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Autore: Corydona    22/12/2018    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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(Capitolo revisionato)

Erik avanzava sul lastricato che costeggiava la spiaggia, senza spronare il cavallo noleggiato; non aveva alcuna fretta di giungere presto, nonostante l'urgenza della sua missione. Vedeva stagliarsi poco a poco le mura che circondavano il palazzo reale e ad ogni passo il battito del suo cuore accelerava il ritmo. Come spiegare la sua presenza lì? Sapeva che Dante aveva ragione: in molti si aspettavano che lui un giorno domandasse la mano di Ariel Dal Mare. Ma il giovane principe non voleva, e per più di una ragione: oltre alla sua ferma decisione di rimandare il suo matrimonio finché non l'avrebbero costretto, non conosceva abbastanza Ariel da sapere se, in futuro, sarebbe stata la donna ideale da avere al proprio fianco. Inoltre non aveva intenzione di trattenersi alla ricerca di una moglie, almeno per il momento; la scelta sarebbe stata delicata e vincolata ai benefici che ne avrebbe ottenuto, ne era ben consapevole. I genitori sarebbero stati molto attenti per quanto riguardava il suo futuro, così come lo erano stati nel programmare quello della sorella.

Per un momento, i suoi pensieri corsero al giovane di Nilerusa amato da Flora, diretto nel regno delle Foglie insieme alla futura sovrana, ed Erik si chiese se per i due sarebbe stato possibile un futuro insieme. Scosse il capo, mestamente: certo che no, piuttosto che correre il rischio Alcina avrebbe fatto qualsiasi cosa, tanto più che la principessa Primavera era già stata promessa a un altro.

E lui? Come si sarebbe comportato Erik se non fosse stato concorde con le scelte dei genitori? Di una sola cosa era sicuro: che qualsiasi azione avrebbe compiuto, sarebbe stata il frutto di una lunga riflessione, valutando quale fosse il bene del regno. Ma quale regno, poi? Oltre al regno d'Inverno che gli spettava per nascita in quanto erede maschio, avrebbe governato lui nel Defi, o questo sarebbe passato sotto il controllo di Flora, in modo da annetterlo allo Cmune?

Viaggiava troppo con la fantasia e la vasta gamma di possibilità che gli si affacciavano alla mente lo confondevano, quasi al punto di sopraffarlo: già non udiva più il suono del mare, che lo aveva accompagnato fino all'ingresso delle alte mura, che, obsolete, ricordavano un passato oscuro e pieno di tensione; tuttavia quella prima impressione era mitigata dal colore chiaro della sabbia, che ricopriva le superfici esteriori del castello e i cui granelli risplendevano alla luce solare, ferendo gli occhi di chi li posava in direzione della dimora dei regnanti.

Il principe Inverno entrò, salutando cordialmente i dignitari di corte che passeggiavano nel cortile sabbioso che separava la reggia dal mare. Notò a malapena l'assenza di soldati ai varchi delle mura, ben consapevole che lì erano una precauzione non necessaria: i Dal Mare erano benvoluti in patria, come lo erano negli altri luoghi di Selenia.

Erik conosceva le stravaganti usanze di quella corte, presso cui ognuno era libero di comportarsi a suo piacimento. Se fosse stato tanto audace, avrebbe potuto spingersi sin nelle stanze più intime della regina per chiedere un colloquio privato e nessuno lo avrebbe trovato bizzarro. Ignorando gli sguardi dei cortigiani che si posavano inevitabilmente su di lui, si diresse alla sala del trono, sperando ardentemente di potervi incontrare il re: nonostante gli usi locali, riteneva giusto domandare il permesso per conferire con la principessa.

Lo spazioso salone in cui giunse era pieno di cortigiani che chiacchieravano allegramente tra di loro. Alcuni chinarono il capo nello scorgere l'Inverno, ma senza prestargli molte attenzioni. Il principe si fece largo tra la folla, alla ricerca del Re Amintore, un uomo dalla statura non imponente e dall'espressione bonaria. Lo individuò presso una delle ampie vetrate, tutte spalancate, che si affacciavano verso il mare e da cui entrava la luce del sole rifranta dalle onde, in grado di illuminare a giorno ogni angolo della sala senza ulteriori artifici. A qualche passo dal re Erik intravide una tavola imbandita e apparecchiata con dolci e squisitezze di ogni genere, da cui dedusse di essere capitato nel regno in occasione di qualche festa particolare. Forse una ricorrenza importante di cui non aveva memoria?

Il re era accompagnato dalla consorte, mentre si intratteneva con un ambasciatore giunto dallo Dszaco, come testimoniava la spilla con cui erano fermate le sue vesti: un cerbiatto, il simbolo della famiglia reale dei Lugupe. La regina Silvia si accorse dell'arrivo dell'ospite inatteso, ma non per ciò sgradito, e gli rivolse un gran sorriso sussurrando qualcosa al marito.

Amintore Dal Mare si congedò dall'ambasciatore e mosse i pochi passi che lo separavano da Erik Inverno, facendogli cenno con un sorriso di seguirlo all'esterno della sala, nel corridoio, dove il vociare della corte giungeva più fioco, permettendo al re di riceverlo.

«Principe Erik! Non vi aspettavamo!» esordì con un sorriso accogliente sulle labbra.

Il giovane rispose a sua volta con sorriso. «Non sapevo che sarei arrivato qui, se non in tempi troppo brevi per farmi annunciare da una lettera. Vi chiedo perd…»

Il sovrano scosse la testa. «Non avete perdono da domandare: siete sempre un ospite ben accetto alla nostra corte. Ma vedervi qui mi fa sorgere un dubbio.» L’Inverno non disse nulla, attendendo che fosse l’altro a parlare e a rivelare i suoi pensieri; per quanto fosse un re accogliente e ben disposto nei suoi confronti, gli avrebbe mancato di rispetto se lo avesse interrotto o incalzato.

Amintore si guardò intorno, come per assicurarsi di non avere su di sé gli sguardi dei cortigiani che entravano e uscivano dalla sala del trono.

«Credevo che voi foste ai Lupfo-Evoco» gli confidò, improvvisamente preoccupato. Erik si stupì per il repentino cambio di espressione sul volto corrucciato del sovrano: possibile che l’altro conoscesse dettagli a lui ignoti? Che fosse al corrente della possibile implicazione della figlia nell’uccisione di Guglielmo di Cmune?

«No, Maestà, non sapevo che fossero convocati fino a quando non ho incontrato vostro figlio in procinto di imbarcarsi» asserì senza lasciar trapelare i suoi pensieri. Non gli parve opportuno cambiare argomento di conversazione, domandando ad Amintore di poter incontrare la principessa, quindi attese che fosse l’affabile re a parlare nuovamente.

«Dal momento che siete qui, siete mio ospite, ordinerò che vi venga preparata una stanza nella zona migliore del palazzo. Avete dei bagagli con voi?» domandò con premura.

Erik scosse appena la testa. «No, mio signore. La nave su cui viaggiavo ha subito un attacco e sono dovuto fuggire, lasciando lì tutto quello che avevo, eccetto la mia spada.»

«Mi sembra molto strano» constatò preoccupato re Amintore. Abbassò lo sguardo, nuovamente incupito, fissando un punto imprecisato del marmo chiaro della pavimentazione. «Nei nostri mari non ci sono mai stati dei pirati.»

«Non si è trattato di pirati, ma di un mostro marino» spiegò il principe con semplicità.

Il re lo guardò sorpreso, quasi spaventato, pronunciare quelle parole. Aggrottò la fronte, ma non disse nulla che lasciasse trapelare la paura interiore che invece coltivava. Sospirò, cercando di allontanare pensieri spiacevoli.

«Potrebbe trattarsi di un caso isolato» provò a minimizzare Erik, senza tuttavia esserne molto convinto. Vide l’espressione sul viso del re farsi più distesa e credette di averlo persuaso, inconscio delle riflessioni che avevano davvero sedato l’improvvisa agitazione del sovrano.

Amintore sapeva che nelle loro mani c'erano dei mostri marini, sebbene ignorasse quali: la minaccia di inviarne uno sulle sue coste a distruggere gli allevamenti di pesce e i villaggi costieri lo aveva molto suggestionato, al punto di firmare un accordo di reciproca neutralità: il regno dal Mare sarebbe rimasto intatto, se i sovrani si fossero astenuti dall'intervento nelle questioni che gli Autunno avevano in sospeso con le altre casate. Lui e sua moglie Silvia avevano accettato quell'accordo, perciò si ritenne al sicuro: Ruggero aveva certamente liberato il mostro come minaccia a un loro eventuale rifiuto e con molta probabilità c'erano già delle navi del Ruxuna che vagavano per il Litil cercando la bestia.

Dopo un istante di tentennamento, assunse la solita espressione allegra e gioviale, con cui cambiò argomento: «In questi giorni festeggiamo la nascita del Figlio del Mare e stasera qui a palazzo ci sarà un ballo in maschera.»

L’Inverno fece segno di assenso con il capo, certo che Amintore avrebbe inviato dei marinai per controllare se il grunmit si fosse avvicinato alle sue coste, senza informarne un solo membro della corte, dedita alle più varie frivolezze. E, considerando la scarsa fiducia che Erik stesso riponeva nei cortigiani di quel regno, non poté biasimarlo: chiunque si sarebbe rivolto a figure esterne.

La prospettiva di una festa in maschera non lo entusiasmava molto, poiché aveva poca dimestichezza con i balli e le feste pubbliche: gli era stato insegnato a coltivare nel privato la propria fede, se mai si fosse avvicinato a qualcuna delle divinità venerate a Selenia. Inutile dire che il giovane Inverno e la religione non avevano ancora incrociato le loro strade.

«Anche se non vorrete mascherarvi,» riprese il re, forse comprendendo il suo disagio, «sarete obbligato a venire e a indossare una semplice maschera sul viso, che abbia almeno qualche riferimento al mare. Oh, ecco Ariel!»

I capelli rossi furono la prima cosa di lei che catturarono l'occhio di Erik dall'estremità opposta del corridoio. Dalla sala del trono adibita a festa il vociare si levò sempre di più, mentre diversi membri della corte già avevano iniziato a occupare il corridoio, evitando la calca all'interno.

Al passaggio della figura minuta della principessa, i cortigiani presenti le cedevano rispettosamente il passo: Ariel dal Mare, splendida nel suo semplice abito verde chiaro, aveva un sorriso raggiante e saltellava allegramente, come una bambina ammessa dopo tante preghiere al mondo degli adulti.

Si fermò davanti ai due nobili e chinò il suo viso candido e cosparso di efelidi di fronte all’ospite, di cui le era stato annunciato l’arrivo. Ignorando il principe, si rivolse al padre, senza alcuna formalità: «È tutto pronto per questa sera?»

Lui annuì con un sorriso. «Tutto come hai richiesto tu.»

Gli occhi di Ariel brillarono, chiarissimi, segno limpido di una gioia che faticava a contenere. «Bene. Padre, vado in riva al mare. Principe Erik, volete accompagnarmi?»

Lui fu colto di sorpresa dalla domanda: non si aspettava certo un invito da parte della fanciulla a trascorrere del tempo da soli; ma, soprattutto, non voleva che anche lei si aspettasse quello che si aspettavano tutti, cioè quella proposta di matrimonio a cui il principe straniero voleva a ogni costo sottrarsi. Posò lo sguardo sul re, come per riceverne il permesso: il sovrano chinò appena il capo ed Erik tirò un sospiro di sollievo. Ne era certo, l'assenso di Amintore celava quel desiderio che pulsava nella corte, ma a cui lui non avrebbe ceduto: non avrebbe preso in moglie Ariel Dal Mare solo perché altri lo volevano; altri che non fossero Alcina e Tancredi, almeno.

Seguì la principessa attraverso corridoi dalle pareti chiare, del colore della sabbia, che sembrava ricoprirne la superficie come pennellate ruvide di un artigiano poco attento. Eppure ogni singola porzione di colore era stata applicata con dovizia e attenzione, tanto che la luce solare risplendeva dorata sin nelle stanze più interne come a mezzogiorno su un campo di grano.

Ariel camminava, spedita, ed Erik cercava di tenere il suo passo, allegro come una melodia danzabile. Volteggiava, la giovane Dal Mare, come protagonista di un sogno. E la magia che illuminava ogni angolo della residenza reale sembrava porla in una sua dimensione, come una sognatrice calata nella realtà che cammina in punta di piedi nel rispetto delle speranze altrui, di cui intuisce solo la presenza.

Solo quando uscirono all'aria aperta in uno dei cortili secondari, lui si accorse che la fanciulla era scalza; e, in un secondo momento, che la spiaggia in cui Ariel lo aveva condotto era deserta. La sabbia cedeva ben presto il passo a piccoli sassolini, che sembravano non ferire la pelle delicata della principessa, che si avvicinò alla riva e si sedette, stendendo le gambe fino a lasciare che le onde le colpissero dolcemente i piedi.

L'Inverno si sedette al suo fianco, pur tenendosi a debita distanza dalle frustate marine, rimuginando su quale fosse il modo di affrontare l'argomento che tanto gli premeva. Non era un diplomatico, lui: non si riconosceva una certa abilità con le parole.

Sentì la ragazza sospirare profondamente.

«Adoro questo posto» disse soltanto. «Nessuno qui può venire a disturbarmi, c'è una tale pace, un tale silenzio...»

«Ariel, io sono qui per un motivo molto importante» la interruppe invece Erik, brusco, deciso a tenere le redini della conversazione. Lei lo guardò, quasi distratta, lasciandolo libero di proseguire. «Sicuramente sai che è morto Guglielmo Lotnevi di Cmune.»

Lei annuì, guardando incantata il mare. Non avvertì neanche un minimo turbamento: non era legata a quell'uomo, né lo aveva mai incontrato di persona. Quella notizia le era giunta come un evento lontano, come sui libri di storia aveva avuto modo di leggere la distruzione portata dai draghi diversi secoli prima. Aveva compreso quanto accaduto, ma gli eventi l'avevano sfiorata a malapena, come se Guglielmo e la sua dinastia fossero stati spazzati via dai Draghi Bianchi, come era accaduto per molte famiglie reali che non si erano salvate in tempo, lasciando vuoto lo scranno al momento della vittoria definitiva.

«Sì, l’ho saputo» disse soltanto, senza voltarsi a guardarlo. Il tono della voce di Erik non le era sembrato affatto sereno, come se la pomposità con cui aveva pronunciato quella frase celasse qualcosa di importante.

«Io ero lì poco dopo che è stato ritrovato morto. Non sono disposto a credere che...» Lui esitò per un istante, poi estrasse il pugnale da una tasca del mantello. «Ho trovato questo, lì.»

Ariel sussultò, appena percettibilmente, riconoscendo la propria arma. «L'ho perso mesi fa» ammise, sulla difensiva. «Non ricordo neanche quando con esattezza.»

«Io devo chiederti, e devi assolutamente perdonare la mia assenza di scrupoli, se sei stata tu.»

Erik Inverno pose i suoi occhi di ghiaccio in quelli cristallini di Ariel Dal Mare, che ricambiò e sostenne lo sguardo. Entrambi non lasciavano trasparire sul volto la minima espressione. La sorpresa della fanciulla la portò a chiedersi come fosse possibile che il suo pugnale fosse non solo uscito dalla reggia, ma addirittura dal Pecama, venendo ritrovato in un regno che lei non aveva mai visitato. Il principe era impaziente: dopo il viaggio attraverso il Litil che lo aveva messo a dura prova, poteva finalmente avere una risposta che sembrava non giungere mai alle sue orecchie.

«A uccidere Guglielmo Lotnevi?»

«Sì.»

«No, non sono stata io» pronunciò decisa la fanciulla, volgendosi poi con un sospiro verso la distesa marina.

Il principe sospirò, rasserenato. «Era quello che mi aspettavo. Probabilmente qualcuno sta cercando di incastrarti.»

«Perché mai dovrebbero incastrare me?» domandò Ariel con un’impercettibile preoccupazione, senza capire.

Erik scosse la testa, incupito. Non gli piaceva dover ammettere di non possedere una risposta: era lui il primo a desiderarne una, magari veritiera. «Non ne ho idea, non so neanche chi possa essere stato. Devo restituirti il tuo pugnale, nessuno deve sapere dove l'ho ritrovato e meno che mai che sono stato io a trovarlo. Hai detto a qualcuno di averlo perso?»

«A mia madre» rispose lei, sovrappensiero. Cercò di riformare nella sua mente il ricordo del momento in cui si era accorta di aver smarrito il pugnale. Era un mattino gelido, in cui le acque agitate colpivano gli scogli a oriente di Punta Salina e lei passeggiava in compagnia di Melissa Autunno, ospite a corte, che le chiedeva ragguagli sulla sicurezza del regno, a cui i sovrani sembravano non badare affatto. La principessa Dal Mare era rimasta offesa dalle insinuazioni che quella sembrava fare, come se non credesse alla reale pace che regnava nelle terre della sua famiglia, salvo poi spiegarle che suo padre aveva dato ordine perché lei venisse di nascosto istruita sulle più semplici tecniche di difesa. Amintore aveva sostenuto che si trattava di una precauzione eccessiva, ma tuttavia valida, considerando il clima di guerriglia dei limitrofi regni di Prati e Delle Foglie. Ariel aveva appreso con singolare curiosità come potersi difendere in caso di agguato: dopo una dimostrazione pratica davanti agli occhi del re e della regina aveva ottenuto il permesso di poter uscire dalla reggia senza scorta, in abiti e in aspetti da popolana. Al momento di estrarre il pugnale dalla sacca di stoffa che aveva sempre con sé e nel quale aveva riposto l’arma, era rimasta sbalordita nel constatare che il pregiato metallo non c’era. La delusione per essere passata per una sciocca davanti agli occhi della principessa Autunno era cocente: Melissa le era sembrata una ragazza scaltra, attenta e dotata di grande intelligenza, nonché di pragmatismo; e lei non voleva essere da meno. «Lo sa anche Melissa Autunno» aggiunse, con un accenno di rossore a coprirle le gote. «Era con me quando mi sono accorta di non averlo più… ma non penso che lei lo abbia detto in giro.»

Lui sbuffò infastidito nell’udire quelle parole. Non riusciva a comprendere per quale motivo Ariel avrebbe dovuto dare confidenza a una delle sorelle di Raissa, né come fosse possibile che avesse sentito l’esigenza di mostrarle il pugnale. «Ora dovrai dire che...»

«So inventare da me una scusa» lo interruppe la fanciulla con un dolce sorriso sulle labbra. Non si era sentita offesa dal modo di fare del principe, che sembrava quasi volersi imporre su di lei, perché Erik ignorava il fatto che nessuno, esclusi i sovrani, sapeva dell’esistenza di quella lama. Non c’era, in verità, alcun motivo di inventare una scusa, perché non c’erano dichiarazioni da fare in proposito davanti alla corte. «Quello di cui entrambi dobbiamo preoccuparci è ben altro.» Spostò lo sguardo allo loro spalle, verso il palazzo e mormorò: «Non sta arrivando nessuno, ma di sicuro ora sapranno tutti che tu sei qui. Qui nel regno, forse anche qui insieme a me.»

«Hai ragione» convenne l’Inverno. In condizioni normali avrebbe provato fastidio per non essersi reso conto lui di quanto Ariel alludeva, ma il tono basso della sua voce, quasi coperto dal frustare delle onde ai loro piedi, faceva sì che le sue parole gli giungessero alle orecchie come la confidenza di un fedele alleato. Gli era capitato ben poche volte di poter parlare da solo con la più giovane dei Dal Mare, ma non ricordava che lei avesse provato a instaurare con lui la medesima complicità. «Cosa pensi di fare?»

«Dovrai chiedere di sposarmi» rispose lei semplicemente, cogliendolo alla sprovvista.

«Ma, Ariel, non vorrei deluderti... io non ho intenzione di...» iniziò a dire lui, sperando che lei non fosse urtata dalla sua decisa volontà.

«Ma io non ho intenzione di accettare!» rise Ariel, raggiante sotto la luce del sole che le illuminava i capelli rossi, appena scossi dalla brezza marina.

«I tuoi genitori si infurieranno con te, se rifiuti?» chiese Erik. In un primo momento aveva sorriso sollevato, ma poi non aveva potuto non pensare all'ira di sua madre con Flora e comparare le due situazioni: anche se conosceva Amintore e Silvia come due sovrani dalle idee molto aperte, non poteva avere la certezza che avrebbero concesso alla figlia di prendere la decisione per conto suo senza doverne rendere conto a loro.

«Credo di no, non fanno pressione neanche su Dante. Tu non sei un cattivo partito, ma...» Gli occhi di Ariel si persero nel mare, specchiandosi, e lei non finì la frase. Anche l’Inverno si distrasse da lei per guardare la distesa delle onde, tanto calma da riportare un pensiero molto lontano, che credeva di aver annullato con la distanza: anche Susanna aveva gli occhi di quel colore.

«Stasera ci sarà una festa» disse la principessa con un soffio di voce, come se la contingenza fosse per lei un peso da portare sullo stomaco, che la affaticava nel parlarne.

«Tuo padre mi ha già invitato» mormorò Erik, senza entusiasmo. Sapeva di non poter rifiutare, dal momento che si trovava al palazzo come ospite; era stato accolto senza neanche una lettera che annunciasse il suo arrivo, il minimo che poteva fare era unirsi ai festeggiamenti per Vudeli, il dio bambino anche conosciuto come “Figlio del Mare”.

«Sì, lo immaginavo» sospirò Ariel. «Volevo chiederti se volessi farmi da accompagnatore, ma non so quanto sia una buona idea.»

«Sei proprio sicura di non volermi sposare?» chiese Erik, velatamente preoccupato, nonostante lei avesse negato quella possibilità.

«Certo che lo sono» gli confermò la fanciulla ridendo. «Ho solo bisogno di te, almeno per ora.»

L’Inverno la guardò accigliato, irrigidendo la postura. «Puoi spiegarmi?»

La principessa con un gesto distratto cacciò indietro i capelli, spinti da un vento leggero davanti al suo viso. Guardò Erik, che la scrutava con apprensione, prima di parlargli nuovamente. «Diciamo che io ho già qualcuno... ma è una storia complicata. So quello che i tuoi genitori stanno facendo passare a Flora, me l'ha raccontato Stella. E io non voglio avere gli stessi problemi... sto bene così, anche dovendo mantenere il segreto.»

Lui annuì, comprensivo. In effetti il confronto poteva spaventare una ragazzina giovane quale era, nonostante l’elasticità di Amintore e Silvia. «Va bene. Stasera sarò il tuo accompagnatore» disse soltanto.

Ariel sorrise, sollevando la testa, richiamata dai versi garruli di un paio di gabbiani che volavano diretti a sud, probabilmente verso il porto della capitale. Erik le sembrava un confidente ottimo, sebbene casuale; e l'istinto le suggeriva di riporre la sua fiducia in lui.

 

(Ultima revisione: 29/05/2020)

 

   
 
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