Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! VRAINS
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Autore: Selena Leroy    22/12/2018    2 recensioni
Non degnandolo più di uno sguardo, voltò il capo verso la finestra, osservando l'oscurità del cielo con aria meditabonda.
"Adesso devo andare, ho altre persone che mi aspettano" si congedò lo Spirito del Natale Futuro "Tuttavia voglio avvisarti di una cosa: tieniti pronto. Non sono l'unico che vedrai questa notte; lo Spirito del Natale Presente e del Natale Passato verranno da te molto presto" e concluse, con un sorriso sghembo "Sogni d'oro, Yusaku Fujiki"
Genere: Comico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akira Zaizen, Aoi Zaizen/Skye Zaizen, Yusaku Fujiki/Playmaker
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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FUTURE – L’UOMO CHE AVEVA DIMENTICATO IL SORRISO


Svegliati"
Un bisbiglio nella notte nera senza luna.
"Ho detto di svegliarti"
Un bisbiglio insistente, e anche molto permaloso.
E Yusaku comprese che era ben più di un qualcosa di onirico quando uno scrollare deciso andò a scuotergli la spalla. Allarmato, alzò la testa di scatto, superando all'istante l'intontimento dovuto al sonno.
Dinanzi a lui, vai a vedere per quale assurdo e inspiegabile motivo, stava un uomo totalmente sconosciuto, mai visto prima di quel momento. E lo avrebbe ricordato altrimenti, il ragazzo, perché quel bizzarro segno dorato che gli attraversava la fronte sarebbe stato davvero difficile da dimenticare. Dall'alto di metri che Yusaku non sapeva raggiungere, lo fissava con occhi scrutatori, occhi di un colore che ricordavano il cielo quando le prime luci della sera iniziano a diffondersi al seguito dell'inabissarsi del sole.
"E tu chi diavolo sei?!"
Il primo pensiero del ragazzo, ora decisamente allarmato, fu di avere davanti un qualche ladro esperto dell'intimidazione; a ben pensarci, non ricordava di aver chiuso a chiave la porta, quando era andato a dormire, ed era certo che Yuma e Yuya non lo avessero fatto per il semplice fatto che erano coscienti di quanto il loro amico più anziano odiasse sentirsi un topo in gabbia. Venuto a patti con la claustrofobia quando aveva sette anni, aveva capito che solo convivendo con il suo problema sarebbe sopravvissuto senza morirci; e quando i suoi due coinquilini avevano supposto di fare un favore a Yusaku assicurandosi della sicurezza senza consultarlo, ritrovandolo in seguito ansante nell'atrio del loro appartamento ne erano venuti a patti anche loro.
Quindi si diede mentalmente dello stupido, lasciando che la mano, in modo apparentemente naturale, andasse sotto al cuscino per riprendere il cellulare che aveva lasciato nelle coltri ancora calde. Il numero della polizia era già impostato tra le scelte rapide, pochi tasti pigiati e le forze dell'ordine avrebbero ricevuto una sua segnalazione.
Ma Yusaku non aveva ancora capito che la notte aveva in serbo per lui numerose sorprese.
"Sono lo Spirito del Natale Futuro" disse infatti quello, presentandosi con la stessa solennità di chi sbandiera al mondo di possedere una multinazionale al suo comando "E puoi chiamarmi Yusei Fudo"
A quel punto, Yusaku si convinse che le sue previsioni andavano riviste, e che quello che aveva davanti non solo era un ladro, ma anche sotto l’effetto di stupefacenti. Male, si disse, perché con uno che ha cancellato la razionalità con una striscia di coca, difficilmente si riusciva a ragionare.
Pensò però di provarci comunque. Alzando solo un braccio, perché l'altro stava ancora tentando di raggiungere il suo vecchio telefonino di un'era generazionale differente, cercò di parlare mantenendo la calma.
"Ascolta, amico, io non ti farò niente" iniziò "Ma ascoltami: qui non c'è denaro. Ti assicuro che hai scelto la casa sbagliata, perché qui si trovano solo tre studenti squattrinati, uno più povero dell'altro" e non aggiunse che l'ultimo della catena era proprio lui perché non gli sembrava necessario.
"Ehm... io non voglio soldi" fece quello, evidentemente confuso "Scusa, ti ho detto che sono lo Spirito del Natale Futuro. Cosa ti fa credere che voglia essere pagato?"
"Non ho nemmeno la droga, se è quello che cerchi!" disse Yusaku, e un po' si rimproverò per aver fatto trapelare la sua irritazione nel tono di voce stanco.
La sua vita era appesa ad un filo, insomma, e non poteva permettersi di farlo infuriare dimostrando quanto sbagliato fosse violare un domicilio privato.
Yusei, nel frattempo, si passava una mano tra i capelli nero corvini, e sul viso gli si dipinse un tono sconsolato.
"Ogni anno la stessa storia" e lo diceva a se stesso, a quanto sembrava "Più si va avanti e più gli scettici ti chiudono la porta in faccia"
Poi lo fissò intensamente.
"Meglio finirla in fretta, visto che ho un mucchio di cose da fare questa sera"
Yusaku non seppe prevederlo ma, da sotto la mantella indaco, quella indossata dall'uomo per nascondere tutto il suo corpo, saltò fuori una mano guantata di nero che, con violenza, si ancorò al braccio ancora alzato. A quel punto il mondo perse i suoi colori, ne riprese di nuovi e Yusaku combatté contro un senso di vertigine mai provato prima.
"Ma... dove siamo?"
Di sicuro non nella sua stanza. Nella sua stanza non c'era asfalto, e da claustrofobico sapeva dell'esistenza di muri che delimitavano il suo spazio vitale; invece, davanti a lui, tutto quello che fu in grado di vedere si articolava nei numerosi piani di una grossa azienda costruita ai margini di una città che non seppe definire - non ricordava un quartiere simile a Miami, e di sicuro non esisteva a Den City. Deduceva di trovarsi in periferia solo perché il numero di esseri umani che abitavano quello spazio sembrava pari a zero.
"Siamo nel tuo futuro, Yusaku Fujiki" disse Yusei, lasciandogli il braccio con cui lo aveva sorretto per tutto quel tempo "E per la precisione a Los Angeles. Bel posto, permettimi di aggiungere"
Yusaku era troppo sconcertato per replicare. La sua razionalità, quella fredda logica che chiedeva sempre spiegazioni alla fisica per cercare un chiarimento, non avrebbe mai accettato un discorso simile come risposta ad una sua sensata domanda. Al tempo stesso, tuttavia, si rendeva conto che una delle prove richieste dalla ragione lui già la possedeva, e se la ritrovava davanti agli occhi. Era infatti impossibile che la prestidigitazione potesse realizzare un trucco simile, e comunque un simile artificio avrebbe richiesto tempo, preparazione e studiate messe in scena. Nemmeno Yuya Sakaki, con tutto il suo talento, ne sarebbe stato capace.
"Sto sognando" pensò allora, certo che quella fosse l'unica strada utile per non impazzire.
Ne aveva già sentito parlare, in effetti. Li chiamavano sogni lucidi, ed erano quelli stati mentali in cui un essere umano è perfettamente cosciente di trovarsi in un mondo onirico. La capacità dei sogni lucidi era quella di permettere al sognatore di fare ciò che la sua mente diceva, lasciandolo abbastanza cosciente da agire secondo natura e non secondo viaggi pindarici inspiegabili.
"In un certo senso è così"
Aveva parlato ad alta voce, a quanto pareva, perché Yusei Fudo si era persino preso il disturbo di rispondergli.
"Aspettà, quindi io sono in un..."
"In realtà no, ma sinceramente non ho voglia di perdere parte del mio tempo a spiegartelo. Se un razionale come te non può accettare tutto questo, allora, puoi semplicemente credere a quello che vuoi. Tanto, a me il lavoro non cambia"
E nei suoi modi spicci si evinceva con violenza quanto poco desiderasse svolgere quello che stava facendo. Yusaku, che più di lui non aveva a cuore approfondire qualsiasi cosa fosse in atto in quel momento, si chiese quindi per quale assurdo motivo ne fosse rimasto coinvolto. Poi ricordò che era un sogno, benché lucido, e quindi comprese che forse un senso non andava cercato.
Frattanto, Yusei aveva deciso che il metodo di prima gli andava particolarmente a genio, gli permetteva di sbrigare il suo dovere - qualsiasi esso fosse - e di usare pochissima fatica. Lo prese quindi per un braccio nuovamente, e nello sbattere delle sue palpebre Yusaku si ritrovò a dover fare i conti con un nuovo ambiente, completamente diverso e opposto allo scenario precedente.
Era un interno, tanto per iniziare. Illuminato da luci al neon che Yusaku trovava fastidiose, ma che dovevano essere state messe per un risparmio di corrente che massimizzava i profitti con il minimo elargibile. Lo inquietò quel pensiero, così tipico di lui, e che si concretizzava nella figura china su un computer sofisticato, gli occhiali ad aiutare la vista affaticata e le prime rughe della vecchiaia a segnare il volto. Yusaku pensò, guardandolo, che quello appariva proprio come il viso di un qualcuno che aveva dimenticato come si sorride. Il peggio fu capire che era proprio il suo.
"Siamo vent'anni nel futuro" esclamò Yusei, anticipando la sua domanda "Precisamente nella notte del 24 dicembre"
Yusaku rimase stupefatto, ma in se avvertiva anche una stanchezza dovuta alla saturazione delle novità: era stanco, stanco di essere sorpreso e stanco di ritrovarsi in una serie di incognite che lo stavano lentamente minando.
L'aspetto del luogo in cui si trovava era austero, con quelle grandi vetrate che si affacciavano direttamente sulle luci della città, ma era anche tristemente asettico. Se Yusaku non avesse visto se stesso chino su un lavoro che aveva risucchiato tutta la sua attenzione, non avrebbe mai dedotto di ritrovarsi nel suo prossimo e onirico ufficio. Nemmeno una targhetta segnava le sue proprietà, non una foto. C'era solo una scrivania, un computer e tanto, tanto silenzio.
Silenzio che venne interrotto da un piccolo picchiettare alla porta.
"Avanti" disse il futuro lui. Aveva una voce molto più roca della sua versione giovanile, Yusaku nemmeno l'avrebbe riconosciuta se... beh, se non lo avesse visto con i suoi occhi.
Sembrava quasi avesse perso il vezzo di parlare.
Dalla porta di vetro apparve un uomo appena trentenne, robusto di costituzione e leggermente basso. La chioma smeraldina era tanto opaca da apparire scura, e alla luce del neon non aveva nemmeno le forze di brillare. Il viso tondo aveva evidenti segni di stanchezza, e le mani passarono stancamente su un occhio in procinto di chiudersi, prima di parlare.
"Sono venuto a dirle che stiamo per andare via" fece il ragazzo. Yusaku vide sulla giacca nera che aveva indosso una targhetta, dove il nome Shima Naoki capeggiava accanto ad una foto dell'individuo con sul viso un sorriso sghembo.
Yusaku, quello del futuro, non gli rivolse nemmeno una risposta degna di questo nome. Forse annuì, ma nessuno avrebbe potuto giurare sul movimento del suo volto.
"Ehm... la ringrazio" aggiunse l'altro, in evidente imbarazzo "per averci concesso tutto il ponte natalizio. A nome di tutti..."
"Non sono stato io a concedervelo, ma la legge. Ringrazi i ministri, visto che è tanto solerte"
Dimenticando per un momento di essere in un sogno, Yusaku rimase sgomento nel vedersi in uno sfondo così cinico e indifferente. Lui per primo si considerava misantropo, lasciava agli altri il compito di crederlo, ma mai si era permesso di rispondere con tanta villania. Specie se dall'altra parte non vedeva alcun intento ostile.
"Ehm... capisco" fece Naoki, evidentemente turbato da tanta freddezza "Allora... buon natale... da parte di tutti noi..."
Anche quella volta non ottenne risposta.
Yusei non si prese la briga di avvisarlo che stavano per andarsene; il giovane programmatore lo comprese solo quando sentì nuovamente una presa ferrea al suo posto, e avvenne nuovamente il cambio di scenario che denunciava come il signor Fudo fosse tanto zelante quanto spregiudicato nel suo lavoro. Yusaku quasi cadde al suolo, per quell'imprevisto cambiamento, e si ringraziò mentalmente per essere rimasto stabile sulle sue gambe quando vide del lercio asfalto alle sue spalle.
Erano in un parcheggio; sullo sfondo, sempre la stessa azienda vista poco fa.
"Mr. Robot ci dice di ringraziare la legge per averci concesso le dovute vacanze" sentì dire all'improvviso.
Non ci mise molto, lo studente, a capire che si trattava di Shima, e che stava parlando di lui. Avrebbe dovuto provare astio, visto che stava usando un evidente dispregiativo per evidenziare la sua persona, ma in tutta coscienza era lui il primo ad avercela col futuro se stesso. Una maleducazione simile andava al di là di qualunque richiesta di silenzio.
Naoki andò incontro ad una serie di impiegati, tutti tanto diversi che Yusaku rinunciò fin da subito a delinearne i lineamenti. Vide solo l'eleganza dei loro completi che cozzava amaramente con le macchine datate su cui si accingevano a salire.
"Quel maledetto bastardo" esclamò uno "Un modo buono per dirci che, se non avessimo ragione davanti allo stato, manco ci concederebbe di restare a casa!"
"Immagino che dobbiamo ringraziare lo stato pure nell'essere pagati" fece un altro, vicino a Naoki "Se fosse per lui, non ci darebbe un centesimo, quello disgraziato pidocchioso"
Tra risate di scherno e parole infamanti, il nome di Yusaku Fujiki venne vilipeso senza alcuna dimostrazione di grazia da parte dei presenti. Le parole di uno erano il punto di inizio per un altro.
E lui, il vero Yusaku, vittima innocente di quel fuoco incrociato ai suoi danni, non seppe minimamente come reagire. Come prima davanti al nomignolo "Mr Robot", avrebbe dovuto provare qualcosa che parlava di ira, o comunque di ingiustizia nel vedere che tanto coraggio di parole veniva speso solo perché lui non era presente. Ma nel suo cuore, invece, albergava l'inverno della paura: Yusaku era spaventato, e lo atterriva quell'odio che gli altri lanciavano verso di lui senza nemmeno una punta di rimorso. Era terrorizzante sapersi in cima ad una torre di vetro, solo come un cane, mentre chi diceva peste e corna sul suo conto formava un gruppo compatto di uomini che gli augurava tutto il male umanamente possibile.
"Bene, direi che basta così"
E con la solita presa d'acciaio, entrambi tornarono esattamente da dove erano partiti. La rigida morbidezza del suo letto e le coperte ancora pregne del suo calore aggiungevano una patina di irrealtà a quello che si era appena consumato; se il giovane non avesse trovato precedentemente la spiegazione del sogno, si sarebbe scoperto sulla soglia della pazzia.
"Io... cos'era quello?"
"Quello era..."
"Non ti sto chiedendo di rispiegarmi cosa intendi per futuro, ma..."
Non sapeva nemmeno come spiegarselo, non sapeva come formulare in domanda quello che gli attanagliava il cuore. Avrebbe potuto chiedergli 'Perché sono spaventato?' ma di sicuro non sarebbe stato capito.
Quello che invece non sapeva, Yusaku, era che Yusei era capace di comprendere ogni suo sentimento. Era lì proprio per rispondere a tutti i suoi dilemmi.
"Tu sei sempre stato un materialista, ragazzo mio. Non eri ossessionato dal denaro, ma avevi capito fin da subito che chi ha i soldi ha anche il potere. Era una lezione che avevi imparato quando eri ancora un bambino"
Lo studente abbassò gli occhi, nella speranza che l'altro non scorgesse la miriade di emozioni contrastanti che quelle parole avevano risvegliato nel suo animo. Era la crudeltà di chi passava del sale su una ferita ancora aperta.
"Per questo, quando ne hai avuto occasione, hai sfruttato tutte le tue conoscenze per aprire l'azienda informatica che hai visto. Hai incominciato a dedicarti sempre di più al tuo lavoro, hai dimenticato te stesso e le tue emozioni, alla lunga hai perfino dimenticato come si usano. Inoltre hai perso i contatti con gli unici amici che hai mai avuto, e ti sei talmente abituato a stare solo che non hai più voluto nessuno al tuo fianco"
Un viso che aveva dimenticato come si sorride... questo aveva pensato di lui quando Yusaku lo aveva visto chino su un computer. Non immaginava quanto esatte fossero le sue idee.
Tuttavia, non se la sentiva di accettare tutto quello scenario rimanendo impassibile. In sé, avvertì l'inquietudine di una fiamma che, sempre dimentica che i sogni non hanno regole, non riusciva in alcun modo ad accettare un tale imbruttimento della sua anima.
"Io però non sono così... acido! O scortese! Io ho sempre rispettato le persone!"
"Solo perché adesso non hai una posizione di rilievo, e sei invece circondato da persone a cui devi obbedienza e devozione: i tuoi professori di università, i tuoi padroni di casa... non sai cosa sia il potere, non ne hai ancora subito il fascino. Ecco perché parli in questo modo"
Non degnandolo più di uno sguardo, voltò il capo verso la finestra, osservando l'oscurità del cielo con aria meditabonda.
"Adesso devo andare, ho altre persone che mi aspettano" si congedò lo Spirito del Natale Futuro "Tuttavia voglio avvisarti di una cosa: tieniti pronto. Non sono l'unico che vedrai questa notte; lo Spirito del Natale Presente e del Natale Passato verranno da te molto presto" e concluse, con un sorriso sghembo "Sogni d'oro, Yusaku Fujiki"
Riaprì gli occhi e si riscoprì ansante, con la fronte imperlata di sudore e la gola secca.
Ed era nel suo letto, la luce della sua stanza era spenta e, cosa più importante, era solo.
Come doveva essere in quella notte di vigilia.
"Ma cosa mi mangio, la sera, per farmi certi incubi?" fu il suo primo pensiero.
Benché la domanda fosse retorica, si rispose immediatamente: lui non mangiava. E non lo faceva per risparmiare, o per non aprire il frigo e prendere la briga di mettersi ai fornelli. Quella sera, come nelle altre passate davanti al computer, aveva dimenticato che era un essere umano, e tutto quello che il suo stomaco aveva ingerito era una misera tazzina di caffè.
"Forse è questo che mi ha fatto male" si disse tra se e se, mentre si alzava.
Non aveva senso girarsi dall'altra parte e tentare di dormire nuovamente; sentiva che il suo corpo avrebbe protestato vivamente, il giorno successivo, se lo avesse consumato in quel modo sconsiderato. Ricordando di avere da parte un po' di frutta fresca - uno dei regali della loro padrona di casa - andò velocemente nella sua comoda cucina, sbucciò una mela e si mise comodo su una delle sedie intorno al tavolo rotondo.
"Devo stare attento a non esagerare" disse ancora a se stesso, quasi ci fosse alle sue spalle un'agenda pronta a ricordargli i suoi doveri di essere umano.
Di certo con il caffè in corpo era puro miracolo che fosse riuscito ad addormentarsi; una volta un suo amico universitario, iscritto alla facoltà di medicina, gli aveva spiegato che quanto contenuto nel liquido amaro aveva, al suo interno, elementi che dal corpo venivano visti come dei rilassanti: in altre parole, il caffè aiutava a distendere i muscoli. Era il cervello, in quel caso, a percepire la caffeina e ad aumentare l'adrenalina in corrispondenza di quel passaggio; la stanchezza che si provava dopo alcune ore non era quindi dovuta alla mancanza di sonno, ma piuttosto....
Ah, ma chi voleva prendere in giro? Poteva anche mettersi a riflettere sulla composizione chimica del caffè - che comunque non conosceva - e le sue fisime non sarebbero comunque cambiate. Il suo pensiero, al pari di un chiodo fissato ad un muro, sarebbe andato incontro solo e soltanto allo strano sogno che aveva appena finito di vivere.
"Io non sono così... orribile!" si disse con cocciutaggine, per calmarsi.
Ma sapeva che la verità non obbediva alle sue convinzioni . Certo, nel presente era una persona abbastanza civile con cui parlare, ma lo era non solo in ragione di un educazione ricevuta con severità, oltre che per la scoperta amicizia con i suoi coinquilini.
"Io non sono solo, ho Yuma e Yuya" continuò ancora, testardo.
Ma anche questo non era vero. L'unica cosa che aveva permesso a tre persone tanto diverse di stare insieme era quella casa, e Yusaku, prossimo alla laurea, avrebbe ben presto perso il diritto di detenerla; era un alloggio che la padrona concedeva solo agli universitari, e lui per primo non voleva sentirsi di troppo in una situazione che non gli calzava più come un guanto.
Anzi, a pensarci bene lui era sempre stato uno che aveva il terrore di essere di troppo: preferiva prendere le distanze per primo, piuttosto che porsi il dubbio di essere invadente. Con una simile inclinazione, non riusciva difficile credere che avrebbe abbandonato qualunque contatto con Sakaki e Tsukumo, e l'immagine del lui infelice seduto davanti ad un computer, denigrato da lontano, divenne tanto vivida quanto agghiacciante.
"Mi sto facendo troppi problemi per un sogno" ma anche inventandosi altre mille e uno scuse, lui avrebbe sentito qualcosa di pesante gravargli addosso. La trappola che avrebbe rappresentato la sua ambizione.
   
 
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