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Autore: Stephaniee    20/12/2018    1 recensioni
Seguito di Primo ed Ultimo.
"Siamo stati qualcosa.
Siamo stati tante cose, a dire il vero. Siamo stati qualcosa quando non parlavamo ma ci guadavamo e capivamo comunque.
Siamo stati qualcosa quando ancora non sapevamo che stavamo per cambiarci le vite, almeno un po’. Siamo stati qualcosa di misterioso quando noi per primi non sapevamo cosa fossimo, chi fossimo. Siamo stati la sicurezza quando invece eravamo certi che nonostante tutto, come ci brillavano gli occhi quando eravamo insieme, non avrebbero brillato con nessun’altra.
Siamo stati un amore mancato"
(grazie #caratempesta per la citazione.)
Genere: Malinconico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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- Questa storia fa parte della serie 'Primo ed ultimo la Trilogia'
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Chapter twenty
Myself first

 

Erano ormai due settimane che affogavo in autori, biografie, ideologie sul tradurre, tra chi sosteneva che la traduzione letterale fosse l’unica via per rendere al meglio un testo in una qualsiasi altra lingua, chi invece riteneva che il compito del traduttore fosse appunto quello di parafrasare un testo apportando anche modifiche di carattere strutturale per renderlo comprensibile al meglio ma, senza stravolgere il contenuto.

Ripetevo per la milionesima volta uno degli argomenti d’esame, mentre preparavo una centrifuga alla frutta, una nuova abitudine degli ultimi quattordici giorni.

Un’altra buona, anzi, ottima nuova abitudine era la mia capacità di ignorare ogni telefonata o messaggio di Luke: aveva provato a chiamarmi in diverse occasioni, mi aveva scritto un paio di messaggi, ma io non avevo mai risposto.

Sentivo che ero io a decidere, finalmente. Lo avevo privato del potere che esercitava su di me, certo lo pensavo e non ero felice, ma sentivo di essere sulla strada giusta per uscire da quel lungo tunnel.

 

 

Avrei voluto poter dire lo stesso di Francy. La mia amica stava decisamente peggio di me, Nick non sembrava in grado di prendere nessun tipo di decisione duratura e lei era ancora troppo innamorata per dare una svolta decisiva alla sua situazione.
Mi dispiaceva non poterle essere vicina in quel momento, ma avremmo avuto due settimane per stare insieme, la mia priorità in quei giorni era l’esame e lei avrebbe capito, anche perché nelle mie pause dallo studio sentivo costantemente entrambe.
L’esame sarebbe stato l’indomani ed io avevo solo quell’ultimo giorno per ripassare e prepararmi a dovere.

 

L’orologio del soggiorno segnava le 14:05 quando decisi di fare una pausa per mettere qualcosa sotto ai denti. L’agitazione cominciava a farsi sentire e tutto il mondo stava passando in secondo piano. Decisi che mi sarei presa un’oretta di pausa per mangiare e rilassare la mente con un po’ di musica, mi sarebbe piaciuto leggere ma avevo gli occhi troppo stanchi per farlo.

Mentre le note di Jessie J riempivano il soggiorno, iniziai a tirare fuori la valigia per cominciare a riempirla delle cose fondamentali, asciugamano, costumi, creme solari e tutto il necessario per il mare. Sentivo la necessità, dopo tutto il freddo preso in Olanda, di sentire veramente il sole sulla pelle e scaldarmi fino a dentro le ossa. Tornai svogliatamente alle mie fotocopie e mi concentrai solo ed esclusivamente sullo studio, al mare avrei potuto pensare il giorno dopo, una volta finito l’esame.

 

 

Quella mattina di luglio l’afa era insostenibile già alle 9 del mattino.
Passeggiavo davanti al collegio Santa Caterina, in attesa che aprisse per appoggiare il mio materiale ed attendere di essere chiamata all’appello. Ero agitata ma lucida, ero abbastanza preparata, forse non al cento per cento visto le poche settimane di studio, ma abbastanza da passare quell’esame e partire tranquilla.

Feci un salto al bar adiacente alla struttura per prendere una bottiglia d’acqua e un panino.

Conoscevo bene la scarsa organizzazione della mia università e più di una volta mi era capitato di avere un appello alle 9 ma di essere effettivamente interrogata alle 18. Erano giornate estenuanti sia per alunni e professori, questo determinava spesso una alta percentuale di bocciature.
Fare scorta di cibo si sarebbe rivelato utile nel caso fossi finita dopo pranzo.

 

Al mio ritorno dal bar, i cancelli erano stati finalmente aperti, con quindici minuti di ritardo, mi diressi nell’aula disegnata e mi sedetti al primo banco. Dopo pochi istanti fui raggiunta da altri colleghi, la capienza dell’aula non poteva ospitare tutti gli iscritti e vidi molti sedersi fuori, per terra.

La probabilità di finire per ultima si faceva sempre più plausibile.

Finalmente il docente alle 9:35 ci degnò della sua presenza informandoci che avrebbe interrogato in base al momento dell’iscrizione. Ottimo, considerando che avevo deciso all’ultimo di dare quell’esame mi avrebbe interrogato minimo alle 16.

Così passarono le ore, collega per collega il professore promuoveva o bocciava abbastanza obbiettivamente, il che fu un sollievo. Nella mia mente assimilavo tutte le domande e le eventuali risposte che forniva il docente, in modo di ripeterle esattamente uguali nel caso fossero toccate a me. Ci fu la pausa pranzo di mezz’ora alle 13. Mangiai il panino e presi un po’ di aria pulita. L’agitazione piano piano era scemata, man mano che i miei colleghi venivano interrogati io ripassavo e mi concentravo sugli argomenti preferiti del professore.

 

 

 

 

ore 16:52.

Finalmente fu il mio turno, di colpo l’ansia mi attanagliò lo stomaco e mi seccò la gola. Tremando mi diressi alla cattedra e presi posto. Le prime due domande furono classiche, le aveva appena fatte ed io risposi senza problemi.  Forse annoiato dalla giornata, oppure dagli argomenti decise di fare “una domanda più interessante” così l’aveva definita il docente, sul pensiero di un traduttore russo di cui aveva accennato a lezione, io che a lezione non ci ero stata perché ero ad Utrecht sentii la bocciatura arrivare alle mie spalle, cacciai via l’ansia il più possibile, cercando di fare mente locale sulle mie letture e parzialmente riuscii a cavarmela. Il professore decise di mandarmi a casa con un 24 senza chiedermi altro.
Avrei potuto prendere di più? Senza dubbio si, se si fosse tenuto alle domande sul materiale. Avrei potuto dirgli dell’Erasmus? No, sarebbe stato controproducente.
Sorrisi ed accettai il mio voto, con l’unica intenzione di andarmene a casa il prima possibile per chiudere gli occhi e dormire per il resto della giornata.

 

 

Arrivai a casa che era pomeriggio inoltrato, informai tutti del mio voto: i miei genitori e le mie amiche, per poi dedicarmi ad una doccia rigenerante e finalmente al mio letto con pc, libri ed una bibita fresca.

Tutta l’adrenalina scese e mi ritrovai beatamente serena. La sensazione dopo un esame andato bene era una delle più appaganti del mondo, non accadeva spesso, parliamoci chiaro, anzi, le volte in cui venivo bocciata superavano di gran lunga quelle in cui venivo promossa. A differenza delle mie colleghe non ero così devota ai miei studi, perché non ero poi così presa sentimentalmente.

C’erano esami con la quale avevo feeling fin da subito ed altri che invece ripudiavo.

Esattamente come mi accadeva con alcuni autori e scrittori, se con Pascoli, D’annunzio, Montale, Leopardi sentivo una connessione profonda, con Saba ad esempio non sentivo nulla. Era sempre stato così per tutto, io andavo a sentimento nelle cose, nelle persone, nella vita. Per quanto il mio cervello ed il mio modo di vivere fossero estremamente razionali, allo stesso tempo le mie amicizie, le affinità platoniche e non, erano dettate tutte dal sentimento, mi buttavo a capofitto nelle persone con la quale sentivo chimica, alchimia e non accettavo compromessi. Allo stesso tempo chi non mi colpiva, chi guardandomi non riusciva a stabilire una connessione, non aveva speranza di riuscirci in seguito.

Aggrappata a quei pensieri mentre guardavo una serie tv, caddi in un sonno profondo.

   
 
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