Capitolo 1°
6:30 Pontinia - Roma
Chi di noi non è mai stato alle nozze di un parente o un amico? Quanti si sono persi nel cercare una chiesa o semplicemente un ristorante? Quanti hanno dovuto chiedere informazioni? Quanti si sono svegliati all’alba per scegliere un abito adatto alla fantomatica occasione? Quanti genitori hanno costretto i loro figli, adolescenti, a partecipare ad un matrimonio? E quanti di quei ragazzi sono riusciti ad evadere dalle domande, talvolta inopportune, dei parenti?
Piove. È il 25 Aprile e sono
le sei e mezzo di mattina, ogni giovane italiano sta ancora dormendo e dentro
di se, già sa che non si sveglierà prima di mezzogiorno, purtroppo non potrò
fare altrettanto, mia madre mi ha letteralmente buttata giù dal letto:
“Dormigliona, sveglia! lo
sai dove dobbiamo andare, no?” mi dice con entusiasmo.
“Mamma come fai ed essere
così energica? Sono ancora le quattro” ribatto contemplando tra me e me un
sogno fatto durante la notte.
“Alzati altrimenti non
arriveremo in tempo per la cerimonia in chiesa”
“Ma la cerimonia è a
mezzogiorno”
“No cara è alle dieci e
mezzo” replica continuando “vedi di sbrigarti, tuo padre vuole uscire di casa
alle otto quindi hai un’ora e mezza per lavarti e farti trovare in macchina”
dice dandomi un forte bacio sulla fronte.
Non voglio abbandonare il
tepore del mio letto, ma soprattutto non voglio andare al matrimonio. Lo so, di
regola chiunque vedrebbe di buon grado una cerimonia nuziale, ma se sei stato a
ben 24 celebrazioni in diciassette anni di vita cambi idea… preferiresti
rimanertene a casa davanti alla tv a vedere un film demenziale, a mangiare
patatine fritte con la maionese e a bere litri e litri di Coca Cola.
Mi alzo a fatica, guardo il
pavimento in parquet alla ricerca delle mie pantofole a forma di tartaruga, le
ritrovo sotto il letto e lentamente le indosso. Un gradevole aroma di caffè e
croissant appena sfornati mi guidano verso la cucina. Sto per entrare quando
mia madre mi si para davanti la porta:
“Prima ti lavi e dopo mangi”
“Ma i cornetti sono caldi
ora, dopo saranno freddi”
“Fila via… non voglio
sentire scuse lo sai dove dobbiamo andare!”
“Lo sai dove dobbiamo
andare” le fa da eco mio padre sbucato dalla sala
“Non prendermi in giro
davanti a nostra figlia”
“Non ti sto prendendo in
giro” risponde lui prontamente.
“Sì che mi stai prendendo in
giro” continua lei .
Li lascio discutere e
riuscendo a prendere un croissant mi dirigo verso la mia camera: apro
l’armadio, butto sul letto un vestitino rosso e dalla scarpiera prendo un paio
di scarpe con il tacco alto. Mi lavo velocemente e asciugandomi i capelli mi
rendo conto che non riuscirò mai a tenerli in ordine, sono ribelli proprio come
quelli di mia madre e castani come quelli di papà. Sono le otto e un quarto,
finalmente sono pronta, prendo la mia borsa firmata e mi dirigo verso la
macchina. Piove, anzi no, fuori… diluvia. Monto sul sedile posteriore della
macchina di papà, una fantastica Aston Martin, mamma è già dentro, si gira
verso di me indicando il suo Rolex
“Sono le otto e un quarto…
come giustifichi questo tuo ritardo?”
“E dai per quindici minuti…”
“Antea… Tesoro, sai che oggi
Roma sarà intasata. Devo ricordarti forse, per l’ennesima volta, che oggi è il
25 Aprile?” dice mio padre
“Oddio ho capito… non posso
mica far rallentare le lancette dell’orologio, state solo perdendo tempo a
sgridarmi, metti in moto e parti” detto, fatto. Papà accende l’auto e, dando
gas, parte. Prendo il mio LG KS360 rosa e accendendolo mi metto le cuffie alle
orecchie. Faccio partire la mia playlist personale e, per non sentire il navigatore satellitare, alzo il volume al
massimo, chiudo gli occhi nella speranza di poter recuperare un po’ di sonno,
il tempo non manca di certo. Sono le dieci
e mezzo, sicuramente la sposa sarà già arrivata all’altare, ma come al
solito: mio padre non trova la giusta strada per arrivare alla chiesa, mia
madre maledice con tutta se stessa la voce femminile del navigatore, mentre io provo
a consultare una fidata cartina stradale. Da Pontinia a Roma il viaggio non è
stato breve, almeno per me che non sono abituata a viaggiare. Ci troviamo
davanti alla Piramide, una manifestazione è in corso, più volte mio padre
sbaglia strada, ma alla fine riusciamo ad arrivare su lungo Tevere. Superato
Castel Sant’Angelo e il palazzaccio riusciamo finalmente a parcheggiare la
macchina. Sono le undici e la cerimonia dovrebbe essere quasi finita. Usciamo
dalla macchina e ci incamminiamo verso la chiesa.
“Ecco per colpa vostra io mi
sono persa l’entrata della sposa” dice mia madre con il fumo alle orecchie
“E da Na Ni… che vuoi che
sia” ribatto
“Finiscila di chiamarmi
Nani, mi devi chiamare mamma non Na Ni”
“Dai Na Ni è più bello di
mamma. Mamma è un termine che usano tutti i figli, io voglio essere originale”
“Visto che sono tua madre
devi chiamarmi MAMMA”
“No, Na Ni è più bello”
“Cara non vorrei
intromettermi ma ha ragione… Na Ni è più simpatico” si intromette mio padre
“Zitto tu…” diciamo all’unisono
io e mia madre.
“Dai… ora state buone,
dobbiamo entrare in chiesa” risponde infine lui facendoci tacere
La chiesa di Piazza del Popolo è senza dubbio stupenda. I due promessi
stanno seduti davanti al prete che ha iniziato solo ora a spiegare le sacre
scritture. Gli invitati sono pochi, ma la chiesa è gremita di bimbi dai tre
mesi ai tre anni. Alcuni urlano, altri piangono ed altri ancora non stanno
fermi un secondo.
I miei occhi non riescono a
fermarsi, passano dagli sposi a mia madre, da alcuni miei zii al soffitto del
maestoso edificio e si posano infine su un
ragazzo, sembra avere diciannove o forse venti anni, potrà essere alto circa un
metro e ottanta, i suoi capelli sono castani. Si rigira verso di me, i suoi
occhi blu oltremare mi fissano, i nostri sguardi si incontrano per pochi
istanti, fino a quando io, quasi in imbarazzo, non abbasso la testa. Accidenti
a lui… mi ha letteralmente fulminata. Incute timore. Penso che per tutta la
giornata rimarrò a distanza da quel tipo. Chissà se sta dalla parte dello sposo
o della sposa…
La cerimonia continua.
“…Scambiatevi un gesto di
Pace…” dice il prete. Mi si avvicinano un paio di zii e porgendomi la
mano destra mi salutano. Il prete ha ricominciato a parlare, qualcuno mi sfiora
il braccio sinistro, mi volto e vedo davanti a me il ragazzo dagli occhi blu
porgermi la mano ed io, quasi con timore, l’accetto. La cerimonia continua e il
sacerdote sembra non voler dire “… la Messa è finita andate in pace…”. Vedo la
madre della sposa piangere e mi fa tanta tenerezza. Chissà se un giorno mi
sposerò?!
Sono passate due ore e
finalmente, la cerimonia ha avuto fine. Esco dalla chiesa e mi siedo sugli
scalini. Mamma e papà sono rimasti dentro a fare le foto.
“Antea, tesoro da quanto
tempo” la Quarta zia mi si para davanti. Probabilmente voi conoscerete bene i
vostri zii, beh… per me sono solo numeri. Li vedo a qualche matrimonio oppure
quando sono in vacanza per qualche minuto, con loro non ho mai avuto rapporti
stretti. Mio padre ha cinque fratelli ed una sorella, mia madre un gemello.
Quella che ho di fronte si chiama Ada, vi chiederete perché l’ho chiamata
Quarta ebbene: ordino gli zii a seconda della loro simpatia.
“Ciao, zia” Ahimè… mi alzo a
fatica lasciandomi abbracciare
“L’ultima volta che ti ho
vista eri una bambina… ora sei diventata una signorina. Ma guardati… come sei
bella hai preso tutto dalla nostra famiglia”
“Naturalmente” rispondo
ironica. Io sono identica a mia madre, l’unico carattere che ho ereditato dalla
famiglia di mio padre è il colore dei capelli.
“Come va il Conservatorio?”.
Ed ecco la solita domanda.
“Bene” mi limito a
rispondere
“Tuo padre mi ha detto che
hai superato l’ultimo esame con il massimo dei voti”
“Ehm… sì, esattamente”
rispondo e provo a cambiare discorso “Dov’è la piccola Aurora?”
“Sta dormendo” risponde
“Oh, poverina la capisco.
Chiunque si sarebbe addormentato a sentire le prediche di quel sacerdote”
“Mi diceva tua madre che
starà al tuo
tavolo”
“Cosa?” dico spalancando la
bocca e trascinando la “o”
“Dai non è un dramma, vedrai
che ti divertirai” detto ciò scompare dalla mia vista. La cerco per qualche
secondo e la ritrovo vicino agli sposi. Rimango a fissarla fino a quando mia
madre non mi da una pacca sulla schiena.
“Tesoro, tuo padre ci sta
aspettando in macchina” sorride innocentemente
“Oltre al prete, chi ci sarà
al mio tavolo?” dico in un minaccioso ringhio sommesso
“Iniziati a calmare, non
voglio sentire storie, tu ti siederai a quel tavolo, punto”mi risponde in un
sussurro mantenendo il suo sorrisino
“Ho capito ne parliamo in
macchina e non…” prima che possa concludere la frase la sposa ci si avvicina. È
felice e contenta, non sa che io avrei preferito andare a trecento funerali
piuttosto che stare a tavola con un prete.
“Antea, come stai?”
Male
“Benissimo. Te?”
“Alla grande, a proposito ti
ho messa al tavolo del sacerdote proprio come avevi chiesto a tua madre, sei
contenta?”
Aspetta, aspetta, ASPETTA!!!
Io ho chiesto a mia madre di stare allo stesso tavolo del prete?
“Ehm… certo” rispondo con rassegnazione
“Bene. Ora vado… mi stanno
chiamando”
“Vai tranquilla”
12:45 Piazza del Popolo – Ristorante (dal
nome ignoto)
“Mamma… ma tu sei
impazzita!!!”
“Antea non rivolgerti con
questi toni a tua madre” ribatte mio padre
“Anche tu diresti la stessa
cosa” gli dico
“Antea, non puoi continuare
a giudicare la Chiesa come un’organizzazione criminale” attacca mia madre
“Si che posso, io ho aperto
gli occhi. Voi quando vi deciderete ad aprirli?”
“Ora basta. Stai a quel
tavolo e divertiti” prova a concludere lei
“Certo! Ti avverto, se per
caso dovesse prendere fuoco la sua toga, sono stata io” ribatto
“Antea per favore è solo un
giorno dopo potrai fare tutto quello che vuoi…” supplica mio padre
“Va bene, ma sappi che
questa me la paghi” dico infine rivolta a mamma.
“Certo, piccola mia” ribatte
lei felice d’averla avuta vinta
Papà parcheggia sotto un
pioppo. Mamma prima ancora che il motore venga spento scende pimpante e senza
aspettarci vola via verso la sposa. “Questa me la pagate” ripeto e senza lasciare
il tempo di ribattere a mio padre mi dirigo verso il buffet. Non ho mai
conosciuto la parola dieta, e mai la conoscerò. Se è vero che si vive una volta
sola, perché bisogna trattenersi alle tentazioni? Per andare in paradiso? E se
non credessi nel paradiso?
Sui tavoli c’è di tutto: dall’insalata di mare alle ostriche, dal prosciutto
crudo alle fritture di verdure. Perché dovrei trattenermi? Riempio il piatto e,
mentre i miei chiacchierano con parenti e amici, io mi siedo su una panchina
sotto un albero. Mi sento osservata, ma soprattutto sento delle strane
presenze. Sarà come sempre la mia immaginazione, o forse no? Ho una brutta,
anzi no, bruttissima sensazione. Mi alzo e veloce vado dentro al ristorante
dove la gran parte degli invitati aspetta la prima portata. Cerco il mio
tavolo. Ma
che Diavolo! Ci saranno
settanta tavoli, da dove è sbucata tutta questa gente? Qualcuno mi mette una
mano sulla spalla sinistra, mi volto e riconosco immediatamente il ragazzo
della chiesa, quello con gli occhi blu oltremare.
“Siamo allo stesso tavolo,
vieni!” mi dice e senza darmi il tempo di ribattere mi prende per un polso e mi
costringe a seguirlo
“Ehi… aspetta… ehi!” non mi
vuole mollare. Ci fermiamo davanti ad un tavolo. Ci sono sedute tre persone e
tra queste riconosco immediatamente il parroco della chiesa.
“Ehm… s- sa- salve!”
balbetto sorridendo nervosamente.
“Ciao, tu devi essere Antea,
la figlia di Adelaide e Harold. Io sono Melissa, ma chiamami Lis” mi dice,
sorridendo, la ragazza seduta vicino al prete. Ha occhi neri e capelli rosso
fuoco. È carina. Ma è anche come dire… strana.
“Antea, vuoi sederti?” mi
chiede il ragazzo con gli occhi blu spostando una sedia
“S- si… tu saresti…”
“Knight e lui è Leone”
risponde lui indicando il prete. Cos’è non si poteva presentare da solo? Ha la
lingua fuori uso?
“Piacere” dico porgendogli
la mano che accetta
“Il piacere è tutto mio
cara” ribatte lui. Spero che qualcuno lì, dal cielo mi aiuti.
15:30 Ristorante (dal nome ignoto)
Di solito adoro vantarmi del
mio : “non giudicare nessuno dalla prima impressione”. Bene, ora dovrei solo
farmi prestare una vanga, scavare una buca e dissotterrarmici dentro a vita.
Povero parroco non ha proferito parola durante il pranzo, non ci ha costretti a
dire una preghiera prima di iniziare a mangiare e soprattutto non ha parlato
del cattolicesimo. Lo avevo giudicato così male. Lo avevo quasi paragonato ad
una piattola insopportabile. Mi sento letteralmente in colpa.
Il ragazzo, Knight, ha
avuto lo stesso comportamento. Non ha parlato. Fortunatamente Melissa ha rotto
spesso il silenzio con qualche battuta. Tutto sommato sono stata bene. Tra
circa due ore me ne starò in macchina e potrò togliermi queste insopportabili
scarpe di Gucci. Sono scomode, anzi no, dire che sono scomode sarebbe un’offesa
alle scarpe semplicemente scomode.
Tra pochi istanti serviranno
la torta. Ah… la torta. Penso che nel mio sangue ci sia tanto di quello
zucchero che se un vampiro dovesse trovarmi mi dissanguerebbe.
“Mi accompagni fuori?” mi
dice Knight interrompendo le mie fantasticherie sulle torte e su tutto ciò che
contiene zuccheri
“Ehm… veramente tra poco
servono la torta” rispondo cercando di non essere scortese
“Ah… guarda che la torta la
tagliano fuori”
“Allora penso che ti
accompagnerò” gli dico alzandomi dalla sedia
La torta… la torta… dov’è la
torta? Voglio la torta. Knight mi precede e si dirige verso il boschetto dietro
al parcheggio.
“Scusa, guarda che gli sposi
stavano andando dall’altra parte”
“Vieni….” Risponde lui in un
tono che non ammette repliche, ma non sa che io adoro le torte.
“Si, no, guarda io devo
andare di là”
“Guarda che la torta la
servono dentro al bosco” ribatte lui prendendomi il polso e costringendomi a
seguirlo. Ora mi metto a piangere, se non c’è la torta lo uccido. Insomma è
l’unico momento della giornata che potrebbe non far schifo e questo essere deve
rovinarlo.
“Bene ora aspettiamo…” dice
appoggiandosi ad un albero e accendendosi una Malboro Rossa
“Cosa? Chi? Cosa dobbiamo aspettare?” chiedo con il
fumo alle orecchie. Ma che glielo chiedo a fare tanto so cosa stiamo
aspettando. Aspettiamo che tutti si mangino la mia torta. Non risponde, faccio
per andarmene quando mi prende per un polso.
“Fa la brava…” dice
minaccioso
“Fa la brava vallo a dire
a tua nonn...” non mi fa terminare la frase. Lascia cadere la sigaretta. Mi fa
sbattere contro l’albero a cui era appoggiato e mi bacia. Con foga, oserei
dire, con cattiveria o forse è più opportuno dire con disperazione? Non mi
lascia respirare. Infilo una mano tra i suoi capelli lisci come la seta. Provo
a ribellarmi. Sento che non vuole andare oltre, ma… ma… Diavolo questo è il mio
primo bacio! Continuo a dimenarmi, ma dopo un urlo, lungo, agghiacciante,
sovraumano, mi blocca. Proviene dal ristorante. Knight continua a tenermi tra
le sue braccia tuttavia mi sta lasciando respirare.
“Tra poco ci saremo solo io
e tu” sussurra. Non riesco a muovermi, non riesco a parlare. Lui continua.
“Uno… Due… Tre…” dice e
subito dopo, l’urlo diventa le urla. Knight prontamente mi tappa le
orecchie con le sue mani fredde.
“Mamma… papà…” sussurro
prima di perdere i sensi.