato la promessa che mi hai fatto.”
“Te l’ho detto, sei un idiota petulante. Non potrei mai innamorarmi di te.”
“Andy.”
“Sherlock.”
Rimasero per diversi istanti a studiarsi, finché Sherlock non si scostò dalla parete e, ficcando le mani nel Belstaff scuro, si diresse verso il marciapiede, la mano alzata in direzione di un taxi parcheggiato lì davanti. Non appena Andy gli fu accanto e la mano cercò la sua, si scansò, come se fosse stato scottato.
“Tu ne prendi un altro.”
“Perché?”
“Potresti parlare.”
Si concluse così quella magica serata. Con uno Sherlock infreddolito rannicchiato su se stesso seduto sul sedile di un taxi che viaggiava tristemente verso il suo carcere. Dal finestrone posteriore, spiò la figura di Andy farsi sempre più lontana, fino a svanire nel grigiore del cielo plumbeo. Tornato al bordello, sarebbe stato nuovamente solo. Sapeva che Andy sarebbe tornato a casa, soprattutto dopo quelle ultime fredde parole che gli aveva rivolto. Sapeva che si sarebbe sdraiato a riflettere sull’intera faccenda e che avrebbe cercato di capire, anche se, povero stolto, non avrebbe mai potuto. A stento lo faceva lui.
Sospirò amaramente e portò lo sguardo fuori dal finestrino, perdendosi nel monotono susseguirsi di strade e palazzi. Una volta, amava Londra. Ora non vedeva altro che un campo da battaglia da calcare con la disperata consapevolezza che era destinato a perdere.
 
Aveva sempre ritenuto la solitudine il suo unico punto fermo nella vita, come se lui stesso fosse stato generato da essa e alla fine fosse destinato a ritornare ad essa. Aveva sempre ritenuto l’amore uno svantaggio. Le sue certezze, ora, stavano inesorabilmente crollando, come un muro di vetro che viene infranto semplicemente toccandolo. E tutto per colpa di Andy Rose.
Se ne stava sul suo terrazzo, a fumare una sigaretta. Victor la notte precedente non era rientrato e quella mattina stessa aveva fatto armi e bagagli e se n’era andato. Moriarty, ovviamente, era stato ben lieto di sbarazzarsi di una delle poche persone a cui Sherlock teneva. O forse, la situazione ora era diversa? E se Moriarty avesse voluto fuori anche lui? Sarebbe stato logico, vista la piega presa dagli eventi… Ma Moriarty era folle, imprevedibile, e immensamente megalomane: non avrebbe mai permesso che qualcosa che lui aveva dichiarato di sua proprietà se ne andasse dal suo controllo.
Ora, nella solitudine, Sherlock si sentiva debole. Debole e confuso. Erano tante le cose su cui riflettere, eppure, la sua mente – solitamente così laboriosa e incontenibile – pensava al nulla da cui era circondato. Il fiato del Vuoto alitava sul suo collo, delle dita scheletriche gli accarezzavano i capelli, mentre una voce lontana intonava una lenta ninna nanna di morte. Stava impazzendo? La pazzia è solo un modo diverso di concepire la realtà. Non era forse stato da sempre un pazzo? Diverso?
Vi fu un timido bussare alla sua porta e una vocetta flebile a chiamare il suo nome. “Sherlock? S-sono Molly, non so se ti ricordi di me… Ad ogni modo, c’è qui Andy. Andy Rose.”
“Fallo entrare.”
La porta venne aperta con titubanza, rivelando la figura del medico militare affiancata da quella piccola e fremente della ragazzina che era ormai solita scodinzolargli intorno. Un’esitazione comune s’impadronì dell’ambiente e Sherlock si ritrovò a sbuffare di fronte a tanti indugi, così, con un ampio cenno della mano, invitò Andy ad entrare.
“A-allora io vado.” s’intromise la ragazza torcendosi nervosamente le mani, guadagnandosi un’occhiata pietosa da parte dell’ex soldato.
“No, Molly, se vuoi accomodati pure senza che nessuno ti abbia invitato.” rispose acidamente lui alzando gli occhi al cielo.
“Sherlock!” lo redarguì il biondo scoccandogli un’espressione severa e di rimprovero.
Sospirò sconsolatamente: possibile che quell’ometto all’apparenza così insignificante riuscisse persino a farlo sentire in colpa nei confronti di appena una bimbetta che giocava a fare la spogliarellista? “Mi spiace, perdonami. Puoi andare e… grazie per averlo accompagnato.”
Molly non rispose, ma gli parve di intravedere un paio di lacrime rigarle le guance, ma fu un attimo perché il secondo dopo si era già dileguata, lasciandoli soli.
“Era davvero necessario?” sbottò Andy allargando le braccia come a voler misurare la portata della sua meschinità e della propria delusione.
“Non si tratta di necessario o meno, Andy, si tratta di essere coerenti con se stessi. Io non sono una persona sensibile, sono il peggiore antipatico, ignorante, stronzo che esista sulla faccia della Terra.”
“Perché ti ostini a voler essere qualcosa che non sei?”
“Perché tu ti ostini a volermi rendere qualcosa che non sono?”
Era strano quel battibecco. Strano ed irreale. Sherlock odiava vedersi tramite gli occhi di Andy, perché ciò che Andy vedeva era una persona completamente diversa, migliore, umana, mentre lui era soltanto un prostituto che come unica caratteristica aveva quella di saper fare il suo lavoro. Ed era così che voleva continuare a vedersi.
“Ad ogni modo.” esclamò Andy mutando completamente tono di voce e avvicinandosi rapidamente all’angolo della stanza in cui era sistemata la telecamera. Prese la sedia, ormai praticamente di sua proprietà, vi salì e attaccò sulla lente un pezzo di carta con lo scotch che si era portato – apparentemente – da casa. “Così va meglio.”
“Che diavolo stai facendo?”
“Guadagnando un po’ di privacy.” rispose il biondo scendendo e avvicinandosi a lui con un sorrisetto e prendendogli dolcemente i fianchi, in un modo che gli provocò una scarica di brividi per tutto il corpo.
“Ce ne saranno sicuramente delle altre, nascoste da qualche parte.” osservò poi, senza però staccarsi dalle braccia dell’altro.
“Non me ne importa niente.”
Sherlock chiuse gli occhi mentre le labbra di Andy si posavano sulle sue castamente, docili, e sospirò appena di sollievo. Cristo, quant’era difficile ragionare quando quell’uomo lo stringeva fra le sue braccia e lo baciava con così tanta cura, come se fosse stato un fragile oggetto di cristallo in procinto di frantumarsi alla prima pressione esagerata.
“Vieni sul letto.” gli sussurrò sulle labbra il biondo, retrocedendo verso il suddetto letto, tirandolo delicatamente con sé per la mano.
“Andy…”
“Vieni.” ribadì fermamente il medico sedendosi sul materasso e facendogli cenno di accomodarsi accanto a lui.
Sherlock, dopo aver opposto una debolissima resistenza, si lasciò andare, prendendo posto di fianco all’altro che non aveva smesso di compiere col pollice cerchietti concentrici sul dorso della sua mano. Sapeva che era una cattiva idea. Sapeva che cosa sarebbe successo. Sapeva che se avesse superato la linea di confine non sarebbe più riuscito a tornare indietro, ma proprio mentre stava aprendo la bocca per accampare una scusa qualunque, Andy parlò: “Raccontami di te.”
Rimase a fissarlo sbigottito per diversi istanti. “Di me?”
“Sì, di te.”
“Non c’è molto da sapere oltre alla mia vita qua dentro.”
“No, Sherlock, io voglio sapere tutto.” gli spiegò l’ex soldato avvicinandoglisi appena un poco, uno sguardo serio in faccia. “Voglio sapere la tua storia. Quello che sei stato prima di questo posto, com’è la tua famiglia, com’è stata la tua infanzia, qual è il tuo colore preferito o il gusto di gelato che prediligi.”
Una risatina sinceramente divertita sfuggì alle sue labbra nell’ascoltare quell’assurdo discorso. Nessuno s’interessava mai a Sherlock Holmes. Tutti erano sempre troppo impegnati ad interessarsi all’Angelo caduto. Ma Andy Rose era diverso da tutti gli altri. Lo aveva capito dal primo istante.
“Il mio colore preferito è il viola e non sono un amante del gelato, ma il gusto che tollero di più è… il fiordilatte.”
“Che gusto noioso.”
“Sei stato tu a chiedermelo.” notò con espressione contrariata. “Per quanto riguarda la mia famiglia, sono tutti degli idioti, a cominciare da mio fratello Mycroft.” Andy scoppiò a ridere, completamente all’improvviso, e Sherlock lo osservò con circospezione. “Cos’ho detto?”
“Niente, niente… Dicevi?”
“Dicevo che la mia famiglia è composta da persone assolutamente ordinarie, a parte mio fratello che ha sempre amato proclamarsi il più intelligente fra noi. A parte questo, la mia infanzia l’ho trascorsa sui libri di mia madre e di mio fratello a studiare, in solitudine e con la sola compagnia del nostro cane, Barbarossa.”
“Non avevi amici?”
“Non prima di aver incontrato Victor. Tutti i bambini con cui avevo a che fare erano estremamente noiosi e stupidi. La famiglia di Victor si trasferì nella villa a fianco alla nostra quando avevo sette anni e da allora ho sempre nutrito un’istintiva simpatia verso quel biondino insopportabilmente positivo e scatenato. Giocavamo ai pirati e i pomeriggi passati con lui erano le uniche ore trascorse non sopra i libri. A quindici anni ho conosciuto anche qualche altro mio coetaneo – stupidissimi amici di Vic la cui unica ambizione era quella di diventare calciatori professionisti.”
“E la tua ambizione? Qual era?” gli chiese Andy, sinceramente interessato.
“Promettimi che non ti metti a ridere.”
“Giuro solennemente.” rispose quello portandosi una mano al petto, gesto che suscitò in lui una spensierata ilarità.
“Il consulente investigativo.”
“Il che?”
“Il consulente investigativo. Una professione di mia invenzione: quello che, ogni volta che Scotland Yard brancola nel buio, ovvero sempre, interviene e risolve i misteri.”
“Oh… Interessante.”
“Sciocco.”
“Perché dici così?”
Sherlock aprì le braccia, un’espressione allusiva in viso, in un gesto che lo incoraggiava a guardarsi attorno. “Guarda dove sono finito alla fine. Ad ogni modo, per realizzare questo stupido sogno che avevo da ragazzo, ho cominciato a condurre studi personali, come l’analisi di diversi tipi di tabacco e di fango, e a dilettarmi col dedurre le persone che mi capitavano a tiro.”
“Come hai fatto con me.”
“Sei stata la prima persona dopo anni.” sospirò allora, ricordando il modo in cui gli aveva sbattuto in faccia il suo passato militare. “Comunque, a diciassette anni sono riuscito ad entrare a Cambridge, alla facoltà di chimica, e a laurearmi col massimo dei voti. Pian piano, però, ho cominciato a percepire il peso di quel raggiungimento… Ero arrivato alla laurea che avevo appena compiuto diciotto anni e mi sembrava di aver ormai appreso tutto ciò che il mondo avrebbe mai potuto offrirmi… Fu allora che iniziò il mio travagliato rapporto con la droga. Inizialmente era per meri scopi conoscitivi: mi divertivo a provare diverse sostanze di mia stessa invenzione sul mio copro, studiarne gli effetti, mescolarli, portare la mia creatività al limite… Ma arrivai con lo strafare sempre di più. Al tempo, Victor era lontano e ci sentivamo di rado, non avevo nessuno se non quel borioso di mio fratello. Una volta, sono persino andato in overdose e mio fratello decise di chiudermi in una clinica riabilitativa. Fu proprio in quell’inferno che conobbi il mio capo.”
Sherlock ricordava perfettamente ogni dettaglio di quel giorno e ne parlava quasi con nostalgia. Ricordava la sala d’aspetto in cui suo fratello l’aveva scaricato, ricordava le stupide e odiose sedie colorate, ricordava quel ragazzo seduto dall’altra parte della stanza, accanto alla finestra, gli occhi persi a scrutare il cielo limpido e una sigaretta tra le labbra. Era minuto, all’apparenza insignificante, con una zazzera spettinata di capelli castani sparati in tutte le direzioni. Sherlock aveva provato a dedurlo, ma niente, niente sembrava portare. Era come un sistema impossibile, un’equazione indeterminata, un postulato senza capo né coda. Quando gli sembrava di cogliere un dettaglio, subito c’era qualcosa che lo contraddiceva, smontando ogni sua ipotesi. Quel ragazzino strambo era un’incognita da cui Sherlock venne immediatamente attratto.
“Benvenuto all’inferno.” aveva improvvisamente mormorato il tipo, senza neanche degnarlo di uno sguardo. Fu allora che ebbe inizio tutto. James si trovava lì da più di un anno ed era prossimo all’uscita. Sherlock si era da subito reso conto della sua folle mente, della sua stravaganza, eppure non poteva fare a meno di sentirsene stregato. L’astinenza era stata dolorosa, ma finché il sesso con Jim era durato,
tutto era apparso più accettabile. La notte prima della dimissione, Moriarty, accarezzandolo in seguito all’amplesso, gli aveva mormorato all’orecchio: “Cristo, se ci sai fare.”
Due anni dopo, era ripiombato nella sua vita con un contratto e un’offerta succulenta per entrambi. Sherlock si era adattato subito a quella mera ginnastica, al contrario di Victor che l’aveva seguito probabilmente istigato da suo fratello per controllarlo. Il Morningstar era diventata una casa e un godimento inizialmente senza fine. Il sesso era appagante, la soddisfazione dei suoi clienti lo rendeva orgoglioso di se stesso e finalmente la sua mente a briglie sciolte aveva trovato una sterminata pianura in cui galoppare.
“Il resto lo sai.” concluse con un sospiro, lasciandosi cadere disteso sul materasso, gli occhi chiusi e la mente persa fra i ricordi. Si sentiva così stupido, ora che aveva conosciuto Andy. Si era chiesto come sarebbero andate le cose se si fossero conosciuti in un’altra vita, in un’altra realtà. Sarebbero stati gli stessi? Sarebbe lui stato lo stesso nell’approcciarsi a quel medico militare? Probabilmente, Andy non l’avrebbe mai guardato e così anche lui. Si sarebbero incrociati per strada, di fronte a delle strisce pedonali ad aspettare il verde, in una libreria ad Oxford Street, sulla Tube, seduti vicini al bancone di un bar… Chi sarebbero stati Andy Rose e Sherlock Holmes fuori dal Morningstar? Non poteva evitare di chiederselo e nel chiederselo soffriva, perché ora gli sembrava così allettante la prospettiva di cancellare tutto, a partire da quella ridicola sala d’aspetto che assomigliava a quella di un pediatra, e ricominciare… Niente Moriarty, niente bordello, niente catene di illusoria libertà, niente rapporti, niente dolore… Solo Andy. Solo lui.
La carezza infinitamente lunga dell’altro gli troncò il respiro e la ragione. Quella mano appena un poco ruvida, a contatto con la sua pelle sembrava così maledettamente giusta, adatta. Riaprì gli occhi e il volto di Andy gli inondò la vista. Lo sguardo dolce impresso nei suoi occhi era semplicemente troppo. Anche quello era giusto, ingiustamente giusto.
“Andy…” sussurrò cogliendo le sue intenzioni dalla luce che dimorava nei suoi occhi. “Andy, non possiamo…”
“Qual è il problema?”
Sherlock si mordicchiò il labbro inferiore, nervosamente, e strinse la presa sul lenzuolo sotto di sé. “Il problema è che non potrà mai esserci niente… Io lavoro in un bordello e tu sei un rispettabile medico…”
“Questa mi pare di averla già sentita da qualcun altro.” osservò il biondo, sicuramente riferendosi al discorso di Victor a Celine.
“No, Andy, sono serio. E’ troppo complicato…”
“Sei tu che la stai facendo complicata, Sherlock.” ribatté il biondo. “Mi hai fatto fare quella stupida promessa e, per quanto stupida, ho giurato. Non vuoi complicazioni sentimentali, dico bene? Sono d’accordo. Smettiamo di farci questi problemi assurdi e… cogliamo i frutti che sono a portata di mano senza doverci arrampicare. Baciamoci quando abbiamo voglia di baciarci, chiacchieriamo quando abbiamo voglia di chiacchierare, facciamo l’amore quando abbiamo voglia di farlo, senza perché o per come, solo perché ci va. Che ne dici?”
Sherlock ridacchiò leggermente. “Perché dette da te le cose appaiono sempre più semplici di quanto non siano quando le penso?”
Andy si abbassò su di lui, arrivando a pochi centimetri dal suo volto. “Perché io sono un idiota per certe cose, ma tu lo sei per altre.” Sherlock sorrise e i suoi occhi corsero alle labbra del biondo, così suadentemente vicine alle sue. “Sto per baciarti, Sherlock Holmes.”
“Sì, direi che fosse piuttosto chiaro…”
Andy rise. Rideva spesso, Andy. Rideva per molte delle cose che lui diceva, Andy. Ed era bella, la risata di Andy. Limpida, cristallina, come uno specchio d’acqua. E Sherlock gioiva nel possedere quella capacità e, soprattutto, quella risata. La lingua di Andy gli stuzzicò giocosamente le labbra, desiderosa di trovare una porta aperta in cui fiondarsi, ma quando Sherlock, con una risatina, fece per scansarsi e rendergli più difficile il tutto, il medico gli immobilizzò le braccia sulla testa, portandosi a cavalcioni sul suo addome, e la bocca si avventò sulla sua.
Sherlock venne pervaso da tante piccole scariche elettriche e si rese conto che era costretto contro il materasso, schiacciato dal peso dell’altro, immobilizzato, e che la sua lingua si limitava semplicemente a condurre i giochetti di quella dell’ex soldato. Si sentiva spogliato di ogni volontà e difesa, ma non era come con Moriarty, no, non era paura quello che lo infiammava nel profondo, ma adrenalina pura e semplice, un'esplosione chimica non distruttiva, ma eccitante. Andy, ora, gli aveva lasciato andare i polsi e aveva portato le mani sotto la camicia linda del moro, accarezzandogli la pelle, i capezzoli, baciandogli il collo e mordendo i punti all’altezza dei nei. Sherlock teneva gli occhi chiusi e, impotente, si abbandonava a quelle mani dannatamente capaci. Nessuno – né Irene, né Victor, né tantomeno Moriarty – era mai riuscito a bearlo in quel modo. Ed era così appagante, così totalmente annullante quella sensazione. Gemette nel momento in cui le mani di Andy raggiunsero la toppa dei pantaloni e si apprestarono a slacciare il bottone e ad abbassare la zip, e non desiderò altro che eclissarsi totalmente e distruggere quell’ultima muraglia.
Poi, spalancò gli occhi. Con un sussulto scattò a sedere con un impeto tale che Andy per poco non cadde all’indietro. Annaspava, i suoi polmoni richiedevano aria, brividi di paura gli percorrevano le viscere.
“Ehi…” gli sussurrò il biondo tendendo una mano verso di lui per scansargli un ricciolo, ma lui retrocedette, scivolando sul materasso. Andy lo fissava confuso, confuso e impaurito, l’espressione tristemente contorta in un non capire che sfiorava la totale ignoranza, e per Sherlock tutto quello era insopportabile. “Sherlock… Che succede?”
“Io…” cercò di esprimersi, ma un improvviso blocco respiratorio, dato dalla paura folla che lo animava, lo spinse ad alzarsi e a sgusciare sul terrazzino, gli occhi indirizzati alla scura volta celeste su di sé. Non trovava risposta, in quegli astri che baluginavano a malapena visibili per le luci cittadine. Non trovava conforto in un cielo che aveva l’aspetto di un nulla denso e palpabile. Abbassò lo sguardo, le palpebre serrate e le dita strette alla ringhiera. Tremava. Tremava e faticava a respirare. Da quando era così debole da lasciarsi prendere da un attacco di panico?
“Sherlock.” mormorò Andy prendendogli delicatamente le spalle. “Respira profondamente. Bravo, così. Pensa a qualcos’altro, ora. Pensa a una poesia o… ad una canzone che-”
“Nonostante la solitudine sia stata mia amica… sto lasciando la mia vita nelle tue mani. Le persone… dicono che sono pazzo e che sono cieco a rischiare tutto per nulla… Come mi hai fatto diventare cieco è un ancora mistero, non riesco a farti uscire dalla mia testa.” *
Sherlock ricordava quella stupida canzone. L’aveva sentita un paio di volte al massimo nella sua adolescenza, sparata nei caffè di Londra o canticchiata da qualche studente del suo college. La riteneva noiosa, insensata, melensa… Ma perché la sua memoria l’aveva rigettata fuori proprio ora? Quella canzone parlava di due innamorati diversi, probabilmente completamente l’opposto l’uno dell’altro; parlava di un amore forte – e quando mai – che riusciva ad andare oltre le differenze; parlava di promesse passate e future… Perché gli ricordava così tanto se stesso, quella canzone? Perché gli ricordava così tanto Andy?
“Ecco, bravo.” sussurrò Andy di colpo, risvegliandolo da quello stato catatonico in cui era momentaneamente sprofondato, e circondandogli il petto con le braccia. “Soffri spesso di attacchi di panico?”
Perso com’era tra i suoi pensieri, neanche si era accorto che la crisi era passata e che riusciva a respirare naturalmente. “Io… no, in realtà è il primo…”
“E’ colpa mia? Ho fatto qualcosa per… per scatenare la crisi? Sono stato troppo irruento e indelicato, Sherlock? Dimmelo, perché io-”
Gli prese il volto con le sue mani affusolate e si perse nel contemplare i suoi occhi profondi e oscurati da un velo di preoccupazione. “Non è colpa tua. Credo che sia stato il mio subconscio… Sai, non voglio farlo qua dentro, sul letto sopra a cui sono passati i miei clienti, nella stanza che il capo ha sempre tenuto sotto stretta sorveglianza… Non con te, capisci?”
Il viso di Andy si rischiarò appena, sebbene una punta di colpevolezza perdurasse ancora nel suo sguardo. “Mi dispiace… Avrei dovuto pensarci prima, scusa, sono un idiota… Sono un idiota insensibile che non ha messo in conto come tu ti saresti potuto sentire… perdonami, Sherlock.”
“Perdonarti? Andy, tu sei una delle poche persone che mi abbia mai fatto sentire a casa. Fare l’amore con te qui non significherebbe davvero essere qui. Però… però voglio che sia diverso, perché tu sei diverso. Sei arrivato qui e tutto avevi in mente meno che pagarmi e approfittarti di me, mi sei stato accanto da amico, anche se non sono mai riuscito a ritenerti tale per la stranezza del nostro rapporto, hai voluto conoscere quello che c’era oltre la facciata, sei stato sincero e mi hai dato uno scopo per andare avanti in questo posto… Mi hai salvato la vita in così tanti modi che non ci vorrebbe l’intera nottata per elencarli tutti propriamente.”
Era una dichiarazione? No, non lo era. Per dichiararsi ad una persona non bastava un lungo monologo forbito di piccole confessioni, ma quell’enorme verità che a un certo punto della vita ti si para davanti con prepotenza e dispotismo. Non era amore, no, e non sarebbe mai dovuto diventarlo.
Andy, in tutto questo, aveva assunto uno sguardo cupo. Sherlock provò ad interrogarsi sui possibili pensieri che lo tormentavano, ma non riusciva ad afferrarne neanche uno. Aveva detto qualcosa di sbagliato? Si era esposto troppo? E se Andy avesse deciso di girare i tacchi e scomparire dalla sua vita per sempre? Da un lato sarebbe stato meglio. Anzi, forse sarebbe stata la cosa più saggia da fare: allontanarlo di proposito, scacciarlo come una farfalla troppo vicina alla lanterna crepitante, salvarlo.
“Ho detto forse-”
“Devo dirti una cosa.” lo blocco l’ex soldato.
“Certo, dimmi.”
Il medico si stava tormentando le mani con ansia ed inquietudine, palesemente angosciato da chissà quale preoccupazione. “Sherlock io… Ti ho mentito tutto il tempo.”
E quelle parole piombarono con la pesantezza di una lamina d’acciaio tra loro. Sherlock si ripeté la frase dentro di sé. Ti ho mentito tutto il tempo. Gli aveva mentito. Gli aveva mentito. Anche lui.


SPAZIO AUTRICI
Eh, ragazzi... Dai, un po' di angst ci voleva dopo tutto questo fluff, no? E poi, dovreste aver imparato a conoscerci, ormai... Oh no? Comunque, questo capitolo diciamo che è una svolta da più fronti. Abbiamo assistito ad uno Sherlock che ha fatto completamente marcia indietro col dottorino tanto carino, proprio ora che è il suddetto dottorino tanto carino a fare marcia avanti... Ma più o meno un punto d'incontro l'hanno trovato, dai. E forse l'hanno anche perso... Chi può dirlo?

Nel prossimo capitolo assisteremo alla reazione del povero Sherl e capiremo che risvolti subirà la storia dopo il "coming out" di John. Sarà un capitolo, il prossimo, sotto certi aspetti risolutivo, ma non vi anticipiamo altro. Domenica prossima, dunque, settimo capitolo e sarà finalmente il 23, Dio sia ringraziato! Pubblicheremo, quindi, anche un altro giorno della settimana, adesso vedremo quale, vi faremo sapere domenica prossima. 

Bene, è tutto. Siamo felici che siate in tanti a leggere questa storia e speriamo di portarvi tutti con noi fino alla fine. Dai, resistete!! Per ora, buona ultima settimana di angoscia prima del Natale. Sciauuu

*kiss*
Alicat_Barbix
   
 
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