Serie TV > Teen Wolf
Segui la storia  |       
Autore: Antys    18/12/2018    3 recensioni
Derek con una mano teneva i manici del borsone e con l’altra si accingeva a chiudere il lungo portellone di metallo, pronto per dare un definitivo addio a quella vita che l’aveva privato di tutto quello che aveva amato e che aveva provato con tutto se stesso a ricreare e difendere.
[…]
«Lo so che ogni cosa qui ti ricorda i tuoi fallimenti ed errori. La famiglia e il branco che hai perso, i continui tradimenti che hai subito ed i sacrifici che hai fatto» articolò con precisione ed attenzione il figlio dello sceriffo con lo stesso dolore e afflizione che Derek aveva provato. «Sarebbe facile e meraviglioso andare in un altro posto e ricominciare. Ma io non sono abbastanza?» per rinunciare e restare. Per provarci.
[…]
Derek si sentì tirare un lembo dei suoi jeans della gamba sinistra, da una forza leggera e delicata, e si voltò confuso nell’immediato, incontrando degli occhi giganti dell’ambra più pura e spensierata; innocente. «Signore, sai dov’è la mia mamma?» domandò la piccola creatura con voce minuta ma squillante, educata e pulita.
«Stiles?» se Scott avesse sofferto ancora di attacchi d’asma, in quell’occasione un inalatore non sarebbe bastato.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

7° Capitolo

 

«Come può essere sparito?» Derek non poteva crederci, non poteva sentire che la storia si stesse ripetendo dopo nemmeno due settimane.

«L’abbiamo perso di vista» proferì Allison con un magone in gola, la voce tirata. «Stava giocando con il suo nuovo puzzle e ci siamo distratte un momento. È così tranquillo quando deve risolvere i suoi rompicapi e poi non c’era più».

Non c’era più. Come potevano non essersi accorte che un bambino di cinque anni stava levando le tende? «Era sotto la tua responsabilità, cacciatrice».

Allison sentì tutto il suo risentimento, la sua rabbia, il modo dispregiativo con cui aveva dato fiato all’ultima articolazione. «Non può essere andato così lontano».

«Lo sottovaluti» tuonò il lupo mannaro, i lampi azzurri che sfociavano nelle iridi di giada.

«Ha cinque anni, Derek» lo fece ragionare la mora, voltando la testa da un lato all’altro e lanciando un segno alla banshee che non aveva smesso di cercare. «È a piedi, da solo, dove potrebbe andare?».

Derek era sempre più convinto di avere a che fare con degli incapaci. «Dove potrebbe andare? L’unica cosa che guida quel bambino è il Nemeton e tu l’hai perso».

Un silenzio istantaneo cadde dalla linea telefonica e tutto ciò che il mutaforma udiva era il respiro rarefatto della ragazza. «Andremo lì».

«No, io andrò lì» la fermò immediatamente l’uomo, ringhiando e mostrando dei denti che non poteva vedere, ma era in grado di immaginarli molto dettagliatamente. «Voi tornate al loft e non muovetevi».

Interruppe la chiamata con sgarbo, rischiando di distruggere lo smartphone per quanto lo stringesse forte e trattenendo il ruggito che gli graffiava la trachea.

Deaton era rimasto nel suo mutismo controllato per tutto il tempo della telefonata, scrutando attentamente lo svolgersi della conversazione ed osservando Derek cambiare al suono di ogni vocabolo. «Devi andare a prenderlo».

Non aveva bisogno che quel veterinario da quattro soldi gli dicesse cosa fare, come se avesse davvero bisogno di quel suggerimento per muoversi ed andare a cercarlo; era implicito che sarebbe uscito di lì come una furia, dirigendosi verso le radici maledette di un albero ormai scomparso da anni. «È il tuo modo per dirmi te l’avevo detto?».

«Separarti da Stiles non è mai stata una buona idea» suonava con un aspetto più ampio, riecheggiante, che ridondava dal passato ed il suo eco perdurava fino a quell’istante. Era una verità che si sposava con ogni azione di Derek. «In questo momento lo è ancora di più. È la tua ombra e tutto ciò che fai si ripercuote su di lui. Per Stiles, adesso, sei tutto ciò che di più importante ha».

Derek in questo momento è tutto il suo mondo, erano quelle le parole che Isaac aveva usato, esprimendo qualcosa di forte, qualcosa di veritiero che non poteva essere negato, ma l’Alpha perduto non poteva ancora saperlo, non poteva crederlo reale. Non riusciva ancora a capacitarsi di come fosse possibile che Stiles, il piccolo indifeso Stiles di cinque anni, avesse scelto lui tra tutte le opportunità che aveva a disposizione; un uomo che non aveva mai visto.

Il lupo mannaro si limitò a guardarlo storto, senza ribattere in alcun modo, benché fosse chiaro il suo astio, e filò via di gran carriera, sbattendo la porta e lasciando risuonare agitatamente il campanello sistemato sopra di essa, che segnalava l’arrivo di un nuovo cliente.

Risuonò tanto selvaggiamente che sbatté contro il muro varie volte e perdurò per un tempo illimitato.

 

Sfrecciò come un folle per le strade di Beacon Hills, bruciando i semafori, non fermandosi a nessuno stop e lasciando ruggire il motore; in quel momento di rispettare il codice stradale non gli importava affatto.

Abbandonò l’auto senza curarsene minimamente ai piedi del bosco, correndo verso il punto in cui aveva trovato Stiles la prima volta ed incontrando il vuoto.

Derek rimase spiazzato per un lungo primo momento, i sensi assordati e bloccati, le iridi incredule che vedevano il nulla. Eppure il suo olfatto lo percepiva, sapeva che fosse lì, non potevano essere le precedenti tracce, quelle di quattordici giorni prima. Dio, sperava che non fossero quelle, che il suo istinto fosse andato oltre, cercando il fagotto prezioso che gli avevano perso e non il ragazzo diciassettenne che era stato ingoiato da quella malia.

Derek era sicuro che in qualche modo il cucciolo d’uomo fosse stato attratto dal richiamo del Nemeton, da qualcosa che era scattato e che l’aveva indotto ad abbandonare il posto sicuro in cui era per raggiungerlo. Esisteva una motivazione particolare? Perché era scattato proprio in quell’istante, nell’unico momento in cui lui si era allontano? Derek era completamente in alto mare, non sapeva a cosa avrebbe dovuto pensare prima, ma soprattutto non sapeva come avrebbe fatto a trovare le radici di un albero di cui ignorava la collocazione. Nessuno del branco era più stato in grado di trovarlo dopo che Stiles era riuscito a trarre in salvo tutti gli adulti che vi erano prigionieri, guidato dalla mappa mentale che il suo sacrificio gli aveva concesso. Ma poi si era cancellata, sia nell’umano, in Scott e nella cacciatrice e non erano più stati capaci di ripercorrere le loro impronte. Eccetto un recente Stiles guidato dall’incanto. Derek non poteva credere di trovarsi al centro di una radura e non sapere come muoversi, non avere completamente la vaga idea di come orientarsi per agguantare il bambino e riportarlo a casa.

Nell’attimo in cui espresse il desiderio di riaverlo con sé, Stiles si materializzò ai piedi del bosco, sbucando dalla vegetazione a piccoli passi ed emergendo illuminato dai raggi lunari.

Non era cambiato nulla. Né una nuova forma né quella vecchia da diciasettenne, era semplicemente e candidamente il bambino che stava cercando; quello timido, diffidente, logorroico e con fin troppi pensieri per la testa, talmente arguto da preoccuparlo. «Stiles».

Gli occhi d’ambrosia brillarono nell’oscurità calante, il viso si alzò verso l’alto, incitato da quel richiamo e l’attenzione si catalizzò sul lupo. Apparivano distanti, offuscati, esattamente come lo erano stati quelli dello Stiles adolescente, lontani e adombrati, con la mente altrove e l’esistenza esclusiva della tangibilità del suo corpo.

Il tenero Stiles, la sua piccola volpe, era stato calamitato dal potere che il Nemeton aveva su di lui.

«Perché mi fai questo?» domandò Derek con la rabbia crescente che l’aveva accompagnato dalla telefonata con la cacciatrice, le sue notizie di malaugurio e l’incapacità di portare a termine un compito semplice. «Perché mi stai punendo in questo modo?».

Stiles lo guardò per un attimo assente e poi emerse il caramello autentico delle sue iridi, quelle attente, quelle consapevoli di chi fosse e avesse davanti. Quelle che riuscivano a vederlo. «Derek».

Non era il suo Stiles diciasettenne, quello che l’amava con tutto se stesso, era la sua piccola volpe che gli voleva un bene dell’anima, la sua unica guida in quel mondo che gli appariva estraneo e nemico. «Lo sai cosa significa sparire? Cosa significa per me vederti sparire?» gli urlò contro il licantropo, furioso, baritonale e con i denti stretti, le scintille blu elettrico nelle gemme di smeraldo che si mostravano ad intermittenza, controllandole con grande fatica.

Stiles quasi inciampò sui suoi stessi piedi, gli occhi sgranati ed interdetti, immobile su quei passi che l’avevano condotto lontano dalla boscaglia, davanti alla vista del licantropo, sotto la luce dell’unico satellite della Terra. Non proferì parola e Derek sapeva che era un cattivo segno.

«Stiles» era sull’attenti, un soldatino perfettamente addestrato, consapevole che di lì a poco si sarebbe abbattuta una tempesta senza controllo. «Non devi farlo mai più» il mutaforma lo prese di peso, accostandolo al fianco, tenendolo stretto con un braccio, mentre con l’altro tentava di togliere tutta la polvere di terriccio che aveva addosso, impiastricciandogli persino il viso. «Non allontanarti mai più. Non scappare mai più».

Le iridi d’ambrosia si inumidirono ed il labbro inferiore tremò. «Mi dispiace».

Era una voce rotta, confusa, provata e che non riusciva a capire appieno cosa le stesse capitando intorno. Tutto quello che Derek riuscì a fare fu premerlo ancora più forte contro di sé, affondare il naso tra i capelli sottili e castani della creaturina che teneva tra gli arti superiori ed il cuore che cominciava a rallentare lentamente dopo lo spavento. «Sei la persona più importante per me, Stiles».

Il corpicino fu scosso dai singhiozzi ed il bambino inspirò pesantemente dalle narici. «Scusa» proferì come un frammento di vetro incastrato nella trachea, la consapevolezza di aver recato del dolore a colui che non smetteva di prendersi cura della sua persona, delle rogne e seccature che continuava a dargli. «C’era questo canto, mi faceva male alle orecchie, non riuscivo a farlo smettere».

Il canto. Derek si scosse leggermente dalla testolina, voltando la propria nella direzione da cui il cucciolo d’uomo era provenuto, continuando ad incontrare un sentiero che mai gli sarebbe stato permesso di individuare, di percorrere. «Lo senti ancora il canto?».

«No» disse il figlio dello sceriffo dopo un attimo di dubbio, come se l’avesse notato solo in quel momento, facendo mente locale e rendendosi conto che il suono che gli bucava i timpani si era esaurito. «È finito».

Era finito davvero? «Chi cantava?».

Stiles alzò il viso per la prima volta da quando il mannaro l’aveva catturato tra le braccia, fissandolo come se avesse detto qualcosa di pazzesco ed inconcepibile. «Non lo so».

Stiles semplicemente non aveva idea con chi o cosa avesse a che fare. «Perché pensi abbia smesso di cantare?» Derek si chiedeva che tipo di litania fosse.

«Mh» Derek lo vide spremersi le meningi, concentrarsi e corrugare la piccola fronte. «Sono arrivato e ha smesso».

Bastava così poco? Serviva soltanto quello? «Perché stava cantando? Voleva qualcosa da te?».

Stiles contrasse gli occhi, come se tentasse di recuperare la memoria, dare un senso alle domande che Derek con moderazione e con gli intervalli giusti gli poneva. «Non lo so, non mi ricordo».

Era così che funzionava? Il Nemeton l’attirava a sé e Stiles doveva correre senza nemmeno sapere il perché, togliendogli perfino i ricordi di ciò che era avvenuto? «L’hai sentito altre volte?».

«No» scosse negativamente il capo ad accompagnare la risposta.

No, forse lo Stiles di cinque anni non l’aveva ancora sentito, non era stato acchiappato ed imprigionato da quella cantilena che l’attirava a sé senza riguardo per nessuno, nemmeno per Stiles stesso. Ma lo Stiles di diciassette anni l’aveva sentito eccome e si era volatilizzato.

Possibile che il Nemeton l’avesse richiamato a sé dopo la maledizione che gli aveva scagliato contro perché aveva attivato un nuovo processo? «Stiles, la prossima volta che sentirai di nuovo questo canto, non andare via da solo. Informami o informa chiunque sia con te ed andremo dove ci dirai di andare».

Gli occhi spalancati di Stiles si rimostrarono, ancora liquidi e pieni di sensi di colpa, ma Derek non voleva vederli così, non voleva mai vederli sofferenti. «Scusami tanto, Der».

Derek lo circondò meglio con gli arti lunghi, accarezzandogli la schiena con tutta la dolcezza, l’intenzionalità di calmarlo e rassicurarlo, schioccandogli un bacio pieno di premura sulla fronte aperta. «Non importa, stai bene».

Proteggere quel bambino era la missione della sua vita e non avrebbe permesso che gli venisse strappato nuovamente.

 

Stiles cadde in una fase di mutismo perpetuo e Derek era troppo fuori di sé per incitarlo a parlare, a tirar fuori ciò che aveva dentro; tutto quello che doveva fare era rimanere vigile, tenere gli occhi sulla strada e non strappare il volante come aveva voluto fare un’ora prima. Quando finalmente entrarono al loft le cose non erano cambiate.

Ad attenderli, come gli aveva espressamente consigliato, vi erano le due ragazze, la bionda fragola che sedeva apparentemente tranquilla sul divano e la cacciatrice che si aggirava per il monolocale agitata e nervosa.

Il portellone scorrevole fu aperto ed entrambe si voltarono nella direzione da cui proveniva il rumore metallico e strisciante, saltando in aria speranzose.

«Stiles!» esclamarono all’unisono, precipitandosi verso il bambino ed accerchiandolo velocemente. «Stai bene? Sei tutto intero?» non dovevano nemmeno porgliele certe domande, stavano testando di mano propria in che condizione fosse la creaturina, se avesse ferite o se apparisse spaventata e provata dall’esperienza che aveva vissuto.

Derek non ci stava affatto. «Era tuo compito, vostro compito, provvedere a lui ed invece siete riuscite a perderlo. Dentro casa».

Allison tentò di reggere bene il colpo. «Mi dispiace, Derek. Ci siamo distratte un attimo e…».

«Vi siete distratte? È l’unica giustificazione che hai?» la voce alta riecheggiò per l’unica immensa camera, il disprezzo che in quel momento sfociava a fiumi e l’ira che non poteva trattenere in alcun modo. «È un bambino, Allison. Un bambino. Non devi togliergli mai gli occhi di dosso» era già impensabile farlo con il sopraggiungimento prossimo dell’età adulta, ma in quelle fattezze non era minimamente discutibile. «Non ha diciasettenne anni, non è quello a cui siete abituate. Non sa gestirsi da solo, non deve nemmeno farlo. Dovevate soltanto tenerlo d’occhio».

«Non gettarci addosso i tuoi sensi di colpa» graffiò senza pietà la banshee, stanca di venire attaccata ed ancora di più sull’insistenza di Derek di abbattersi su Allison. Lupo e cacciatrice, certi aspetti non cambiavano mai.

All’improvviso i suoni si cancellarono dal loft ed una pesante aria cadde su di loro.

«Vuoi giocare, banshee?» il tono vocale del mutaforma era di un’incandescente lama che affondava imperterrita.

«Ragazzi, per favore» la mora si pose in mezzo, cercando di addolcire la pillola e non farli scattare come bestie che si sarebbero distrutte. Era preoccupata, non tanto per quei due, ma per come avrebbe reagito Stiles che li fissava dal centro della stanza, senza sapere cosa dire e somatizzando tutto ciò che vedeva ed udiva.

«Non ci saremmo mai dovuti preoccupare di lui in questo modo» disse la bionda fragola indispettita, le fiamme che ardevano nelle iridi di smeraldo. «È in queste condizioni a causa tua, perché tu hai preferito anteporre te stesso a lui, quando per una volta nella tua miserabile vita potevi scegliere il bene di qualcun altro. Ma no, tu hai deciso di lasciarlo. Hai deciso perfino di non metterlo al corrente, tutto questo perché non potevi confessargli che lo amavi anche tu».

«Lydia» la sgridò a chiare lettere la cacciatrice, alzando il tono vocale ed assestandole uno sguardo di ammonimento.

Ma era troppo tardi, Derek si era irrigidito, indurito per una verità non espressa e non ancora confermata che gli veniva sbattuta in faccia e Stiles aveva cominciato a piangere incontrollatamente. «Per favore, smettetela. Non arrabbiarti con loro, Derek. È colpa mia».

Stiles era esploso, si era spezzato più di quanto ad un bambino di qualsiasi età potesse accadere e lo stesso senso di inadeguatezza, di aver commesso un errore fatale, la parola o gesto sbagliato, si ripercuoteva su di lui, esattamente come capitava allo Stiles diciassettenne che sapeva mascherarlo bene ed al lupo dalle iridi di ghiaccio.

«Stiles» Allison provò a chiamarlo senza risultato, vedendolo sparire in un attimo dalla loro vista, nascondendosi ai loro occhi e giudizi, dal litigio incomprensibile alle sue orecchie che i tre stavano portando avanti.

Le loro cattive azioni avevano commesso un enorme danno.

L’immobilità nel monolocale perdurò per attimi interminabili, cristallizzati ed infiniti. Perfino il respiro appariva congelato.

Allison indirizzò un segno eloquente alla banshee che la esortasse ad allontanarsi ed uscire dall’appartamento, antecedendo ad una catastrofe che aveva previsto nel momento in cui Derek e Lydia sarebbe ritornati padroni di loro stessi. La rossa si mobilitò controvoglia ed ancora combattiva.

La cacciatrice prese un profondo respiro, diede un’ultima occhiata in giro alla ricerca di un bambino che non trovava, ma di cui sentiva i continui ed interminabili singhiozzi che si bloccavano nella gola e che soffocava dietro le manine. Perché riuscivano a distruggerlo così facilmente quando lui viveva per proteggerli? «Mi dispiace davvero, Derek. L’hai affidato a me perché sono la seconda persona di cui si fida di più dopo di te e ti ho deluso».

Chi deludevano davvero era Stiles. Non riuscivano a salvaguardarlo nemmeno nel momento in cui era maggiormente vulnerabile. «Non è colpa sua» proferì Derek profondamente e conscio del significato di quelle parole. «Il Nemeton l’ha chiamato a sé» e continuavano ad essere sprovvisti della motivazione che muovesse i fili di quegli strambi eventi incomprensibili.

 

Derek benediva la struttura del suo appartamento, nessun numero sproporzionato di camere, nessuna tipologia di porta che poteva essere sigillata ed a cui non avrebbe avuto accesso, che non poteva nemmeno essere sbattuta per comunicare dissenso e rabbia. Nessun posto dove andarsi a rintanare dopo che si aveva subito un brutto colpo.

Stiles l’avrebbe fatto, si sarebbe nascosto da qualche parte, girando la chiave e bloccando la serratura, continuando a piangere.

In verità, l’aveva fatto.

Nel momento in cui il monolocale si era svuotato e le voci erano sparite, tutto ciò che era rimasto era l’odore salmastro delle lacrime del bambino, i gemiti ed i singhiozzi, il continuare ad inspirare profondamente dal naso provocando rumore. Derek aveva provato a riprendere il controllo di sé e ad avvicinarsi per calmarlo, confortarlo, dirgli esplicitamente che non era minimamente colpa sua, ma lo sguardo che Stiles gli aveva rivolto era spietato, bruciante, pieno d’acqua, ma devastante. Gli aveva urlato contro di rimando ed era scappato via, chiudendosi nel bagno.

Ecco, quella possibilità non l’aveva presa in considerazione; per quanto in passato, al loro primo approccio, il cucciolo d’uomo si fosse dimostrato fin troppo in sintonia nel far scattare una serratura a cinque anni, Derek aveva dimenticato che effettivamente una stanza in cui chiudersi nel suo appartamento da una sola immensa camera esisteva. Stiles aveva ragionato immediatamente sull’aspetto.

La creatura della notte sapeva che non poteva seguirlo, che non poteva semplicemente abbattere la porta anche se ne aveva le capacità; tutto ciò che gli rimaneva da fare era sedersi sul pavimento, accostare la schiena al muro accanto all’unica uscita ed attendere.

Attendere con il piagnisteo di Stiles che non si arrestava e che gli lacerava i timpani.

Lo Stiles adolescente non piangeva mai, non mostrava in che condizioni in realtà fosse, quanto venisse turbato da ciò che gli accadeva intorno, quanto male le persone a lui più vicine gli arrecassero. Stava in silenzio, stringeva i denti, riempiva il vuoto con la sua voce risonante ed a tratti acuta, ma profonda nella maggior parte del tempo, permettendo che l’attenzione che potesse concentrarsi su di lui venisse dirottata. Rimaneva in un angolo oscuro e nascosto nel suo privato, non dando accesso a nessuno. Per quanto le iridi fossero spesso liquide e pronte a trasformarsi in gocce di sale, Stiles non permetteva mai che scivolassero via. Se non in casi estremi quando lo pregava disperatamente.

Era da quelle rarissime stille d’acqua autentiche che Derek veniva risvegliato e portato a credere ciecamente in lui, mobilitandosi per fargli ottenere ciò che il terrore della perdita esigeva indietro, esattamente com’era accaduto con il Darach.

Il Darach, l’inizio della fine a cui Derek aveva dato il colpo di grazia.

Gli ingranaggi della serratura scattarono ed uno Stiles stremato varcò la soglia, un pugnetto a strofinarsi un occhio e l’altro a tirare verso il basso la maglia ancora sporca di terriccio.

Derek trattenne il fiato quasi a non volersi far notare, ma la sua presenza era evidente ed il figlio dello sceriffo si voltò nella sua direzione alcuni attimi dopo, mostrandogli gli occhi rossi dal pianto. Lo Stiles diciasettenne non piangeva, ma se non poteva permetterselo a cinque anni, quali altre occasioni avrebbe avuto? «Sei ancora arrabbiato?».

Gli chiedeva se fosse arrabbiato, lui? Quello più arrabbiato tra tutti era Stiles stesso. «Non lo sono con te».

Il bambino lo fissò a disagio, indeciso e leggermente ferito. «Voglio bene ad Allison».

«Lo so» certo che le voleva bene, era stata la figura più vicina ad una mamma e la migliore compagna di giochi che avesse mai potuto avere in quella situazione bizzarra.

Stiles rimase ancora sulle sue, piantato davanti all’entrata per il bagno, l’incertezza che ancora lo accompagnava. «Non puoi perdonarla?».

«Perdonarla?» ripeté Derek in un eco meditativo, analizzando il significato della parola. «Non sono molto bravo a perdonare».

Gli occhi della creatura si ingigantirono sbigottiti e le dita che prima si agitavano, si fermarono di colpo. «Perché?».

Il mannaro rispose con un semplice e conciso scuotimento delle spalle, non indicando precisamente qualcosa e lasciando tutto nell’aria, ad interpretazione del suo interlocutore. Lo Stiles adolescente sapeva bene perché fosse del tutto negato per quel tipo di pratica.

Stiles persistette a guardarlo nel silenzio misterioso che era calato ed improvvisò un passo che Derek fece finta di non notare, poi ne percorse uno nuovo ed un altro, a quel punto il lupo poteva solo aspettare che il suo piccolo inquilino decidesse come procedere. «Non puoi perdonare nemmeno me?».

Derek si girò di scatto, trovandolo quasi implorante ed afflitto da quella possibilità. «Perdonarti?» lo attirò a sé e lo fece abbassare, portandoselo sulle gambe distese. «Non hai nulla da farti perdonare» come poteva tormentarsi su quell’aspetto? Come poteva prendersi delle colpe che non esistevano, estendendole all’inverosimile?

«Stiles» l’umano non era per niente persuaso ed al contrario sembrava provare maggior dolore. Le dita di Derek gli solleticarono immediatamente una guancia sporca, scostandogli i ciuffi ribelli che gli coprivano il visino. «Tutto quello che è successo non è affatto colpa tua».

«Ma sono andato via» ribatté Stiles con l’evidenza nelle parole, i fatti che si erano susseguiti.

«Ti sei solo allontano ed hai continuato a camminare perché non c’era nessuno che ti fermasse» era nella natura di ogni bambino prendere il largo, sparire dalla vista dei genitori o di chi aveva il compito di salvaguardarli; la curiosità aveva la meglio e bastava una singola distrazione per vederli volatilizzarsi. Con Stiles era triplicato all’infinito. Soprattutto con il Nemeton attivo. «Non devi fare l’adulto, Stiles. Sono le persone più grandi che devono occuparsi di te. Allison doveva soltanto stare attenta e non l’ha fatto».

«Potevo tornare indietro» continuava a non essere convinto pienamente e Derek purtroppo riusciva a capirlo.

«No, non potevi» non con il Nemeton in testa che lo attirava a sé, ammaliandolo con il suo canto ed impedendogli di compiere qualsiasi scelta razionale. Ma Stiles non era in grado di comprenderlo.

Il cucciolo umano ricadde in un silenzio meditativo, abbassando gli occhi e fissando un punto a Derek estraneo, quasi cercasse di assimilare quanto detto per poi annunciare una sua risposta. Era talmente innocente che riempiva il cuore maledetto della creatura della notte. «E tu, Stiles, sai perdonare?».

Gli occhi di autentico oro scattarono verso l’alto, incontrando le gemme magnetiche dell’uomo, allargati e pieni di sorpresa. «Sì, penso di sì».

, le labbra del lupo si arricciarono automaticamente all’insù ed apparivano colme d’affetto tenero, ma piene di rammarico. «E puoi perdonare anche me?» Stiles non era realmente capace di perdonare, ma uno dei suoi talenti era rivalutare le persone con cui aveva a che fare. Non comunicava a voce il suo cambiamento di visione, ma supportava con il suo essere sarcasticamente brutale, condividendo i suoi pensieri e ragionamenti su tutto il resto.

Il figlio dello sceriffo sbatté le palpebre diverse volte, disorientato, estraniato da ciò che gli veniva comunicato, dalla possibilità che gli veniva proposta e che non afferrava in alcun modo. «Perché dovrei?».

«Potrei aver fatto qualcosa di male» di molto male. Era stato talmente crudele da distruggerlo, da relegarlo in quella parte di se stesso che sarebbe dovuta essere in grado di proteggerlo ed il Nemeton aveva agito di conseguenza.

«Ma io ti voglio bene» proferì con candore, restio a comprendere bene la situazione, un concetto che gli era parecchio anomalo. Non vedeva alcun motivo per cui avrebbe dovuto perdonarlo o trovarsi nel caso di non esserne in grado.

Derek soffocò una risata amara, che uscì a metà ed il cuore arrancò un altro colpo. «A volte non basta».

Le manine di Stiles andarono a circondargli il volto, una per lato, risultando più piccole di quanto Derek avesse supposto. Era tutto più grande di quanto un bambino potesse sopportare, ma le iridi d’ambra erano inequivocabili, determinate e piene d’amore senza necessità di compromessi. «Ti voglio bene e ti perdono».

Chi era quella creaturina che aveva il dono di liberarlo dall’oscurità che l’accompagnava dai suoi quindici anni, dal peccato di cui si era macchiato e dalla devastazione che aveva portato, divenendo l’artefice della cancellazione della sua stessa famiglia? Della sua felicità?

Derek aveva perso tutto nella sua miserabile ed immotivata vita e Stiles, qualunque Stiles avesse davanti, era in grado di riconsegnarglielo.

Con la morte nel cuore si chiese se anche lo Stiles diciasettenne fosse in grado di perdonarlo.

 

Era passata un’intera giornata dalla bufera targata il ritorno del Nemeton e Derek percepiva che qualcosa non andava per il verso giusto.

Come gli era già capitato di notare nei giorni precedenti, Stiles si lasciava andare al sonno con maggiore facilità e quel soggiorno si prolungava sempre un po’ di più, cedendo al regno di Morfeo nei luoghi più disparati, finché non arrivò il momento in cui di svegliarsi non ne voleva proprio sapere.

«Stiles, è ora di andare dal tuo papà» Derek tentò la carta che sapeva avrebbe raccolto maggior risultato, un appuntamento fisso che avevano quasi quotidianamente e che faceva sentire il cucciolo umano tranquillo e con una parte della famiglia perennemente con lui. Era necessario, era immancabile e Stiles non se lo sarebbe perso per nessuna ragione al mondo.

Ma quella ragione stava sorgendo.

Stiles era crollato ai piedi del letto, lontano da qualsiasi oggetto potesse prendere il posto di un cuscino, simularlo in qualche modo, e Derek aveva pensato che avesse bisogno di recuperare le energie per ridursi in quello stato. Per tutto l’arco delle ore giornaliere Stiles aveva perlopiù dormito ed il tempo dedicato al gioco si era ridotto all’osso.

Lo scosse leggermente, poi con maggior intenzione, ma l’unica cosa che otteneva erano dei mormorii ed il continuare a ronfare.

Derek non aveva molta scelta e decise di prenderlo di peso, facendogli indossare una giacca della sua misura ed evitando di combattere con le scarpe. Non aveva nemmeno senso cambiarlo, per tutto il giorno era rimasto dentro il suo amato pigiamino verde pastello e non c’era stato verso di toglierlo.

Lo fece distendere sui sedili posteriori, stando bene attento a non fargli sbattere la testa o qualsiasi arto del corpo, procedendo adagio verso la stazione di polizia.

«Ehy, Stiles» quando arrivarono le cose non erano cambiate di una virgola, il tentativo di svegliarlo andò a vuoto e Derek fu costretto a prenderlo in braccio, a stare molto più attento ad estrarlo dalla Camaro, abbassando il sedile anteriore e spostandolo in avanti, permettendogli di avere più spazio per prenderlo e portarlo via.

L’edificio pieno di agenti non si sorprendeva più di vedere quasi ogni giorno il bruto Derek Hale con un bambino al seguito, spaventosamente simile a quello che era stato il figlio dello sceriffo nell’età infantile, trattandolo come se tra le mani custodisse la reliquia più sacra esistente. Non appariva tanto bruto quando era in compagnia del cucciolo tutto occhi.

Il mannaro bussò appena alla porta della massima autorità della città per annunciarsi, aprendola ed entrando immediatamente. «Ehy, ragazzi, stavo cominciando a preoccuparmi» li accolse con un sorriso limpido sul viso, la cena d’asporto che l’uomo aveva ordinato per tempo già pronta sulla scrivania, con tutto ciò che rendeva Stiles ghiotto.

Ma quella curva verso l’alto si spense quando Derek scosse la testa con fare negativo, quasi avesse comunicato tutto quello che c’era dietro con la singola occhiata che gli aveva rivolto. «Sta dormendo» disse il mannaro in una spiegazione più eloquente, tenendo saldamente il pargolo con una mano premuta sulla schiena. «In realtà è tutto il giorno che dorme».

«Oh» vocalizzò Noah, aggrottando lievemente la fronte. «Potevi lasciarlo dormire e passare domani».

«No» negò con evidenza il licantropo, passando il piccolo umano al padre che lo prese prontamente tra le braccia. «Non si sarebbe mai perdonato di aver mancato l’appuntamento» Stiles aveva davvero bisogno di vedere il genitore regolarmente. Sia per se stesso che specialmente per lo sceriffo.

L’uomo di legge comprese i pensieri del lupo e quelli intrinsechi del figlio che venivano espressi in sua vece, annuendo in risposta ed allontanandosi di qualche passo con il fagotto per creare una sorta di intimità tra loro. «Ehy, volpacchiotto».

Stiles borbottò nell’incoscienza, riproducendo versetti impastati dal sonno che non ne voleva sapere di defilarsi e permettere quell’incontro sudato tra i due, conducendo il bambino a lottare contro le palpebre serrate che si aprivano con fatica. «Papà?».

«Ciao, Stiles» lo accolse pieno d’amore familiare il capo della polizia, scuotendolo leggermente in una danza ipnotizzante, lasciando affacciare un sorriso caloroso ed un bacio di tenerezza su una tempia.

Il cucciolo umano soffiò un saluto di rimando, allacciando come poteva un braccio sulle spalle del padre, e stringendolo con le poche forze che il dormiveglia gli permetteva. Era il suo modo di far intendere che era presente e riusciva a percepirlo intorno a lui.

Da quel momento Derek fu tagliato fuori.

«Hai detto che ha dormito tutto il giorno?» chiese lo sceriffo una decina di minuti dopo, accarezzando affettuosamente la cute della creaturina, scompigliandogli teneramente le ciocche castane.

«Sì» affermò il mutaforma, seduto sulla sedia vicino alla scrivania dove periodicamente rimaneva in attesa, ma che la maggior parte delle volte lo accoglieva come ospite a trecentosessanta gradi.

«Mh» Noah scese in uno stato meditativo, andando indietro con i ricordi e posando le labbra sulla fronte aperta del bambino che continuava a tenere gli occhi chiusi, sconfitto nella sua battaglia per rimanere sveglio, ma facendosi sentire attraverso mormorii che lo tenevano legato al mondo terreno, rispondendo alla voce del padre che interagiva con lui. «È un po’ caldo».

Le sopracciglia della creatura della notte si rizzarono e le pupille nere si dilatarono, irrigidendosi nella seduta composta. «Cosa vuol dire? Che ha la febbre?».

«Forse» soppesò l’uomo di legge, poggiando a sua volta la fronte su quella del figlio, comparando la temperatura corporea differente. «Qualche linea».

Derek divenne una maschera di panico. «Non l’ho notato».

Lo Stiles adolescente avrebbe adorato vederlo sfiorare l’agitazione e lo sceriffo non riuscì a trattenere quell’inarcarsi delle labbra verso il tetto, tra un misto di divertimento e compassione. «È normale, Derek. Avrai anche tutte le tue abilità lupesche ad aiutarti, ad avvertirti, ma non hai mai avuto a che fare con qualcuno che può prendersi un semplice raffreddore e cedere ad esso. E hai anche fin troppe cose per la testa per accorgerti se la sua temperatura è cambiata, soprattutto se lievemente».

Non era vero, Derek non era d’accordo. «Mi accorgo di tutti i cambiamenti di Stiles» era nato con tutti quei sensi sviluppati per un motivo e non l’avevano mai tradito, soprattutto se riguardava Stiles. Pensare che potesse essere accaduto, che si presentasse in qualche modo la possibilità, non lo entusiasmava in alcuna maniera.

«Ah, ne sono convinto» certo che sì, Derek viveva per quel bambino. E per Stiles in ogni sua sfaccettatura.

«Cosa dovrei fare?» il mannaro non era pienamente convinto di voler indagare su quanto lo sguardo dello sceriffo andasse oltre le parole e le implicazioni che il suo tono di voce consapevole gli avesse comunicato.

«Tienilo lontano dalla corrente, se vuole dormire lascialo dormire, ma non permettere che salti i pasti» elencò sapientemente il genitore, riportando alla mente come ci si comportava in quelle situazioni, soprattutto avendo a che fare con un essere così piccolo. Erano circa sette anni che non doveva più occuparsi di Stiles sotto quell’aspetto, riusciva a cavarsela sempre autonomamente. «Dovrebbe passare da sola, ma se peggiora o va avanti, passeremo alle maniere forti».

Nell’inesperienza di Derek, che tutto legava all’autoguarigione che richiedeva tempo senza dover fare nulla – se non spezzarsi un osso di tanto in tanto per attivarla –, non poteva far altro che affidarsi a chi ne sapeva più di lui sulle sfaccettature da comune mortale.

 

«Ciao, piccola volpe» Derek aveva realmente provato a seguire le indicazioni che gli erano state suggerite, a lasciare che l’arco delle giornate passasse rispettando i suoi orari sempre più lunghi di sonno, lottando per svegliarlo ogni volta che giungeva l’ora di mangiare e tenendolo il più riparato possibile, senza soffocarlo. Ma la temperatura corporea non scendeva ed al contrario non faceva altro che alzarsi, gli occhi di Stiles si aprivano sempre meno ed il respiro era arrancato e pesante. Derek vigilava su di lui come un avvoltoio, costantemente ai piedi del letto a tenerlo d’occhio, a controllare quanto aumentasse il calore e quanto il volto fosse rosso e pallido. Aveva provato ad assorbire i suoi mali e il suo dolore attraverso il dono del suo essere sovrannaturale, ma le vene non si erano mai tinte di inchiostro nero e non era riuscito a sottrargli un solo attimo di agonia. Aveva dovuto ricorrere ai vecchi metodi tradizionali umani, riempiendo il freezer di cubetti d’acqua che dovevano trasformarsi in ghiaccio, svuotando il supermercato di ogni surgelato possibile e tamponando la fronte del bambino con tutto quello che di freddo aveva in casa. Ma non variava di un grado e Derek aveva cercato in ogni modo di rimandare dall’informare lo sceriffo delle condizioni del figlio, ma ad un certo punto si era visto costretto ad agire di conseguenza e correre a far partire una chiamata.

Quando era stato chiaro che qualunque terapia umana leggera non portasse risultati, era intervenuto Deaton stesso, ma non conosceva una cura che potesse aiutarlo, capire che cosa fosse accaduto. L’incognita rimaneva il Nemeton che lo sovrastava ed aveva la meglio su qualsiasi mano esterna.

«Sembra sia in incubazione» aveva proferito il druido con espressione grave dopo che aveva provato per la seconda volta ad iniettargli qualcosa che potesse farlo stare meglio, almeno tentare di alleviarlo, ma continuavano a non avere riscontri.

Derek l’aveva guardato storto, inarcando le folte sopracciglia e giudicandolo apertamente. «Vuoi dire che sta covando ben altro?».

«Voglio dire che sembra si stia preparando ad una nuova fase» dichiarò il veterinario, accostando una mano alla fronte grondante di sudore del cucciolo d’uomo. «Ma non so che fase sia. È scaduto il tempo? Il suo corpo ed il Nemeton stanno valutando come procedere? Potrebbe crescere o rimanere in queste condizioni?».

«Sta raccogliendo le energie» proferì Derek in un sussurro, improvvisamente illuminato dal significato che potesse rappresentare quel nuovo aspetto di quella storia fuori da ogni logica.

«È una possibilità» confermò Deaton, riponendo il sacchetto di ghiaccio che Derek cambiava ogni ora, ogni volta che si accorgeva che non bastava più. «Qualsiasi cosa accadrà, deve averne bisogno e questo è il suo modo di affrontarlo».

In qualsiasi maniera si fossero mobilitati, non sarebbero riusciti ad averla vinta. «È scaduto il tempo» Derek lo realizzò con un masso sul petto, a schiacciargli le costole e perforargli i polmoni.

Osservò il bambino disteso scomposto sul materasso a due piazze, le coperte completamente scacciate sul fondo del letto, lontane da qualsiasi strato di epidermide. Non aveva più il suo pigiamino verde con i lupi, era troppo pesante e zuppo di sudore e Derek l’aveva già lavato due volte in un solo giorno. Tutti gli altri che Stiles non aveva mai toccato erano troppo spessi e comportavano lo stesso problema, tutto ciò che rimaneva erano le maglie primaverili ed estive del lupo che teneva nei ripiani vicini, le uniche con un tessuto leggero e che gli dessero possibilità di movimento. Erano enormi e gli coprivano le gambe fino ad oltre le ginocchia, ma erano gli indumenti con cui Stiles soffriva meno.

Il figlio dello sceriffo apparve rispondere al saluto carico di affettuosità da parte del mannaro, muovendo parzialmente il capo verso la direzione della voce e rispondendo con versi che non riproducevano alcuna parola.

Derek gli baciò la punta del naso e le labbra della creaturina si curvarono appena verso l’alto. Non c’era nessuno in quel monolocale adombrato, illuminato soltanto dai raggi lunari che filtravano dall’immensa vetrata. Erano soltanto loro due a combattere l’universo. «Lo sai quanto sei prezioso per me?» o loro stessi.

Il mutaforma si distese accanto a lui, sistemandogli meglio la maglia che persisteva ad alzarsi e scoprirlo. «Quanto tu sia la persona più importante per me?».

Come poteva saperlo, non glielo aveva mai confessato. Quando Cora era riemersa da quello che Derek credeva il regno dei morti, tutta la sua attenzione si era rivolta a lei, alla sua salvezza, a tenerla viva e Stiles non gliene avrebbe mai fatto una colpa, era felice che il licantropo non fosse più solo al mondo, che parte della sua famiglia fosse ancora integra; che una parte di quello che aveva perduto fosse tornata. Derek aveva rinunciato al suo stato di Alpha per lei e non serviva nessuna spiegazione. Forse Stiles gli avrebbe perfino perdonato di aver scelto lei invece che lui, che non fosse stato in grado di poterli avere entrambi, trovando una soluzione per convivere nella stessa città o inventandosi qualsiasi cosa per mantenere i rapporti.

No, Stiles avrebbe accettato di buon grado la scelta genuina di Derek di seguire la famiglia ritrovata, quello che non gli avrebbe mai perdonato era di aver scelto la codardia sotto forma di Cora. Di averla presa come scusa per andare via e non tornare più.

Non aveva deciso di seguire la sua sorellina ritrovata per pura bontà d’animo, con il preciso scopo di non trarre alcun vantaggio, al contrario aveva colto l’occasione al volo per salutare se stesso, con la recondita possibilità di riabilitarsi, di lasciarsi tutto alle spalle e dimenticare. Non mettere più piede nel luogo che gli aveva sottratto tutto ciò che aveva ottenuto, perfino la sua stessa umanità. Per Derek, Beacon Hills era solo sinonimo di male e dei continui errori che aveva ripetutamente fatto accadere, del sangue di cui voleva persistere a macchiarsi e che Stiles insieme a Scott gli avevano impedito di far sgorgare. Ma esisteva del sangue versato da cui non avrebbe mai potuto pulirsi. Anche se Stiles aveva fatto di tutto per coprire le sue mani con le proprie e nasconderlo, prendersi metà del carico di dolore e colpevolezza che l’omicidio brutale ed immotivato di Boyd aveva comportato, schiacciando definitivamente un Alpha che in quell’istante aveva cessato di esistere. «Sei tutto ciò che mi resta».

Il respiro della piccola volpe si fece rauco, quasi graffiante, talmente allarmante che spaventò Derek, portandolo a scattare sul letto e ad ampliare i sensi ipersviluppati. «Stiles» ma il bambino sembrava non sentirlo affatto, sordo alla sua voce ed a qualsiasi cosa gli stesse comunicando.

Gli toccò la fronte bollente che quasi gli scottò una mano e Derek impallidì a quella rivelazione. «Ti prego, Stiles, torna da me» lo prese di peso, lasciandolo accomodare tra le sue braccia, sistemandoselo sul petto e tenendolo stretto. «Farò qualunque cosa, ma torna da me».

Era fuoco, era come stringere tra le mani lingue fiammanti rosse e blu, sentire la lava scivolare sull’epidermide e carbonizzarla, eppure nell’attimo in cui il mutaforma l’aveva preso con sé, il respiro di Stiles era tornato regolare, seppur ancora pesante e profondo, ma non sembrava più il raschiare di una grattugia arrugginita.

Era quello il segreto? Era la costante presente fisica di Derek a fare la differenza?

Non ti sarei bastato? La domanda riecheggiava nella mente del lupo mannaro. Era stata la prima volta in cui Stiles aveva espresso chiaramente il sentimento che c’era tra loro, dandogli corpo, rendendolo concreto e tangibile, cancellando il patto di tacito consenso, il silenzio che nascondeva la verità.

Lo so che ogni cosa qui ti ricorda i tuoi fallimenti ed errori. La famiglia e il branco che hai perso, i continui tradimenti che hai subito ed i sacrifici che hai fatto, Stiles conosceva tutto di lui, sapeva captare e comprendere i suoi pensieri e tormenti senza alcuna fatica. Sapeva esattamente come si sentisse, che cosa l’avesse mosso a decidere di abbandonare Beacon Hills ed a voltare le spalle al passato come se non fosse mai esistito. Cancellare tutto quello che aveva conosciuto. Chi aveva conosciuto. Non sono abbastanza? Stiles aveva dedotto che se era intenzionato ad archiviare tutto quello che gli era successo per tentare di ricostruirsi una vita o quanto meno non lasciarsi divorare dai sensi di colpa che non facevano altro che sormontare ed aumentare, allora era logico e consequenziale che Derek l’avrebbe dimenticato. Derek avrebbe dimenticato volutamente Stiles.

La creatura della notte accostò la fronte a quella del cucciolo d’uomo, invaso dal calore bruciante che proveniva dal corpicino, circondandolo con tutta la lunghezza degli arti superiori ed avviluppandosi intorno a lui. «Stiles» non valgo la pena. Che stolto era stato. «Ne vali la pena» che terribile stupido si era dimostrato. «Vali ogni pena di questo mondo. Vali ogni goccia di sudore che ho versato, le persone che purtroppo ho perso. Il dolore che ho patito» inspirò a pieni polmoni l’odore febbricitante del figlio dello sceriffo, il bagnato portato dalle ghiandole sudorifere, ignorando le vene che per la prima volta si tingevano di nero, permettendogli di sottrargli parte del male che provava. «Sei la cosa più bella che mi sia capitata negli ultimi sette anni. Se tutto quello che ho perso e le avversità che ho incontrato mi hanno condotto a te, io l’accetto» non poteva più fuggire, non poteva più negarlo. Lo rivoleva a tutti i costi indietro. «Con te ho rivalutato tutta la mia vita».

Si distese stremato sul materasso, trascinando Stiles con sé che non aveva nemmeno la forza di ribellarsi o di comunicare il suo dissenso, tenendolo ancorato a sé e non allentando l’abbraccio che li legava, cullandolo passivamente. «Vali la pena» cantilenò più volte, nella stanchezza che precipitava a fiumi e che l’aveva visto vegliare sul bambino per più di quarantotto ore senza mai chiudere le palpebre per raccogliere le forze.

Morfeo aveva deciso di portarlo via e Derek non poteva resistere a quella malia dolce ed accogliente, che gli prometteva il riposo di cui necessitava, la quiete di cui aveva bisogno, assicurandogli di restituirlo all’esserino prezioso che stringeva tra le braccia la mattina successiva.

Appollaiate sulle sue spalle in attesa, anche la temperatura corporea che si abbassava e la metamorfosi che prendeva forma avevano qualcosa in serbo per lui in quella medesima alba. Il cambiamento ed il risultato delle sue azioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Che scoppiasse una bomba tra lui e le ragazze era inevitabile, come l’accanimento di Lydia nei suoi confronti, lo sbattergli in faccia la verità senza che lui fosse pronto ad affrontarla. Stiles non vive benissimo i loro scontri, ne fa una propria colpa e Derek non può fare a meno di provare empatia per lui, ma allo stesso tempo deve mostrargli la verità, liberarlo dal peso che si porta dietro. Ma non è anche quello che lo Stiles, ogni Stiles, fa per lui?

I timori del lupo nei riguardi di Stiles si sono mostrati veritieri e benché non capisca cosa gli stia succedendo, non può negarsi di realizzare i suoi desideri anche nell’incoscienza; continuare a portarlo da suo padre e tutto quello che può fare, come lo è cercare di trovare una soluzione con Deaton che non ne è comunque in grado. Quindi, cosa gli rimane da tentare? Derek può solo aspettare, sperare e ricoprirlo di quelle parole che non gli ha mai confessato. Verrà ricompensato?

L’aggiornamento per la settimana prossima ricadrà proprio il giorno di Natale e cercherò il modo di postarlo ugualmente, senza ritardare troppo, non scendendo oltre il ventisei. Vedremo cosa accadrà e possiamo dire tranquillamente che siamo alla battuta finale.

A settimana prossima,

Antys

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: Antys