Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    24/12/2018    2 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal capitolo precedente:

"«Che cosa vuoi sentirti dire, Ben?».
Il ragazzo sospirò «Niente, Semir, vorrei solo poterti aiutare.».
«Allora... pensa ad Aida, Ben.» rispose l’altro, in un sussurro «Pensa ad Aida perché... non voglio che si senta sola e io... io non posso aiutarla. Quindi pensa ad Aida...».
Ben annuì, piano.
«Non ti preoccupare, socio. La tua principessa non sarà mai sola.»."

Incubi

GIORNO 31. 

Sopravviviamo. Noi sopravviviamo.
Una risata amara, un pianto femminile in sottofondo.
Una bambina, era una bambina che piangeva.
E poi quegli occhi grigi, sempre più vicini, sempre più assetati di vendetta.
Noi sopravviviamo.
Sangue. C’era sangue sul pavimento polveroso, c’era sangue sulle pareti, sangue su quei corpi distesi, sangue su di lei...
E poi pietre, una pioggia di pietre che cadevano dall’alto.
Il pianto continuava, sempre più forte, ma la voce tagliente non voleva saperne di smettere di parlare. Quegli occhi grigi non smettevano di avvicinarsi.
Sopravviviamo.
Il pianto si trasformava in grida, di dolore, di paura.
Grida terribili.
E lacrime.

Semir spalancò le palpebre all’improvviso, gridando.
Due mani salde lo tenevano immobile per le spalle.
«Ispettore, ispettore si calmi!».
Ma lui continuò a gridare, il terrore negli occhi, provando a divincolarsi da quella stretta nonostante il dolore a ogni parte del corpo. Sudava freddo.
«Ispettore, la prego, si calmi. Era solo un incubo... solo un brutto sogno.».
Lentamente, la visione gli si fece nitida.
Semir si zittì e smise di muoversi, provando a far tornare il proprio respiro regolare.
Chris Schneider allentò la presa su di lui e lo guardò con preoccupazione.
«Era solo un incubo.» ripeté, mentre lasciava le sue spalle e si sistemava gli occhiali sul naso «Mi sente?».
Il paziente annuì, muovendo appena il capo, il respiro ancora affannoso.
«Bene, okay, ora provi a calmarsi, per favore...».
Semir chiuse gli occhi, ma li riaprì immediatamente per evitare che le immagini del sogno tornassero prepotenti alla sua mente.
«Allora, come si sente stamattina?» domandò il medico, mentre selezionava qualcosa sui monitor accanto al letto.
«Vorrei... io vorrei vedere mia moglie...» sussurrò Semir, cercando con il dottore un contatto visivo.
L’uomo lo scrutò da dietro le lenti sottili, poi sospirò leggermente.
«Non può alzarsi dal letto ispettore, mi dispiace.».
«La prego... io vorrei...».
Schneider lo interruppe ancora prima che lui potesse finire la frase «Deve rimanere completamente immobile per ora.» spiegò, assertivo «Tra qualche giorno ne riparleremo, va bene?».
Semir scosse il capo, con l’ansia dipinta sul viso «E se... se tra qualche giorno lei sarà... se morirà?».
Il medico annuì, comprensivo «Ispettore, comprendo la sua preoccupazione, ma mi creda, ora non è fattibile che lei metta piede fuori da questo letto. Sua moglie ha dimostrato una forza non comune, è ancora viva nonostante ogni medico che abbia preso parte al suo caso avesse scommesso il contrario. Per cui ora mi dia retta, si riposi...».
Il poliziotto spostò lo sguardo da un’altra parte, non replicò.
Sapeva che non sarebbe servito e sapeva perfettamente che da solo non sarebbe mai riuscito a muoversi.
Guardò per un po’ l’uomo in camice bianco che si accingeva a fare altri controlli su di lui, poi si sforzò ancora di parlare.
«Senta... non potrò camminare mai più?».
Chris Schneider esitò parecchi secondi prima di rispondere.
«Ispettore...».
«Vorrei la verità.».
Il medico annuì, pur facendo una certa fatica a guardare il suo paziente negli occhi. Dopo tanti anni, ancora non si era abituato a comunicare determinate notizie. Non ci si sarebbe abituato mai.
«Oltre alla frattura del bacino, lei ha subìto una lesione a carico delle vertebre lombari, a causa di quella colonna sotto la quale è rimasto schiacciato... il chirurgo ortopedico ha dovuto prima occuparsi del bacino perché lei stava andando in shock emorragico e altrimenti sarebbe morto, ma quando ha potuto occuparsi della lesione vertebrale...».
«Dottore...».
«La lesione ha portato alla perdita della funzionalità motoria delle gambe e del bacino, ispettore. Nel momento in cui era chiaro che fossero coinvolti anche i nervi sono subentrato io, ho provato a intervenire, ma purtroppo... nemmeno io ero sicuro di quale sarebbe stato l’esito dell’intervento prima che lei si svegliasse. Ora sappiamo che la lesione è incompleta, quindi recupererà la sensibilità, ma non la funzionalità motoria, appunto.».
«Quindi non... non camminerò mai più?».
Il dottor Schneider scosse il capo, senza avere il coraggio di aggiungere altro.
Semir spostò lo sguardo sulla parete spoglia, allontanandolo da quello del medico.
Avrebbe voluto gridare finché avesse avuto fiato.
Avrebbe voluto solo gridare.
E poi chiudere gli occhi e, come per magia, non svegliarsi più.

Quando Schneider uscì dalla stanza del suo paziente, si sentì improvvisamente esausto ed ebbe bisogno di sedersi. Si lasciò cadere su una sedia nel corridoio, sentendosi come se tutte le forze lo avessero abbandonato da un momento all’altro.
Quell’uomo gli ricordava tanto se stesso, solo qualche anno prima.
Sospirò, passandosi una mano sugli occhi stanchi e togliendosi gli occhiali, per poi pulirne maniacalmente le lenti con un lembo del camice.
Vide Lisa, la specializzanda, percorrere il corridoio verso di lui, e si alzò per aggiornarla sulle condizioni del paziente.
Andandole incontro urtò contro un uomo, di cui notò soltanto i ricci capelli color carota.

Margaret si rannicchiò di più sul divano, tirando a sé le ginocchia, senza smettere di scrivere.
Di tanto in tanto si fermava, assorta, davanti alla pagina virtuale aperta sullo schermo del piccolo portatile, rimaneva immobile a pensare e poi riprendeva a battere veloce le dita sulla tastiera.
Trasalì non appena sentì il tocco dietro di sé, ma si rilassò immediatamente non appena Ben cominciò a massaggiarle delicatamente le spalle, rimanendo in piedi dietro alla spalliera del divano.
«Scrivi già?» domandò, con uno sbadiglio.
Maggie lanciò un’occhiata all’orologio e sorrise.
Era la prima volta da quando Semir era finito in ospedale, che il ragazzo si concedeva qualche ora di sonno in più. Erano le nove del mattino.
«Diciamo che ho parecchia ispirazione.» rispose lei, salvando e chiudendo il foglio di Word su cui stava lavorando «E ho anche stabilito quale sarà il finale del romanzo. Però non puoi leggere fino a che non ho finito.» ribadì, voltandosi verso di lui e lasciandogli un leggero bacio sulle labbra.
Ben sorrise. Solo con lei riusciva a sorridere.
«Dovrei prepararmi e andare in ospedale da Semir.» disse, rabbuiandosi immediatamente.
La psicologa annuì, alzandosi dal divano e avvicinandosi al piano della cucina per preparare il caffè.
«Prendiamo un caffè prima, ti va?».
«Certo.» rispose il poliziotto, togliendo da una delle sedie della cucina la giacca che aveva indossato nei giorni precedenti e che aveva lasciato lì la sera prima.
La appese nell’ingresso e poi si diresse nuovamente in cucina, ma quando rientrò nella stanza trovò Margaret ferma sulla soglia, con un biglietto piegato in quattro tra le mani.
«Ti è caduto dalla tasca della giacca.» disse lei, porgendoglielo e domandandogli tacitamente di che cosa si trattasse.
Ben sospirò, rabbuiandosi ancora di più e sedendosi al tavolo, rigirandosi il biglietto tra le mani senza accennare ad aprirlo.
«Niente... non è niente.» mormorò poi, posandolo al centro del ripiano.
Maggie lo guardò corrucciando la fronte, poi versò il caffè fumante e gliene porse una tazza.
«Niente sarebbe?».
Il giovane poliziotto esitò qualche attimo ancora.
«Me lo ha dato Keller, tre giorni fa, prima che lo riportassero in carcere.» confessò infine.
«E che c’è scritto?» chiese subito la ragazza, incuriosita.
Ma rimase stupita davanti all’occhiata eloquente che le lanciò Ben.
«Non l’hai letto?» intuì «Perché?».
L’ispettore scrollò le spalle «Non potremmo... aspettare un po’ prima di leggerlo?».
Lei annuì, poco convinta, sorseggiando piano la propria bevanda calda.
«Sai Maggie...» aggiunse Ben, in un sussurro «Non voglio leggerlo adesso perché... io non ho idea di che cosa quell’uomo possa avervi scritto, ma potrei aspettarmi di tutto da uno come Friedrich Keller. E io... io ora non voglio correre il rischio di poter provare pietà per lui. Non lo sopporterei.».


Il ragazzo dai capelli rossi entrò cautamente nella stanza, guardandosi intorno come se mostri inferociti potessero saltare fuori e aggredirlo da un momento all’altro.
Semir, spostando lo sguardo nella sua direzione, si stupì. Era la prima visita che riceveva al di fuori di quelle di Ben e di Aida. E non seppe neanche se esserne felice o meno.
«Hartmut?» mormorò, stringendo gli occhi. La testa gli martellava.
Il tecnico della scientifica sorrise, andando a prendere posto sulla sedia accanto al letto.
«Ehi Semir... spero di non disturbarti, volevo solo farti un salutino. Sai, entrando in ospedale mi sono imbattuto in un paio di medici che trasportavano un nuovo ecografo... Sai come funziona? La frequenza degli ultrasuoni utilizzati dovrebbe sempre essere maggiore di 20 KHz, ma è scelta tenendo in considerazione che frequenze maggiori hanno maggiore potere risolutivo dell'immagine, ma penetrano meno in profondità nel soggetto. Le onde sono generate da un cristallo piezoelettrico inserito in una sonda che permette agli ultrasuoni di penetrare nel segmento anatomico esaminato e poi anche di raccogliere il segnale di ritorno, che poi...».
«Hartmut...» lo interruppe Semir, con un filo di voce «Perché... perché mi stai spiegando come funziona un ecografo?».
Hartmut si bloccò, rimanendo per qualche istante in silenzio, a pensare.
«In realtà... non lo so. È che, sai, mi mancavano un po’ le tue interruzioni.».
L’ispettore sorrise: quel ragazzo era un vero disastro. Un genio, ma pur sempre un disastro.
«La verità, Semir, è che io non sono bravo con le parole se non si tratta di parole tecniche.» continuò Hartmut, spostando lo sguardo sul pavimento sotto di sé «Però volevo dirti che ci sono, se hai bisogno. Voglio dire, non sarò bravo a parlare ma posso sempre ascoltare.».
«Grazie, Einstein.».
«Stai male, Semir?» chiese il tecnico, vedendo che l’altro stringeva gli occhi e faceva fatica a tenerli aperti.
«Ho solo... mal di testa.».
«Okay, ti lascio riposare. Passerò nei prossimi giorni. Mi raccomando, sbrigati a guarire...».
Semir annuì, accompagnando con lo sguardo Hartmut mentre usciva dalla stanza.
Poi, finalmente, chiuse gli occhi.
Aveva bisogno di dormire, anche se aveva una paura terribile che gli incubi lo assalissero ancora.

 

N.d.A.
Sarà l’aria natalizia a farmi aggiornare così velocemente, con una storia che di natalizio ha ben poco?
Sono capitoli lenti, lo so, spero non li troviate noiosi, ma non volevo tralasciare nulla del “dopo”...
Un abbraccio e ufficialmente buon Natale!
Sophie

  
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