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Autore: Florence    20/12/2018    1 recensioni
Scoprirsi, perdersi e ritrovarsi oltre il tempo, oltre il dolore, oltre una lontananza che strappa l'anima.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 31 - Appuntamento al Buio

Che ne sapeva di lei?

Stralci di informazioni di seconda mano, fatti riveduti e corretti a seconda di chi li narrava, impressioni, commenti, pettegolezzi e supposizioni. Eppure quello sguardo che aveva incrociato solo una manciata di notti prima era lo stesso che era marchiato a fuoco nella sua mente, nonostante fosse pieno di sgomento e paura. Era Marinette, la sua Marinette che aveva riempito quasi ogni istante della sua vita negli ultimi sei anni. Aveva sfiorato la sua mano, la pelle ferita della sua spalla; aveva visto le lacrime accumularsi ai lati degli occhi e aveva percepito quel lievissimo profumo, sempre lo stesso, impregnato di stanchezza e orrore.

Perché era andato via? Perché il dovere aveva superato la voglia che aveva di lei, il sentimento di totale fedeltà nella sua eroina, la necessità di prendersi cura della donna ferita che aveva davanti? Aveva scelto di chiudere definitivamente ogni capitolo della storia che l’aveva tenuto lontano da lei, come se rimandare la cattura di Lum-Tsa avesse potuto lasciare aperto il rischio di un ritorno dei fantasmi che aveva finalmente vinto. Aveva scelto di rimandare l’attimo in cui l’avrebbe davvero ritrovata per farlo da uomo libero e nuovo.

-Excuse me, can you go ahead, please…?-, una voce dietro a lui lo riportò al suo presente e Adrien colmò la distanza con chi lo precedeva.

In coda al controllo passaporti dell’aeroporto di Lhasa, il ragazzo si sforzò di scacciare dalla sua testa l’immagine della donna che amava sola, sfinita e ferita. Cercò di prestare attenzione allo scorrere della fila avanti a lui e sistemò meglio lo zaino che portava sulle spalle. Ma la mente finiva sempre dove non avrebbe dovuto; Adrien continuava sovrappensiero a rigirarsi tra le mani il suo documento, cercò di concentrarsi su di esso e sul momento in cui l’avrebbe mostrato al personale dell’aeroporto: la foto che lo ritraeva non rispecchiava affatto la persona che era in quel momento. I suoi capelli erano molto più lunghi di allora e la barba incolta, che non tagliava da poco prima di rientare a Parigi, lo rendevano completamente irriconoscibile. Aveva avuto già diversi problemi nel viaggio di andata, ma non era certo quello il momento di ovviare alla sua scarsa somiglianza con quella minuscola foto.

Nei giorni che aveva passato nella capitale tibetana, Adrien aveva ancora una volta fatto visita all’abitazione che era stata di sua madre, alla ricerca di qualsiasi ricordo di lei.

Nelle sue precedenti incursioni alla squallida baracca arroccata su un aspro crinale, quella piccola abitazione era sembrata in qualche modo trasmettere ad Adrien qualche segnale di sua madre, come se, osservando bene i dettagli nascosti tra gli oggetti presenti, avesse potuto trovare la chiave per richiamare la donna indietro dal mondo sconosciuto in cui aveva scelto di vivere.
Quella volta, invece, non aveva trovato altro che polvere, confusione e sporcizia.

Avrebbe tanto voluto dare una degna sepoltura alla donna che aveva tanto amato e che più di ogni altro era riuscita a rendere la sua infanzia un ricordo rarefatto e puro, nonostante fosse stata proprio lei a portargliela via, quando era scomparsa. Emilie Agreste avrebbe vissuto per sempre in un posto speciale della sua anima e -ne era certo- lo avrebbe aiutato ad andare avanti.

-The passport, please-, domandò ad Adrien la guardia oltre il gabbiotto trasparente e lo scrutò lievemente seccato per la poca somiglianza con la foto del documento. Con un gesto della mano lo invitò a mettere il dito sul lettore di impronte digitali, che si illuminò di verde: ok, era proprio lui, un timbro e sarebbe stato libero di rifugiarsi sull’aereo che lo avrebbe riportato a casa.

Addio Tibet, a mai più.

***

-E questa è l’ultima!-, lo sgradevole suono del nastro da pacchi tirato con foga accompagnò le parole di Marinette che, fascia in testa e felpa sdrucita, aveva finalmente impilato ogni scatola già pronta una sull’altra. Aveva fatto tutto a tempo di record.

-Sei sicura che Nino sia in grado di aiutarti?-, domandò Sabine perplessa. Era davvero un gran mucchio di roba e trovava strano che quel povero ragazzino quasi macilento avrebbe potuto aiutare davvero la figlia nel trasloco. Le sarebbe bastato trasformarsi in Ladybug nottetempo e portare tutto da sé: oh se ce l’avrebbe fatta! La donna si morse la lingua per non proporre alla sua ragazza quella soluzione tanto logica quanto tabù, si alzò lisciandosi i palmi sull’abito di seta e scese giù.

-Chiamo tuo padre ad aiutarti-, stabilì allontanandosi.

-Se ti trasformassi in Ladybug potresti traslocare tutto da sola stanotte, lo sai Marinette?-, domandò Tikki sgusciando fuori dalla casetta delle bambole.

-Non lo farò, e poi solo tu avresti potuto pensare ad una cosa così folle!-, colpì con la delicatezza di un battito d’ali di una farfalla il musetto della kwami e si lasciò cadere esausta sulla poltrona in camera sua: quella non l’avrebbe seguita nella sua nuova casa. Se mai -e nella sua mente la parola “mai” lampeggiò come fosse stata un’insegna a neon- avesse accolto un ragazzo lì, e ancora fu solo uno il nome che prese a lampeggiare nel suo immaginario malato, lo avrebbe fatto direttamente nel letto. O sul pavimento. Ma forse… già, Nino doveva avere anche un divano vero e proprio…

Con un sospiro Marinette alzò le sopracciglia e scosse la testa, dandosi da sola della stupida e si rimise in moto. Le mancavano tutti i vestiti, da infilare ancora una volta nelle valigie che l’avevano già accompagnata per i precedenti traslochi, non doveva perdere tempo in fantasie impossibili, doveva essere concreta e andare avanti.

-Quando mi sarò sistemata voglio dare una festa, Tikki-, informò l’amica, -Ci saranno tutti quelli che conosco, i ragazzi di facoltà, quelli che erano a scuola con me, quasi quasi invito anche Fu, che ne pensi?-, Tikki la guardò divertita. Non era da Marinette lasciarsi andare a proposte così audaci, dato il suo stato d’animo sempre sommesso.

-Fu sarebbe il primo a presentarsi con del saké o anche tequila, forse…-, constatò la coccinella.

-Inviterò anche Nath e Paul, sicuramente. Juleka sta con Rose, lo sapevi?-, chiese alla amichetta rossa.

-Certo che lo so, e lo so da prima che finiste la scuola, che credi?-, rispose con aria di superiorità.

-E Chloe…-

-Sta con…-

-Marinette, eccomi, che vuoi che faccia?-, l’ingresso di Tom Dupain interruppe la serie di pettegolezzi tra ragazze. Marinette sorrise al padre e gli indicò le scatole: -queste vanno a casa di Nino-, spiegò.

-A casa tua, se non sbaglio-, la corresse l’uomo, sorridendole. Mai avrebbe pensato di essere così felice che la figlia fosse di nuovo in grado di prendere il volo da sola.

-A casa mia, già…-, si gongolò Marinette. Il Maestro Fu non le aveva solo fatto passare il dolore fisico, ma anche riportato un po’ fiducia e voglia di vivere dopo tutte le grandi batoste accumulate negli ultimi tempi. -A proposito, stavo pensando di dare un rinfresco per i miei amici, appena mi sarò sistemata: posso contare su di te, Papone?-, domandò all’uomo facendogli gli occhi dolci.

Tom sorrise e annuì, -Ovviamente-, aggiunse e si caricò sulle spalle due scatoloni, iniziando a scendere dabbasso.

-Basta che me lo dici in anticipo…-, puntualizzò l’uomo.

-Sabato: pensi che si possa fare?-, propose Marinette: sarebbe stato dopo tre giorni, era poco tempo, vero, ma aveva voglia di dare un colpo di spugna il prima possibile alla sofferenza che la attanagliava quando non aveva altro a cui pensare.

-Come li porterai alla casa nuova?-, domandò Tom, indicando tutte le scatole e le valigie della figlia, una volta raggruppate al piano terra dell’edificio dove vivevano.

-Alle tre arriva Nino e mi aiuta lui. Credo abbia noleggiato un furgoncino-, spiegò la ragazza; guardò l’orologio: mancava poco ormai all’ora X. Lasciò le sue cose ordinate nell’androne del palazzo e si rifugiò in pasticceria, stranamente aveva una gran fame.

***

-Avanti-, erano passati anni, eppure la voce di Gabriel Agreste era sempre apparentemente seccata da ogni interruzione della sua importantissima vita da supercattivo e stilista, anche dopo che non era più un supercattivo, almeno ufficialmente.

Ninò entrò nello studio dell’uomo con una leggera esitazione, ma era deciso ad affrontare l’argomento Adrien con lui.

-Buon pomeriggio Signor Agreste-, esordì sentendo le gambe farsi rigide tutto a un tratto. Come poteva subire ancora l’autorità che ogni dettaglio di quel luogo emanava?

-Buon pomeriggio, Nino-, l’uomo si alzò dalla scrivania, dove stava finendo di appuntare alcune cose e gli andò incontro porgendogli la mano. Nino raggelò, valutando inconsciamente se fosse il caso di mettersi sulla difensiva; -O dovrei dire “Carapace”?-, aggiunse Gabriel, stringendo la sua mano calorosamente.

Nino rimase in silenzio: era ovvio che Agreste conoscesse la sua identità segreta, ma sentirselo dire in faccia gli faceva ugualmente uno strano effetto.

-Sei venuto per avere informazioni su Adrien, immagino…-, proseguì Monsieur Agreste, lasciando la sua mano e indicandogli una poltrona del piccolo salotto che c’era in un angolo dello studio.

-Esattamente-, Nino deglutì, non del tutto a suo agio, nonostante buona parte del lavoro sporco l’avesse già fatta l’ex-Papillon al posto suo.

-Adrien è in Tibet, sta per tornare in Francia, arriverà sabato-, si accomodò sulla poltrona davanti a quella di Nino e continuò: -E’ andato a Lhasa a portare personalmente in carcere l’uomo che abbiamo cercato per tutti questi anni-.

-Credevo aveste cercato la signora Agreste in questi anni!-, esclamò Nino, confuso.

Lo stilista sorrise annuendo: -E invece abbiamo trovato solo lui. Emilie, come già sai, è deceduta, ma quell’uomo…-, si interruppe stringendo le mascelle, in un evidente fermento d’ira.

-Capisco, non si preoccupi-, lo fermò Nino, allungando una mano verso quella di Gabriel e guardandolo negli occhi, -Pensi a suo figlio, adesso-, aggiunse soltanto, con una consapevolezza che sorprese anche lui.

Gabriel prese aria e si rilassò, alzando lo sguardo sul giovane, poi annuì come in risposta a una domanda non posta: -Devo pensare ai miei figli, entrambi, hai ragione-, e sorrise.

Nino spalancò gli occhi: cosa aveva appena udito?

-Sei venuto a chiedermi per conto della tua fidanzata chi sia il bambino che sta facendo parlare di sé sulle riviste di gossip e anche sui social network, no?-, continuò fissando un Nino ammutolito.

-E’ mio figlio adottivo, non è il figlio di Adrien… puoi pure dire ad Alya Cesaire di stare tranquilla…-, e incredibilmente, gli fece l’occhiolino.

Calma.

Nino sentiva la testa elaborare quelle informazioni come fosse stato un antico motore a vapore, probabilmente gli stavano fumando le orecchie, era plausibile.

-Avevo ragione allora!-, esclamò soltanto, chiudendo un pugno in segno di vittoria.

-Avevi ragione…-, lo supportò Gabriel, -Ma Adrien è affezionato infinitamente a lui: è stato il primo che lo ha conosciuto e accolto. Gli piacciono molto i bambini, evidentemente…-

-Anche a me, anche a me!-, partì in quarta Nino, pentendosi immediatamente di quella risposta avventata e sciocca che vide specchiata nell’espressione dell’uomo seduto di fronte a sé.

-... mi fa piacere…-, disse quest’ultimo, senza capire. Nino si gongolò, tronfio del suo essere “quasi” padre, proprio come lui.

-Il 13 luglio, anch’io!-, esclamò entusiasta, -Posso vederlo?-, chiese poi, e Gabriel fu seriamente confuso.

-Scusa… di cosa stai parlando, Nino? Adrien non c’è, te l’ho già detto, tornerà sabato pomeriggio… Che succede il 13 luglio?-, domandò nella più umana delle domande.

Nino comprese di essersi lasciato lievemente andare e arrossì. Che avrebbe dovuto dire, a quel punto? Pensa come Alya, pensa come Alya!

Gabriel alzò le sopracciglia allargando appena le mani, sollecitando una risposta.

-Vede… ecco… la… mia futura moglie e io… avremo un bambino, la data prevista per il parto è il 13 luglio e… avrei voluto dare la notizia direttamente ad Adrien, per questo sono venuto qua…-, era difficile improvvisare, come faceva Alya e mostrarsi al contempo educato.

Alya...

-Congratulazioni!-, Gabriel Agreste proruppe in una sincera esclamazione e il suo volto si illuminò: quale migliore circostanza che avere i loro amici con tanti progetti in testa, per suo figlio e la sua tanto, tanto, tanto desiderata Marinette?

Aveva letto ciascuna delle lettere che Adrien aveva sparpagliato a giro per l’Asia e non era mai stato così sicuro di quel che volesse dire amare qualcuno oltre le avversità, il tempo, gli errori e le folli decisioni di un padre egoista, crudele e stupido come lui. Aveva lasciato quell’uomo nel faldone rivestito di cartone nero confuso tra tutti gli altri, proprio in quella stanza, da qualche parte della libreria. D’ora in poi avrebbe voluto essere solo un padre.

-Ti chiederò aiuto, Nino-, disse a bassa voce al giovanotto davanti a lui: -Sono sicuro che sarai un buon padre, così come sei stato un ottimo amico per Adrien: potresti avere qualcosa da insegnare anche a me, in futuro-, sorrise ancora una volta e si alzò dalla sua poltrona.

Ninò guardò l’orologio: erano le tre passate, Marinette lo stava aspettando e non poteva farle pensare che l’avrebbe delusa anche lui. Ma era stato così inusuale, piacevole e travolgente trattenersi a Villa Agreste e giocare qualche minuto con il piccolo Sunan che continuava ad appropriarsi del suo cappellino e a metterselo in testa, a ridere e prendersela con le scarpe del suo nuovo padre, su cui saliva e scendeva graffiandole, noncurante delle centinaia di euro che potevano valere.

Era stato tutto così surreale… Non avrebbe raccontato tutto ad Alya e Marinette, solo lo stretto indispensabile per far sì che la prima non si facesse venire una crisi in gravidanza e la seconda… beh, a lui bastava che la sua amica fosse felice.

Gabriel gli aveva assicurato che avrebbe contattato Adrien appena avesse fatto scalo a Pechino e si sarebbe assicurato che il figlio lo chiamasse, a qualunque ora avesse potuto: era indispensabile che Adrien sapesse quello che stava succedendo a Parigi, prima di tornare e precipitare di nuovo nella vita di Marinette come un tornado.

Svoltò in velocità nella strada che costeggiava Places des Vosges e guidò quel furgoncino come un pazzo fino a casa di Marinette, che ormai lo aspettava volgendo verso una rassegnata disperazione con una tazza di tè fredda e un croissant smangiucchiato davanti a sé.

Nino si scusò infinitamente e stette ben attento a non spifferare nulla di quel che aveva saputo finché non fossero stati lontano dalla casa dei genitori di Marinette.

-Circola molta gente nel tuo palazzo, Nino?-, gli domandò Marinette, seduta accanto a lui nel furgoncino.

-In che senso?-

-Come facciamo a portare su tutta la mia roba, intendo… forse potremmo rischiare di trasformarci e farlo con i nostri super poteri?-, Nino alzò le sopracciglia e la guardò ridacchiando, intenerito per quella domanda strana: -C’è l’ascensore, Marinette…-, continuò a sogghignare mentre la ragazza divenne rossa e incrociò le braccia al petto, guardando oltre il finestrino.

Parcheggiarono poco dopo, davanti al portone del palazzo nel quale Marinette avrebbe ricominciato la sua nuova vita.

-Non volevo ridere prima-, le disse Nino, mentre stavano caricando gli scatoloni nell’ascensore, -Ma sei così dolce, a volte-, poi si rammentò che Marinette era un’amica e che amica! -Cioè, intendo… Non fraintendermi!- e divenne tutto rosso.

Marinette scoppiò in una risata cristallina, la prima dopo un’infinità di tempo, sincera, spontanea, rigenerante, contagiosa, tanto che anche Nino si mise a ridere assieme a lei: -Se ci fosse Alya ci avrebbe già strozzati entrambi!-, esclamò con le lacrime che gli spuntavano dagli occhi. Marinette, schiacciata tra l’ascensore e gli scatoloni, si aggrappò ad uno di essi riuscendo a farlo scivolare andando ad appoggiarsi con il suo peso sulla pulsantiera e facendo scattare l’allarme.

Le risate tra i due amici si moltiplicarono, alcuni vicini di casa uscirono dalle loro tane e si affacciarono per capire cosa stesse accadendo, Nino cercò di tranquillizzare tutti, sforzandosi di rimanere serio e di affrettare quel disastroso trasloco che stava portando un po’ di allegria nei loro cuori.

-Ce l’abbiamo fatta-, Nino chiuse la porta dietro alla pila di scatole e valigie di Marinette e si tolse il berretto: -Benvenuta a casa tua, Marinette!-, le disse mettendole in mano un mazzo di chiavi a cui era attaccato un buffo portachiavi di peluche.

-Questo lo cambio-, si affrettò a comunicare la giovane, allargando le mani verso Nino e abbracciandolo, in segno di profonda gratitudine.

-Alya ci guardaaaa-, con voce simile ad un fantasma, Nino si staccò da lei e, mantenendo le mani sulle sue braccia, fece calare di almeno dieci gradi la temperatura nella stanza: -Devo parlarti, Marinette. Di Adrien-

***

-No, io non ci credo!-, Alya si tirò su sistemando il cuscino dietro alla schiena. Non ne poteva più di stare ferma a casa facendo la spola tra il letto, il divano e il bagno. Era una donna attiva, quell’immobilità forzata la stava mettendo a dura prova, soprattutto alla luce degli sviluppi che quella storia stava prendendo.

-Ti dico che Gabriel Agreste ha adottato un piccoletto in Laos, che lui lo chiama “papà” e che Adrien non è suo padre. Ah, e chiama anche “mamma” la signorina Sancoeur, ma questa è un’altra storia. Ho già detto tutto a Marinette, non sapeva se piangere o ridere-, Nino affondò le mani nel tubo di Pringles e ne afferrò una manciata, infilandosele in bocca.

-Ma perché non c’ero!? Nino, hai assistito a cose che noi umani non potremmo nemmeno immaginare e me le dici così? Comunque io lo sapevo… non poteva che essere così!-, Alya colpì con i pugni il cuscino accanto a sé, lasciando cadere la testa all’indietro; -E com’era? Agreste intendo. Sempre simpatico come una spinta dalle scale?-

-In verità è stato molto gentile e amichevole. Gli ho detto di te, insomma, di noi… mi ha addirittura chiesto dei consigli! Ma ti immagini!?!?!-, Alya rimase a bocca spalancata e stava per parlare quando Nino la precedette: -Mi dovrà chiamare Adrien, venerdì non so quando, quindi preparati ad essere svegliata nel cuore della notte, ma stavolta il tuo quasi maritino ha intenzione di fare fino in fondo la parte di cupido e…-

-Che hai detto?-, Alya aveva agguantato Nino per un braccio, strizzando gli occhi fino a ridurli a due fessure e ficcandoli in quelli neri del suo compagno, che deglutì.

Che ho detto? Mamma che ho detto!? Nino non sapeva cosa avesse fatto di sbagliato, quella volta.

-Ho detto che… Adrien… mi chiamerà e devo spiegargli di Marinette e…-

-Prima-

-Che… che ho detto, Alya!?-, non capiva, accidenti com’era suscettibile quella ragazza, con gli ormoni impazziti poi…

La mano le scivolò giù e si riunì all’altra sul grembo della giovane, che di colpo abbassò lo sguardo imbronciata.

-A...lya?-, ma che… stava piangendo!?

-Il tuo quasi maritino…-, due occhi nocciola scintillanti di lacrime si voltarono di scatto verso Nino, che per una santa volta capì.

Prese le mani della sua compagna nelle sue e la guardò intensamente: non era affatto preparato a quel momento, avrebbe voluto fare le cose diversamente, ma… era quello il momento, quando i tasselli di quelle loro vite strane, usurpate da poteri più grandi di loro, centrifugate più e più volte e infine, finalmente, unite e in pace andavano ciascuno al proprio posto.

-Alya, vuoi sposarmi?-

***

Adrien mise giù la conversazione, ringraziando che la linea non fosse caduta e almeno qualcosa nella sua esistenza fosse andata a buon fine: doveva sbrigarsi a telefonare a Nino prima che chiamassero il suo volo. Forse se non si fosse dimenticato di accendere il cellulare, una volta atterrato a Pechino, avrebbe potuto leggere prima il messaggio di suo padre e affrettare i tempi.

Si era informato su come stesse Sun, che era raffreddato e, mentre parlava a telefono, aveva adocchiato al Duty Free e acquistato un peluche per il bambino, che in quel momento spuntava con tutta la testa dalla busta di plastica colorata che si portava appresso, oltre allo zaino. Avrebbe anche dovuto mettere qualcosa sotto ai denti, ma la sua fame avrebbe potuto aspettare.

Si sedette nella lounge Gold e scorse la rubrica alla ricerca del numero del suo amico, sperando che fosse rimasto sempre lo stesso in quegli ultimi anni e controllò la carica della batteria, mentre la chiamata stava partendo. A Parigi sarebbero state le due di notte e si maledisse non poco per aver rimandato così tanto quella telefonata. Per lo meno sapeva che non avrebbe disturbato nessuno, oltre al suo amico e, con buona pace della sua coscienza, posò il sacchetto con il peluche sul tavolino davanti a sé, mentre una hostess gli portava una bottiglia di San Pellegrino e un bicchiere con una fetta di limone.

Gli rispose la stessa voce che non era mai cambiata negli anni, solo un po’ impastata dal sonno.

-Adrien-, disse soltanto, pur non potendo avere il suo numero in rubrica, evidentemente suo padre aveva informato il ragazzo di una probabile chiamata notturna e lui la stava aspettando.

-Ciao Nino-, gli rispose e per un istante gli parve che nulla fosse cambiato.

Sentì dei rumori ovattati, segno che Nino si stava alzando dal letto e dopo poco il rumore di una porta che si chiudeva.

-Adrien! Che piacere bro!-, Nino sembrava essersi del tutto svegliato, fortunatamente.

-Come te la passi?-, Adrien si stava ancora domandando il perché di quella urgenza nel volerlo contattare.

-Alla grande, bro! Dopo ti racconto tutto, dimmi di te, piuttosto! Una coccinella amica comune mi ha detto che sei tornato a Parigi… in realtà l’avevo già capito per il polverone che voi Agreste alzate ogni volta che muovete il culo!-, lo schernì.

Era vero: difficile passare inosservati viaggiando in carovana con un bambino nuovo di zecca e sei anni in più addosso.

-Come sta?-, non ci fu bisogno di specificare a chi si riferisse.

Ci fu una pausa dall’altra parte e Adrien per un istante ebbe paura.

-Non bene-, ebbe in risposta.

-Ma le ferite… come sta?-, la salute di Martinette era la cosa che in quel momento gli premeva di più.

-Ferite?-, Nino non ne sapeva nulla, evidentemente il Lucky Charm aveva sistemato tutto, Adrien trasse un sospiro di sollievo.

-Ah, sì… beh, si sta riprendendo-, no, il Lucky Charm allora non aveva sistemato tutto, maledizione; ma quel che Nino aggiunse lo preoccupò ancor di più: -Non sono le ferite sulla sua pelle che ci preoccupano, ma quelle sul suo cuore. Torna a casa, Adrien-

In tempi non sospetti avrebbe preso in giro Nino per il pathos e il romanticismo che aveva messo in quella richiesta sincera, ma non era il momento: -Sto tornando-, gli rispose.

-Marinette è stata male, Adrien, molto male negli ultimi anni, ma da quando ci siamo riuniti per… quella cosa…-

-Per il rito dei kwami-

-Sì, ecco, da allora è veramente giù-, era evidente che Nino stesse cercando le parole più adatte per dirgli altro, Adrien avrebbe voluto solo potersi teletrasportare a Parigi e stringere Marinette in un abbraccio.-

-L’ho vista-, ammise, -Non avevo mai visto Ladybug in quelle condizioni e non parlo delle ferite e della stanchezza per il combattimento. Io…-

-Perché te ne sei andato, allora?-, sottile, ecco finalmente l’accusa che Adrien si aspettava da sei lunghi anni,

Allontanò per un attimo il telefono dal viso e alzò gli occhi al cielo, poi lo avvicinò di nuovo all’orecchio: -Ora non ci sono più fantasmi, dovevo farlo per non lasciare questa cosa incompiuta, ma ora sto tornando-, ripeté con enfasi.

-Ha visto il bambino, ha creduto che fosse tuo figlio-, fu come un cazzotto nello stomaco: quella era un’eventualità che non aveva mai sfiorato la sua mente. Sunan era suo fratello ormai, ed era sempre e solo stato uno sprazzo di felicità per tutti… e invece per Marinette aveva rappresentato l’ennesimo tradimento.

-Non è mio figlio-

-Lo so, me l’ha spiegato tuo padre, ma lei ha accusato tantissimo il colpo-

-Io…-

La voce di Ninò, d’un tratto virò e cambiò colore: -Ma io invece l’ho fatto per davvero!-

Che stava dicendo? Non…

-Alya aspetta un bambino! Capisci Adrien?-, Santo Cielo che notizia bomba! Era il momento di dare anche a Nino la sua fetta di soddisfazione e quella era una enorme soddisfazione!

-Congratulazioni! E come… dimmi, come sta Alya? Quando nascerà?-, doveva comprare al volo un altro peluche, pensò Adrien, portando un occhio all’orologio: non ce l’avrebbe mai fatta…

-A Luglio. In realtà Alya ha avuto dei problemi… ma… speriamo che vada tutto bene, deve solo riposare e tu sai quanto…-

-Alya al riposo! Si sentirà come una tigre in gabbia suppongo, se non è cambiata in tutto questo tempo!-

-Appunto! Te lo stavo per dire io… E’ ancora all’inizio della gravidanza ma… E poi… le ho chiesto di sposarmi e lei ha accettato! Quindi, visto che stai tornando, hai già il tuo primo impegno ufficiale come mio futuro testimone-, Nino era al settimo cielo, non avrebbe in ogni caso dovuto rovinare quel momento di felicità al suo amico.

-Marinette lo sa?-, gli domandò, sforzandosi di non apparire ansioso.

-Sa del bambino, per adesso, e devo dire che è stato chiaro che fosse felice per noi e allo stesso tempo disperata per… insomma, per tutto il resto-, di nuovo la voce più spenta. -Adrien, tu devi sapere alcune cose, prima di tornare da lei, però, ti prego, so che vorrai correre tra le sue braccia, ma… appena arrivi, appena ti sarai sistemato, vieni subito da me che devo parlarti a quattrocchi.

-D’accordo-, era giusto così, Nino aveva ragione, non poteva rischiare di fare o dire cose che avrebbero potuto far soffrire ancora di più la sua Marinette.

L’altoparlante chiamò il suo volo, Adrien imprecò mentalmente e si affrettò a chiudere la conversazione con l’amico. Appena tornato a casa, dopo aver salutato Sun, sarebbe corso da lui per chiarire tutto.

Afferrò al volo zaino e sacchetto e corse verso il gate.

***

Vi aspetto per un piccolo party

sabato 1 alle ore 19

alla mia nuova casa

in Avenue du Daumesnil, 49.

Un abbraccio a tutti!

A parte Alya, che aveva già in programma una visita di controllo per il venerdì e che probabilmente avrebbe fatto di tutto per essere alla sua festa, avevano visualizzato il messaggio anche Alix, Rose, Chloé e Paul.

Chloé, inaspettatamente, fu la prima a risponderle che le avrebbe fatto piacere rivedere i suoi vecchi amici e che sarebbe venuta da sola, perché il suo fidanzato non era libero quella sera. Che cosa strana… pensò Marinette con una punta di vecchio astio: farle notare che lei aveva un fidanzato…

Rose e Juleka avrebbero partecipato e Kim avrebbe accompagnato Alix per poi raggiungerla dopo un’oretta, perché aveva un allenamento in piscina.

Nathaniel ci sarebbe stato, che lo avesse voluto o meno: non sapeva che solo poche notti prima Marinette gli aveva letteralmente parato il culo mettendo a repentaglio la sua vita, ma questo gli era costato una presenza coatta, che la giovane gli avrebbe imposto ad ogni costo.

In fondo stava rimettendo insieme i pezzi di una vita andata all’aria anche per colpa sua: era giusto che si prendesse le sue responsabilità e tornasse a incontrare i vecchi amici di scuola, che gli piacesse o no.

Nino aveva riacceso un barlume di speranza nella sua vita e, quando l’aveva lasciata da sola a sistemare le sue cose nella casa che lui aveva sgomberato, si era sentita un po’ più tranquilla. Adrien quindi non aveva davvero nessun figlio: il bambino di cui aveva visto i giocattoli a Villa Agreste era suo fratello adottivo. C’era qualcosa di profondamente strano in tutta quella storia, in realtà; Marinette non si capacitava di come uno come Gabriel Agreste, che aveva reso infelice suo figlio crescendolo come un recluso con soli obblighi e doveri e nessun diritto di essere libero, avesse potuto pensare di replicare l’esperienza su un altro bambino, per di più già sfortunato di suo.
Tikki l’aveva messa in guardia da strani pensieri che avrebbero potuto avvelenarle l’anima in un momento in cui non c’era proprio bisogno di altre paure e problemi, eppure, evanescente come un filo di fumo, qualcosa stava iniziando a fermentare nella testolina di Marinette.

La giovane si sforzò di prestare attenzione a quel che stava facendo: erano rimasti da svuotare due scatoloni pieni di oggetti per la cucina, biancheria e tutte le sue cose dei cucito e ancora non aveva deciso come organizzare davvero la sua nuova casa.

L’appartamento di Nino era piccolo, ma funzionale: c’era un’ampia zona giorno con un cucinotto separato in cui c’era solo un piccolo tavolo, giusto per un pasto frugale per massimo due persone, la camera da letto e una stanza più piccola che Nino usava come suo studio di mixaggio e che lei, abbastanza logicamente, aveva pensato di dedicare alle sue attività. Aveva fatto mettere in quella stanzina fin da subito la macchina da cucire e il manichino, perché era certa che fosse il luogo migliore, ma in un secondo momento, uscendo sulla grande terrazza che sovrastava i palazzi adiacenti, Marinette si era resa conto che l’amico le aveva liberato anche la piccola stanza esterna, che lei aveva sempre considerato come una serra: era interamente finestrata con una struttura in ferro verniciata di bianco, sul tetto c’era una finestra velux che faceva entrare ancora più luce. Una volta, anni prima, Nino aveva dato una festa d’estate sulla sua terrazza e Alya aveva decorato quelle vetrate con tendaggi blu e viola e un filo di led.

Era ormai quasi buio, quando Marinette aveva esplorato quella zona della sua nuova abitazione e, bagnata dagli ultimi raggi rossastri del tramonto, aveva rivisto quella serra: era stato amore a prima vista. Avrebbe allestito là dentro il suo laboratorio, anche se indubbiamente avrebbe fatto più freddo e per arrivarci, in caso di pioggia, si sarebbe bagnata. Si era stretta nel maglione pesante che aveva addosso ed era andata in esplorazione. La porta rimaneva un po’ incastrata, ma si apriva e la luce… sì, funzionava. Da fuori non si vedeva bene quello che c’era dentro, perché le famose tende di Alya erano ancora appese a coprire in parte la visuale, quindi Marinette dovette entrare all’interno, prima di capire: nel mezzo alla stanza, coperto con un telo e decorato con un bel fiocco rosso e nero, c’era un regalo. “Per Maribug”, riportava semplicemente il biglietto appuntato con uno spillo. La giovane scoprì l’oggetto alto quanto lei e i suoi sospetti furono confermati: si trattava di un manichino maschile in stoffa scura, imbottito. Era quello che aveva visto mesi e mesi prima in un magazzino fuori città, dove aveva trascinato Alya per alcuni acquisti; lo avrebbe voluto comprare, ma era troppo ingombrante per camera sua, troppo costoso per le sue tasche e “inutile: tanto io non disegnerò mai più abiti da uomo”.

L’ultimo schizzo che ricordava di aver fatto, lo aveva regalato ad Alya, cinque anni prima; rappresentava un abito dal taglio elegante, ma con dettagli casual, indossato da un ragazzo biondo con gli occhi verdi: “Il mio modello non c’è più, continuerò a disegnare solo cose per donne”, aveva detto con il cuore spezzato mentre porgeva quel disegno all’amica.

E in quel momento, quel bozzetto era lì, davanti ai suoi occhi, appuntato al manichino e pronto ad essere realizzato.

“Ora il tuo modello è tornato, datti da fare”, c’era scritto dentro al biglietto e la firma dei suoi amici portava tutto l’affetto che essi le avevano sempre riservato.

Era così evidente che sarebbe stata proprio quella, la sua stanza del cucito? Lei era davvero un libro aperto agli occhi di chi le era stato sempre vicino? Un tepore accompagnato da un senso di calma si irradiarono nel petto di Marinette: non era mai stata sola, anche quando si era creduta abbandonata da tutti.

Il suono del campanello la destò dalle sue considerazioni. Si ripromise di telefonare il prima possibile alla sua cara amica e corse ad aprire la porta di casa sua, per la prima volta!

Sabine uscì sbuffando dall’ascensore: detestava i luoghi chiusi e gli ascensori le avevano sempre messo paura, ma aveva le mani piene di pacchi e pacchettini e aveva dovuto rassegnarsi a prenderlo.

-Mamma! Che ci fai qui?-, domandò sorpresa Marinette, aiutando la donna a liberarsi le mani e sfilare il cappotto.

-Sono venuta ad assicurarmi che avessi cibo per la cena e per curiosare come una mamma ha il dovere di fare nella tua nuova casa-, rispose senza battere ciglio e poi abbracciò la figlia. Sembrava molto emozionata, ogni segnale positivo in quei giorni era da prendere come manna dal cielo.

Marinette la portò a vedere l’appartamento; aveva già sistemato abbastanza bene la camera da letto -doveva ancora mettere i vestiti nell’armadio, ma l’avrebbe fatto prima di dormire-, e si fece aiutare dalla mamma a rifare il letto, rendendosi conto solo allora che le sue lenzuola erano troppo piccole per il letto matrimoniale di Nino.

-Andiamo a comprarle domattina, per adesso… prendi queste-, Sabine le passò un involto in cui c’era una parure di lenzuola nuove, coloratissime con tanti disegni di macaron e cupcakes. Marinette spalancò gli occhi, strillò come una bambina  per la sorpresa e abbracciò la mamma tenendola stretta stretta: -Grazie, mamma! Sono bellissime! Erano proprio quelle che volevo!-

-Lo so, so usare anche io Amazon… e le tue password sono così… banali!-, la donna strizzò l’occhio a Marinette che la guardava ora con la bocca spalancata.

Ma cosa… -Mamma! Che hai fatto!?-, era passata in un attimo dall’euforia alla paranoia. Lei su Amazon ci passava le ore a cercare… di tutto!

-E ho anche questo, direttamente dal tuo carrello…-, aggiunse Sabine, schiarendosi la voce e porgendo alla figlia un secondo pacchetto al cui interno c’era quel completino intimo rosso a pois neri che Marinette aveva per un attimo pensato di… La ragazza avvampò come un peperone: -Ma com’è possibile che tu abbia fatto tutto questo in… in due giorni!? Ve l’ho detto solo l’altro ieri sera che avrei cambiato casa e…-

-Prime... -, Sabine fece la faccia seria, -E’ più veloce di ogni cosa. Anche del pensiero, anche di… Ladybug…-, insinuò e si voltò per guardare dentro l’armadio, stringendo le labbra.

Non sfuggì a Marinette quell’atteggiamento inusuale, la ragazza aggrottò le sopracciglia e, pensierosa, preferì non aggiungere altro.

-Dovresti dare una pulita, prima di mettere i tuoi vestiti-

-Mamma, c’era Nino, non un estraneo…-

-Una pulita e questa carta da cassetti profumata!-, e, di nuovo, Sabine estrasse dalle sue borse di Mary Poppins dei rotoli di carta rosa a pois neri; -Prendimi forbici e nastro adesivo-, chiese alla figlia e, mentre lei dava una passata di detergente al frigo e ci infilava le cose che le aveva portato la donna, questa rivestì rapidamente ripiani e cassetti con quella deliziosa protezione. Era avvezza a fare pacchetti pieni di dolci in tempi da record, la sua abilità manuale era evidente e utile. Ecco da chi aveva preso realmente Marinette.

-E adesso… che altro mi fai vedere?-, chiese alla figlia, accarezzandole il visino perplesso.

Marinette fece segno di entrare nella stanzetta ancora vuota.

-Ci farai il tuo laboratorio, qua?-, domandò guardando oltre la finestra.

-Credo che lo farò in terrazza-, rispose la ragazza, -C’è un’altra stanza-, e invitò la madre a uscire per mostrarglielo. Era proprio perfetto per lei, ebbe anche la benedizione della mamma, che le fece notare come quella stanza fosse dotata anche di un radiatore: Marinette avrebbe passato lunghe serate a cucire al caldo sotto le stelle.

Dopo un paio d’ore di pulizie, sistemazioni e spostamenti di oggetti e scatole, Marinette e Sabine avevano quasi completato la rimise-en-forme della nuova casa della giovane. Il tocco maschile di Nino era stato scalzato via dalla delicatezza delle decorazioni e dei toni di colore scelti da Marinette e arricchiti dai tanti piccoli dettagli portati dalla donna.

In qualche modo ricordava molto la cameretta a casa dei suoi, ma Sabine aveva aggiunto il rosso, che lì mancava.

-Perché mi hai portato tutte queste cose?-, domandò Marinette rigirandosi un porta spugna da lavello a forma di coccinella. Poi indicò il porta scottex, della stessa linea e dei cuscini, sempre in tono.

Sabine si fermò: aveva a lungo riflettuto su come comportarsi con la ragazza e aveva deciso di aprirle il suo cuore.

-Perché tu sei la mia Ladybug-, le sorrise e non staccò lo sguardo da quello della figlia, che, lentamente, allargò gli occhi e fu sopraffatta da un’onda di panico. Sabine si avvicinò a lei e la cinse con un braccio. -Hai affrontato tante difficoltà e ti sei sempre rimessa in piedi. Hai bisogno di coccinelle: portano fortuna! Andiamo a mangiare qualcosa adesso-, la rassicurò quasi si fosse trattato di aver scoperto una marachella e la spinse delicatemente in cucina.

Marinette rimase in silenzio a lungo, perché non era certa che sua madre avesse davvero colto il punto della situazione, finché non si assentò per andare in bagno.

Sedette sul wc pensando che anche in quella stanza c’erano da sistemare molte cose e che non poteva essere possibile che sua mamma sapesse che davvero lei era Ladybug. Si lavò le mani e si accorse che erano stati appesi degli asciugamani con le coccinelle vicino al lavandino. -Ma quando…?- Sua mamma non era entrata in bagno, le pareva. Stava per domandare spiegazioni alla donna quando, rientrando in cucina, la vide con i gomiti poggiati sul tavolo e il viso affondato tra le mani, sembrava preoccupata e pensierosa.

Marinette si annunciò schiarendosi la voce e subito sua madre sollevò il viso sorridendo, lasciando la figlia nel dubbio. Erano quasi le otto e mezzo e la mamma sarebbe dovuta tornare a casa. Marinette la spronò a prepararsi per andare via, ci avrebbe pensato lei a rimettere tutto a posto e lavare i piatti. Aprendo i vari armadietti scoprì con gioia che Nino aveva la lavastoviglie e decise di mettere dentro tutto e non pensarci fino al giorno dopo.

-Dovrai fare le volture per le bollette e pensare a come sistemare un po’ quella terrazza-, Sabine proprio non voleva lasciarla da sola: era arrivato il momento che temeva, quello che avrebbe sancito la vera separazione da sua figlia. Non c’era Nathaniel, quella volta, ad assicurarle che non fosse sola, ma, dalla sua, Sabine aveva la certezza che la sua bambina se la sarebbe cavata contro tutto e tutti, perché lei era Ladybug.

Doveva solo non soccombere alle sue sofferenze e ai demoni che la torturavano da troppo tempo. Si congedò dalla figlia dandole un bacio sulla fronte e scese giù con l’ascensore; sapeva che quella notte la ragazza l’avrebbe passata a sistemare in maniera maniacale ogni dettaglio della sua casa, finché non fosse diventato il suo nuovo nido.

Salendo sulla Metro, Sabine ripensò alla stanza vuota: lì, decisamente, ci sarebbe stato bene un piccolo parco giochi per Sunan Agreste. Avrebbe provveduto in qualche modo a portare qualcosa di interessante, senza dare troppo nell’occhio…

Marinette, affacciata al terrazzo sull’attico, controllò che la mamma fosse uscita dal portone e avesse preso la strada per la Metro. Era freddo, ma una sigaretta, quella sera, non gliel’avrebbe negata nessuno.

-Di nuovo?-

-Tikki… E basta!-

-Ok… posso mangiare un altro macaron?-

-Di nuovo...? Fai pure-

Attese che la kwami rientrasse in casa e si accese la sigaretta, osservando le volute di fumo alzarsi nell’aria ferma di quella sera. Era ormai quasi dicembre, non poteva più permettersi di uscire fuori senza giacca o si sarebbe presa un malanno.

Fumò senza fretta, assaporando la sua piccola trasgressione e osservando il panorama di Parigi scintillante davanti a sé. Da casa di Nino -la sua casa, perché si era già affezionata e, finché glielo avessero concesso aveva già stabilito che sarebbe rimasta a vivere lì-, si riuscivano a vedere sia la Tour Eiffel che la cupola de Les Envalides, scintillante come una palla di natale appesa all’albero della notte.

Natale… poco più di un mese e Marinette avrebbe trascorso il suo ottavo Natale senza essere finalmente fidanzata con Adrien, senza scartare i regali insieme, senza nulla di lui, se non il saperlo finalmente al sicuro.

Spense la sigaretta in un vaso con poca terra dentro annotandosi mentalmente di comprare dei posacenere e rientrò in casa.

Prese il telefono e scrisse un messaggio ad Alya, chiedendo se poteva chiamarla; prima sarebbe dovuta andare a fare pipì, che le scappava forte.

In risposta, il cellulare le vibrò tra le mani.

-Maribug!!! Devi saperlo per prima!!!-, Marinette fu assalita dall’amica, mentre in sottofondo poteva udire Nino blaterare qualcosa che sembrava una richiesta accorata di stare zitta.

-Alya, che succede?-, si affrettò a domandare la giovane, rabbrividendo per il freddo appena preso in terrazza.

-Me l’ha chiesto!!!-

Più forte, la voce di Nino si intromise nella conversazione: “Alya per favore, non puoi aspettare almeno domani?”

-No, Nino, non posso aspettare domani, lei deve sapere!-

Marinette sussultò: che avessero notizie nuove di Adrien? Che fossero buone notizie?

-Che è successo? Alya!-, si intromise a quel punto.

-Ti metto il vivavoce… Nino: mi ha chiesto di sposarlo!-

“Alya! Cristo Santo, ma non possiamo avere un po’ di privacy?”

-Ohu…-, commentò Marinette. Uno strano silenzio mise in pausa l’euforia di Alya, la disperazione buona di Nino e il nulla che aveva appena riempito la testa di Marinette.

-Ohu? Tutto qua?-, domandò Alya, senza nascondere un briciolo di risentimento.

“Ma lasciala un po’ in pace, dai!”

Lei ha già i suoi problemi a cui pensare, non dirle anche questo!

Le parole non dette da Nino, ma scontate nella testa di Marinette, la richiamarono alla realtà: -E’ bellissimo! Congratulazioni! Nino, sei un grande!-, esclamò cercando di mostrare quanto più entusiasmo possibile, mentre una piccola parte di lei si sentiva morire dentro.

La manina di Tikki si posò sulla sua: -Sii Ladybug-, le consigliò, mesta.

E Marinette obbedì, perché ormai la sua vita andava così.

-Vi ho chiamati per ringraziarvi infinitamente per il regalo che ho trovato nella serra qua a casa di Nino… e a questo punto, cari miei, visto che ho ben due manichini, sarete costretti a farvi confezionare da me gli abiti per il vostro matrimonio!-, ecco, quella era la cosa giusta da dire e da fare. Poi ebbe un fugace pensiero: -Sempre che abbia il tempo per cucirli! Voi due state facendo tutto troppo in fretta!-, li rimproverò, pentendosi quasi immediatamente per la sua proposta. Si guardò attorno e vide solo immobilità, udì solo silenzio: quell’impegno che si era appena preso le avrebbe riempito il tempo e l’avrebbe tenuta lontano dai pensieri, ne era certa.

Tikki osservò la sua amica sorridere mentre ascoltava le parole di Alya, vide i suoi occhi azzurri alzarsi, muoversi attorno come per dar forma alle idee che le fiorivano in testa, e ogni tanto abbassarsi, quando il peso della realtà tornava prepotente e meschino a colpire.

-... Adrien?-, chiese a un tratto Marinette, immobilizzandosi.

-Nino ti ha detto della sua visita a Villa Agreste, no?-, chiarì Alya.

-Sì… me ne ha parlato: avevate ragione voi sul bambino, ok, ma questo non cambia nulla-, tagliò corto.

-Ma lo vuoi capire che Adrien è tornato e… ti ha protetto e che sicuramente sarà presto a casa per te? Devi chiamarlo, Marinette, il prima possibile!-, la incitò Alya, che aveva tolto il vivavoce.

-Non lo chiamerò, Alya, lui ha la sua vita, avrà i suoi impegni e tutto il resto. E poi… non ho bisogno di sentirlo, per sentirmi protetta-, stabilì indispettita.

-Questa l’hai presa pari pari dalla scatola degli assorbenti! Ridicola!-, la schernì Alya che in cuor suo sperava ardentemente che l’amica potesse finalmente vivere la sua fetta di felicità, ma era altrettanto consapevole che avrebbe dovuto prendersela e tenersela stretta, perché con i maschi, o fai così o tanti saluti.

-Ma...ma… come osi?-, Marinette decise di metterla sul ridere e riportò il discorso su altre questioni, -Beata te, piuttosto, che non dovrai più usarli per un bel po’!-, questioni di donne, le migliori per far desistere Alya dal tormentarla ancora.

Chiacchierarono ancora per un po’, passando dallo stato di salute di Alya, al nome per “Fagiolino”, al matrimonio, alle reazioni di Nino, alla festa che ci sarebbe stata il sabato seguente.

-Buonanotte-, la telefonata si concluse e Marinette si lasciò cadere sul divano, svuotata.

-Si sposano, anche-, comunicò a Tikki, che lo sapeva già. Tutte le chiacchiere non avevano minimamente saziato la fame di affetto che la faceva sentire come unica in mezzo al Sahara. Era passato troppo tempo da che Marinette avesse provato qualcosa di minimamente simile alla gioia che stava provando Alya, qualcosa che fosse vero amore, non come la sua effimera storia con Nathaniel.

-Ci sarà anche per te l’attimo di gioia splendente, Marinette, forse esiste già al di là del tuo orizzonte e ti basterebbe alzarti un po’ in punta di piedi per vederlo-, le sfiorò una guancia, -Ma arriverà, te lo prometto.-

La giovane prese aria ed espirò dal naso facendo rumore, si dette lo slancio e si alzò

Lei voleva Adrien, lo voleva come amico, collega, innamorato e amante. Lo voleva vicino a sé dalla mattina alla sera, voleva rifarsi di tutto il tempo perduto, voleva essere stretta in un abbraccio che la scaldasse e la facesse sentire protetta.

-Al diavolo la protezione e gli assorbenti!-, esclamò mentre correva in bagno prima di farsi la pipì addosso, tanto aveva rimandato per via della telefonata.

-TIKKI!!!!-, chiamò pochi secondi dopo e, a seguire, masticò a denti stretti svariati improperi. Si era dimenticata di contare i giorni e i suoi assorbenti erano chiusi in fondo ad uno scatolone.

***

Alya era già accomodata sul divano con le gambe allungate e una fasciatura fasulla ad una caviglia. Era troppo presto per annunciare al mondo la sua gravidanza, ma altrettanto scomodo presentarsi ad una festa e rimanere immobile tutta la sera senza un valido motivo.

-Allora, mi raccomando Nino: se te lo chiedono, sono caduta dalla scala mentre montavamo il lampadario in camera da letto e mi sono storta una caviglia, capito?-, si assicurò che la versione fosse condivisa. Accanto a sé, per terra, due stampelle nuove di zecca avvaloravano la loro messinscena.

Nino si aggirava per quella che era stata la sua casa fino a una settimana prima incredulo di fronte alle trasformazioni attuate da Marinette. In realtà tutto era nello stesso posto in cui l’aveva lasciato, ma i dettagli e le aggiunte fatte dalla ragazza l’avevano completamente cambiata. Nonostante fosse inizio dicembre, la serata sembrava essere mite e forse Marinette avrebbe potuto utilizzare anche il terrazzone per far accomodare i suoi ospiti, tanto più che suo padre le aveva prestato uno scaldino a fungo che usava per il suo dehors che avrebbe confortato i più temerari dall’accendino facile,

Adrien non lo aveva chiamato: aveva controllato sul sito del Charles De Gaulle e pareva che ci fossero diversi ritardi dovuti alla perturbazione in atto su buona parte dell’Europa dell’est. Da Pechino avrebbe fatto scalo a Mosca e probabilmente il maltempo aveva comportato cambi del programma all’ultimo minuto. Ogni tanto il giovane controllava se avesse messaggi da leggere o chiamate perse, ma dopo un poco dimenticò la questione, appena i vecchi compagni di classe, alcuni dei quali non vedeva da anni, iniziarono ad arrivare alla festa.

Marinette aveva fatto le cose in grande, seppur senza eccedere minimamente nello stile né nella preparazione. Semplicemente aveva messo musica di sottofondo, candele e fili di luce a led sparsi qua e là e aveva attinto all’autunno per le decorazioni del servizio e per il menù. I suoi genitori erano arrivati con il furgone per le consegne poco dopo che Alya e Nino erano saliti e si erano congratulati con loro per la novità del bambino. Sabine aveva lasciato che Nino la sostituisse nell’aiutare Tom a portare in casa tutti i vassoi con canapé, stuzzichini dolci e salati e quant’altro aveva inventato la sua anima di cuoco-pasticcere per festeggiare quell’evento così importante per la figlia e si era messa vicina ad Alya a tenerle compagnia, mentre Marinette finiva di prepararsi e sistemava le ultime decorazioni in casa: ghirlande di foglie dai colori autunnali e rami con bacche rosse nei vasi nuovi.

Quando uscì dal bagno, la mamma e la sua migliore amica la radiografarono dalla testa ai piedi: aveva indossato un abito di maglia marrone, dallo scollo a barca e, sopra le calze di cotone beige a fantasia, i suoi soliti stivali stringati marroni. I capelli erano sciolti sulle spalle scoperte e aveva usato colori caldi per il trucco. Aveva messo l’eyeliner a delineare i grandi occhi, ma, nonostante tutti gli sforzi, non era riuscita a togliersi quell’espressione a metà tra una bambina al primo giorno di scuola e una povera donna tradita e abbandonata.

-Sorridi-, le dissero quasi in contemporanea le sue due più fide consigliere. Marinette incrociò le braccia al petto: -Ah ah ah-, disse passando davanti a loro e sistemandosi qualcosa all’altezza del sedere.

-Cerca di essere un po’ più elegante…-, la riprese la madre.

-Ha le sue cose…-, le spiegò sottovoce Alya, ridacchiando senza farsi sentire.

-Oh, capisco il perché di quella amabile aria da funerale…-, constatò la donna, alzando appena le sopracciglia.

Il loro argomento di conversazione passò nuovamente davanti a loro con le braccia piene di bottiglie che andò a sistemare sul tavolino accanto ai bicchieri e tovaglioli, mentre in cucina Tom e Nino armeggiavano sbuffando e chiedendosi dove mettere tutte le cose che c’erano.

-Mettetele di qua-, comandò loro Marinette, facendo spazio sul tavolo più grande, dove aveva preparato i vassoi.

Un quarto d’ora dopo, i genitori di Marinette si congedarono, salutando affettuosamente la figlia e i suoi amici; solo allora Nino comunicò che non aveva avuto più notizie di Adrien, ricevendo in cambio un’occhiataccia al vetriolo da parte della sua fidanzata.

-Torno subito-, annunciò Marinette, uscendo in terrazza con una sigaretta in mano.

***

I primi ospiti iniziavano ad andare via: era stata una piacevole reunion tra loro e l’occasione per fare nuove conoscenze e scoprire legami che erano oscuri a molti di loro. Juleka e Rose erano perfette insieme e, inevitabilmente, avevano fatto subito amicizia con Paul, arrivando a ridimensionare il tanto detestato Nathaniel dei tempi del liceo. Non sapevano nulla del fatto che, negli anni seguenti il diploma, lui e Marinette erano stati insieme e l’argomento, molto spinoso, fu sorvolato lasciando molti interrogativi nelle menti delle due giovani donne.

Chloé era stata forse la più gentile, inspiegabilmente, portando perfino a Marinette un piccolo regalo per la nuova casa e mostrandosi gioviale nonostante l’aria sempre altezzosa. Era fidanzata con un chitarrista e questa commistione tra chic & grunge, come diceva lei, l’aveva cambiata e migliorata. Ma chi, più di tutti, aveva suscitato scalpore era stata la piccola Alix, arrivata da sola con una bel pancione pieno e l’aspetto rilassato. Kim, l’aveva raggiunta dopo un bel po’ e l’aveva baciata senza alcun tipo di vergogna, andando subito a salutare la loro ospite. Era stato gentile con Marinette, forse memore di quando era stato proprio lui il primo a ritrovarla priva di sensi per strada. Era rimasto molto colpito da quell’episodio e aveva capito che non valeva la pena di mostrarsi dei supereroi spavaldi nella vita, quando anche le persone più buone del mondo, senza apparente motivo, potevano essere bersaglio di atti crudeli e non serviva a nulla mostrarsi i più forti, se non si poteva davvero fermare la violenza, cosa che lui non era in grado di fare.

-Ciao, rimaniamo in contatto, mi raccomando-

-Assolutamente, mi ha fatto piacere rivederti!-

-Complimenti per la casa-

-Stai benissimo, un abbraccio!-

-Come va?-, erano rimasti solo loro due oltre Alya e Nino, così Nathaniel aveva raggiunto Marinette in terrazza e si era finalmente deciso a parlare con lei, mentre Paul, rimasto dentro casa, chiedeva maggiori dettagli sull’incidente domestico di Alya.

Marinette sbuffò via il fumo dell’ennesima sigaretta di quella sera: Alya era dentro e non le avrebbe dato fastidio, la mamma non c’era e Tikki, per una buona volta era nascosta nel suo comodino e non le avrebbe potuto fare da grillo parlante.

-Domanda di riserva?-, rispose al giovane, stringendosi nel cappotto che aveva appoggiato sulle spalle.

-Cosa c’è che non va?-, Nathaniel mise un braccio attorno alle spalle di Marinette, mentre Parigi si stendeva sotto di loro.

-Tutto e nulla-, rispose lei, rendendosi conto che era ormai arrivata al filtro. Si svincolò dall’abbraccio e spense la sigaretta in uno dei nuovi posacenere che aveva appena comprato.

-Tesoro, che c’è? Seriamente… Non ti vedevo così da…-, Marinette si mise davanti a lui, aveva bevuto un po’ troppo e si sentiva confusa. Nathaniel la guardava preoccupato e per un attimo Marinette rivide la stessa espressione che aveva scorto in passato, quando stavano insieme. Fu assalita dai ricordi, da quel dubbio strisciante che era andato ad adagiarsi sulla pila delle sue insicurezze.

-Facevo così schifo a letto, Nath?-, gli domandò lasciando l’uomo a bocca aperta. Cosa avrebbe dovuto risponderle?

-Io… Ero… ero io il problema, Mari, lo sai bene…-, certo, per quello non avevano mai avuto una buona intesa sotto le lenzuola.

-Facevo schifo…-, Marinette abbassò la testa, appoggiando i gomiti sul parapetto della terrazza e guardando a terra davanti a sé.

-Dai, che c’entra adesso?-, Nath le mise le mani sui fianchi, avvicinandosi a lei. Da occhi ignari, avrebbero potuto essere additati come due in procinto di baciarsi.

Marinette lasciò scivolare le sue mani sulle braccia dell’amico: -Lui è tornato…-, ammise, senza distogliere lo sguardo dal pavimento in finto cotto.

Nath fece schioccare la lingua, quando si parlava di Marinette, due soli erano gli esseri viventi che l’avevano turbata tanto da ridurla a quel modo: lui e Adrien Agreste.

-L’hai visto?-, domandò ignorando volutamente quel sottile senso di rabbia che lo coglieva ogni volta che quell’individuo balenava nei suoi pensieri.

Marinette alzò le sopracciglia, poi scosse la testa: -No-, un no secco, che non avrebbe atteso repliche.

-Coraggio-, Nath non le disse altro, solo l’abbracciò e la strinse forte finché non la sentì sciogliersi un po’. Oltre al vetro, dentro casa, tre paia di occhi li guardavano, ognuno con in pensiero differente in testa.

-Credo che sia ora di andar via-, osservò Paul, che sapeva di aver fatto soffrire abbastanza quel portento che era Marinette e non voleva che quello sciocco del suo fidanzato la riportasse a fondo assieme al suo vecchio vizio di mostrarsi così intimo con lei.

Dopo di loro, anche Alya e Nino se ne andarono, caricandosi due enormi sacchi di nettezza da buttare nel cassonetto sotto casa e scusandosi per non aver potuto aiutare a rimettere a posto meglio.

E così, la festa era già finita e a Marinette restava solo un sapore dolce amaro in bocca, la testa che girava e poco altro. Ma che l’aveva fatta a fare.

Tikki, rimasta sola anche lei dopo aver spettegolato tutta la sera con i suoi amici Trixx e Wayzz, si era decisa ad affrontare l’argomento “Adrien”: Marinette non poteva semplicemente restare ferma e aspettare un segnale da parte sua, oltretutto le era debitrice quantomeno della vita, visto com’erano andate le cose solo poche notti prima. E poi voleva rivedere Plagg, le mancava tantissimo quello sciocco gatto così smargiasso eppur tenero. Quando si erano rivisti da Fu aveva capito che anche lui, incredibilmente, era molto cambiato in quei sei anni, molto più di quanto non avessero fatto i precedenti secoli che aveva vissuto.

La giovane si era messa subito a ripulire la casa, fortunatamente in buona parte il caos era stato già riassunto e gettato da Nino nel cassonetto, ma restavano tutte le decorazioni, i tavoli da sistemare e vassoi e piatti da mettere in lavastoviglie.

-E questo di chi è?-, sentì dire Marinette, vedendola rigirarsi tra le mani uno zaino dall’aspetto unisex che qualcuno, evidentemente si era dimenticato nella stanza vuota, adibita a guardaroba.

La ragazza sbuffò, stanca e infastidita dalla cosa e iniziò a rovistare all’interno per capire di chi fosse l’oggetto dimenticato. C’erano solo scartoffie, un blocco con appunti incomprensibili e alcuni biglietti da visita di gente sconosciuta che non richiamavano nessuno dei presenti alla festa. Lasciò lo zaino vicino alla porta di casa e si affrettò a mettere in terrazza tutte le candele e spegnerle là, per non appestare l’interno di puzzo di cera bruciata. Si era tolta gli stivali e aveva messo delle pantofole più comode, era andata in bagno a sistemarsi e si era fermata i capelli con una fascia rossa a pallini che le aveva regalato la mamma, uno dei suoi sibillini doni per la casa nuova.

-Fa freddo-, constatò buttando un’occhiata al termostato per aumentare la temperatura e indossò una felpa di pile sopra l’abito di maglia.

-Sei proprio sexy così!-, le disse Tikki, volando attorno al suo viso e cercando di scherzare con lei.

-E tu sei proprio una mangiona-, le rispose Marinette, sfilandole dalle zampette l’ennesimo macaron che la piccola kwami stava piluccando.

-Erano avanzati!-, disse questa in sua difesa e prese una ghirlanda di lucine a led, andando a metterla attorno al collo dell’amica.

-Così sembro un albero di Natale-, osservò lei, -Ho anche il puntale incorporato… anzi, direi che ne ho almeno un paio e ben ramificati!-, scherzò sulla sua condizione di “cornuta”, come amava definirsi quando era indecisa se disperarsi o riderci sù; -Paul è stato carino-, proseguì, per rimarcare il fatto che si stava riferendo alla sua storia con Nath e non a quello che era stato il passato di Adrien.

-Paul è sempre carino-, puntualizzò la kwami.

-Anche se mi ha portato via quello che avrebbe potuto essere mio marito…-, puntualizzò Marinette, che aveva voglia di farsi del male.

-Ragazza, quando la smetterai di dire sciocchezze?-, Tikki si parò di fronte a lei e la guardò negli occhi: -Ho sentito la tua domanda a Nathaniel di poco fa: ti rendi conto di quanto tu sia sciocca? Nathaniel è un pomodoro e tu non potrai mai competere con un cetriolo, rimanendo nel campo delle insalate… perché tu sei un macaron!-, provò a farla tornare il sorriso, ma non le riusciva fare battutine adatte senza arrossire; fortunatamente Marinette non se ne sarebbe accorta in ogni caso.

-Adrien: cosa intendi fare con lui?-, fu diretta oltre ogni dire. La sua amica non fu da meno.

-Oltre a sposarlo, avere una casa enorme, tre figli, un cane un gatto e un criceto? Bah, direi farci l’amore finché non mi viene l’artrite alle anche, per esempio, oppure… che so… scappare con lui su quell’auto che doveva comprare e che non ha mai fatto… oppure-, ecco la parte folle della ragazza che usciva, ma le faceva bene sfogarsi, pensò Tikki e si sedette attendendo che lo sproloquio avesse fine; -Ah, e poi  farlo entrare qua, in casa, adesso, spogliarlo e non farlo andare mai più via? Va bene?-

Fu interrotta dal campanello.

-Alleluja, il proprietario dello zaino è venuto a riprenderselo!-, esclamò alzando gli occhi al cielo e aprì il portone tramite il bottone sul citofono, senza chiedere chi fosse e riprendendo a mettere a posto la casa.

-Permesso, Nino?-, chiese qualcuno, mentre lei aveva aperto l’acqua nel lavello in cucina. Si asciugò rapidamente le mani e lo raggiunse nell’ingresso.

Adrien era di fronte a lei, con barba incolta, i capelli lunghi e un peluche in mano.

***

-Chissà se Adrien ce l’ha fatta ad atterrare…-, si domandò Nino, aiutando Alya a scendere di macchina, una volta sotto casa loro.

-Controlla-, lo esortò la donna, aprendo il portone e chiamando l’ascensore.

Prima di cercare su Google la pagina del Charles De Gaulle, Nino si ricordò di guardare i messaggi. Ecco: se n’era dimenticato e… ecco, appunto, ce n’era uno di Adrien. Guardò Alya, con un vago presentimento.

Sono atterrato solo ora, ha fatto ritardo. Sto venendo da te.

-Sta arrivando-, disse alla fidanzata.

-Dove?-, chiese lei, precedendolo dentro l’ascensore.

-Da me…-, si guardarono in un istante muto.

-Gli hai detto che ora vivi qui, vero?-, domandò Alya, temendo la risposta.

Nino portò una mano alla fronte, abbassando lo sguardo: -No…-

***

Era bellissima.

Come la vide, credette di impazzire, sentì il sangue inondargli la testa e poi defluire, lasciandolo stordito, tutto si riempì della sua immagine: era stanca, vestita in modo stranamente assortito, aveva una fascia in testa ed una collana di lucine lampeggianti. Era semplicemente bellissima.

Senza la maschera, il viso che cercava da anni era davanti a lui, innocente come allora, conturbante come quello di una donna, ormai.

-Marinette…-, sfuggì alle sue labbra e senza rendersene conto, fece un passo verso di lei, che lo fissava con occhi increduli, la bocca socchiusa; le cadde di mano uno strofinaccio.

-Adrien…-, sussurrò in un sospiro, sembrava stesse trattenendo il fiato. Sbatté le palpebre più volte, chiuse la bocca, deglutì, -Entra-, gli disse e chiuse la porta di casa dietro a lui.

Nel fare quel movimento Marinette si accorse di avere al collo una collana di lucine a led e in un moto di vergogna la sfilò rapidamente, gettandola sul divano poco distante, -Scusa…-, sibilò. Poi si strappò via la fascia, lasciando che i capelli le ricadessero sulla fronte. allargandosi selvaggiamente come la criniera di un leone.

Che ci faceva Marinette a casa di Nino? Perché non c’era nessun altro?

-Che cosa… ci fai qui?-, gli domandò lei con un filo di voce, di rimando ai suoi pensieri. Di nuovo le vene sul collo presero a pulsare, come Adrien aveva già notato poche sere prima. Portò la mano alla testa, per lisciarsi i capelli, era rossa in viso e in evidente imbarazzo.

Oh Signore! Era… bellissima

Tikki apparve accanto a lei e guardò Adrien, Plagg schizzò fuori dalla tasca del giaccone del giovane e si parò vicino a lui. Di comune intesa, i due kwami sparirono e si infilarono in cucina.

Marinette comprese di essere sola, solo lei e Adrien.

-Nino… mi aveva detto di raggiungerlo subito…-, spiegò il giovane. Non si era mosso di un millimetro, nella sua mano teneva stretto il peluche di un piccolo panda, in bilico su una spalla c’era uno zaino, forse il suo bagaglio a mano.

-Non vive più qua, si è trasferito da Alya-, la voce di Marinette tradì una sottile delusione e non si sforzò di non apparire risentita: se Adrien non sapeva di trovare lei in quella casa il loro comune amico doveva averne combinata una delle sue; -Io… accomodati…-, gli disse, nel panico più totale.

Aveva immaginato un incontro al tramonto in riva alla Senna, sguardi, silenzi, una carezza, una fisarmonica in lontanaza, i loro corpi che si avvicinavano e poi finalmente un bacio… Invece aveva bevuto abbastanza e fumato troppo, chi avrebbe voluto baciare un catorcio come lei!?

Si trovarono seduti vicini, lui sul divano e lei sulla poltroncina accanto, in silenzio, senza parole da dirsi.

Faccio schifo… Oh Gesù, ma perché proprio a me queste cose?

Marinette si torceva le dita, senza parlare, dando sfuggenti occhiate al suo riflesso nel vetro della finestra. Era ridicola, stanca, oscena. Perché, perché doveva essere accaduto così??? Sei anni di sogni, dolore, sofferenze, ricordi, speranze e… si era fatta trovare con una collana di lucine a led al collo e l’alito pesante…

Lasciò uscire con forza l’aria dalle narici, liberando con essa la sua frustrazione e dandolo a vedere ad Adrien.

-Marinette… scusami… credo che… è meglio se vado via e…-, lui fece per alzarsi.

-No-, Marinette lo fermò, afferrando il suo braccio. Avevano passato sei anni lontani, non se lo sarebbe più fatto scappare, -Resta…-, spostò la mano e dalla manica dell’abito spuntò il suo braccialetto speciale.

Adrien sorrise, lo sfiorò, alzò lo sguardo su di lei: era così vicina e così bella…

-Perché sei andato via…?-, la voce piccina, fu come un lamento. Una lacrima punse forte forte e le sue palpebre stanche non seppero come trattenerla.

-Sono tornato-, gli rispose Adrien in un soffio, prendendole una mano, -E non andrò più via-.

Marinette si aggrappò a lui spostandosi al suo fianco sul divano e lo soffocò in un abbraccio infinito, caldo, doloroso, disperato. Adrien chiuse gli occhi: era finalmente a casa.

La strinse anche lui con la stessa forza, senza farle del male, lasciandole appena modo di respirare, affondò la faccia tra i suoi capelli e gli tornò tutto in mente. La morbidezza, la sensazione magica di cui si era alimentato per quell’infinito incubo nero, quel profumo…

-... è tutto finito…-, sussurrò sul collo della giovane che aumentò la stretta e si aggrappò con le mani alla sua giacca. Adrien sentiva le lacrime della sua Marinette filtrare attraverso la felpa che aveva e che era lasciata scoperta dal giaccone e iniziava a sentire caldo, molto caldo.

Marinette si allontanò da lui, staccandosi in un sospiro, gli sorrise, finalmente tranquilla e rimase a fissarlo, beandosi di quel viso che finalmente era vero davanti a lei. Era così strano rispetto al ragazzino che ricordava… era davvero un uomo quello che era tornato da lei. Si soffermò sugli occhi, splendidi come allora, ma velati di una tristezza che sembrava averlo catturato per non lasciarlo più, scese sulla bocca, contornata da quella barba che… cavolo, non se l’aspettava Adrien con la barba! Allungò una mano e la posò sulla sua guancia: ruvido, morbido, maschio. Prese un po’ d’aria e abbassò lo sguardo ancora: indossava ancora il giaccone, che maleducata che doveva essergli sembrata a non avergli chiesto di toglierlo e poi...

-Cavolo, ti ho macchiato tutto di trucco!-, si rese conto entrando in un apparente stato di panico, diventando rossa e portandosi le mani al viso: -E io sembrerò un panda!?-,  si alzò di scatto correndo in bagno e lasciandolo lì con un sorriso ebete sul viso e la felpa macchiata delle sue lacrime.

Adrien si costrinse a reagire, boccheggiò, cercò di capire come era stato possibile che fosse avvenuto tutto così velocemente, senza che nemmeno se ne fosse reso conto. Solo due ore prima sorvolava una perturbazione sopra la Germania e in quel momento si trovava in condizioni pessime, dopo un viaggio di trenta ore e pochissime di sonno, nel salotto della nuova casa di Marinette, con lei splendida, meravigliosamente perfetta eppure imbarazzata esattamente come sei anni prima. Si alzò e sfilò la giacca, ringraziando che i loro kwami avessero deciso di spiarli senza darne l’annuncio e si ricordò di avvisare con un messaggio il padre che si sarebbero visti la mattina dopo, direttamente. Non che avesse particolari idee in testa, ma non voleva di certo doversi ritrovare ad interrompere qualunque cosa per chiamare il paparino, come fosse stato un bambino.

In quell’appartamento doveva esserci stata una festa: al di là delle lucine che Marinette indossava, ce n’erano altre in terrazza e alcuni bicchieri di carta giacevano seminascosti sul bordo del caminetto che Nino aveva sempre usato come porta riviste. Di quella casa ricordava le lunghe partite a Ultimate Mecha Strike III con Nino e poco altro, e che si chiedeva come avesse potuto viverci con i suoi genitori, essendo un appartamento così piccolo. Evidentemente era rimasto a vivere lì da solo, dopo che i suoi avevano preso una casa più grande; infine lo aveva lasciato a Marinette e “casualmente” si era dimenticato di dirglielo, quando lo aveva invitato a casa sua con la massima urgenza.

Marinette stava tornando e lui non poteva farsi trovare a curiosare o mandare messaggi; tornò a sedersi in fretta sul divano e infilò il naso nel colletto della felpa: sperava di non puzzare troppo dopo quell’estenuante viaggio infinito…

-Scusami-, gli disse la giovane tornando a sedersi sulla poltrona: aveva sistemato il trucco, che non colava più e si era pettinata, profumava di buono e dentifricio alla menta. Si era tolta la felpa di pile, rimanendo solo con un abito che le lasciava scoperte le spalle. Il pensiero di Adrien balzò a poche notti prima: la spalla destra di Ladybug ferita, la tuta rossa strappata. La sua mano si mosse automaticamente fino a sfiorare la sua pelle nuda e non gli sfuggì il lieve sussulto che la ragazza cercò di nascondere.

-Eri ferita-, le disse, non vedendo alcuna cicatrice. La guardò accigliato, senza comprendere.

-E’ stato il Lucky Charm, anche se ha rimesso a posto solo esteriormente-, spiegò lei.

-In che senso?-

-Faceva male-, rispose lentamente, senza staccare gli occhi da quelli verdi del giovane, -Un male terribile-, abbassò lo sguardo e fissò le sue mani, strette in grembo, -Poi Tikki e Fu mi hanno fatto qualcosa e sono stata meglio-, sembrava crucciarsi per qualcosa.

Nella sua testa, mentre raccontava, scorsero di nuovo le immagini di quella notte terribile, il dolore, la stanchezza mortale, la paura per Tikki, l’emozione di aver rivisto proprio lui e tutte le lettere sparse sul pavimento di camera sua. Parole su parole abbandonate al vento da quel meraviglioso uomo che finalmente era vicino a lei.

-Ti ho aspettato tanto, ho sperato… ma poi sono andata avanti-, uscì dalla bocca di Marinette, come fosse una confessione che non riusciva più a tacere.

Adrien le prese una mano: -Lo so, e …-

-Lo so che lo sapevi-, uno sguardo fugace al suo viso, come atto di colpevolezza.

Adrien non volle indagare.

-Anche tu mi sei mancata tanto… troppo forse e… io ho fatto cose che…-

-Lo so…-

-Il bambino, Sunan... non è mio figlio, Marinette-, negli occhi di Adrien si agitava una tempesta silenziosa. Avrebbe voluto farsi carico di almeno metà del dolore che aveva dovuto provare Marinette venendo a conoscenza che era tornato a Parigi con un bambino, un bambino

-Lo so. Credo di sapere molte cose, Adrien-, la giovane lo guardò di nuovo con aria colpevole, per la prima volta con espressione comprensiva.

Senza che se ne fossero resi conto, avevano intrecciato le dita delle mani che tenevano unite, come se i loro corpi agissero prima che le loro menti pensassero.

Adrien prese aria e sospirò: -Io non so molto di te, invece-, stirò le labbra in un sorriso mesto a cui seguì un attimo di silenzio. Era difficile riassumere sei anni di torture in pochi minuti.

Lo stomaco di Adrien, che non mangiava da poco dopo il decollo da Mosca, ruppe il silenzio, il giovane sgranò gli occhi, curvando le labbra in un sorriso imbarazzato, Marinette sentì il cuore riempirsi di calore.

-C’è stata una festa, stasera, e in cucina ho molte cose avanzate. Mi sembra che tu abbia fame-, si alzò liberando la sua mano da quel timido legame e, con un gesto della testa, lo invitò a seguirla nell’altra stanza. -Qua c’è qualcosa di salato e qua…-, aprì la credenza ed estrasse un vassoio coperto con della carta stagnola, -...ci sono i dolci-.

Liberò la sedia da alcune buste vuote che erano rimase in disordine e prese un piatto dal mobiletto, invitando il giovane a sedersi. Gli mise davanti tre vassoi carichi di cibo e gli porse un bicchiere vuoto, poi si diresse al frigo, lo aprì e cercò qualcosa da bere: -Ho delle bibite o birra, che prendi?-, gli domandò facendo capolino da dietro la porta dell’elettrodomestico.

-Basta l’acqua-, rispose il giovane, sedendosi davanti a quel ben di Dio e lanciando un’occhiata alla sua musa.

-Ti faccio compagnia-, Marinette prese un bicchiere anche per sé e la caraffa dell’acqua, versandola per entrambi. -Mangia…!-, spronò il biondo, che era immobile come intimorito dalla situazione. Adrien alternò occhiate ai vassoi e a lei: aveva fame, d’accordo, ma non voleva che i suoi bisogni passassero avanti alla necessità impellente che aveva di chiarirsi con lei e di poterle finalmente aprire il suo cuore.

-D’accordo, inizierò io…-, con un sorriso, Marinette prese un macaron rosa e lo portò alle labbra, dandogli un piccolo morso. Era meravigliosa… Per quanto tempo Adrien aveva riempito i suoi pensieri dell’immagine di Marinette che addentava quel famoso croissant alla fragola, per quanti anni aveva sognato di poter sfiorare ancora la sua bocca morbida…

-Mangia…-, il tono più serio, il gesto che l’accompagnò -la giovane si sedette davanti a lui, per non mettergli ansia- lo riportarono alla realtà fatta di mini quiches, vol-au-vent farciti, mini panini imbottiti e tante altre meraviglie.

Ad ogni morso era come mordere lei… menomale che non aveva chiesto la birra, altrimenti quel minimo apporto di alcool l’avrebbe sicuramente mandato fuori dal tracciato che doveva assolutamente seguire. Bevve l’acqua e Marinette gliene versò subito un altro bicchiere.

-Quando la rivedrai, concedile tempo. Fai in modo che possa ritrovare prima l’amico, poi un confidente, e dopo una spalla su cui sfogare i suoi anni di separazione e due braccia che la stringano forte. Solo allora, scopala.-

Il consiglio geniale eppur retorico di Plagg riecheggiava nella testa di Adrien, che in quel momento era troppo concentrato per non apparire più un selvaggio a digiuno da sei mesi piuttosto che un uomo il quale, volente o nolente, doveva farsi perdonare sei anni di assenza. Era già partito col piede sbagliato, piombadole in casa senza preavviso, aveva iniziato dall’abbraccio e… gli toccava recuperare ogni brandello di ricordo che aveva, ricucirli insieme e creare una calda coperta di sicurezza e affetto che la scaldasse con tutto il sentimento che lui sentiva esplodere nel suo petto.

Più volte, soprattutto quando si intratteneva con qualche donna trovata a giro per l’Asia e l’unica cosa che contava era il suo piacere, si era domandato come avrebbe affrontato il momento in cui avrebbe rivisto Marinette: sarebbe riuscito a guardarla ancora con occhi puri, con il cuore di un timido ragazzino innamorato? In quel momento la guardava furtivamente tra un boccone e l’altro, sorridendole e lasciando che le briciole si incastrassero tra la sua barba. Si era presentato a lei nelle peggiori condizioni che avrebbe potuto, se l’avesse accettato così, non avrebbe avuto nessun ostacolo.

Il cibo era ottimo, doveva provenire dal laboratorio di Tom Dupain, decisamente e l’atmosfera, mentre si rifocillava, si faceva sempre più calda. Senza pensarci, Adrien si tirò su le maniche della felpa che indossava, scoprendo gli avambracci.

-Una coccinella?-, Marinette stava fissando attonita il suo braccio sinistro dove faceva bella mostra di sé un piccolo tatuaggio di un insetto il cui significato era evidente. Adrien inghiottì il boccone e si pulì rapidamente le labbra con un tovagliolo di carta, annuendo verso di lei.

-Mi sono fatto un tat…-

-Lo sapevo-, lo interruppe la giovane, allungando una mano al disegno, senza osare avvicinarsi troppo, -Ma non sapevo cosa fosse-.

Adrien portò la destra alla nuca, lievemente in imbarazzo, proprio come faceva allora, -Forse sono stato un po’ banale… ma era quello che volevo fosse marchiato per sempre sulla mia pelle-, non seppe come fosse riuscito a trovare le parole, ma in qualche modo la sua lingua era stata più efficiente del suo cervello.

-Non è banale-, disse Marinette, con voce tremante, si alzò e si mise di spalle, di fronte a lui. Si abbassò accovacciandosi ai suoi piedi, chinò la testa, scostò i capelli che le coprivano le spalle e, tirando dal basso, fece scendere appena lo scollo del suo abito di maglia.

-Oh-, fu l’unica cosa che elaborò Adrien, vedendo un minuscolo tatuaggio di un gattino stilizzato proprio in mezzo alle scapole di Marinette. Un paio di centimetri sotto si intravedeva il laccio del reggiseno, rosso.

Adrien non si trattenne, scivolò in ginocchio per terra, dietro a lei; allargò appena le mani attorno alle braccia della ragazza, abbassò il viso e sfiorò con un bacio la pelle marchiata che voleva, che aveva sempre voluto da troppo tempo.

Un sospiro e il cuore affrettato tradirono il brivido che attraversò tutto il corpo di Marinette, piegò di più la testa, scoprendo il collo, lasciò che fosse lui, se voleva, a prendersela.

Adrien posò del tutto le mani sulle sue braccia e le labbra sulla sua schiena e la baciò, salendo verso il collo, lasciando una scia di piccoli baci bollenti, ognuno dei quali era un pezzo di vita che si riprendeva indietro, un anno della sua esistenza, tempo perso a bramare quella pelle profumata, liscia, sua.

La barba la solleticava, non era affatto una cosa spiacevole, ma del tutto nuova per lei. Mosse appena le spalle, un gesto provocante, forse, che si tradusse in un maggior contatto di quella bocca che avrebbe voluto vedere, prenderla, amarla senza mai smettere.

I baci erano arrivati in alto, sul collo, dove il sangue pulsava veloce e lì si fermarono. Adrien la strinse in un abbraccio morbido e caldo, rimanendo con la testa nell’incavo della spalla. L’avrebbe rispettata e non sarebbe andato oltre, non quella sera, non in ginocchio nella cucina della casa che era stata di Nino.

-Non sai quanto mi sei mancata-, bisbigliò tra i capelli, con le labbra ancora vicine alla pelle del collo di Marinette. Ebbe in cambio una carezza e il calore di quell’abbraccio, d’un tratto, svanì: la donna si era alzata e, in piedi davanti a lui, gli porgeva la mano per fare altrettanto.

Gli stava sorridendo. Attese che lui si fosse alzato e lo abbracciò stretto alla vita, appoggiando la testa sul suo petto, ascoltando il cuore che galoppava e, piano piano, iniziò a rallentare.

-Hai ancora fame?-, gli domandò senza spostarsi.

Sì, di te…

-No, grazie…-, la baciò tra i capelli, chinando la testa e poi alzò gli occhi guardandosi intorno: una piccola cucina traballante piena di vasetti rosa, rossi e coccinelle. Le tendine sicuramente nuove, rosa con dei fiocchi neri e i tanti dettagli richiamavano lei. Tutto parlava di lei. Era lì che doveva succedere, nel posto più normale e intimo. A casa.

Il bip di un messaggio attirò l’attenzione di Marinette: qualcuno sicuramente stava cercando Adrien. -Resta con me, ti prego…-, le sfuggì dalle labbra e trattenne il respiro, facendo occhi da cucciolo spaventato. Lui le sorrise, decisamente rilassato e annuì.

Scusandosi con un gesto della mano, prese il suo telefono e lesse il messaggio, o meglio i messaggi.

Suo padre che gli diceva “no problem”, in risposta al suo.

Nathalie che gli diceva “Sun non vede l’ora di vederti, ma fai pure il tuo”, con un occhiolino.

Suo padre che aggiungeva “Ah, Sun ha un po’ di febbre, nulla di che, volevo solo che non ti spaventassi, se quando torni io fossi fuori”.

Josh che gli mandava un pollice su, un occhiolino e una bottiglia di champagne stappata.

Orange FR che gli dava il benvenuto.

Nino che urlava: “FERMOOO!!! NON ABITO PIU’ IN AVENUE DU DAUMESNIL!!! NON ANDARE LI’, FERMOOOOO!!!!”

Rispose solo a uno di questi messaggi: “Grazie”, digitò semplicemente, e premette invio.

-Eccomi-, tornò da Marinette, che lo attendeva sul divano.

   
 
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