Dal capitolo precedente:
"«Che
cosa vuoi sentirti dire, Ben?».
Il ragazzo sospirò «Niente, Semir, vorrei solo
poterti aiutare.».
«Allora... pensa ad Aida, Ben.» rispose
l’altro, in un sussurro «Pensa ad Aida
perché... non voglio che si senta sola e io... io non posso
aiutarla. Quindi
pensa ad Aida...».
Ben annuì, piano.
«Non ti preoccupare, socio. La tua principessa non
sarà mai sola.»."
Incubi
GIORNO 31.
Sopravviviamo. Noi sopravviviamo.
Una risata amara, un pianto femminile in sottofondo.
Una bambina, era una bambina che piangeva.
E poi quegli occhi grigi, sempre più vicini, sempre
più assetati di vendetta.
Noi sopravviviamo.
Sangue. C’era sangue sul pavimento polveroso, c’era
sangue sulle pareti, sangue
su quei corpi distesi, sangue su di lei...
E poi pietre, una pioggia di pietre che cadevano dall’alto.
Il pianto continuava, sempre più forte, ma la voce tagliente
non voleva saperne
di smettere di parlare. Quegli occhi grigi non smettevano di
avvicinarsi.
Sopravviviamo.
Il pianto si trasformava in grida, di dolore, di paura.
Grida terribili.
E lacrime.
Semir
spalancò le palpebre
all’improvviso, gridando.
Due mani salde lo tenevano immobile per le spalle.
«Ispettore, ispettore si calmi!».
Ma lui continuò a gridare, il terrore negli occhi, provando
a divincolarsi da
quella stretta nonostante il dolore a ogni parte del corpo. Sudava
freddo.
«Ispettore, la prego, si calmi. Era solo un incubo... solo un
brutto sogno.».
Lentamente, la visione gli si fece nitida.
Semir si zittì e smise di muoversi, provando a far tornare
il proprio respiro
regolare.
Chris Schneider allentò la presa su di lui e lo
guardò con preoccupazione.
«Era solo un incubo.» ripeté, mentre
lasciava le sue spalle e si sistemava gli
occhiali sul naso «Mi sente?».
Il paziente annuì, muovendo appena il capo, il respiro
ancora affannoso.
«Bene, okay, ora provi a calmarsi, per favore...».
Semir chiuse gli occhi, ma li riaprì immediatamente per
evitare che le immagini
del sogno tornassero prepotenti alla sua mente.
«Allora, come si sente stamattina?»
domandò il medico, mentre selezionava
qualcosa sui monitor accanto al letto.
«Vorrei... io vorrei vedere mia moglie...»
sussurrò Semir, cercando con il
dottore un contatto visivo.
L’uomo lo scrutò da dietro le lenti sottili, poi
sospirò leggermente.
«Non può alzarsi dal letto ispettore, mi
dispiace.».
«La prego... io vorrei...».
Schneider lo interruppe ancora prima che lui potesse finire la frase
«Deve
rimanere completamente immobile per ora.» spiegò,
assertivo «Tra qualche giorno
ne riparleremo, va bene?».
Semir scosse il capo, con l’ansia dipinta sul viso
«E se... se tra qualche
giorno lei sarà... se morirà?».
Il medico annuì, comprensivo «Ispettore, comprendo
la sua preoccupazione, ma mi
creda, ora non è fattibile che lei metta piede fuori da
questo letto. Sua
moglie ha dimostrato una forza non comune, è ancora viva
nonostante ogni medico
che abbia preso parte al suo caso avesse scommesso il contrario. Per
cui ora mi
dia retta, si riposi...».
Il poliziotto spostò lo sguardo da un’altra parte,
non replicò.
Sapeva che non sarebbe servito e sapeva perfettamente che da solo non
sarebbe
mai riuscito a muoversi.
Guardò per un po’ l’uomo in camice
bianco che si accingeva a fare altri
controlli su di lui, poi si sforzò ancora di parlare.
«Senta... non potrò camminare mai
più?».
Chris Schneider esitò parecchi secondi prima di rispondere.
«Ispettore...».
«Vorrei la verità.».
Il medico annuì, pur facendo una certa fatica a guardare il
suo paziente negli
occhi. Dopo tanti anni, ancora non si era abituato a comunicare
determinate
notizie. Non ci si sarebbe abituato mai.
«Oltre alla frattura del bacino, lei ha subìto una
lesione a carico delle
vertebre lombari, a causa di quella colonna sotto la quale è
rimasto
schiacciato... il chirurgo ortopedico ha dovuto prima occuparsi del
bacino
perché lei stava andando in shock emorragico e altrimenti
sarebbe morto, ma
quando ha potuto occuparsi della lesione vertebrale...».
«Dottore...».
«La lesione ha portato alla perdita della
funzionalità motoria delle gambe e
del bacino, ispettore. Nel momento in cui era chiaro che fossero
coinvolti
anche i nervi sono subentrato io, ho provato a intervenire, ma
purtroppo...
nemmeno io ero sicuro di quale sarebbe stato l’esito
dell’intervento prima che
lei si svegliasse. Ora sappiamo che la lesione è incompleta,
quindi recupererà
la sensibilità, ma non la funzionalità motoria,
appunto.».
«Quindi non... non camminerò mai
più?».
Il dottor Schneider scosse il capo, senza avere il coraggio di
aggiungere
altro.
Semir spostò lo sguardo sulla parete spoglia, allontanandolo
da quello del
medico.
Avrebbe voluto gridare finché avesse avuto fiato.
Avrebbe voluto solo gridare.
E poi chiudere gli occhi e, come per magia, non svegliarsi
più.
Quando
Schneider uscì dalla
stanza del suo paziente, si sentì improvvisamente esausto ed
ebbe bisogno di
sedersi. Si lasciò cadere su una sedia nel corridoio,
sentendosi come se tutte
le forze lo avessero abbandonato da un momento all’altro.
Quell’uomo gli ricordava tanto se stesso, solo qualche anno
prima.
Sospirò, passandosi una mano sugli occhi stanchi e
togliendosi gli occhiali,
per poi pulirne maniacalmente le lenti con un lembo del camice.
Vide Lisa, la specializzanda, percorrere il corridoio verso di lui, e
si alzò
per aggiornarla sulle condizioni del paziente.
Andandole incontro urtò contro un uomo, di cui
notò soltanto i ricci capelli
color carota.
Margaret
si rannicchiò di più sul
divano, tirando a sé le ginocchia, senza smettere di
scrivere.
Di tanto in tanto si fermava, assorta, davanti alla pagina virtuale
aperta
sullo schermo del piccolo portatile, rimaneva immobile a pensare e poi
riprendeva a battere veloce le dita sulla tastiera.
Trasalì non appena sentì il tocco dietro di
sé, ma si rilassò immediatamente
non appena Ben cominciò a massaggiarle delicatamente le
spalle, rimanendo in
piedi dietro alla spalliera del divano.
«Scrivi già?» domandò, con
uno sbadiglio.
Maggie lanciò un’occhiata all’orologio e
sorrise.
Era la prima volta da quando Semir era finito in ospedale, che il
ragazzo si
concedeva qualche ora di sonno in più. Erano le nove del
mattino.
«Diciamo che ho parecchia ispirazione.» rispose
lei, salvando e chiudendo il
foglio di Word su cui stava lavorando «E ho anche stabilito
quale sarà il
finale del romanzo. Però non puoi leggere fino a che non ho
finito.» ribadì,
voltandosi verso di lui e lasciandogli un leggero bacio sulle labbra.
Ben sorrise. Solo con lei riusciva a sorridere.
«Dovrei prepararmi e andare in ospedale da Semir.»
disse, rabbuiandosi
immediatamente.
La psicologa annuì, alzandosi dal divano e avvicinandosi al
piano della cucina
per preparare il caffè.
«Prendiamo un caffè prima, ti va?».
«Certo.» rispose il poliziotto, togliendo da una
delle sedie della cucina la
giacca che aveva indossato nei giorni precedenti e che aveva lasciato
lì la
sera prima.
La appese nell’ingresso e poi si diresse nuovamente in
cucina, ma quando
rientrò nella stanza trovò Margaret ferma sulla
soglia, con un biglietto
piegato in quattro tra le mani.
«Ti è caduto dalla tasca della giacca.»
disse lei, porgendoglielo e
domandandogli tacitamente di che cosa si trattasse.
Ben sospirò, rabbuiandosi ancora di più e
sedendosi al tavolo, rigirandosi il
biglietto tra le mani senza accennare ad aprirlo.
«Niente... non è niente.»
mormorò poi, posandolo al centro del ripiano.
Maggie lo guardò corrucciando la fronte, poi
versò il caffè fumante e gliene
porse una tazza.
«Niente sarebbe?».
Il giovane poliziotto esitò qualche attimo ancora.
«Me lo ha dato Keller, tre giorni fa, prima che lo
riportassero in carcere.»
confessò infine.
«E che c’è scritto?» chiese
subito la ragazza, incuriosita.
Ma rimase stupita davanti all’occhiata eloquente che le
lanciò Ben.
«Non l’hai letto?» intuì
«Perché?».
L’ispettore scrollò le spalle «Non
potremmo... aspettare un po’ prima di
leggerlo?».
Lei annuì, poco convinta, sorseggiando piano la propria
bevanda calda.
«Sai Maggie...» aggiunse Ben, in un sussurro
«Non voglio leggerlo adesso
perché... io non ho idea di che cosa quell’uomo
possa avervi scritto, ma potrei
aspettarmi di tutto da uno come Friedrich Keller. E io... io ora non
voglio
correre il rischio di poter provare pietà per lui. Non lo
sopporterei.».
Il
ragazzo dai capelli rossi entrò cautamente nella stanza,
guardandosi intorno
come se mostri inferociti potessero saltare fuori e aggredirlo da un
momento
all’altro.
Semir, spostando lo sguardo nella sua direzione, si stupì.
Era la prima visita
che riceveva al di fuori di quelle di Ben e di Aida. E non seppe
neanche se
esserne felice o meno.
«Hartmut?» mormorò, stringendo gli
occhi. La testa gli martellava.
Il tecnico della scientifica sorrise, andando a prendere posto sulla
sedia
accanto al letto.
«Ehi Semir... spero di non disturbarti, volevo solo farti un
salutino. Sai,
entrando in ospedale mi sono imbattuto in un paio di medici che
trasportavano
un nuovo ecografo... Sai come funziona? La frequenza degli ultrasuoni
utilizzati dovrebbe sempre essere maggiore di 20 KHz, ma è
scelta tenendo in
considerazione che frequenze maggiori hanno maggiore potere risolutivo
dell'immagine, ma penetrano meno in profondità nel soggetto.
Le onde sono
generate da un cristallo piezoelettrico inserito in una sonda che
permette agli
ultrasuoni di penetrare nel segmento anatomico esaminato e poi anche di
raccogliere il segnale di ritorno, che poi...».
«Hartmut...» lo interruppe Semir, con un filo di
voce «Perché... perché mi stai
spiegando come funziona un ecografo?».
Hartmut si bloccò, rimanendo per qualche istante in
silenzio, a pensare.
«In realtà... non lo so. È che, sai, mi
mancavano un po’ le tue interruzioni.».
L’ispettore sorrise: quel ragazzo era un vero disastro. Un
genio, ma pur sempre
un disastro.
«La verità, Semir, è che io non sono
bravo con le parole se non si tratta di
parole tecniche.» continuò Hartmut, spostando lo
sguardo sul pavimento sotto di
sé «Però volevo dirti che ci sono, se
hai bisogno. Voglio dire, non sarò bravo
a parlare ma posso sempre ascoltare.».
«Grazie, Einstein.».
«Stai male, Semir?» chiese il tecnico, vedendo che
l’altro stringeva gli occhi
e faceva fatica a tenerli aperti.
«Ho solo... mal di testa.».
«Okay, ti lascio riposare. Passerò nei prossimi
giorni. Mi raccomando, sbrigati
a guarire...».
Semir annuì, accompagnando con lo sguardo Hartmut mentre
usciva dalla stanza.
Poi, finalmente, chiuse gli occhi.
Aveva bisogno di dormire, anche se aveva una paura terribile che gli
incubi lo
assalissero ancora.
N.d.A.
Sarà l’aria natalizia a farmi aggiornare
così velocemente, con una storia che
di natalizio ha ben poco?
Sono capitoli lenti, lo so, spero non li troviate noiosi, ma non volevo
tralasciare nulla del “dopo”...
Un abbraccio e ufficialmente buon Natale!
Sophie