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Autore: Passione_letteraria    19/12/2018    0 recensioni
“Il segreto dell’esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive.”
In questo racconto che vi propongo si riflettono le mille sfaccettature di una scrittura esistenzialista. Hide ha sposato Kaneki tempo addietro ma ora è caduto in preda a allucinazioni e deliri; lascito del suo passato.
Tuttavia Hide trova la sua ragione di vita in lui, nonostante il dissenso dei genitori.
Per una volta voglio analizzare i pensieri dei genitori di Hide.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kaneki Ken, Nagachika Hideyoshi
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La signora Nagachika teneva un rabat lukum tra le dita. L’avvicinò alle labbra con precauzione e trattenne il respiro temendo di dissipare col fiato il, sottile velo di zucchero di cui era cosparso: “è alla rosa”, si disse. Bruscamente diede un morso a quella carne vetrificata ed un sapore d’acqua stagnante le riempì la bocca. “E’ strano come la malattia acuisca le sensazioni".

 Si mise a pensare a moschee, a orientali ossequiosi (era stata ad Algeri durante il viaggio di nozze) e le sue labbra pallide abbozzarono un sorriso: anche il rabat lukum era ossequioso.
Dovette passare a più riprese il palmo della mano sulle pagine del libro che, nonostante le sue precauzioni, si erano coperte d’un sottile strato di polvere bianca. Le sue mani facevano scivolare, rotolare, stridere i granellini di zucchero sulla carta liscia.

“Questo mi ricorda Arcachon, quando leggevo sulla spiaggia”. Aveva passato al mare l’estate del 1907. Portava in quel tempo un gran cappello di paglia con un nastro verde; s’installava proprio vicino al molo con un romanzo di Virginia Woolf o di Colette Yver. II vento le faceva piovere sulle ginocchia mulinelli di sabbia e, di tanto in tanto, ella scoteva il libro tenendolo per gli angoli. Era proprio la stessa sensazione: solo che i granellini di sabbia eran del tutto asciutti mentre questi piccoli detriti di zucchero le si appiccicavano un po’ alla punta delle dita. Rivide una striscia di cielo grigioperla che sovrastava un mare nero.
“Hide non era ancor nato".

Si sentiva tutta piena di ricordi e preziosa come uno scrigno di sandalo. Il titolo del romanzo che leggeva a quel tempo le tornò tutt’a un tratto alla memoria: si chiamava La signora Dalloway, non era noioso ma da quando un male sconosciuto la tratteneva nella sua camera, la signora Nagachika preferiva le memorie e i libri storici. Sperava che le sofferenze, le letture serie, un’attenzione costante e rivolta ai suoi ricordi, alle sue sensazioni più squisite l’avrebbero maturata come un bel frutto di serra.

Pensò, con un certo fastidio, che suo marito sarebbe venuto presto a bussare alla porta. Gli altri giorni della settimana egli veniva soltanto verso sera, la baciava sulla fronte in silenzio e leggeva il “Times” nella poltrona in faccia a lei. Ma il giovedì era "il giorno" del signor Nagachika: egli andava a passare un’ora dal figlio, di solito dalle tre alle quattro. Prima d’uscire entrava dalla moglie e tutti e due discorrevano del genero con amarezza.

 Queste conversazioni del giovedì, prevedibili sin nei minimi dettagli, spossavano la signora Nagachika. Il signor Nagachika riempiva della sua presenza quella camera tranquilla. Egli non si metteva a sedere, camminava in lungo e in largo, girando su se stesso. Ogni suo scatto feriva la signora Nagachika come una scheggia di vetro.

Quel giovedi era ancora peggio del solito: al pensiero che, tra poco, ella avrebbe dovuto ripetere al marito le confessioni di Hide e vedere quel gran corpo terrificante sussultare di collera, la signora Nagachika andava tutta in sudore. Prese un lukum dal piattino, lo considerò un momento con esitazione, poi lo rimise a posto tristemente: non le piaceva che il marito la vedesse mangiare i lukum.
 Sussultò nel sentirlo bussare.
« Avanti! » disse con voce flebile.

Il signor Nagachika entrò in punta di piedi.
« Vado da Hide,» disse come tutti i giovedi.
La signora gli sorrise.

« Bacialo da parte mia. »
Il signor Nagachika non rispose e corrugò la fronte con aria crucciata: tutti i giovedì alla stessa ora
una sorda irritazione si mescolava in lui alle fatiche della digestione.

« Passerò da Franchot uscendo da casa sua; vorrei che gli parlasse seriamente e cercasse di convincerlo. »

Egli faceva frequenti visite al dottor Franchot. Ma invano. La signora Nagachika alzò le sopracciglia. Un tempo, quando stava bene, alzava volentieri le spalle. Ma da quando la malattia aveva appesantito il suo corpo, essa sostituiva i gesti che l’avrebbero troppo stancata con dei giochi di fisionomia: diceva di si con gli occhi, di no con gli angoli della bocca. Alzava le sopracciglia invece delle spalle.

« Bisognerebbe poterglielo levare con la forza. »

« Ti ho già detto che è impossibile. D’altronde la legge è fatta così male. Franchot mi diceva l’altro giorno che hanno dei fastidi incredibili con le famiglie: gente che non si decide, che vuol tenere il malato a casa; i medici hanno le mani legate, posson dire la loro opinione, ccco tutto. Bisognerebbe, » continuò, « ch’egli facesse uno scandalo pubblico, oppure che lui stesso chiedesse di farlo rinchiudere. »
«Questo, » disse la signoraNagachika, « non succederà né oggi né domani. »
« No. »

Egli si volse verso lo specchio e affondandosi le dita nella barba si mise a pettinarla. La signora Nagachika guardava senza alcun affetto la nuca rossa e potente del marito.

« Di questo passo, » disse il signor Nagachika, « dìverrà più pazzo di lui. È una cosa terribilmente malsana. Non lo lascia un istante, non esce mai, salvo che per venire a trovarti, non riceve nessuno. L’atmosfera della loro camera è semplicemente irrespirabile, Non apre mai la finestra perché' Kaneki non vuole. Come se si dovesse chiedere il parere di un malato! Fanno bruciare dei profumi, credo, non so che schifezza, in un braciere, sembra di stare in chiesa. Parola mia, io mi chiedo qualche volta... ha degli occhi strani, sai. »,
« Non l’ho notato, » disse la signora Nagachika. « Mi pare sia come il solito. Ha un’aria triste, evidentemente.» «Pare uscito da una tomba. Dormirà? Mangerà? Non bisogna interrogarlo su questi argomenti. Ma penso che con un giovanottone come Kaneki accanto, non potrà chiuder occhio tutta la notte ».

Alzò le spalle: « Quel che mi pare enorme, è che noi, i suoi genitori, non si abbia il diritto di proteggerlo contro se stesso. E nota bene che Kaneki sarebbe curato meglio presso Franchot. C’è un gran parco. E poi io penso,» soggiunse con lieve sorriso, « che se la intenderebbe meglio con gente della sua specie. Quegli esseri li son come i bambini, bisogna lasciarli fra loro; formano una specie di massoneria. È lì che si sarebbe dovuto metterlo fin dal primo giorno e, dico: per il suo bene.
Sarebbe stato nel suo interesse, beninteso. »

Soggiunse un momento dopo:

« Ti dirò che non mi piace saperlo solo con Kaneki. La notte, soprattutto. Immagina che accada qualcosa.
Kaneki ha un’aria terribilmente malata. »

«Non so,» disse la signora Nagachika, « se sia il caso di preoccuparsi molto, dato che è un’aria che ha sempre avuta. Dava l’impressione di voler prender in giro il mondo. Povero ragazzo, » continuò sospirando, « con tutto il suo orgoglio esser arrivato a questo punto! Si credeva più intelligente di tutti noi. Aveva un modo di dire: “Avete ragione” per chiudere le discussioni... È una fortuna per lui che non si possa render conto del suo stato. »
Ella si ricordava con un’impressione sgradevole quel lungo viso ironico, sempre un po’ inclinato da un lato. Durante i primi tempi del matrimonio di Hide la signora Nagachika non avrebbe chiesto di meglio che d’entrare un po’ in intimità col genero. Ma egli aveva scoraggiato i suoi sforzi: non parlava quasi, approvava sempre con foga e con un’aria assente. Il signor Nagachika continuava a seguire la sua idea: « Franchot
mi ha fatto visitare i suoi impianti,» disse, « è una cosa grandiosa.
I malati hanno ciascuno la loro camera, con poltrone di cuoio, nientemeno, e divani-letto. C’è un tennis, sai, e faranno costruire una piscina. »

Si era piantato davanti alla finestra e guardava attraverso i vetri dondolandosi un po’ sulle gambe arcuate. D’un tratto girò sui tacchi, con le spalle basse, le mani in tasca, agilmente. La signora Nagachika sentì che stava per mettersi a sudare: ogni volta era la stessa cosa; adesso egli sarebbe andato su e giù come un orso in gabbia e, a ogni passo, le sue scarpe avrebbero scricchiolato.

« Amico mio, » disse, « siediti, te ne supplico, mi stanchi ». E soggiunse esitando: « Ho qualcosa di
serio da dirti. » Il signor Nagachika si sedette nella poltrona e posò le mani sulle ginocchia; un leggero brivido percorse la schiena della signora
Nagachika: era venuto il momento, bisognava ch’ella parlasse.
« Tu sai, » disse con un tono imbarazzato, « che ho visto Hide martedì. »
« Sì.»

« Abbiamo parlato d’un mucchio di cose, lui era molto affettuoso, era tanto tempo che non l’avevo visto così espansivo. Allora l’ho un po’ interrogato, l’ho fatto parlare di Kaneki. Ebbene, ho saputo, » ella soggiunse nuovamente imbarazzata, « che tiene molto a lui. »

« Lo so bene, perbacco! » disse il Signor Nagachika.

Egli irritava non poco la signora Nagachika: bisognava sempre spiegargli minuziosamente le cose mettendo tutti i punti sulle i. La signora Nagachika sognava di poter vivere a contatto con persone sensibili che sapessero sempre capirla al volo. «Ma voglio dire, »
riprese, << che ci tiene diversamente da come c’immaginiamo. »

Il signor Nagachika roteò due occhi furiosi e inquieti, come faceva tutte le volte che non afferrava molto bene il senso d’un’allusione o d’una notizia:
« Cosa vuol dire? »
« Marito,» disse la signora Nagachika, « non mi stancare. Dovresti capire che a una madre può rincrescere
di dir certe cose. »

« Non capisco un accidente in tutto quel che mi racconti, » disse il signor Nagachika con irritazione.
« Non vorrai mica dire?… »
« Ebbene, SI'! >> disse lei. .
« Essi hanno ancora... ancora adesso? »


« Si! Si! Si! » fece lei irritata, con tre colpetti secchi.

Il signor Nagachika apri le braccia, abbassò la testa e tacque. « Marito, » disse la moglie inquieta, « non avrei dovuto dirtelo. Ma non potevo tenermelo tutto per me. »
«Il nostro bambino! » disse lui con voce lenta…

« Con quel pazzo! Egli non lo riconosce neppur più. Lo chiama Haise. Bisogna proprio ch’egli abbia perduto il senso delle convenienze. » ,

Rialzò il capo e guardò la moglie con severità: « Sei sicura d’aver capito bene? »
« Non c’erano dubbi possibili. Sono come te, » ella soggiunse vivacemente; << non potevo credergli e d’altra parte non la capisco. Io, soltanto all’idea d’esser toccata da quel povero disgraziato... Insomma », sospirò, « suppongo che sia con questo che la tiene. »

«Ahimé! » disse il signor Nagachika. «Ti ricordi cosa ti dissi quando venne a chiederci la sua mano?
Ti dissi: “Credo Che piaccia troppo a Hide". Tu non volevi credermi. »
D’un tratto picchiò sul tavolo e arrossi violentemente:

« E una perversità! Lui lo prende fra le braccia e Io bacia chiamandolo Haise e raccontandogli quelle sue
frottole sulle statue che volano e che so io! E lui lo lasciava fare!
Ma cosa c’è tra loro? Lo compianga con tutto il cuore, e lo metta in una casa di salute dove possa vederlo tutti i giorni, una buona volta! Ma non avrei mai pensato... Lo consideravo vedovo. Senti, Moglie cara, » disse con voce solenne, « ti parlerò francamente: ebbene, se Hide ha dei sensi, preferirei che si prendesse un amante! »

« Amore, sta’ zitto! » gridò la signora Nagachika.

II signor Nagachika prese con aria stanca il cappello e il bastone che, entrando, aveva posati su un tavolinetto.
« Dopo quel che m’hai detto, » concluse, << non mi restano molte speranze. Però gli parlerò lo stesso perché è mio dovere. »

La signora Nagachika aveva fretta che se ne andasse. << Sai, » disse per rincuorarlo, « credo che dopotutto ci sia in Hide più testardaggine che… altro. Sa ch’egli è inguaribile ma si ostina, non vuole che lo si smentisca. »
Il signor Nagachika si accarezzava Ia barba con fare trasognato.

« Testardaggine? Si, forse. Ebbene, se hai ragione, finirà con lo stancarsi. Non dev’essere una compagnia riposante tutti i giorni, e poi non ci si può parlare. Quando lo saluto, mi tende una mano inerte e non dice una parola. Appena restano soli, penso ch’egli torni alle sue idee fisse: lui mi dice che gli accade di gridare come se lo sgozzassero perché soffre di allucinazioni. Delle statue. Gli fanno paura perché ronzano. Lui dice che gli volano attorno e gli stralunano gli occhi »

Si metteva i guanti, riprese:

« Si stancherà, non dico di no. Ma se prima perde Ia testa? Vorrei che uscisse un po’, Che vedesse qualcuno: incontrerebbe qualche simpatico giovanotto… uno come Schrò‘der, per esempio, che è ingegnere da Simpson, uno che abbia un avvenire, lo rivedrebbe un po’ dagli uni e un po’ dagli altri e poi pian piano si abituerebbe all’idea di rifarsi una vita. »

La signora Nagachika non rispose affatto, temendo di rilanciare la conversazione. Il marito si chinò su di lei. .

« Su, » disse, << bisogna che vada. »

« Ciao, amore, » disse la signora Nagachika tendendogli la fronte. << Bacialo molto e digli da parte mia che è il mio povero caro bambino. »
Quando il marito se ne fu andato, la signora Nagachika si abbandonò sulla poltrona e chiuse gli occhi, sfinita.

“Che vitalità", pensò con rimprovero.

Ma appena ebbe ritrovato un po’ di forza, allungò pian piano la
mano pallida e prese un lukum dal piattino, a tastoni, senz’aprir gli occhi.
 
   
 
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