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Autore: _Lightning_    19/12/2018    6 recensioni
L’unica reazione di Tony è un respiro leggermente più sonoro del normale, ma i suoi occhi sembrano solidificarsi in due lastre scure e opache.
Contemporaneamente Thor si avvicina ancora, passando da osservatore esterno a potenziale partecipante, e Rhodey scatta a sua volta in piedi con fare allarmato. Nataša scruta i presenti con sguardo attento, come un felino in agguato, e Bruce non abbandona il suo atteggiamento ostile e incupito.
Steve sente la situazione precipitare.
La percepisce quasi sfuggirgli tra le dita come sabbia mentre cerca freneticamente un modo, una frase, un’azione che possa arrestarne la caduta inesorabile.

Dopo lo schiocco, Steve si trova alle prese con una squadra distrutta dalle perdite, spezzata dall'interno e incapace di far fronte unito. Toccherà a lui radunare i pezzi, suoi e degli altri, per prepararsi allo scontro finale. E molti di quei pezzi sono rimasti in Siberia, in un bunker gelido.
[post-Infinity War // Introspettivo // PoV Steve // Civil War fix-it // scritto prima di Endgame]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Schegge'
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4. Raccordi e divergenze

 

I begged you to hear me
There's more than flesh and bones


 

 

«Abbiamo perso Hulk?»

Una bolla di silenzio incerto accoglie le sue parole.

«Se n'è andato,» lo corregge poi Nataša, guardinga.

«Se n'è andato, dici?» commenta annoiato Tony, alzando gli occhi al cielo. «Non è quello che fa di solito dopo che va tutto a puttane?» la sua replica è scevra di alcuna ironia e schiocca nella stanza come un petardo, facendo scoppiare con sé la cupola di tranquillità rimasta finora intatta.

Steve digrigna i denti, come se ciò potesse frenare le proprie parole, ma è stanco di non ribattere, e quelle trapelano vibranti:

«Stark,» usa di proposito il cognome, andando a colpire quel suo nervo perennemente scoperto, e si avvicina a lui di mezzo passo. «Ti sembra il momento di...»

Tony scatta all'istante, come una molla:

«No, non mi sembra assolutamente il momento di stare appresso alle vostre stronzate da bravi compagnucci amici per la pelle,» butta fuori in un sol fiato, la voce bassa ma sul punto di impennarsi. «Io sono fuori da quel club, ricordi?» rimarca poi, recuperando distanza e dandosi una pacca secca sul petto, proprio dove l'ha colpito con lo scudo due anni fa.

È abbastanza per congelargli la successiva frase in bocca e fargliene scegliere un'altra, più bruciante:

«Hai scelto di uscirne.»

Vede la mascella di Tony serrarsi, e un lampo d'ira offusca lo sfondo addolorato delle sue iridi, per poi sfumare nel suo tipico sorrisetto sardonico, che subentra prontamente a tappare quel cedimento.

«A quanto pare, non sono l'unico che preferisce essere altrove,» commenta sprezzante.

«Se avete finito di giocare ai maschi alfa, avremmo un problema da risolvere,» si intromette infine Nataša, ancora imperturbabile ma con una nota d'urgenza nella voce.

«Un vostro problema,» puntualizza Tony, tagliando l'aria col palmo a troncare anche la questione.

Steve si volta a guardarlo, incredulo. È la prima volta che lo vede tirarsi fuori di netto da una discussione invece di prolungarla all'infinito pur di avere l'ultima parola. Cerca di leggere oltre quel comportamento, ma tutto ciò che incontra è l'aria gelida della Siberia.

«Una mano ci farebbe comodo,» lo esorta la donna, sperando forse di rabbonirlo.

Ma Tony emette un verso esasperato e scuote platealmente la testa.

«Vi sto già dando una mano, ed è quello che dovrebbe fare anche Banner invece di evitarci come la peste e avere crisi adolescenziali,» sbotta caustico.

«E tu invece cosa staresti facendo?» lo pungola Steve, gettando al vento i suoi buoni propositi di pacifismo.

«Quello che voi non siete in grado di fare,» ribatte lui con supponenza, e Steve doma l'istinto di cancellargli quel sorrisino strafottente dalla faccia. «D'altronde, sono a corto di diavolerie e non posso esattamente scorrazzare qua e là senza armatura e con la milza a pezzi, quindi lascio volentieri a voi le missioni da buoni samaritani,» aggiunge, sempre più provocatorio, scostandosi col chiaro intento di andarsene una volta per tutte.

«Tony, non è una vera missione,» sospira Steve, appianando a stento la propria voce ancora bizzosa.

«È Hulk,» ribatte lui con una scrollata di spalle.

«È tuo amico,» lo corregge d'istinto.

Si rende conto dell'errore quando Tony stira le labbra in una piega amara.

«Ecco, mi stavo giusto chiedendo dove fosse finito Capitan Ipocrita,» sorride con scherno, gli occhi gelidi.

La sua voce gronda puro disprezzo, in una distorsione del tono pungente ma canzonatorio in cui intinge solitamente le sue frecciatine. Steve rimane interdetto quel tanto che basta per permettere a Tony di girare bruscamente sui tacchi e imboccare la porta senza degnarli di un ulteriore sguardo.

Steve e Nataša si lanciano un'occhiata reciproca, senza provare a trattenerlo.

«Tocca di nuovo a noi due, eh?» butta lì lui, con leggerezza forzata e la sensazione di essersi liberato almeno in parte della fastidiosa pressione che gli tormenta la testa.

«Così pare,» replica atona lei, con la bocca ridotta a una linea sottile e contrariata.

Non sembra affatto entusiasta e non offre alcun commento riguardo al diverbio appena avvenuto, con rammarico di Steve.

«Sarà meglio perlustrare il palazzo,» gli propone invece, facendogli cenno di seguirla.

«Davvero non hai idea di dove sia?» indaga Steve, senza muoversi e col sospetto che Nataša abbia mentito per il puro gusto di indispettire Tony.

La spia si gira di scatto verso di lui:

«No,» lo fredda. «E non ho intenzione di ripeterlo,» aggiunge minacciosa, per poi riprendere la sua marcia fuori dalla stanza.

Steve sospira con rassegnazione e fa per accodarsi a lei prima di perderla di vista, quando nota il procione acciambellato sul pouf nell'angolo, appena visibile tra le pieghe della stoffa. Si ferma esitando, lanciando un'occhiata a Nataša che è appena sparita dietro l'angolo.

«Ehi, Rocket?» lo chiama prima di poterci ripensare, e quello drizza appena le orecchie nella sua direzione, schiudendo una palpebra. «Vuoi darci una mano?»

Lui si riscuote e lo fissa per un lungo istante con occhi acquosi e annebbiati. Poi scivola a terra e zampetta a testa bassa sulle orme di Nataša, con la coda che struscia mogia sul pavimento.

«Perché no...»

 

***

 

La giungla sembrava meno fitta, vista dalla savana.

Steve e Nataša si fermano al suo limitare, mentre Rocket li precede di qualche passo, senza rallentare. La ricerca a palazzo non ha dato i suoi frutti, così come quella nelle strade limitrofe e deserte di Birnin Zana, spazzate da un vento umido che promette pioggia e appesantisce già la polvere che le ricopre. È stata Okoye a indirizzarli verso la savana ancora scempiata dalla battaglia e invasa dai miasmi putridi degli alieni caduti, ai quali neanche iene e avvoltoi hanno osato avvicinarsi. La giungla è stata la tappa successiva, neanche messa in discussione, come se esercitasse su di loro un naturale magnetismo a cui sarebbe stato inutile sottrarsi. Nell'aria c'è odore di carburante e ferro bruciato, proveniente dalle mostruose astronavi che ancora svettano sugli alberi come lapidi metalliche; a guardarle dal basso, Steve prova una lieve vertigine e ha l'impressione che si protendano all'infinito verso il cielo lattiginoso, quasi a slanciarsi verso il loro luogo d'origine.

Distoglie lo sguardo dai monumenti alla loro sconfitta e lo punta sul muro di vegetazione che sbarra loro la strada: un groviglio di rami, liane, radici, timori ancestrali e paure recenti. Steve concentra ogni energia nell'ignorare il suolo cedevole in cui affondano le sue scarpe, e si ripromette di non guardare mai in basso una volta entrati in quel labirinto.

«Coraggio, cacasotto... e voi sareste gli eroi più forti della Terra?» biascica Rocket tra le zanne, facendosi largo nella selva. «Un gigante verde in una giungla verde... niente di più facile,» borbotta ancora, la voce roca già ovattata dai tronchi e dalle foglie.

Steve inizia a rimpiangere di esserselo portato appresso, e anche l'occhiata che gli rivolge Nataša trasuda rimprovero, ma lui si limita ad accennare col capo alla giungla e a muovere il primo passo, ponendo fine agli indugi.

Subito, il mondo si fa più torbido. L'aria è afosa e il sole filtra a sprazzi dalla cupola vegetale sopra di loro, creando riflessi brucianti sui tronchi e sulle fitte piante esotiche che ostruiscono i loro passi quando la luce riesce a trapassare la doppia coltre di nubi e rami. Il loro avanzare è accompagnato solo dalle scarpe che smuovono il frusciante tappeto di humus e foglie morte e dall'occasionale grido di una scimmia o un volatile che attraversa l'aria umida. Ogni suono è ovattato e amplificato allo stesso tempo, quasi provenisse dalle viscere stesse della terra. Il silenzio è comunque troppo denso: il respiro vitale che di solito permea quei luoghi selvatici e rigogliosi è dimezzato. Steve lancia un fugace sguardo verso il basso: sul marrone rossiccio del sottobosco distingue una sfumatura grigiastra, e si affretta a riportare gli occhi dinanzi a sé prima di tornare in ginocchio di fronte alle ceneri.

Dopo qualche minuto di marcia, con Rocket ormai lontano, lui e Nataša si fermano con tacita sincronia in una radura tappezzata di felci, da dove si intravede il baluginio ferreo e inquietante di una delle astronavi fare capolino tra la vegetazione. Steve sta giusto per sfruttare quella breve sosta per provare a innescare un qualche tipo di discussione, quando Nataša si rimette lesta in cammino, lasciandoselo alle spalle; Steve recupera terreno, allungando il passo e impreca tra i denti quando, nella foga, la camicia si impiglia nel graticcio di rami e liane. Riesce finalmente ad affiancarla, con qualche graffio in più sulle spalle.

«Di cosa stavate parlando prima, tu e Stark?» prorompe infine, e dallo sguardo che gli rivolge la spia capisce di aver appena fatto il suo gioco, esponendosi per primo.

«Di te,» risponde laconica, sorprendentemente senza girarci troppo intorno.

«Ovvero?» Steve cerca di porla come una domanda casuale e disinteressata, ma percepisce uno spiacevole pizzicore allo stomaco, perché quella breve risposta racchiude anni di amicizia stroncati in un bunker gelido.

«Di quel che è successo a Lipsia,» specifica lei, aggirando un tronco che la nasconde brevemente alla vista.

Non aggiunge altro e continua la sua avanzata in silenzio, come se avesse detto tutto ciò che c'è da dire.

«Ti dispiace elaborare una risposta sensata?» sbotta Steve, senza più nascondere la propria frustrazione per quel trattamento inspiegabilmente scostante.

Non che si sia dimostrata molto più loquace nelle occasioni in cui si sono trovati a collaborare nel corso di quegli anni di esilio1, ma adesso che non sono in missione la cosa sta iniziando a logorargli i nervi. Nataša, dal canto suo, sembra sul punto di rifilargli un colpo ben assestato in mezzo alle costole, ma scosta invece con troppa forza una spessa liana sul suo cammino.

«Tony sperava che io potessi mediare tra voi due,» rivela poi, senza fornire davvero una spiegazione. «Questo è quanto.»

Steve scuote la testa, ma evita di commentare quella palese bugia e si rassegna a non sapere mai cosa si siano detti i due di preciso. Conta qualche passo misurato prima di riprendere il discorso:

«E non eri disposta a farlo?»

«Volevo prima ottenere qualche informazione in più,» inclina appena un angolo della bocca, come un felino soddisfatto della caccia, a chiara dimostrazione che è riuscita nel suo intento.

«Cioè, non volevi esporti,» traduce Steve, senza stupirsi troppo.

«Non è compito mio risolvere i vostri contenziosi,» replica lei, imperturbabile ma con una stilla di gelo. «E proprio per questo non ho intenzione di schierarmi di nuovo,» conclude poi, rivolgendogli uno sguardo irremovibile.

Steve evita di commentare il fatto che non ha mai chiesto a nessuno di schierarsi, tanto meno a lei.

«Magari un mediatore è quello di cui abbiamo bisogno,» butta lì, cercando di far leva sul buonsenso di Nataša.

«Quello di cui avete bisogno voi due è prendervi a pugni per un paio d'ore, scordarvi Lipsia e la Siberia e riuscire a...»

«Che ne sai, tu, della Siberia?» scatta Steve, mancando un colpo, e un senso di nausea stringe il cerchio alla testa quando il suo sguardo si fissa inavvertitamente a terra: per un istante la patina grigiastra sulle foglie, più che cenere, sembra brina.

«Solo che ci siete andati,» risponde lentamente lei, scrutandolo incuriosita e assottigliando appena gli occhi. «Tony non ha voluto dirmi di più, a parte che, cito, “è stato un casino”, che è come descrive più o meno qualunque situazione in cui ha fatto una cazzata,» spiega, e Steve è prudentemente incline a crederle.

Non crede che Tony rivelerebbe mai a nessuno ciò che è realmente successo laggiù. Forse solo a Pepper, o a Rhodes, ma non riesce a immaginare Nataša sulla sua lista di “persone fidate” dopo che gli si è rivoltata contro. E lei non parlerebbe così, se non fosse alla ricerca di una conferma o smentita da parte sua su quelle vaghe informazioni. Oppure vuole soltanto sentire entrambe le campane.

«Non ha tutti i torti,» si limita quindi a dire, cercando di mettere un punto all'argomento senza rivelare altro; tutto ciò che può fare è salvaguardare Bucky, anche ora.

Nataša sembra assecondarlo, per poi fermarsi tanto bruscamente che Steve teme di trovarsi davanti un qualche alieno superstite pronto a farli a pezzi e percepisce un breve picco d'adrenalina, già preparandosi a uno scontro.

«Siete esasperanti,» sbotta lei senza preavviso, e si volta verso di lui a braccia incrociate e con un cipiglio tetro che le adombra i tratti.

Steve prende atto di come, probabilmente, il suo piano di stilare una mappa completa della situazione sia appena andato a monte grazie alla combinata reticenza sua e di Tony. Trova ironico che, proprio adesso, si siano inconsapevolmente coperti le spalle a vicenda, e non può evitare che una sommessa soddisfazione emerga sul suo volto.

«Solo perché per una volta concordiamo su qualcosa?» formula pacatamente.

«Così state solo danneggiando la squadra,» rincara lei, in un tono accusatorio che lo fa incupire a sua volta.

«Non sono certo io a seminare zizzania,» replica con stizza.

«Con questo atteggiamento andremo davvero lontano...» sbuffa lei, voltando il capo di lato in un moto indefinito tra il deluso e l'incredulo.

È spiazzante vederla esternare in modo così palese il suo disappunto, ed è difficile dire se sia l'ennesima farsa con secondo fine o se sia realmente preoccupata per la squadra.

«Sei tu quella che va in giro a “raccogliere informazioni” invece di rendersi utile,» la rimbecca con durezza. «Ma capisco che il mestiere di spia sia difficile da abbandonare.»

«Questa l'ho già sentita,» replica, senza scomporsi se non per un'irritata alzata di sopracciglia. «E se lo faccio è perché non sono più così sicura di conoscere i miei compagni di squadra.»

Quell'affermazione ha il doppio effetto di fargli mancare la terra sotto i piedi e di aumentare la pressa che gli stritola le tempie.

«Cosa dovrebbe significare?» chiede guardingo, pronto a difendersi, ma anche ad contrattaccare se necessario.

«Cos'è successo in Siberia?» rimpalla lei senza esitazioni, guadagnando un passo verso di lui e trapassandolo con lo sguardo.

Steve non retrocede, ma si irrigidisce sul posto, serrando la mascella senza abbassare gli occhi.

«Sono faccende personali,» risponde, con un tono troppo basso che dà una sfumatura minacciosa alla sua voce.

«Devono essere piuttosto serie, visto che tu ti rifiuti categoricamente di parlarne e prima Tony sembrava sull'orlo di un attacco di panico,» alza le spalle lei fingendo noncuranza, ma la sua espressione rimane cupa.

Steve deve fare uno sforzo per non rimanere stolidamente a bocca aperta, e i suoi occhi scattano di lato mentre ripercorre la loro ultima discussione sul filo del rasoio. Non riesce a collocare l'osservazione di Nataša nelle parole aggressive di Stark e nei suoi chiari intenti litigiosi di poco prima, e la scruta con sospetto.

«Non è quello che ho visto io,» dichiara infine, con una vacillante nota di dubbio.

«Forse ti serve un ripasso sul linguaggio non verbale,» osserva Nataša, e fa un sorrisino saputo. «Anche il tuo mi è sembrato abbastanza chiaro,» insinua poi, inclinando appena la testa con fare eloquente.

«E sentiamo, cosa direbbe il mio linguaggio non...»

«Ehi, Terrestri!» la voce raschiante di Rocket rimbalza fino a loro sul fitto fogliame, interrompendolo. «Volete muovere il culo?» C'è una nota d'allarme ben palpabile nelle sue parole ed entrambi si mettono in allerta, puntando verso la direzione da cui proviene il richiamo. «Abbiamo un... problemino, credo!»

Un urlo profondo, rauco e prolungato segue quell'affermazione e Steve scatta all'istante in una corsa, seguito a ruota da Nataša.

 

***

 

Gli alberi si interrompono bruscamente sul ciglio di uno strapiombo, affacciato sui flutti irruenti delle rapide create da un'alta cascata2. Anche nella luce esitante che attraversa il cielo velato, l'acqua nebulizzata proietta spezzoni di arcobaleni che si infrangono contro la roccia nuda e scoscesa del dirupo. Sarebbe uno scorcio idilliaco, se non fosse per il dettaglio che spezza l'incanto: Bruce è in mezzo al torrente, seminudo e accovacciato su un masso piatto e levigato che affiora a pelo d'acqua, e sembra ricoperto di sangue.

Anche da lassù, Steve individua dei tagli sulle mani e sugli avambracci, ma non riesce a identificarne l'origine. Che vi fossero davvero degli alieni superstiti nei dintorni? Sente di nuovo l'adrenalina che gli risale le vene, mettendolo sul chi vive.

Rocket è a qualche metro da Bruce, sulla stretta riva pietrosa, e si sbraccia in direzione del compagno, apparentemente impegnato in un'accesa discussione, ma le loro voci si perdono nello scroscio della cascata: Rocket deve averli chiamati prima di scendere fin lì.

Sente Nataša affiancarlo guardinga e sporgersi a sua volta sulle rapide, ma la sua espressione rimane illeggibile. In quel momento Bruce alza di scatto la testa e li nota. Ha un istante di smarrimento totale, per poi urlare qualcosa che assomiglia molto a un “andate via!”, reso inequivocabile dal gesto imperioso che compie col braccio grondante di sangue.

«Sarà meglio tirarlo fuori di lì,» decide Nataša, senza mostrare alcun particolare turbamento nel vederlo ridotto in quello stato.

Steve annuisce in silenzio, osservando il compagno che riprende ad accapigliarsi verbalmente con Rocket scoccando al contempo delle occhiate preoccupate e ostili verso di loro. Nataša ha già individuato un punto più agevole per intraprendere la discesa della parete rocciosa e gli fa cenno di seguirla mentre già si lascia scivolare oltre il bordo. Steve la imita, sfruttando gli appigli della roccia ruvida e delle piante che vi si abbarbicano tenaci, per poi lasciarsi semplicemente cadere da qualche metro d'altezza. Attutisce senza sforzo l'impatto e si ritrova con l'acqua fredda e impetuosa a mezza coscia. Coglie un'imprecazione da parte di Nataša, costretta a scendere ancora un po' prima di fare lo stesso, e a quel punto lui si è già portato di fronte a Bruce.
Da vicino sembra ancor meno collaborativo di quanto sperasse. Non sa esattamente come approcciarlo, tanto meno in questa situazione anomala. Di sicuro ha sempre avuto più confidenza con Tony e Nataša, ma non crede che in questo momento avrebbe molto peso, considerati gli atteggiamenti astiosi di entrambi.

«Vi ho detto di sparire!» esclama lui, non appena lo inquadra nella sua visuale, e i suoi occhi sono cupi e infossati, tanto che sembrano potersi trasformare in quelli verdastri di Hulk.

«Bruce, vogliamo solo parlarti,» lo rabbonisce, sedendosi a sua volta sui talloni e infradiciandosi definitivamente i jeans nel torrente.

Stanno entrambi quasi urlando per superare il fragore dei flutti attorno a loro, ma Steve si sforza di non suonare aggressivo.

«Ehi, Capitano!» sbraita Rocket interrompendolo senza troppe cerimonie mentre saltella sul posto dalla riva. «Non ti consiglio di starci così vicino, a meno che non vuoi beccarti un bel pugno verde in faccia!»

Steve si volta di scatto verso di lui, per poi guardare di nuovo Bruce, che adesso si è chiuso a riccio, facendosi schermo con le braccia; il gesto coincide con Nataša che si è appena avvicinata a lui dall'altro lato, pur mantenendosi a distanza di sicurezza.

«Ti sei trasformato?» chiede Steve, cercando di far breccia attraverso le tenui difese del compagno.

«Eccome!» gli arriva la voce di Rocket. «Mi ha quasi ridotto in poltiglia!» aggiunge, tra l'esaltato e l'offeso.

«Non del tutto,» replica Bruce, e se non fosse per il suo udito particolarmente fine, gli risulterebbe incomprensibile. «Ci ho provato,» prosegue poi, schiudendo le braccia e lasciando intravedere gli occhi sofferenti. «Ma è stato inutile,» dice, mostrando loro i palmi e il viso imbrattati di sangue.

Steve mette finalmente a fuoco le ferite a mezzaluna che gli costellano mani e braccia e si sente sprofondare: sono segni di morsi, alcuni superficiali, altri tanto profondi e feroci da lasciar intravedere la carne viva3.

«Bruce,» stavolta è Nataša a intervenire, muovendo un cauto passo controcorrente verso di lui. «Dovresti andare in infermeria,» continua, col tono basso e leggermente musicale che usava in passato per placare Hulk.

«Tu stammi lontana,» ringhia Bruce fissandola con astio, e c'è un lampo verde nei suoi occhi infossati e circondati da vene rigonfie di rabbia. «E non cercare di incantarmi con le tue filastrocche.»

Steve esita sul posto, chiedendosi se sia il caso di intervenire a disinnescare la tensione sempre più stringente. Se Hulk dovesse effettivamente scatenarsi, forse solo con l'aiuto di Thor potrebbero riuscire a tenerlo a bada. Ma lui è irreperibile, loro sono disarmati e l'Hulkbuster è ridotta a un rottame.
Prende comunque iniziativa e si avvicina di qualche passo, mentre Nataša si limita a scrutarli, gli occhi che saettano tra di loro; Rocket si è placato e li osserva da lontano, seduto su un masso col suo fucile stretto tra le zampe. Bruce si ritrae ancora, ma non con la stessa aggressività che ha riservato a lei, e Steve riesce finalmente a mettere piede sulla piattaforma rocciosa, prendendo atto dello stato preoccupante delle sue ferite, che non si cura neanche di tamponare.

«Bruce? Che cosa è successo?» si decide a chiedere, sperando che spingerlo a parlare possa in qualche modo rasserenarlo.

Lui solleva appena lo sguardo e digrigna i denti, come se fosse preda di un dolore improvviso, o forse è solo una folata di vento più teso che lo fa rabbrividire, fradicio com'è.

«Ho pensato che il “metodo del proiettile” potesse funzionare di nuovo,» dichiara a mezza voce, e stavolta è Steve ad avere un brivido.

Ricorda ancora lo shock di tutti loro alla sua confessione sull'Helicarrier. E ricorda anche come avessero cercato di metterla da parte e di non riportarla a galla ogni volta che lo guardavano, quasi potesse gettare ancor più ombre su una personalità già complicata come quella di Banner.

«Hai cercato di...?» Steve non sa se completare o meno la domanda, ma Bruce glielo evita scuotendo energicamente la testa:

«Volevo solo risvegliare Hulk. Di solito quando sono in pericolo di vita reagisce d'istinto,» spiega, ora più controllato, e si scolla i capelli bagnati dalla fronte, impiastrandola di sangue.

Abbandona finalmente la sua posizione difensiva, abbassando un ginocchio e poggiando un braccio sull'altro ancora piegato a fargli da scudo. I suoi pantaloni sono laceri e strappati al ginocchio, come gli capita sempre dopo la trasformazione; sul torso nudo ci sono diverse escoriazioni, slabbrate e irregolari: non sembra essersele inferto da solo.

Anche Nataša è riuscita ad avvicinarsi un poco, e nonostante Bruce le rifili un'occhiataccia, non la allontana come ha fatto poco prima.

«Mi sono buttato da lassù,» indica la rupe da cui sono appena discesi, alta una buona dozzina di metri, e si lascia scappare una risatina asfittica e disperata alle loro facce sbalordite. «Lo so, è folle, ma che alternative avevo?»

«E ha funzionato?» chiede cauto.

«A metà,» Bruce accenna alle proprie ferite sul busto, che sembrano coincidere con le rocce affilate delle rapide. «Letteralmente. Metà corpo è diventata Hulk, l'altra ha... subito qualche danno,» conclude, quasi imbarazzato, andando a stuzzicare sovrappensiero uno dei morsi sul palmo viscido di acqua e sangue.

È Nataša a bloccare quel gesto, e Bruce fa per scansarla, per poi rilassarsi appena, pur occhieggiandola con sospetto.

«E queste?» gli chiede, senza girarci attorno.

«Sono altri “tentativi”,» risponde lui, sfuggendo infine alla sua stretta. «Ero abbastanza arrabbiato da credere che potesse funzionare, ma evidentemente Hulk ha rotto il contratto e ha deciso di tenermi solo in vita, fregandosene del dolore. O forse ha pensato che me lo meritassi,» aggiunge, con aria assente.

«Rocket,» Steve accenna col capo al procione, che ancora li scruta attento dalla sua postazione, «ha detto che l'hai attaccato.»

«Mi è piombato addosso mentre stavo...» offre il palmo sfregiato a completare la frase. «Voleva solo fermarmi, ma Hulk deve averlo identificato come un pericolo. Mi si è comunque trasformato solo il braccio,» scrolla le spalle, abbattuto.

«È un buon segno, vuol dire che...» tenta di dire Steve, ma Bruce gli impedisce di continuare:

«Non vuol dire un bel niente!» ringhia di nuovo. «Senza Hulk non posso esservi utile! Non vi sono stato utile!» aggiunge, col dolore che gli graffia la voce e riporta tutti loro a sette giorni fa. «E anche come Hulk...» si interrompe e il capo gli crolla in avanti, come se parlare gli costasse troppa fatica.

«Senza Hulk, rimani un genio con sette dottorati,» gli ricorda Steve, ignorando l'ultima affermazione. «Tony e Shuri stanno lavorando da giorni e aspettano che tu vada ad aiutarli,» prosegue conciliante, e l'immagine del compagno che indugia di fronte al laboratorio riemerge davanti ai suoi occhi. «Perché non l'hai fatto?»

Lo sguardo di Bruce si fa sfuggente, e le sue parole evasive:

«Non ci vediamo da tre anni... c'è troppo in sospeso,» ribatte, debolmente.

«Bruce,» Steve si impegna a incanalare tutte le sue doti persuasive in ciò che dice, accompagnandole con uno sguardo quasi implorante, «Thanos ha vinto: non abbiamo tempo per pensare al resto. Adesso dobbiamo rimanere uniti.»

Nel parlare, riesce quasi a sentire gli occhi di Nataša piantati addosso come due spilli roventi. Bruce tira un lungo sospiro tremolante e rabbrividisce di nuovo, ma annuisce appena, evitando i loro sguardi.

«Lo so. Lo so, stavo solo...» esordisce, adesso confusamente.

«Troveremo un modo, ma adesso ci servi tu, non Hulk,» lo rassicura Steve, con fermezza. «Su, torniamo a palazzo,» lo incita poi, con più gentilezza.

Prima che possa aiutarlo a rialzarsi, lui gli fa cenno di aspettare e si volta verso Nataša, improvvisamente serio.

«Ci lasci dieci minuti?»

Steve esita e scambia uno rapido sguardo con lei. Sembra stupita e non troppo contenta di quella richiesta, ma offre un cenno d'assenso.

«Vai. Vi raggiungiamo,» asserisce, tesa e stringata.

Steve li lascia a confabulare per conto loro e guada il torrente, riunendosi a Rocket seduto con le zampe penzoloni sul suo masso.

«Certo che siete messi male, eh?» commenta, quando Steve si siede accanto a lui, strizzandosi i pantaloni inzuppati.

«Ma non mi dire...» sbuffa in risposta, senza negare l'evidenza dei fatti e sfregandosi i capelli scomposti e imperlati da goccioline d'acqua.

Sospira con pesantezza. Sono davvero messi male, peggio di quanto avrebbe mai pensato. Quelle crepe prima appena visibili si stanno allargando tra tutti loro, e si sente come se stessero camminando su un lago ghiacciato ad occhi bendati, senza sapere se il prossimo passo li avrebbe portati su un solido blocco o su una pozza di ghiaccio nero. 

Scocca un'occhiata a Bruce e Nataša, che stanno apparentemente discutendo in modo abbastanza pacato; nonostante lui sia chiaramente più innervosito, lei non lascia mai vacillare la sua consumata espressione neutrale. Capisce fin troppo bene quanto possa essere esasperante avere a che fare con lei – come prendere a testate un iceberg – e quasi preferisce le frecciatine acide di Tony.

Scaccia la considerazione: le parole di Nataša sul compagno continuano a ronzare fastidiosamente nella sua testa, che già non è nelle migliori delle condizioni. Porta una mano a sorreggerla, massaggiando discretamente la tempia dolorante in un vano tentativo di attutire la sensazione che qualcuno vi abbia appena abbattuto un maglio sopra. È quell'ultima associazione a far scattare la sequenza di immagini che l'osservazione di Nataša ha continuato a pungolare fino ad ora: uno sfondo di cemento innevato, due occhi scuri e sbarrati dal terrore e il peso di uno scudo pronto a colpire nelle proprie mani gelate. Deglutisce, sentendosi la bocca secca e inspiegabilmente fredda, quasi stesse inspirando l'aria siberiana. Gli ritorna in mente la battutina sarcastica di Tony durante il loro primo incontro4, che ha evocato quella stessa immagine con colori solo in apparenza spavaldi, volti a tenere sotto controllo la tensione e a non smuovere delle schegge ancora ben percepibili.

Steve chiude stancamente gli occhi, masticando a vuoto e scoccando un'occhiata impaziente a Nataša, riluttante sia ad accettare in silenzio che abbia ragione, sia a chiederle una conferma più esplicita e confermare definitivamente quel fatto.

«Tutto bene?»

La voce di Rocket lo riscuote e quasi sobbalza.

«Sì... ho solo mal di testa,» si lascia sfuggire.

Nota l'espressione assente di Rocket, che sembra ipnotizzato dalle radici contorte di una magrovia a qualche passo da loro.

«Tu?»

«Troppi alberi,» risponde lui, laconico.

Steve gli rivolge uno sguardo mesto, ma non dice altro: non ci sono parole per lenire quel tipo di dolore. Prende a fissare il tappeto di foglie sotto le sue scarpe e il suo sguardo si appanna.
Lo sa fin troppo bene.

 

***

 

Dieci minuti si sono trasformati in mezz'ora di serrata discussione in mezzo al torrente e di pesante e meditabondo silenzio sulla riva opposta.

Steve considera comunque positivo il fatto che Bruce abbia infine acconsentito a lasciare il proprio baluardo, a detergersi le ferite e a fare ritorno, un po' malridotto ma decisamente più sereno. Soprattutto, è un sollievo che la tensione tra lui e Nataša sia diminuita quel tanto che basta per non sentirsi rizzare i capelli sulla nuca nell'interporsi tra loro.

Bruce e Rocket camminano davanti a loro parlando in verità in modo piuttosto amichevole, dopo il primo approccio turbolento. Steve capta qualche stralcio di conversazione riguardo a ingegneria genetica e raggi gamma, e non può fare a meno di sorridere appena, seppur tristemente. Almeno qualcuno ha voglia di parlare. 

Lui e Nataša invece tacciono, entrambi fin troppo consapevoli della discussione in sospeso che aleggia tra di loro, tesa come le nuvole sempre più dense che si trascinano nel cielo. 
È solo quando arrivano al limitare degli alberi che Steve si convince a mettere da parte l'orgoglio:

«Nat?» la trattiene senza forza per un braccio, lasciando un po' di vantaggio agli altri due, e lei asseconda quel gesto senza scomporsi.

I suoi occhi verdi sembrano attraversarlo mentre attende un proseguo da parte sua.

«Cosa diceva il mio “linguaggio non verbale”?» chiede, e il tentativo di suonare ironico o almeno scherzoso fallisce miseramente, perdendosi in un tono grave.

Lei esita un istante e Steve riconosce l'intenzione di mentire nei suoi occhi, subito sostituita dalla consueta trasparenza delle sue iridi chiare.

«Che non ti fidi di lui,» sentenzia, prima di incamminarsi di nuovo.

Steve rimane a un passo dal netto confine della giungla.

Nella penombra del fitto fogliame, inizia a chiedersi se Nataša non abbia ragione.


 
 



Note:
1In questa mia versione dei fatti, Nataša è rimasta in contatto con gli altri solo sporadicamente per qualche missione congiunta. I buchi nella sua timeline verranno colmati successivamente.
2L'ambiente descritto è dove Hulk affronta Cull Obsidian in Infinity War.
3Il fatto di mordersi le mani/braccia per trasformarsi in Hulk è una ripresa dall'anime Attack on Titan/Shingeki no Kyojin, che ho rivisto recentemente e mi ha ispirato la cosa.
4Riferimento a Speaking Terms, in cui Tony dice a Steve "[...] siediti: piazzato là tutto impettito sembra che tu voglia spaccarmi di nuovo qualcosa in faccia."

Note Dell'Autrice:

Ehm, è sempre mercoledì, no? Sssì, sono in ritardo, ma ho incontrato qualche difficoltà nella stesura, cambiata più volte in corso d'opera.
Non sono esattamente esperta col personaggio di Bruce, avendolo trattato poche volte, ma spero che i suoi atteggiamenti possano risultare credibili. Mi sono rifatta pesantemente al periodo di depressione culminato col suicidio di cui accenna in The Avengers. I fatti riguardanti Hulk sono mie supposizioni basate sul fatto che, quando Bruce tenta di trasformarsi, riesce ad evocarne almeno l'aspetto esteriore.
Come sempre, qualunque questione lasciata in sospeso/non chiarita, troverà spiegazione nel corso della storia, fermo restando che il PoV Steve è sempre determinante nell'interpretazione dei fatti.

Ringrazio tantissimo T612, _Atlas_, ninfetta, serica e shilyss che hanno recensito gli scorsi capitoli, e tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricrdate/seguite (e siete davvero tanti) <3 Se volete farmi un regalo di Natale sotto forma di recensione, è il momento giusto ;) <3

Un caro saluto e, nel caso non riuscissi ad aggiornare prima, Buone Feste! :D

-Light-

P.S. Il rating è stato alzato per i riferimenti a suicidio e autolesionismo nella scena con Bruce.

 
   
 
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