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Autore: Florence    24/12/2018    2 recensioni
Scoprirsi, perdersi e ritrovarsi oltre il tempo, oltre il dolore, oltre una lontananza che strappa l'anima.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 32 - Drops of life

L’odore del caffè appena fatto si insinuò tra i sogni di Marinette; aprì lentamente gli occhi. C’era luce tutto intorno e inizialmente non riuscì a capire dove si trovasse. Si guardò attorno e comprese che era stesa sul divano della sua nuova casa, coperta con il plaid imbottito che aveva traslocato solo pochi giorni prima.

Come mai era lì? Non ricordava di essersi addormentata, ma era certa che fosse stato tra le braccia di Adrien.

Si tirò su lentamente, cercando di non spezzare quel silenzio magico che aleggiava nell’appartamento, sentiva il cuore gonfio di emozione e di pace.

Un rumore di stoviglie, proveniente dalla cucina, le confermò di non essere sola.

-Adrien?-, chiamò con voce arruffata, immaginando che invece si fosse trattato solo di Tikki.

-Eccomi-, la voce precedette di pochi attimi il giovane, che uscì dalla cucina con un vassoio in mano: c’erano due tazzine di caffè fumante, due cucchiaini e la zuccheriera; -Buongiorno…-, la salutò e si avvicinò a lei, posando sul tavolino da fumo quello che aveva preparato.

Marinette dovette sbattere due volte le palpebre: Adrien indossava solo una maglietta bianca e i pantaloni della sera prima, aveva i capelli sciolti, che gli sfioravano le spalle e si era rasato il viso. La giovane si rese conto che lo stava fissando con la bocca aperta, incredula per quella meraviglia. Lanciò un’occhiata fugace ai suoi abiti: aveva ancora addosso il vestito di maglia della festa e si sentiva gli occhi appiccicosi, segno che non doveva essersi struccata. Piano piano, come in un lungo flash-back, ricordò tutto quello che era accaduto tra loro.

-Vuoi farti una doccia e metterti comodo?-, gli aveva domandato a un certo punto, indicando lo zaino che lui aveva portato con sé.

-D’accordo-, le aveva risposto; considerato che aveva dietro un cambio di biancheria e una piccola trousse da viaggio, gli pareva la scelta migliore, nell’ottica di rispettare la sua promessa e rimanere con lei.

-Ti prendo gli asciugamani-, si era offerta Marinette ed era tornata poco dopo con alcune cose che avrebbero potuto fargli comodo: asciugamani, una maglietta bianca abbastanza grande per lui, una felpa extralarge nera con il cappuccio.

-Grazie-, nel prendere quelle cose, l’aveva stretta a sé e baciata sulla testa, -Faccio veloce-, aveva assicurato e Marinette era tornata in cucina, a sistemare, con il cuore che martellava forte forte nel petto.

Adrien era stato di parola, aveva fatto una doccia veloce e si era tamponato i capelli che, una volta riapparso in salotto, apparivano lunghi e sconvolti: in una parola, meravigliosi.

-Credo che dobbiamo parlare…-, Marinette l’aveva accolto così, seduta sul divano con le gambe strette tra loro e il musetto curioso.

-Già…-, si era seduto accanto a lei, mettendo un braccio attorno alle sue spalle e accavallando una gamba sull’altra. Era scalzo. Maledetti piedi da modello!

Avevano iniziato a parlare e parlare e parlare… Sei anni erano lunghi da riassumere in poche parole e le lettere che Marinette aveva letto non sembravano esattamente rispecchiare quelli che, anni dopo, erano i veri ricordi di Adrien. Di alcune cose aveva parlato in tono più distaccato, della fatica, delle crisi di disperazione che aveva avuto: traspariva da lui una qualche maturità acquisita nel tempo, un’aura quasi mistica di chi aveva viaggiato tanto, per capire che l’unico posto dove volesse tornare era da lei.

Uno sbadiglio, il jet-lag: Marinette lo aveva tirato per un braccio e lui si era lasciato scivolare con la testa fin sulle sue gambe e l’aveva osservata parlare dal basso, cullato dal suo respiro e dai movimenti oscillanti che lei produceva, aiutandosi con le mani per esprimere i concetti più dolorosi.

Aveva affrontato solamente di sfuggita il discorso di Nathaniel ed era arrossita, confessando però tra le righe che era capitolata dopo poco alle proposte orizzontali del ragazzo, che aveva rappresentato per lei -...quello che l’oppio, purtroppo, è stato per me: una scappatoia e la mia rovina-, aveva concluso al posto sui Adrien. Erano stati in una sintonia perfetta, quasi irreale, ma ancora nessuno aveva davvero parlato di quelli che, in cuor loro, avevano da sempre definito come “tradimenti”.

Mentre parlava, Marinette gli aveva accarezzato sovrappensiero la fronte ed era scesa tra i capelli che si erano ormai asciugati, mentre teneva l’altra mano sul cuore di Adrien. Erano così vicini, così intimi, eppure nessuno dei due aveva fatto una mossa di più, nessuno aveva osato varcare la soglia che entrambi agognavano da anni.

Poi, a un certo punto, Adrien era crollato addormentato tra le sue braccia, Marinette aveva afferrato un plaid dalla cesta in vimini che stava tra il divano e la poltrona e lo aveva coperto, beandosi della sua immagine, riempiendosi la mente di quel tesoro che aveva addosso. Si era chinata per baciarlo sulla bocca, ma non l’aveva fatto: non era così che avrebbe dovuto farlo. Aveva sorriso e si era appoggiata con la testa all’indietro, sullo schienale imbottito.

Era stanco, Adrien, aveva viaggiato per due giorni consecutivi, dopo altri due giorni di viaggio intervallati soltanto da un breve, ma difficile compito che lo aveva atteso a Lhasa. Le aveva confessato che non riusciva più a dormire bene da anni, ci metteva tanto ad addormentarsi e si svegliava spesso, sudato, senza ricordare nulla dei suoi incubi.

Marinette aveva guardato il piccolo peluche che Adrien aveva con sé al momento che era arrivato: lo aveva preso per Nino e Alya, pensando di trovarli in quella casa. Era stato più gentile di lei, che non aveva preso nulla per la sua amica.

E dopo anche lei doveva essersi addormentata, non aveva idea di quando fosse potuto accadere e si era risvegliata lì, sistemata e coperta a dovere.

-Wow…-, disse semplicemente, scoccandogli un’occhiata in tralice e prendendo la tazzina, mentre con l’altra mano indicava il suo viso.

Lui portò una mano alla nuca, imbarazzato: si era dato una sistemata per lei, era inutile negarlo: -Avevo un rasoio usa e getta… sai i kit che danno in aereo…-, tentò di spiegare.

-Sei stato bravo a districarti in tutta quella barba, allora… Credevo che gli Agreste avessero il barbiere personale, pronto ai piedi del letto ogni mattina-, gli fece l’occhiolino e lo vide sorridere, scuotendo la testa piano, per la battuta.

-No, mi dispiace deluderti-, si sedette accanto a lei e prese il suo caffè.

-Zucchero?-, chiesero in contemporanea.

-No, amaro-, risposero in coro e scoppiarono a ridere. Era la cosa più bella… casa, luce, calma, famiglia…

-Se non te le sei già finite tutte, dovrebbero esserci anche delle pastine di mio padre, di là-, propose Marinette.

-Ho controllato: c’è un solo croissant alla fragola… che si fa?-, Adrien la guardò, posando la tazzina vuota sul vassoio e si inclinò avvicinandosi su di lei, che avvampò e si affrettò a posare la sua, prima che cadesse dimenticata sul tappeto.

-A...drien…-, ce l’aveva ormai quasi addosso, a dividerli solo il plaid che Marinette non aveva ancora tolto.

-Ti prego…-, la voce di lui era quasi un lamento, mentre le passava una mano tra i capelli, tirandoli indietro, -Ti prego…-

Non ce la faceva più… l’aveva guardata dormire troppo a lungo, era tornato a farsi una doccia fredda, aveva pensato di ammazzare il tempo tagliandosi la barba, si era asciugato, rivestito, aveva fatto il caffè, ma voleva solo lei, la voleva da troppo tempo. L’aveva quasi baciata, una manciata di minuti prima, ma si era fermato perché voleva che lei ne fosse consapevole.

Marinette sentì il cuore balzare fuori dal petto, la vicinanza era troppa, oh cavolo… Sei anni di attesa per avere un bacio da lui e… Oh, Cavolo!

Afferrò i suoi capelli lunghi, vi affondò le mani, prese la sua testa e sì, pregami ancora, pensò, mentre si gettava su quelle labbra che non aveva mai scordato.

E se lo prese, quel bacio, disperato, magico, violento eppure dolcissimo, si lasciò stringere e buttare giù e sentì il peso del suo Adrien sopra di lei, si scostò per invertire le loro posizioni e gli montò a cavalcioni sopra, senza staccare la bocca, la lingua. I capelli dell’uno sul volto dell’altra e viceversa, le labbra che si staccavano e tornavano a cercarsi, morsi, brevi sguardi liquidi, sangue e passione e assenza di dolore. Un bacio maturo, così diverso dall’ultimo che ricordava.

Adrien scivolò con la bocca più giù, sfiorando ogni centimetro della sua pelle, inspirando il suo profumo, sentendo il petto alzarsi e abbassarsi e la baciò ancora, sulle clavicole evidenti, sul collo morbido, fino all’attaccatura dei seni sodi, maledettamente sensuali, mentre teneva le mani sulle cosce di Marinette, coperte solo dal velo sottile dei collant che indossava, e la tirava a sé.

-Adrien…-, sfuggì alle labbra di lei, mentre la voglia che conservava da troppi anni la scioglieva dentro e fluiva nel suo corpo, in ogni centimetro di pelle. Si lasciò baciare e tenne stretta la testa bionda, intrecciando le dita nei capelli lunghi, strusciandosi, prendendo fuoco.

Lo voleva, voleva tutto di lui, voleva che il sogno non finisse mai.

Fu in quel momento che il campanello di casa squillò e non fu possibile ignorarlo.

-Mi dispiace…-, Marinette si tirò su rossa in viso, avrebbe volentieri ucciso chiunque aveva interrotto quel momento, senza esclusione. Barcollò scalza fino alla porta lanciando un’occhiata languida ad Adrien, rimasto seduto con la testa crollata sullo schienale e le braccia larghe. Alzò la cornetta del citofono e chiese chi fosse, prima di aprire il portone dabbasso, con il pulsante.

-Tesoro, sono qua-, la voce di Nathaniel la sorprese al di là del legno della porta, accompagnata da tre colpetti veloci.

Maledizione…

Marinette socchiuse la porta, giusto il necessario per fare capolino: -Nath, che ci fai qua?-, domandò non riuscendo a nascondere del tutto la sua irritazione.

-Ho dimenticato lo zaino…-, la squadrò per quel che poteva vedere di lei: -Ma… ehi! Che ti è successo?-, le domandò corrucciandosi, vedendo che la giovane non si era cambiata dalla sera precedente, aveva il trucco scomposto, i capelli arruffati e soprattutto gli occhi lucidi e le guance rosse…

-Nath, per favore, prendi il tuo zaino e vai-, Marinette afferrò l’oggetto che era ancora vicino alla porta di casa e glielo passò, tenendo il braccio teso davanti a sé, senza invitarlo ad entrare, tenendo ben ferma la porta, da cui, se fosse stata aperta, si sarebbe visto immediatamente il divano del salotto.

Il suo ex prese lo zaino e la sua espressione si fece d’improvviso seria, quando un pensiero balenò nella sua testa: quando Marinette gli aveva comunicato che sarebbe andata a vivere da sola, alla luce di quello che lei gli aveva raccontato tempo addietro e di come sembrava disperata solo poche ore prima, sul terrazzo di quella casa, aveva avuto il sottile terrore che, una volta sola, la donna avrebbe potuto fare qualche sciocchezza. -Va tutto bene? Marinette?-, domandò veementemente, mettendo una mano aperta sulla porta, per controllare che non ci fossero stati problemi.

-Sì, Nath, va tutto bene. Ti ho detto prendi il tuo zaino e vai-, dentro casa, Adrien urtò il tavolino, muovendosi e le tazzine tintinnarono.

-Chi c’è lì? Tesoro, te lo richiedo: è tutto ok qua dentro?-, curiosità mista a preoccupazione, un mix letale si era preso la mente di Nathaniel.

-È tutto ok. Per favore, Nath, adesso vai!-, troppa agitazione, Marinette stava nascondendo qualcosa… Il giovane provò a spingere per aprire la porta ed entrare, ma trovò resistenza.

-Nath, adesso basta, sono affari miei. Torna da Paul-, Marinette fu più forte e chiuse la porta in faccia al suo ex, nel momento in cui Adrien l’aveva raggiunta, sfiorandole con una mano il fianco. Marinette tremava.

-Era lui?-, le domandò, facendola voltare: la giovane aveva il viso contratto, si chiuse a riccio nelle spalle e incrociò le braccia al petto. Vedere la reazione che aveva avuto per quell’intrusione lasciò Adrien perplesso e una sensazione di rabbia lo sfiorò.

Marinette si allontanò ed entrò in cucina per prendere un bicchier d’acqua. Era rimasta in silenzio, senza rispondergli. Bevve e posò il bicchiere nel lavello, rimanendovi ferma davanti con le mani inchiodate al bordo e la testa infossata tra le spalle.

-Marinette…?-, Adrien l’aveva seguita, deciso a mettere da parte le sue furie vendicative delle quali si era alimentato per un tempo immemore, anni prima.

-Adrien… credo che dovremmo parlare…-, la voce della donna era seria, quasi rassegnata. Si avvicinò a lei, le mise una mano sulla spalla, come per chiamarla verso di sé, -Sì, hai ragione-, ammise e la fece voltare.

-Sediamoci-

***

-Lo ammazzo…-

-Calmo… evidentemente Pomodoro ci tiene alla mia Marinette-, Tikki aveva afferrato la coda di Plagg. Erano rimasti chiusi in camera da letto dalla sera prima e avevano potuto raccontarsi tutto quello che si erano persi in quegli anni di separazione.

-Ci tiene come a qualcosa su cui un gatto abbia marcato il territorio!-, sbraitò.

-Shhhh, non disturbiamoli anche noi, per favore!-

Plagg si voltò verso la kwami rossa: aveva ragione. Si sedette a mezz’aria, accavallando le zampette e incrociando le braccine.

-E noi che si fa?-, domandò, sentendo che la fame stava per diventare insopportabile.

-Entriamo nel frigo da dietro, magari qualcosa per te c’è-, propose Tikki, precedendolo attraverso l’armadio e il muro che divideva le due stanze.

-Ti adoro quando sei così intraprendente, zollettina di zucchero!-

***

-Sono stata per anni senza pensare a nessun ragazzo, finché Alya non mi ha organizzato quell’incontro con Nathaniel-, iniziò Marinette, provando un senso di vergogna graffiante, -E lui… lui era così gentile, brillante… anche se io l’ho preso in giro, sapendo che non avevo alcun interesse per lui… alla fine ci siamo baciati-, le guance erano rosse e lo sguardo basso, sulle ginocchia piegate.

-Non c’è nulla di male-, Adrien, sulla poltrona, conosceva già il seguito della storia e cercava di essere il più diplomatico possibile: in seguito sarebbe toccato a lui raccontare tutto quello che aveva fatto e non aveva intenzione di mentire.

-Ho sbagliato nei miei confronti: ero sola e disperata e ho pensato bene di tapparmi gli occhi e mettere da parte il mio cuore, lasciando che lui mi “salvasse” dalla mia condizione-, alzò lo sguardo: -Ho avuto paura di rimanere per sempre sola, che nessun altro mi avrebbe voluta: Nathaniel mi è apparso come la mia ultima possibilità-. Quant’era stata sciocca, a posteriori.

-Sono sicuro che invece avevi la fila di ragazzi a cui interessavi-, si lasciò sfuggire Adrien.

Marinette lo guardò piegando la testa e sospirando; era doloroso ripercorrere proprio con lui quel percorso e le sue scelte sbagliate, ma le avrebbe fatto bene farlo, lo capiva.

-Ci siamo visti altre volte da soli, dopo quell’incontro: lui mi ha portato delle rose, mi ha regalato un quaderno con i suoi disegni e degli orecchini-.

Se lo ricordava di quella volta: -No, grazie, non posso accettarli-, gli aveva risposto senza tentennamenti, -I miei non li voglio levare per nessun motivo-, gli aveva sorriso e preso la sua mano, tirandolo verso di sé: -Ma se vuoi posso farmi perdonare in qualche altro modo…-

Era stato allora che, dopo una salita in ascensore verso l’appartamento di lui, fatta di baci, mani che si infilavano ovunque e gemiti, lei gli si era concessa, in cambio di un regalo negato per non perdere la sua vera identità.

-Capisco…-, Adrien cercava di non dare a vedere che era molto, molto irritato da quella storia e si sforzava di non immaginare la sua Marinette tra le braccia di quell’individuo che aveva sempre poco sopportato, nonostante il suo carattere benevolo. Ma voleva sapere a tutti i costi una cosa, era una questione meschina, ma doveva saperlo.

-E ti è… Cioè… hai sentito…-, cosa cazzo stava chiedendole!?

-No, non mi è piaciuto. E sì, ho sentito male, molto male. Soprattutto male alla mia dignità, che ho calpestato e che ho messo nelle mani di…-, una lacrima scivolò rigandole la guancia di nero. La strusciò via con la mano e vide la macchia.

-Adrien, scusami, devo andare in bagno-, si alzò senza attendere repliche e si chiuse in bagno, dove armeggiò non poco aprendo e chiudendo l’acqua, sbattendo e colpendo qua e là.

-Tikki!-, chiamò a un certo punto e Adrien si avvicinò preoccupato alla porta.

-Hai bisogno?-, le domandò attraverso il legno.

-Adrien… no, scusami… chiamami Tikki… volevo cambiarmi e non ho abiti e…-

-Non importa…-, appoggiò la fronte alla porta chiusa, -Esci, dai-, la voce morbida, il tono rassegnato.

Marinette aprì la porta, mostrandosi in accappatoio e con gli occhi lucidi. Aveva tolto il trucco e Adrien rivide in un flash la ragazzina imbranata che sedeva dietro a lui, nella classe al College. Le sorrise e non resistette dall’abbracciarla.

-Permesso…-, Marinette era in imbarazzo: a dividerla dal suo Adrien c’erano solo l’accappatoio e degli slip. Ah, no: anche l’assorbente!!!! Si maledisse per ogni singola goccia di sfortuna che, a dispetto del Miraculous di cui era portatrice, la perseguitava da sempre.

Adrien la lasciò passare, desiderando di infilarsi in camera assieme a lei. Dovette trattenersi, la vide chiudere la porta dietro a sé e uscì in terrazza, doveva prendere una boccata d’aria.

La mattina era già matura e fuori era freddo, almeno rispetto al clima a cui si era abituato negli anni precedenti. Anche Sun doveva esserne stato vittima: ricordò il messaggio di suo padre e tornò dentro, prendendo il suo cellulare.

Stranamente nessuno l’aveva ancora disturbato. Compose il numero di casa e attese.

Gli rispose Nathalie e gli disse che il piccolo si era un po’ aggravato nella notte, aveva la febbre alta, ma era già stato visto dal pediatra che aveva prescritto un antibiotico.

-Non c’è fretta che tu torni…-, gli disse prima di agganciare, ma forse Sun non la pensava proprio allo stesso modo. Quel bambino gli si era affezionato almeno quanto Adrien si era affezionato a lui e in quel momento si sentiva costretto tra due fuochi: rimanere con Marinette o andare da suo fratello?

-Eccomi-, la giovane tornò da lui, completamente cambiata. Aveva dei leggings neri e un maglione oversize dello stesso colore. Si sedette sul divano, sperando che la sua parte di tortura fosse finita. Adrien prese posto di nuovo sulla poltrona: era bellissima Marinette a quel modo, con i capelli fermati in alto con una penna: se si fosse avvicinato troppo, sarebbero finiti di nuovo come poco prima.

-E poi?-, Adrien non fu diplomatico nel porre quella domanda a bruciapelo. Marinette sbuffò contrariata e sollevò le ginocchia al petto, reggendole con le braccia.

-E poi l’abbiamo rifatto ancora, e ancora e alla fine abbiamo deciso di andare a vivere insieme e sposarci, visto che lui aveva riportato gli orecchini in gioielleria e li aveva cambiati con un anello-, fece una piccola pausa, come aveva potuto pensare una cosa simile, tre anni prima? Aveva solo diciannove anni, era una bambina e Nath era solo un ripiego. In fondo il suo tradimento l’aveva salvata.

 -Abbiamo scelto i mobili, ordinato la cucina a Ikea, comprato le poltrone, le tende… e una sera, tornando prima dal corso di design che frequentavo, sono entrata in camera e ho trovato Nath che era a letto con un altro uomo, lo baciava in un modo in cui non aveva mai baciato me, se lo...-, guardava avanti a sé, ne parlava quasi in terza persona, -se lo scopava come non aveva mai fatto con me. Allora ho capito, ho capito tutto... Ho fatto i bagagli e sono tornata a casa dai miei. Da allora sono sempre stata sola.- Si voltò verso Adrien, il suo viso era una maschera incolore.

-È tutto-, disse e tirò giù le ginocchia, -Sono stata a un passo dallo sposarmi per ripiego con un uomo che non mi amava, che aveva interessi sessuali ben diversi da me e che non mi ha mai, e dico mai, appagata. Io riuscivo a stare con lui solo perché ogni volta immaginavo di farlo con te… Però Nathaniel ci teneva a me e come hai visto ci tiene ancora, e io ci sono cascata.-

Si alzò e tornò in cucina, per bere ancora.

-In fondo sono la sua migliore amica...-, continuò, pensando di essere sola, -La migliore amica di Nath, la migliore amica di Paul, che ha preso il mio posto, la migliore amica di Alya che si sposa e aspetta Fagiolino e la migliore amica di Nino, che si sposa e ha messo incinta Alya-, sbatté il bicchiere sul piano della cucina e si voltò. Adrien la guardava corrucciato.

Non ricordava quell’aspetto di Marinette: accalorarsi e parlare da sola, perdendo quasi la ragione.

-Dimmi anche tu che sono la tua migliore amica e ho fatto full!-, una risata amara, quando si voltò e lo vide.

Adrien fece qualche passo verso di lei: -In realtà sì: vorrei poterlo dire anche io. Che sei la mia migliore amica, la mia insostituibile compagna di avventure e… chissà…-, allungò una mano al suo volto e scostò una ciocca di capelli neri scappata allo chignon improvvisato.

-Sei molto bella senza codini-, azzardò.

Marinette sorrise, un velo di sarcasmo: -Non li porto più da… credo sei anni, sai?-, incrociò le braccia al petto e tornò sul divano, precedendolo.

-Adesso tocca a te-, stabilì seria.

Era difficile scegliere da dove iniziare… Adrien si focalizzò su una macchia astratta sul tappeto e pensò con cura.

-Si chiamava Zhi-, strinse le labbra, non ne avrebbe voluto parlare, -Era una ragazza cinese di un paese dove ci eravamo fermati qualche giorno, prima di spostarci in Tibet per la prima volta. Mi ricordava tanto te...-, alzò gli occhi su Marinette e tacque. Quel silenzio si sarebbe potuto tagliare a fette; -Somigliavano tutte a te-, tornò a guardare per terra, serrò le mascelle, spostò il peso sui gomiti, fermi sulle sue ginocchia, -Ma nessuna era te-.

Questo Marinette lo sapeva già, in qualche modo, quindi non rimase scioccata da quelle confessioni, quanto dall’amarezza con cui Adrien gliele stava facendo. Ma doveva concedere anche a lui di parlare, perché, in un modo o nell’altro, era necessario per poter ripartire.

-Di molte di loro non ho neanche ricordo: so che la sera finivo ubriaco e la mattina dopo mi trovavo da solo, in un letto sfatto, con un gran mal di testa e un nome inchiodato nei miei pensieri, il tuo. E allora mi rivestivo, lasciavo un po’ di soldi e andavo via, prima che qualcuno vedesse che stavo piangendo.-

Marinette avrebbe voluto alzarsi e abbracciarlo, dicendogli che lei c’era e che non avrebbe mai più permesso che lui se ne andasse, ma ancora non si mosse. Mancava un ultimo tassello del mosaico e voleva che lui gliene desse conferma.

-In definitiva sono sempre stato solo anche io, perso in un mondo sconosciuto dove l’unica cosa che potevo fare per non impazzire nei miei ricordi era perdermi in incubi e situazioni surreali, mettendo mano al portafoglio e  sfruttando la mia notorietà per tenere a freno le lingue lunghe di gente purtroppo troppo facile a cedere-, volle essere più esplicito che poté: -Non ho mai amato nessuna, non ho mai pensato di legarmi a nessuna. Non ho nessuna, Marinette, sono ancora legato alla ragazza che avevo sei anni fa e che dentro di me non ho mai lasciato-, quando alzò il viso, i suoi occhi erano lucidi. E allora Marinette si avvicinò a lui, sedette sulle sue gambe e lo abbracciò, tenendo la testa bionda a contatto con il suo cuore, in modo che sentisse quello che le stavano facendo le sue parole.

-E io sono sempre qua. In realtà ti ho sempre aspettato, da allora-, disse semplicemente e baciò la testa bionda di Adrien.

Lui si strinse a lei, abbracciandola e beandosi del dolce peso sulle sue ginocchia e del respiro calmo, che accompagnava il galoppo del cuore che, piano piano, andava acquietandosi.

Avrebbero potuto rimanere legati in quel modo per altri sei anni, senza parole, senza altro che il loro contatto.

***

-Plagg, ti prego, aspetta ancora…-, Tikki pregò il suo amico, spazientito e infreddolito dentro al frigo di Marinette.

-Non c’è formaggio qua! L’unica cosa che ci assomigli è il ripieno di quella quiche gelida! Io ho fame!!!-

-Plagg… suvvia… sei una creatura millenaria, hai bisogno di dimenticarti proprio adesso che puoi resistere per altri mille anni senza mangiare!?-, aveva fame anche Tikki, ma di biscotti e dolcetti era piena la casa.

-Io ho affrontato sei anni in una terra ostile dove la cosa più simile al camembert era un formaggio di capra puzzolente che non gli legava neanche le scarpe! Io so che a Villa Agreste Nathalie mi ha preparato una forma del miglior camembert di Normandia che mi aspetta sola soletta e CHE IO NON POSSO PIU’ ASPETTARE DI MANGIARE!!!!-, attraversò la porta del frigo e si fiondò in salotto, spezzando la più dolce delle atmosfere.

-Plagg...-, strillò Tikki, inseguendolo.

-Plagg!?-, domandò confusa Marinette, vedendo il kwami comparire furibondo davanti a loro.

-Plagg!-, esclamò Adrien, portando una mano alla bocca per non dire qualcosa di sbagliato.

-Adrien, IO HO FAME-, fu cristallino, diretto al punto, conciso.

Marinette osservò il viso divertito, imbarazzato e abbastanza furioso di Adrien e il faccino stizzito di Tikki e scoppiò a ridere.

Oh che sensazione meravigliosa! Oh che calore che sentiva irradiarsi in ogni angolo del suo corpo e della sua anima! Presto la sua risata contagiò anche Adrien e Tikki. Tutto era surreale e meraviglioso.

-IO HO FAMEEEE!!! Smettetela di ridere!-, Plagg afferrò il viso di Adrien e lo guardò con ira, il giovane lo prese per la collottola e, semplicemente, lo lanciò alle sue spalle. Poi baciò ancora Marinette sulla bocca.

Era tutto perfetto.

***

-Io Non Ci Posso Credere… IoNonCiPossoCredereeeee!!!!!-, Alya dovette essere fermata da Trixx e Wayzz dall’alzarsi di slancio dal divano e correre come una furia da Nino, che era in cucina a prepararle il brunch, dimentica del suo stato precario.

-NINO!!!!-; il ragazzo accorse con il grembiule, un guanto da forno in mano e, nell’altra, un mestolo: -Alya, che è successo?-.

Wayzz si parò di fronte a lui: -Calmo, respira: va tutto molto bene: Alya ha solo ricevuto un messaggio da Marinette…-, lo guardò intensamente per un istante, abbassò il capino e scuotendolo, andò nello studio, nascondendosi sotto un cuscino. Non era fatto per le romanticherie e quelle cose da donne. Era un kwami millenario e se era sempre vissuto in pace con il mondo era stato perché non si era mai, mai, domandato cosa ci fosse di così bello nell’amore.

-NinoNinoNino!!!! Leggi!-, Alya si penzolava dal divano porgendogli il suo smartphone, la chat di whatsapp con Marinette aperta attendeva ancora una risposta.

Sono con Adrien.

La vie est belle…

(grazie…)

-WoWOWOWOWWOO!!!!!! Grande Bro!!!-, Nino lanciò per aria il guantone e il mestolo, che colpì Trixx.

-Grande Maribug!!!! Ce l’abbiamo fatta!!!!-

-Sono stato un gra-aaande!!!-

-E io ti sposo!!!!!-

Trixx li guardò disgustati e li lasciò ai loro festeggiamenti. Volò nello studio e raggiunse Wayzz sotto al cuscino.

-Cicuta ne hai?-, domandò e si tappò le orecchie.

***

Ormai Marinette ne era convinta: tutto si era sistemato. Poco importava se in realtà le sue ferite ancora ogni tanto facessero male, o se aveva trattato in modo sgarbato Nathaniel, o se sicuramente avrebbe avuto una distrazione enorme che le avrebbe rallentato la preparazione degli abiti che aveva promesso ai suoi amici per il loro matrimonio. La sensazione frizzante e calda che sentiva dentro di sé le bastava per essere ottimista: ogni cosa avrebbe potuto sistemarsi.

Quel giorno aveva promesso ai suoi che sarebbe tornata a pranzo a casa, ma fu sufficiente mandare un messaggio a sua madre: “Non torno, scusa, ma sono felice oggi” per sentire la coscienza a posto come non accadeva da anni.

Dopo la sfuriata di Plagg, aveva insistito perché Adrien andasse con lui a Villa Agreste, aggiornasse suo padre su quel che aveva fatto in Tibet, passasse del tempo con il bambino e si sistemasse. Andava bene così, per il momento: lui era tornato ed era tornato da lei, in un modo o nell’altro.

Tikki le aveva detto che aveva fatto bene a dire al giovane di andare dal suo fratellino, che si era dimostrata una donna matura e così si sentiva: matura e pronta a ricominciare lasciando finalmente la paura dietro di sé.

L’attrazione che c’era stata con Adrien era stata una ventata di poesia sulla sua vita triste e, come un colpo di spugna su una finestra sporca, aveva ripulito dall’oppressione la sua visuale sul futuro. Si sentiva libera, anche se…

-Forse ho sbagliato a lasciarmi andare subito con lui-, osservò dopo aver riflettuto da sola in terrazza; Tikki la guardò e incrociò le zampette: -Non è quello che volevi?-, domandò con convinzione.

Marinette si sedette sul bordo del letto, in camera: -Abbiamo parlato della mia storia con Nath e di tutte le donne che lui…-, lasciò cadere la frase, togliendo un filo dalla coperta, pensierosa, -Spero che non mi annoveri tra loro…-

-Credi che a lui interessi solo averti… in quel senso, Marinette?-, come poteva adesso convincersi quell’idea, dopo tutto quello che aveva letto nelle lettere e dopo le parole dolcissime che Adrien le aveva detto: Tikki e Plagg avevano origliato buona parte delle loro conversazioni, distogliendo imbarazzati l’attenzione nei momenti in cui i loro umani avevano optato per un linguaggio più diretto della parola.

-Spero di no-, le disse semplicemente la giovane, guardando l’orologio: era ora di pranzo e comunque preferiva rimanere da sola piuttosto che andare dai suoi.

-Forse dovrei chiamare Alya e spiegarle la situazione…-, propose più per convincere se stessa che in una vera domanda alla piccola amica.

-Le farebbe piacere, ne sono certa-, forse parlare con Alya era la cosa giusta per raddrizzare l’umore della sua amica, che era così sciocca da crearsi problemi anche dove non ne esistevano.

Marinette riprese il cellulare dal comodino, dove lo aveva lasciato ore prima e se lo rigirò tra le mani, iniziando dal leggere i messaggi che aveva ignorato fino ad allora, quando aveva inviato il veloce whatsapp a sua madre.

A parte Alya che le aveva risposto in caratteri maiuscoli che VOLEVA sapere tutto il prima possibile, il messaggio che più la colpì, in quanto accompagnato da un lungo sequel di risposte, era quello di Chloe, che, usando la chat di gruppo creata proprio da Marinette per invitare tutti i suoi amici alla festa della sera prima, dava l’annuncio al popolo del ritorno di Adrien: “Dovevamo chiamare anche Adrikins! Guardate, sembra fosse all’aeroporto proprio ieri sera, di ritorno da un viaggio!”, accompagnato da una foto paparazzata presa da internet.

Era quello che l’avrebbe aspettata? Riflettori puntati su di lei e sull’uomo che amava senza ripensamenti reali da quando lui le aveva chiesto scusa, porgendole il suo ombrello, una vita prima? Cosa sarebbe successo se si fossero diffuse altre immagini di lui che usciva quella mattina sotto casa sua? Sperò ardentemente che nessuno lo avesse seguito fino a lì: in ogni caso sarebbe stata informata dalle news sparate da Chloe…

Avrebbe mai potuto passeggiare per le vie del centro mano nella mano al suo amato, senza essere aggrediti da una folla di fotografi? Sarebbe mai riuscita a passare del tempo con lui girando per negozi o facendo la spesa al supermarket? La pace che aveva riempito il suo cuore, di colpo, sembrava marcire sotto quella luce cattiva della minaccia di una vita senza privacy, proprio a lei che aveva fatto della riservatezza la sua filosofia di vita, da quando aveva vestito i panni di Ladybug per la prima volta.

Si decise a comporre il numero di Alya, che, tra i tanti, aveva commentato anche la foto inviata da Chloe con un “Sei fidanzata adesso, non rompere più le scatole al povero Adrien, lascia che si possa fare gli affaracci suoi senza galline che vadano a beccare troppo vicine a lui!”. Diretta, come sempre. “Non sono una gallina, ma Adrien è Adrien e sarà sempre il nostro VIP preferito!”, le aveva risposto Chloe, ricevendo tante faccine in risposta.

Marinette scosse la testa: erano solo infantili e stupidi discorsi fatti alle spalle di un uomo buono che aveva sofferto tanto, mentre la gente non aspettava altro che di poter sparlare di nuovo su di lui.

-Pronto!!!-, rispose Alya, concitatamente, -Vogliosaperetutto!-, la travolse.

-Ciao Alya, innanzitutto come stai?- le rispose Marinette, decisa a procrastinare le sue confessioni e i suoi dubbi.

-Sto bene, ma tu non puoi mandarmi quei messaggi senza avvertire, lo sai che sono a rischio aborto!-, Marinette sbuffò alzando gli occhi al cielo: se Alya aveva intenzione di metterla sul patetico, non avrebbe retto neanche un secondo di più.

-E adesso sono a rischio figlio-con-macchie, se non soddisfi subito la mia voglia di gossip!-

-Puoi definirla in un altro modo, la tua curiosità morbosa, per favore?-, Alya era così: estrema in ogni sua forma di esternazione.

Marinette fece un grande respiro: -Adrien è tornato da me. In tutti i sensi, mi ha detto che vuole ricominciare da quel giorno di sei anni fa, che il bambino è suo fratello e che tutte le donne che ha avuto in questi anni non significano nulla per lui-, disse rapidamente e Alya iniziò la sua replica con un prolungato strillo simile al verso di un’aquila.

-MA-, Marinette volle essere molto chiara in merito da subito, -questo non significa che adesso io e lui ci sposeremo dopodomani e venerdì io sarò incinta, chiaro?-, gelò l’amica, -Significa solo che ho ritrovato un po’ di pace, che ho ritrovato lui-, mormorò le ultime parole e l’amica rispose solo con un lieve mugolio.

-Ha sofferto tanto, Alya-, tentò di spiegarsi.

-Anche tu hai sofferto tanto, non provare nemmeno a negarlo. Hai sofferto così tanto che ti sei quasi sposata con Testa di Pomodoro, per la disperazione di essere sola senza di lui!-

-TU mi hai spinta tra le braccia di Nathaniel, se non lo ricordi!-

-IO avevo solo perso una sfida con lui, TU hai fatto tutto il resto!-, si accalorò Alya, comprendendo che stava sbagliando decisamente approccio. Quindi si sforzò di rimanere calma; -Marinette, come stai adesso?-, chiese in tono completamente differente, calmo e fraterno.

L’amica ci mise un po’ a rispondere: -Non mi sembra possibile che sia accaduto veramente… continuo a girare per casa spaesata, non rendendomi conto che Adrien sia stato davvero qua… Ha un tatuaggio, lo sai?- domandò entusiasta. Alya lo sapeva e bene, lei aveva visto le foto e, quando Marinette aveva fatto il suo, non lo credeva possibile: “quei due sono davvero legati da un filo invisibile”, aveva detto a quel tempo a Nino.

-No, davvero? Dimmi tutto!-, rispose invece.

-Una coccinella! Te ne rendi conto Alya!? Una coccinella! E quando io gli ho mostrato il mio… Ecco…-

-Mm mm… continua pure porcellina mia, lo sai che mi eccitano i racconti hot!-

-ALYA!-, Marinette aveva portato le mani al viso, facendo cadere il telefono sul letto e riprendendolo immediatamente dopo, con qualche manovra rocambolesca.

-Mi ha baciata-, confessò, -Prima sulla schiena, fino al collo. È stata una cosa…-, Marinette non trovava le parole, ma in fin dei conti nemmeno voleva farlo, perché forse non doveva raccontare quelle cose di Adrien a nessuno, erano solo loro e tali dovevano rimanere.

-Sono felice per te-, le rispose l’amica in tono dolce, -E poi?-

-Poi… poi nulla, abbiamo parlato, e poi lui si è addormentato e dopo anche io-, avrebbe concluso il racconto così.

-Mi stai prendendo in giro, spero-, la voce di Alya era cambiata, tornando la stessa di sempre, inquisitoria, curiosa.

-No, Alya, la cosa importante è che ci siamo ritrovati, che lui sia tornato-, ed era proprio così, -Mi ha detto che non andrà più via-, aggiunse.

-E non avete fatto…-, SESSO, ecco quel che avrebbe voluto dire. E Marinette avrebbe voluto risponderle che non avrebbe voluto fare sesso con Adrien, ma solo fare l’amore, finalmente, quando i tempi fossero stati maturi. Si attardò a rispondere e fu anticipata: -Ah, già, tu hai le tue cose… Certo che sei proprio sfigata eh!-

Marinette rise, era la cosa più saggia da fare per non gettare benzina sul fuoco della curiosità dell’amica.

-Vabbè, prima o poi…-, insistette l’altra e in risposta ebbe un mugugno scocciato; -Tanto prima o poi verrai tu a raccontarlo a me, ti conosco…-

-Stamattina si è presentato Nathaniel-, la stupì Marinette. In un baleno nella mente di Alya si dipinse uno scenario di guerra, con i due uomini di Marinette in lotta tra loro. Adrien aveva picchiato Nathaniel e Marinette aveva urlato, poi aveva trattenuto Adrien e gli aveva detto che amava solo lui.

-L’ho mandato via, è stato insistente…-, fermò i suoi pensieri l’amica. Poi riprese: -Perché Nath è così possessivo nei miei confronti, Alya? Voglio dire… lui ha fatto la sua scelta e adesso ama Paul. Perché ha cercato in tutti i modi di entrare in casa e cercare di vedere chi ci fosse?-, ...e Adrien l’aveva difesa, sferrando un pugno sul muso di Testa di Pomodoro e…

-Menomale che è andato via-, concluse Marinette.

Alya si sforzò di dare all’amica la giusta risposta: -Forse perché lui ha sempre saputo di essere un ripiego, per te e sa anche quanto tu abbia amato Adrien, nonostante tutto quello che c’è stato tra voi. E adesso non vuole che tu sbagli di nuovo con un altro come avevi fatto con lui-, rifletté.

Era plausibile, in fondo. -Forse hai ragione… Ma adesso non sbaglierò più: se è Adrien, quello giusto, non sbaglierò più-, sembrava decisa.

-Ovvio che sia Adrien quello giusto! Ma di cosa hai ancora paura?-, a volte Marinette la spiazzava, con le sue frasi stupide.

-Di perderlo ancora, per colpa mia-, la gelò Marinette, ed era proprio la sua paura più grande; -Non sono fatta per una vita di pettegolezzi, io voglio solo la mia fetta di pace e Adrien… hai visto i messaggi di Chloé, no? Lui come si muove attira i fotografi… Non so se sono alla sua altezza-, ammise.

Alya sospirò: non poteva dare torto alla sua amica fino in fondo, in fin dei conti Adrien era un personaggio ingombrante e per un bel pezzo almeno avrebbe fatto parlare di sé. -Tu sei alla sua altezza come lui lo è alla tua. L’unica cosa che puoi fare, se vorrai concedere a voi due una possibilità, è andare oltre i pettegolezzi e le falsità che ti troverai a dover affrontare. Dovrai pensare solo a quello che c’è nel tuo cuore e a come vuoi passare la tua vita futura: se con lui, barattando una fetta della tua riservatezza, oppure senza di lui, infilandoti da sola un coltello nel cuore finché non avrai vita-, le disse.

-Grazie, Alya-, le rispose Marinette, semplicemente, e mise giù.

Sapeva cosa voleva, e avrebbe fatto di tutto perché avvenisse.

***

Sun giocava un po’ mogio con il nuovo peluche che Adrien gli aveva portato; la febbre era un po’ calata, ma spesso il suo corpicino veniva squassato da violenti colpi di tosse.

-Che ha detto il medico?-, aveva chiesto il nuovo fratello a Nathalie, che si prendeva cura di lui.

-Ha la bronchite, purtroppo, deve prendere per una settimana l’antibiotico e fare l’aerosol, ma ovviamente a lui non piace-, aveva spiegato la donna, poi, sfiorando il braccio di Adrien, aveva azzardato a domandargli come stesse.

-Ho visto Marinette-, per un istante gli occhi del giovane avevano brillato, -Sono piombato a casa sua per errore… Nino mi aveva detto di andare subito da lui, ché mi doveva parlare proprio di Marinette, ma non mi aveva informato che non viveva più dove io ricordavo… Ma questo lo saprai già…-, guardò di sottecchi Nathalie che ammise con uno scatto delle sopracciglia.

-È stato un colpo, rivederla…-, Adrien prese dalle mani di Sun il peluche che il bimbo gli porgeva e, dopo, tirò su il piccolo e se lo mise a sedere sulle sue ginocchia. Il bambino si strinse a lui, abbracciandolo: -Mi sei mancato-, disse con vocina piccola, in un accento straniero.

-Anche tu, Sun, ma sono tornato presto-, cercò di spiegargli.

-Papà mi ha detto che tornavi ieri e non sei venuto-, affondò il musetto un po’ moccioso sulla felpa di Adrien, oh quanto era affezionato a quel ragazzone alto e biondo che lo aveva portato via dal suo incubo!

-Hai ragione-, gli spiegò Adrien, scostandolo per guardarlo negli occhi, -Ma dovevo fare una cosa importante, cucciolo… puoi perdonarmi?-, domandò in un sorriso dolce.

-Cì-, rispose fiero il bambino e sgattaiolò via dalle gambe del fratello, tornando a giocare con il suo nuovo amico peloso.

Nathalie seguì il bambino con lo sguardo e prese una mano di Adrien: era tanto cambiata quella donna e rivederla negli stessi ambienti dove, anni prima, era stata a tratti una carceriera per lui, lasciava Adrien ogni volta stupefatto.

-È bellissima…-, riprese il giovane, piegando il capo in segno di sottile pudore, -È così… cambiata… Eppure è sempre lei, come la ricordavo, tranne gli occhi-.

Nathalie piegò le sopracciglia, non comprendendo.

-I suoi occhi… sembravano spenti, quando ha aperto la porta, e poi piano piano hanno assunto un aspetto diverso: ho visto gli occhi neri di Sun, in quelli di Marinette, gli occhi di chi ha sofferto tanto e finalmente ha trovato una speranza-.

Nathalie strinse di più la mano, capiva perfettamente quello che il ragazzo stava cercando di esprimere; -Le ho fatto così male, ha sofferto tanto, troppo… Io… credo che ci vorrà un po’ prima che possa perdonarmi-, ammise.

Nathalie sorrise e scosse la testa: -Perdonarti? Voi due siete uguali: l’ultima volta che l’ho vista da Fu, anche lei si torturava pensando che tu non avresti mai perdonato lei, per non averti dato gli orecchini. Secondo me vi fate davvero troppi problemi! La felicità è dietro l’angolo, non fatevela scappare ancora!-, una richiesta fatta col cuore da una donna che per prima non aveva mai avuto il coraggio di svoltare lo stesso angolo della vita.

-Cosa dovrei fare, allora?-, le domando Adrien, come se stesse chiedendo consiglio a sua madre.

-Sii te stesso, senza rimpianti, senza sentirti in colpa, senza forzarla, senza continuare a vivere nel rimorso, senza mandare di nuovo tutto all’aria in nome di nulla di reale. Sii Adrien, con lei, dimostrale quello che provi per lei-, incrociò le braccia al petto.

-Io l’amo-, fu schietto e anche Sunan, all’affermazione, interruppe per un attimo i giochi e lo guardò, come avesse capito i loro discorsi.

-E allora fai in modo che lo capisca davvero-, concluse Nathalie; -Sun, vieni che facciamo quel giochino con la macchinetta che spara l’aria!-, provò a convincere il piccolo, che le sgusciò via dalle mani, perché non voleva fare l’aerosol. Adrien rimase per qualche istante a guardare quella scena e non trovò nessun ricordo di quando era bambino. Scosse la testa e si alzò: -Vieni Sun, che ti insegno io come si fa a farlo da veri uomini!-, incitò il fratello.

Si sedettero al tavolo dove Nathalie aveva preparato tutto e Adrien tenne il bambino in braccio, mentre gli passava la mascherina attorno alla testa. -Ne abbiamo una anche per Mr Pandy?-, chiese alla donna e replicò il gesto con il peluche: -Adesso voi due soldati ascoltate le direttive!-, iniziò scherzando, Sun era completamente rapito dalle sue parole e dai suoi gesti.

-In alto la mano! (dovete rispondere “Signorsì, signore”)...-, suggerì al bambino, mostrando come doveva fare, -Riproviamo: In alto la mano!-

-Sississì signorsì-, rispose Sun attraverso la mascherina.

-Allungat mano!-, e mimò il gesto.

-Giraaat manopola!-, ordinò e prese la manina del fratellino, facendogli ruotare la manopola che azionava la macchina. Subito un ronzio rumoroso li fece sobbalzare e la mascherina di Sun fu riempita dall’aerosol; il bambino fece per toglierla.

-Soldato! Nessuna insubordinazione!-, lo riprese Adrien e bloccò la manina olivastra, -E adeess: Aria dentro da bocca-, e tirò su, -Aria fuori da bocca!-, e soffiò.

Piano piano il piccolo iniziò a prendere la cosa come un gioco e imparò a farlo da solo. Nathalie li osservava a bocca aperta, in un angolo.

-È da stamani che la nostra Nati ci sta provando… l’avevo detto che era una cosa da uomini-, Gabriel Agreste era tornato e aveva fatto la sua apparizione nella stanza del piccolo sorprendendo sia Adrien che Nathalie. Salutò il figlio con una leggera pacca sul braccio, strinse delicatamente le spalle di Sun, si avvicinò a Nathalie e le posò un lieve bacio sulla guancia. La donna trasalì, ma si sentì sfiorare una mano dal suo “capo” che le scoccò un’occhiata eloquente e si sforzò di non dare alcun segno di stupore. Adrien, invece, fece tanto d’occhi e increspò il mento, strizzando tra loro le labbra, senza dire nulla.

-Torno subito-, avvertì Gabriel, indicando la giacca che ancora indossava e, con un cenno della testa, comunicò alla sua segretaria di seguirlo nell’altra stanza.

Adrien rimase da solo con Sun e si concentrò sulle inspirazioni ed espirazioni del piccolo, per non pensare a quello a cui aveva appena assistito e che lo aveva scioccato.

-Gabriel, ma cosa…?-, Nathalie esplose non appena furono abbastanza lontani, lo tirò per un braccio verso la cucina e pretese delle spiegazioni. Perché l’uomo si era comportato così, e perché quella guancia bruciava come se l’avessero appoggiata su una padella rovente?

Gabriel si sfilò la giacca, la lasciò cadere disordinatamente su una sedia e si voltò verso di lei: -Perdonami… ma ho due figli e dovevo insegnare al più grande come ci si comporta quando si torna a casa dalla donna che si desidera…-, le disse e la prese per una mano, tirandola fino al suo petto.

Che cosa stava succedendo??? Nathalie non capiva, sentiva solo qualcosa di indescrivibile e strano, qualcosa che… poi sentì le labbra di Gabriel sulle sue e la padella divenne un falò.

-Dov’è Nati?-, domandò Sun, togliendosi la mascherina. Adrien era sovrappensiero e non lo fermò in tempo: ormai la sessione di aerosol poteva dirsi terminata, perché difficilmente il giovane avrebbe avuto la pazienza di ricominciare da capo. Già… dov’era Nati? Ormai erano passati diversi minuti dalla fugace apparizione di suo padre… Quello che Adrien aveva visto aveva qualcosa di familiare e allo stesso tempo irreale: era così che suo padre salutava la mamma ogni volta che rientrava a casa e la trovava ad aspettarlo ed era così scontato eppure strano che avesse riproposto lo stesso gesto con… Nati!

Era stato via solo pochi giorni, possibile che fosse successo tutto quello che non era successo in sei anni proprio allora?

-Dov’è Papi? Ho fame!-, insistette Sunan e scese dalla sedia, correndo verso la porta, scappando al tentativo di fermarlo di Adrien.

Il giovane scosse il capo e si mise all’inseguimento del fratellino: era ora di pranzo e, stranamente, in casa non c’era nessun profumino aleggiante a indicare che fossero state date disposizioni in merito. Rincorse il bambino fino alla porta della cucina, dove il piccolo si era fermato e guardava a bocca aperta qualcosa. Si voltò verso Adrien: -Adri, perché Papi sta mangiando la faccia a Nati?-, domandò piano piano nel suo francese stentato. Adrien sgranò gli occhi e lo raggiunse per guardare con i suoi occhi suo padre che “mangiava la faccia” della cara vecchia Nathalie. Per un attimo nella vita volle essere perfido e prendersi una piccola vendetta per i sei anni sprecati con Marinette.

-Quando avete finito di sconvolgere il piccolo Sun con queste immagini, gentilmente, telefonateci per ragguagliarci sulle novità-, si godette le espressioni imbarazzate dei due e poi si congedò: -Papi… Nati… i “bambini” escono fuori per pranzo. Divertitevi-, prese Sun di peso e corse via con lui sulle spalle, che rideva felice.

Era finalmente tornato a casa senza i suoi incubi a tormentarlo e aveva immaginato qualcosa di molto differente: un pranzo in famiglia finalmente liberi dagli interrogativi  striscianti su sua madre, liberi dall’ombra di Lum-Tsa, ma in definitiva... perché rimanere lì? Tutti, anche il vecchio Papillon e la sua spalla Le Plume Bleu avevano diritto alla propria fetta di felicità. Per una volta avrebbe lasciato la casa a suo padre e si sarebbe comportato da adulto.

Sun tossì e la coscienza di Adrien subì un leggero affronto.

-Giù le braccine-, disse al fratellino legandogli la sciarpa attorno al collo, -Il cappellino… bravo e ora il giubbottino, infilò rapidamente la sua giacca e prese le chiavi dell’auto con il seggiolino: -Adesso ti porto a conoscere una persona speciale… stringi forte Mr Pandy-, disse al bambino infilandolo in auto e lo baciò sulla fronte.

Adesso ti porto a conoscere la mia Marinette…

***

Come poteva mangiare dopo tutte le cose che aveva passato nelle ultime ore? D’un tratto l’idea di vivere da sola, avere i suoi spazi, le sue pause, i suoi tempi, i suoi luoghi dove disperarsi senza occhi che la controllassero e la consolassero, le pareva del tutto sbagliata.

Avrebbe voluto condividere con qualcuno tutta la sorpresa, la gioia e la paura che stava vivendo, urlare al mondo che la sua sofferenza era finita e allo stesso tempo farsi abbracciare da braccia affettuose pronte a spronarla a fare la cosa giusta.

D’un tratto avrebbe voluto avere accanto a sé, semplicemente, un vero amico.

Alya, per quanto sempre sopra le righe, era la migliore in quel compito, ma assieme a Nino erano impegnati in qualcosa di troppo grande per loro, per potersi accollare anche il fare da balia a una sciocca donnicciola euforica e spaventata; Paul le voleva bene, ma in fondo era quasi un estraneo per lei e il sentimento non era del tutto corrisposto da lei; Nath… Nath si era comportato male, al di là delle motivazioni e non voleva neanche pensare a rivederlo nell’immediato. Scosse la testa, ripensando alla battuta che aveva fatto ad Adrien sul “full”. Che sciocca che era stata e che falsa che era con se stessa nel fare la cernita dei suoi amici per tornare a desiderare sempre una sola persona.

Il suo cellulare trillò rapidamente tra le mani, era un sms: “È sempre il tuo numero, Marinette?”, chi le stava scrivendo?

Rispose semplicemente “Sì” e inviò.

“Sei sola a pranzo?”, di nuovo un messaggio da quel numero sconosciuto. Ma chi diavolo…

“Sì”, rispose ancora e stava per chiedere chi fosse, ma fu anticipata da un altro sms: “Hai posto per due”?

Ma per chi l’avevano presa, per il ristorante all’angolo?

“Dipende da chi parla”, rispose, lievemente seccata, ma anche divertita da quell’improbabile scambio a suon di vecchi sms.

“Un adorabile bambino e suo fratello biondo”, ebbe in risposta e, prima che potesse articolare alcun pensiero, il campanello di casa squillò.

-Adrien!-, rispose, senza chiedere chi fosse.

-E Sunan-, la informò il ragazzo e salì su.

Sunan… come poteva approcciarsi al bambino che per qualche tempo aveva quasi odiato, credendolo il figlio di Adrien e un’altra? Come poteva essere stata così meschina e patetica?

L’ascensore si era fermato all’ultimo piano e Marinette aveva solo un attimo per ricomporre le sue idee e i suoi sentimenti. La porta si aprì e: -Ciao, lui è Mr Pandy e io sono Sun-, le disse un soldo di cacio alto meno di un metro, con una buffa zazzera nera e due occhioni enormi. Marinette capitolò e si piegò per portare il volto all’altezza del piccolo.

-Ciao Sun, ciao Mr Pandy-, rispose, -Io sono Marinette-.

Adrien le sorrise e non poté fare a meno di attrarla a sé con un rapido abbraccio e baciarla sulla bocca, come se ne avesse avuto più bisogno dell’aria stessa.

-Ma a Parrigi si mangiano le facce di tutte le signore?-, chiese Sun, e Adrien scoppiò a ridere sulla bocca della sua amata.

-Entriamo, ti spiego...-, disse a Marinette e le passò un braccio sulle spalle.

***

Avevano mangiato ancora avanzi, per Sun Marinette aveva preparato della pasta Italiana che suo padre le aveva infilato in dispensa e poi gli aveva dato una vera fetta di torta che era “buonissimissima”.

-Per fortuna non gli è passato l’appetito-, constatò Adrien, mettendo una mano sulla fronte del piccolo, per sentire se avesse ancora febbre. Corrugò le sopracciglia, scuotendo la testa: -Non ne ho idea-, ammise. Marinette andò a cercare un termometro, ancora nel beauty case con cui aveva traslocato e prese il bambino sulle gambe, tenendolo con la schiena appoggiata al suo petto: -Ecco, alza il braccino-, gli disse e gli provò la febbre.

-Ci sai fare-, Adrien la guardava ipnotizzato.

-Anni di baby sitter a Manon Chamack, ricordi?-, le rispose piano la giovane, sentendo che il bambino si stava rilassando tra le sue braccia, -Anche tu ci sai fare, sei proprio bravo con lui-, ammise guardando imbarazzata fuori dalla finestra.

Il termometro emise dei brevi bip e Marinette lo sfilò cautamente da sotto l’ascella del bimbo: -Trentasette e nove… Piccolo…-, posò il termometro sul divano accanto a loro e passò una mano tra i capelli del bambino, che non aveva abbandonato un solo attimo il peluche regalato da Adrien.

-Pensavo fosse per Alya-, Marinette indicò il pupazzo.

-Ne avevo presi due, uno per Sun e l’altro, più piccolo, per Nino e Alya… è rimasto nello zaino, mi sa-, rispose Adrien, poi si avvicinò al fratellino e lo osservò: -Si è addormentato-, alzò gli occhi su Marinette che gli fece cenno di metterlo a dormire nel suo letto. Adrien piano piano lo sfilò dalle braccia della giovane per permetterle di alzarsi e la seguì fino alla camera.

-Ho le lenzuola pulite-, lo informò Marinette, alzando le coperte e aiutando a sfilare le scarpe al bambino, -Ecco, mettilo così-, gli sistemò il cuscino e lo coprì; Adrien si chinò sul fratellino e gli diede un bacio sulla fronte. Era così adorabile…

Un pensiero balenò nella testa di Marinette: e se Sun fosse stato davvero figlio di Adrien, che le sarebbe importato? Lui era tornato solo per lei e glielo aveva dimostrato… non sarebbe cambiato nulla se quella creatura fosse stata generata dal suo unico amore o da sconosciuti, nulla. Quello che contava era solo l’amore che Adrien dimostrava nei confronti del bambino e che aveva fatto capitolare Marinette.

Lasciarono la porta socchiusa nella camera e tornarono in salotto, facendo piano.

-A volte ha degli incubi, urla mentre dorme e si sveglia tutto sudato-, iniziò a raccontare Adrien, -Altre volte lo vedi che sta sognando, vedi che ha paura, ma non riesce a svegliarsi e quelle volte io soffro con lui. Ha visto più orrore e miseria Sunan in tre anni di esistenza di quanta ne vedremo mai noi in una vita intera-, guardò Marinette, -Per questo ho voluto portarlo via da lì, per questo vorrei che tu capisca che lui è importante per me-.

Marinette gli sorrise, sfiorando la punta di un suo dito e risalendo sul palmo della mano, disegnando ghirigori invisibili, in silenzio.

-L’ho capito perfettamente. E ho capito che siete entrambi due persone uniche-, intrecciò le dita a quelle di Adrien, -Potrete mai accettarmi assieme a voi?-, domandò abbassando lo sguardo, come un mendicante che chiede con timore e vergogna di poter entrare ad una mensa.

-Sciocca-, le disse Adrien e Marinette sentì un brivido scorrerle lungo la schiena, -Il cuore di Sun è grande, ha posto a sufficienza per accogliere nella sua vita tutta Parigi. Il mio è già tuo da quando ti ho conosciuta, mi manca solo che tu accetti questo fatto, perché io possa convincermi di averti finalmente ritrovata-.

Marinette sorrise con dolcezza: che calore, che tenerezza quelle parole! Che balsamo sulle ferite invisibili della sua anima, che sensazione! Allungò una mano al volto di Adrien e gli fece una carezza, soffermandosi sulla sua pelle.

-Ti amo Adrien Agreste, ti amo da sempre, ti ho amato per tutti questi anni e credo che ti amerò per sempre, che ti piaccia o no-, sussurrò sentendo quelle parole riempirla di un’energia nuova, infondendole pace nel momento stesso in cui aveva dato voce ai suoi più intimi sentimenti; -Ti amo e vorrei passare la mia vita insieme a te-, concluse avvicinandosi a lui, posando un lieve bacio sulle labbra rosse del suo amore e accucciandosi sul suo petto, perché lui la stringesse a sé intrecciando le braccia davanti a lei, mentre continuava a baciarle la testa e i capelli.

-Non andrò mai più via-, disse di nuovo, come quella mattina, -Perché tu sei la mia casa e tutta la mia vita-.

No, lui non avrebbe seguito le orme di sua madre, avrebbe lottato fino alla fine solo per rimanere accanto a Marinette. Per sempre.

-Ti amo-, sussurrò tra i suoi capelli, tenendola stretta al suo cuore.

Rimasero immobili abbracciati per un tempo non quantificabile, minuti che li ripagavano di mesi di separazione. Tante volte, negli anni, entrambi si erano chiesti come fosse possibile continuare a vivere rimanendo attaccati all’idea che avevano l’uno dell’altra, senza che i sentimenti si affievolissero, che il desiderio di rivedersi si spegnesse; tante volte si erano maledetti per quel tormento che non li abbandonava mai, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Il loro premio aveva valso l’attesa, quegli attimi di profonda unione li stavano iniziando a ripagare di ogni lacrima versata e di ogni pensiero disperato. Erano semplicemente venuti al mondo per stare insieme.

-Cos’era che mi dovevi spiegare?-, si rammentò dopo un po’ di tempo Marinette, riferendosi a quello che aveva detto Sunan quando erano arrivati a casa sua. Adrien soffiò dal naso, bloccando sul nascere una piccola risata: -Mio padre e Nathalie: pare che finalmente abbiano capito che sono fatti l’uno per l’altra-, rispose.

-Ah!-, Marinette fu sorpresa da quella rivelazione; sapeva quanto la donna soffrisse per il suo capo, ma non credeva che potesse davvero avere qualche speranza, -Raccontami-, si sforzò di non apparire troppo incuriosita.

-Si stavano baciando appassionatamente sul tavolo in cucina, prima… questo è il motivo per cui ho portato via Sunan e abbiamo chiesto asilo alla morettina più bella di tutta Parigi. E per i dolci che nasconde nella sua credenza, ovviamente-, la baciò ancora tra i capelli, sorridendo.

-Wow… Quando l’ho vista da Fu non mi sembrava in procinto di realizzare il suo sogno…-, rifletté Marinette, lasciandosi andare a qualche giudizio di troppo.

-Neanche la settimana scorsa, se è per questo!-, constatò Adrien, -Sono rimasto molto stupito anche io… e credo pure Nathalie, dal momento che quando mio padre è tornato e le ha dato un bacio sulla guancia è diventata di tutti i colori dell’arcobaleno!-

Marinette imbastì una breve risata, -Sembra che tutto stia andando al posto giusto-, osservò muovendosi dalla sua posizione per guardare Adrien negli occhi: -E noi due?-

Due lanterne azzurre fissavano Adrien alla ricerca della sua anima e di una consacrazione della loro condizione.

-Cosa intendi?-, il giovane assottigliò lo sguardo, perdendosi in quello della sua amata.

-Che cosa siamo, noi due?-

Adrien ci pensò, prese la mano della donna e la baciò, non riusciva a farne a meno; -Due pezzi di un puzzle che finalmente si sono ritrovati-, la guardò intensamente e si chinò sulla sua bocca. Fu un bacio lento e leggero come una lieve risacca che lambisce la spiaggia, senza muovere il fondo. L’acqua era limpida e la schiuma evanescente, e come l’acqua penetrava tra ogni granello di sabbia, così il sentimento che li univa permeava ogni loro cellula, facendoli sentire leggeri e liberi.

-Te l’ho già chiesto se volevi essere la mia ragazza, anni e anni fa-, riprese Adrien, -Ma forse te lo sei dimenticato…-, un altro bacio a fior di pelle, -Vuoi essere ancora la mia ragazza, Marinette?-

Lei sorrise sulle sue labbra  e sussurrò un sì piccino, -Vuoi diventare la mia fidanzata e la mia compagna, ora che siamo “grandi”?-, lui l’abbracciò, facendola sedere a cavalcioni delle sue gambe.

-Sì…-, Marinette non staccava la bocca dalla sua, tenendo stretto il viso tra le mani, per non farlo scappare mai più.

-Sei pronta a ricominciare insieme?-

-Sì…-, le labbra si fecero più audaci, il bacio più passionale, l’atmosfera più calda, le mani trepidanti.

-C’è Sunan di là…-, bisbigliò Adrien senza fermare il suo impeto.

-Credo che abbia già avuto la sua dose di sconvolgimenti, per oggi-, ammise Marinette e si allontanò dal suo viso, sprofondando con la faccia sul petto del ragazzo.

-Facciamo i bravi…-, le diede manforte lui, alzando lo sguardo al soffitto sperando di riuscire a calmare i bollenti spiriti il prima possibile.

-Facciamo i bravi-, gli fece eco Marinette e rimase su di lui, come un koala sul tronco di un albero, sazia eppure sempre più affamata. Sospirò, -Come dovrò comportarmi?-, gli chiese.

-In che senso?-, nella mente accaldata di Adrien presero forma immagini di Marinette nuda sul suo letto, che lo accoglieva tra le sue gambe e…

-Tu sei un VIP…-, che cos..?

L’immagine svanì con la stessa rapidità con cui si era formata: -Cosa c’entra?-, le domandò confuso.

-Io sono una ragazza normale e tu sei il VIP ritornato dopo anni di assenza, bello come il sole, splendido come un attore di Hollywood, chiacchierato più della Royal Family e… insomma, io che devo fare con te? Come lo devo fare?-, allontanò il viso da lui per guardarlo negli occhi: -Chloé ha già sbandierato a tutti i primi gossip su di te, in coda al bar le donne ne parlano… Non sei più un ragazzino protetto dall’ufficio PR della Maison, adesso sei un uomo sbattuto in prima pagina sui tabloid. Per me è una cosa strana… io non sono nessuna e non so come devo comportarmi. Ecco…-, si era fatta piccina, descrivendo il problema, piccina e invisibile.

-Io sono un uomo normale, continuerò a fare la mia vita normale, mi risparmierò di leggere quelle riviste e non accetterò mai che questi pettegolezzi possano inficiare la nostra vita futura-, le spiegò. E così anche a casa non era al sicuro dalle malelingue e dai curiosi…

-Sunan: tutti dicono che sia tuo figlio. Di te dicono che sei tornato “più bello di prima, più maschio di prima”... non che non sia vero, ma…-, arrossì, poi, punta nell’orgoglio, aggiunse: -Un maschio come te è difficile da nascondere se vogliamo andare a fare la spesa insieme o al cinema o al parco con il bambino o… crederanno che io sia la baby sitter, forse oppure la tua segretaria o...-, gesticolava e i suoi polsi furono bloccati da quelli dell’uomo.

-Allora sposami e mettiamo a tacere ogni cosa-, Marinette spalancò la bocca e rimase immobile a fissarlo con gli occhi sgranati.

***

Gabriel guardò l’ora sul comodino, aveva fame, ma era abituato a saltare i pasti. Si passò le mani sul viso, massaggiandolo per schiarirsi le idee. Dalla finestra filtrava ormai la poca luce del crepuscolo, segno che aveva dormito almeno un paio d’ore, d’altronde avevano passato la notte in bianco per Sunan. Era confuso… aveva agito d’impulso come non faceva da anni e dopo… dopo si era lasciato trasportare da qualcosa che non ricordava più cosa volesse dire. Si voltò: la schiena nuda di Nathalie si muoveva appena ad ogni respiro, d’istinto la coprì con il piumino per non farla raffreddare. Si sollevò su un fianco, reggendosi sul braccio piegato accanto a lei, poteva sfiorare la sua pelle calda e liscia. Nathalie… e pensare che anni e anni prima, quando lei era solo una giovanissima stagista e ancora Emilie non era entrata nella sua esistenza, aveva provato una fortissima attrazione per lei.

Ormai la sua vita era stata stravolta, sbriciolata, le sue speranze fatte a brandelli e gettate via. Emilie non c’era più, ma solo quella mattina, uscendo presto per comprare personalmente le medicine per il piccolo Sunan, si era fermato a riflettere in riva alla Senna. L’aria era fredda e il vento pungeva le mani e filtrava attraverso il cappotto troppo leggero. Aveva alzato il bavero ed era rimasto in ascolto dell’acqua che sbatteva contro le sponde in un ritmo ipnotico. Emilie… erano stati fidanzati per poco più di un paio d’anni, si erano sposati e negli anni seguenti lei era diventata sempre più evanescente, scomparendo piano piano come un dipinto lasciato sbiadire sulla facciata di una chiesa antica. Lei c’era, tornava, viveva con loro, ma la sua presenza era sempre più sfumata. Quanto aveva vissuto davvero il loro matrimonio? Quanto era stato coinvolto dalle ambizioni della donna e quanto lei aveva ascoltato le sue, i suoi progetti, i sogni? Ogni volta che aveva provato a renderla partecipe dei suoi successi o dei suoi dubbi, lei partiva.

Nathalie non si era mai allontanata, aveva vissuto per decenni nell’ombra della sua famiglia, e mai lui si era interessato a lei, mai aveva provato la curiosità umana di sapere cosa facesse fuori dal lavoro quella segretaria così diligente ed efficiente. Si era dimenticato della graziosa stagista quando nella sua vita era entrata Emilie, ma Nathalie era sempre rimasta al suo fianco, in sordina, in un angolo. In attesa.

La notte precedente l’aveva passata accanto a Sun, tenendolo stretto mentre lui piangeva e tossiva e bagnando e strizzando pezze di stoffa per fargli abbassare la febbre. -Ti do il cambio-, gli aveva proposto lui più volte, ma Nathalie, con un discreto sorriso e un cenno della testa aveva sempre detto che non importava, che ci poteva pensare lei. Ci pensava sempre lei, ci aveva pensato sempre lei a tappare i buchi, a far quadrare i conti, a organizzare la casa, il lavoro, la sua stessa esistenza. Sempre dal suo angolo silenzioso.

-Nathalie, è mio figlio ormai, posso darti il cambio!-, le aveva detto ad un certo punto, esasperato da quella abnegazione e deferenza e lei, leggera come una piuma, gli aveva risposto: -Stai accanto a me, allora: Sun non è mio figlio, ma gli voglio bene come se lo fosse. Per favore, non mandarmi via…-. Aveva mosso un passo fuori dall’angolo, aveva trovato il coraggio di essere se stessa anche senza l’impellenza di una magia o di una catastrofe imminente, come era successo sei anni prima, proprio in quella casa.

Erano rimasti insieme fino a che il pediatra non aveva risposto al telefono ed era arrivato a visitare il piccolo: -Non siate così apprensivi, vostro figlio ha solo un po’ di bronchite!-, aveva esclamato il dottore e Nathalie aveva fatto un passo indietro, era tornata nell’angolo, imbarazzata, lasciandolo da solo ad ascoltare la spiegazione della cura da seguire.

L’acqua della Senna veniva e tornava indietro e ogni volta si avvicinava sempre di più ad una linea disegnata sull’argine. “Ora la tocca”, aveva pensato Gabriel, perso in quel ritmo, “ora la tocca”, ma l’acqua non arrivava mai alla linea. Se n’era andato seccato da qualcosa che aveva iniziato a rodergli dentro. Nemmeno lui era mai riuscito ad arrivare a quella linea: era un padre, per Adrien, ma non poteva considerarsi un buon padre; era uno stilista famoso, ma non provava alcuna soddisfazione da ciò; era stato un marito devoto, ma sua moglie se n’era andata via. Solo Nathalie era sempre rimasta a vegliare su di lui, dal suo angolo. D’un tratto un brivido scaturito dal suo cuore l’aveva fatto bloccare in mezzo alla strada: era Nathalie la sua linea, lo era sempre stata e lui non l’aveva mai capito. Lei era la linea dritta che aveva segnato ogni momento della sua vita, c’era sempre stata, non lo aveva mai abbandonato, anche quando aveva scoperto che era Papillon, anche quando l’aveva cacciata via, in Cina, perché non sopportava più che qualcuno lo vedesse soffrire e perdere la ragione. D’un tratto quel brivido si era allargato alle mani e alle gambe e aveva portato una leggera sferzata di elettricità: a chi riferiva per primo ogni dubbio, problema, successo? A chi si rivolgeva ogni volta che aveva bisogno di un consiglio, un aiuto o solo per non sprofondare nel silenzio? Chi era che l’aveva seguito in capo al mondo e ritorno, senza mai usare il suo potere per distoglierlo dalla sua crociata? Sempre e solo lei.

Il suo sguardo cadde in basso: per terra, sottile in mezzo alla strada, avevano tracciato una riga lunga e sottile per segnare il percorso di una gara podistica. Seguì quella linea fino a casa, accelerando il passo, con il cuore che martellava come risvegliato da decenni di coma.

-Sono tornato-, aveva detto spezzando il silenzio della casa.

-Shh! Svegli il bambino!-, l’aveva ripreso lei, uscendo dal cono d’ombra dell’angolo in cui si era seduta, sulle scale. Era esausta e stropicciata per la notte passata in bianco.

-Ho l’antibiotico-, aveva annunciato lui, con il cuore che continuava a galoppare.

-Lo prenderà quando si sveglia-, si era imposta lei, senza timore, -Ora è meglio che riposi-

-D’accordo-

-Ha chiamato Adrien, voleva sapere di Sun. È a casa di Marinette… Gli ho detto che non c’è fretta di tornare…-, aveva piegato il capo, guardandolo a braccia incrociate: non avrebbe ammesso repliche.

Lui aveva annuito senza dire nulla, gli era passato accanto e si era soffermato a guardarla negli occhi, quindi si era chiuso nel suo studio. Aveva bisogno di riflettere su cosa era diventato e cosa rappresentasse Nathalie per lui.

Gabriel si chinò sulla donna e posò un bacio leggero sulla spalla che ancora spuntava dalla coperta, lei si mosse e nel sonno si voltò verso di lui, mostrandogli il volto disteso e il petto nudo. Una mano sotto al cuscino, l’altra abbandonata accanto a lui. Mosse le labbra, tirò su le gambe rannicchiandosi in posizione fetale. Avevano fatto l’amore e quello che lui aveva provato era stato qualcosa di unico e diverso. Si era sentito compreso come non mai, aveva sperimentato quanto il desiderio si stesse scontrando con il senso del dovere e quel pudore che aveva sempre contraddistinto Nathalie. Si era lasciato amare, baciare, toccare, erano stati abbracciati in un mistero che ad ogni sguardo trapelava dagli occhi increduli e lucidi della donna.

-Non è possibile-, l’aveva udita sussurrare per un istante, mentre lui affondava dentro di lei e lei, con lo sguardo appannato, allungava le braccia, per stringerlo a sé, perché voleva essere un’unica cosa con l’uomo che amava.

E alla fine l’aveva baciato, sfatto, stanco, anch’egli incredulo e appagato. L’aveva baciato su uno zigomo e sul petto e si era rannicchiata al suo fianco rimanendo stretta a lui finché non si era mosso, sfilando il braccio su cui lei era appoggiata, perché si era informicolato.

-Scusa-, aveva balbettato Nathalie spaurita, scattando verso l’altra metà del letto, coprendosi con le coperte. Si era messa di nuovo nell’angolo, d’un tratto consapevole di quel che era successo.

-Scusami tu-, le aveva risposto, -Scusa se ci ho messo così tanto tempo a capire che tesoro ho sempre avuto accanto-, e aveva aperto le braccia, per farla tornare da lui.

-Nathalie-, la chiamò piano, dispiacendosi perché la stava svegliando. La donna aprì piano gli occhi blu, li sbatté, tentò di mettere a fuoco quello che aveva davanti al viso, li spalancò, poi rammentò e si aprì in un sorriso.

-Gabriel…-, la gioia nel pronunciare quel nome, in quel momento, vicina a lui.

-Nathalie… quando deve riprendere l’antibiotico Sun?-, l’uomo piegò le sopracciglia, scusandosi per la domanda necessaria, seppure fuori luogo. Lei parve recuperare in un istante il suo piglio da segretaria: -Alle quattro e mezzo: che ore sono?-

-Le cinque…-, si rizzarono entrambi contemporaneamente a sedere nel letto e si guardarono strizzando entrambi appena gli occhi, un sottile terrore nei loro sguardi.

-Ma è con Adrien!-, constatò Nathalie, allungando una mano verso il comodino, dove aveva lasciato i suoi occhiali qualche ora prima.

-È uno sciagurato, l’ha portato via e il bambino sta male!-, si adirò Gabriel, a sua volta inforcando i suoi occhiali.

Per terra, da qualche parte nella stanza in penombra, il cellulare dell’uomo ricevette un messaggio e vibrò. Lui si alzò e cercò a tastoni l’oggetto, noncurante del suo essere nudo.

Sono tornato a prendere la medicina per Sun:

quanta e quando devo dargliela?

Firmato: Chat Noir

>^_o_^<

L’uomo scosse la testa e sorrise: in fondo andava tutto bene, bastava non essere genitori apprensivi.

***

-Aem! Aem chaoyusai!-, un leggero tonfo e passettini leggeri.

Adrien drizzò le orecchie e si sollevò sorreggendo per le braccia Marinette, ancora sopra di lui e incredula per le sue parole; -Pho!-

-Sunan!-, esclamò la giovane, levandosi per permettere ad Adrien di correre dal fratello, che piangeva.

-Aem! Aem chaoyusai…-, Adrien lo trovò sulla porta della camera, in piedi e scalzo e lo prese in braccio portando il visino davanti al suo: -Ya kangvon, Sunan. Khoni yuthini…-

Abbracciò il bambino portando una mano alla sua nuca e infilando le dita nel colletto della maglia del piccolo.

-Mi sembra che scotti-, informò Marinette, che li fece sedere sul divano e riprese il termometro.

-Trentotto e sette, sta salendo… Che medicine deve prendere? Io… io non ho nulla, non mi sono organizzata e… non ho idea di cosa… forse il doliprane oppure...-, si sentiva in colpa! Accidenti, non poteva aver pensato a qualcosa del genere quando aveva traslocato?

-Tranquilla, Marinette! Lo so che non hai una farmacia in cantina… non serve. Adesso chiamo Nathalie e poi vediamo come fare-, dicendo così le passò il bambino che aveva gli occhi lucidi e continuava a dire quelle parole sconosciute.

Adrien, davanti a loro, misurava a grandi falcate il salotto, aspettando una risposta dall’altra parte.

-Niente, non lo sente-, dichiarò chiudendo la chiamata, -faccio un salto a casa mia e prendo quello che serve, ci metterò pochissimo-, le fece l’occhiolino e corse a nascondersi in bagno, perché il piccolo non assistesse a quel che voleva fare. Un bagliore filtrò da sotto la porta chiusa, ma il bambino non se ne accorse, intento a toccare una ciocca dei capelli di Marinette.

-Chao panaem khongkhony bo?-, mugolò sul suo collo mentre Chat Noir, silenzioso, sgattaiolava fuori dalla finestra e, balzando di tetto in tetto, si dirigeva verso Villa Agreste.

Marinette non capiva nulla, ma sapeva che doveva solo parlare al piccolo col cuore. Lo tenne stretto a sé, lasciando che si accucciasse come meglio voleva e iniziò a sussurrare una dolce ninna nanna per calmarlo, passandogli la mano sulla schiena in un susseguirsi di carezze. Il piccolo si spostò meglio e affondò il viso sotto al suo collo, lasciando che il battito del cuore di Marinette lo calmasse.

-Piccolo amore…-, bisbigliò lei, provando una sensazione inusuale e travolgente. Adrien era tornato portando con sé quel fagotto di una dolcezza estrema, aveva rischiarato come un’alba la sua grigia esistenza e aveva aggiunto il colore di quegli occhi neri e luminosi.

-Marritett!-, Sun provò a dire il suo nome, alzando la testa verso di lei.

La giovane sorrise e lo aiutò: -Ma-ri-nette-, scandì il suo nome e il piccolo lo ripeté, rotolando sull’ultima sillaba.

-Mari...rette, ho sete-, le disse e si lasciò mettere seduto come un soldatino sul divano, in attesa di un bicchier d’acqua; Marinette tornò con due bicchieri: -Questo è per Sun-, gli disse, aiutandolo a bere, -E questo è per Mr Pandy-, spiegò, avvicinando un bicchiere vuoto al muso del peluche. Sun rise e, anche se tossì subito dopo, sembrava essere spuntato il sole nella stanza.

Tre colpetti veloci alla finestra sul terrazzo avvisarono che Adrien cercava di farsi aprire.

-Brrr…-, entrò strofinandosi tra loro le mani; legato a un polso aveva un sacchetto con svariate scatole all’interno: -Non ho osato domandare… ma ho scritto un messaggio a mio padre, spero lo legga. Prima o poi… Questi li ho trovati sulla credenza in cucina credo siano tutti per lui-, si sedette accanto alla donna e insieme analizzarono i vari flaconi di sciroppi.

-Cefpodoxim…, mi sa che è l’antibiotico-, asserì Adrien.

-Doliprane: guarda, c’è la posologia per peso. Quanto pesa?-, il giovane rispose alzando le sopracciglia, non ne aveva idea; -Ma dai Adrien, è tuo fratello! Non sai quanto pesa?-, lo apostrofò bonariamente.

-Non so quanto peso io, che vuoi che ne sappia quanto pesa lui!-, rispose piccato; -Comunque, poi ci sono le fialette dei fermenti lattici e questo: Petit Drill, per la tosse-, lesse l’etichetta: -È naturale, questo penso possa prenderlo senza problemi…-

-Ma se gli diamo il Doliprane sarà meglio aspettare un po’, non trovi?-, obiettò Marinette.

Stavano affogando in un bicchier d’acqua, alle prese con qualcosa di assolutamente più complicato di affrontare un mostro akumizzato.

-No, è meglio se prima prende questo, non senti quanta tosse ha?-

-Ma dobbiamo fargli scendere la febbre!-

Il telefono vibrò tra le mani di Adrien. -Pronto, Nathalie-, rispose avendo visto il nome del chiamante; -Nathalie aiutaci che non sappiamo che pesci prendere! No, non occorre che veniate… NO, lo so fare da solo. Dimmi solo che devo dargli-

Marinette alternava gli sguardi tra Adrien, tutto preso dallo scrivere su un post it cosa e come doveva fare per aiutare il suo fratellino e il bambino, che continuava a far bere per finta il panda e, ogni tanto, tossiva fortissimo.

-Grazie… ciao-

Adrien passò a Marinette il foglietto: quella calligrafia… la giovane sussultò correndo con la mente alle lettere che aveva gelosamente conservate in un nascondiglio sicuro, e si dedicò al contenuto.

-Ok: quindi subito antibiotico e paracetamolo e più tardi quello per la tosse. Ok…-, leggendo si era alzata per preparare le medicine, dalla cucina chiese a gran voce se Adrien si fosse informato sul peso del bambino.

-Ne deve prendere cinque millilitri-, fu la risposta e, alzando gli occhi al cielo, si domandò come facessero gli uomini a vivere senza conoscere dettagli fondamentali su chi stesse loro vicino.

Marinette coprì Sun con la sua coperta e gli mise in mano un macaron al cioccolato, mentre Adrien accendeva la TV su un canale per bambini, -Vedrai che tra un po’ starai meglio-, disse al piccolo e fece un cenno all’uomo di seguirla in cucina.

-Lo metto nel frigo-, gli fece presente, sventolando davanti al suo naso la scatola dell’antibiotico. Adrien annuì e si versò dell’acqua. Sunan lo aveva interrotto nel momento più importante degli ultimi sei anni della sua vita e non sapeva come trovare il coraggio per riprendere quel discorso. Pregò che fosse Marinette a tornare sull’argomento, ma la giovane mise su l’acqua per il tè e si sedette al tavolo.

-È veramente un amore-, confessò, parlando del bambino, -Prima mi ha detto qualcosa nella sua lingua, ma non ho capito…-, si strinse nelle spalle.

Adrien si sedette davanti a lei, -Ricordi cosa ti ha detto?-; Marinette ripeté il gesto, -No… forse qualcosa come “Ciao panam bo”?-, provò a ricordare.

-Chao panaem bo…-, Adrien sorrise dolcemente: -Ti ha scambiato per sua madre, forse…-, le spiegò, vedendola arrossire, imbarazzata.

-Lo fa anche con Nathalie, la chiama mamma e ne ha ben ragione, visto come si è occupata da subito di lui e gli si è affezionata, ma nel tuo caso… credo che abbia visto in te i lineamenti orientali che gli hanno davvero ricordato la sua vera mamma-, spiegò.

-Sarà stato per la febbre-, tagliò corto la donna e preparò il tè, versando sul filtro l’acqua bollente.

Fuori era buio e presto sarebbe arrivata l’ora di salutarsi: -Dovresti riportarlo a casa sua-, disse semplicemente. Adrien concordò con un cenno della testa, -Ti abbiamo disturbata a sufficienza, per oggi: perdonami-, un’idea balenò per la prima volta nella sua testa: -Forse avevi degli impegni e io… Non ci ho pensato, scusami-

Marinette rise con delicatezza: -Ma quali impegni? Adesso poi, che Alya e Nino sono fuori dai giochi, che impegni dovrebbe avere una zitella come me, di domenica pomeriggio di inizio dicembre?-

Adrien scosse la testa, cosa c’era che non andava nella percezione che aveva di se stessa la sua meravigliosa Marinette?

-E di lunedì mattina, che impegni hai?-, le domandò a bruciapelo.

-Io… avrei il corso di taglio…-, Marinette serrò i denti, abbozzando un sorriso sforzato, -E dopo quello di disegno dal vero e…-

Adrien incrociò le braccia sul petto: -E…?-

-E dopo avrei promesso a mia mamma di andare insieme al centro commerciale che hanno aperto verso il Bois de Boulogne e…-

-E…-

-E alle sette dovrei andare da Alya a parlare dei loro abiti per il matrimonio e…-

-E…!-, iniziavano ad essere troppi impegni, accidenti!

-E dopo avevo pensato di andare al cinema…-

-Da sola!?-, domandò Adrien, allargando le braccia davanti a sé.

-E con chi?-, Marinette abbassò lo sguardo sulla sua tazza di tè: quella era stata la sua vita fino ad allora. Sollevò di nuovo la testa e guardò Adrien: -Sai cosa?-, iniziò con tono mutato, -Ti aspetto qua da me domattina verso le nove, andiamo insieme a fare colazione al bar, e poi facciamo quello che ci pare: che ne dici?-

Adrien allungò le braccia verso di lei e la guardò in tralice: -Per me va bene, ma non so che idee avesse Chat Noir…-, sorrise sornione e si alzò: -Sunan, iniziamo ad andare a casa, che tra non molto è ora di cena-, avvisò il fratello.

Quando rimase da sola, Marinette lasciò accesa la TV sui cartoni animati e si rannicchiò sul divano: la casa era vuota, senza di lui e gli schiamazzi di Sun… si fermò un attimo a riflettere quanto la sua vita fosse cambiata in meno di una settimana, dopo anni di stasi. Avrebbe dovuto assolutamente avvertire sua mamma di quello che era successo, glielo doveva, dopo aver compreso quanto la donna si fosse rammaricata per non aver combinato un incontro tra lei e Adrien, quando si era presentato in pasticceria. Forse era stato meglio così: le cose erano andate, spontaneamente, senza programmi.

Sfilò di tasca il telefono e compose il numero di casa, sperando che fosse proprio lei a rispondere. Tentennò non poco nel dare la notizia alla donna, che l’aveva mitragliata di domande sulla festa e se si fosse stancata a risistemare da sola.

-Mamma, Adrien è venuto da me-, le disse ad un certo punto e il silenzio dall’altra parte la turbò. Forse la sua famiglia non avrebbe accettato un riavvicinamento con lui, dopo tutto quello che era successo, invece fu sorpresa dalla dolcezza con cui la madre accolse la notizia: -Sapevo che l’avrebbe fatto… Marinette, non pensare più al passato, hai una vita meravigliosa da vivere. Fallo con lui, è quello giusto-, le disse, -Vorrei poterti abbracciare-, aggiunse, -Ma sto cucinando e…-

-Posso venire a cena a casa?-, domandò la figlia, che non vedeva l’ora di fare altrettanto.

-Ma certo, puoi sempre venire a casa tua, ogni volta che lo vorrai e senza mai domandarlo-, rispose la donna e fu sicura che Marinette li avrebbe raggiunti in un baleno.

La giovane spense la TV, si sgranchì le gambe e chiamò Tikki.

-Ti va di tornare a prendere la tua casa delle bambole?-, le domando facendo l’occhiolino, e si trasformò in Ladybug.

Prima di spegnere le luci e chiudere casa, scrisse un post it e lo attaccò al vetro della finestra, dopo uscì in terrazza e con un balzo scomparve tra i tetti di Parigi.

***

NOTE:

Prima che lo scriva qualcuno di voi, me lo scrivo da sola: NESSUNO PUO’ METTERE NATI IN UN ANGOLO!!!

Toh! (qua ci dovrebbe essere un fotomontaggio, ma non so metterlo, quindi se lo volete vedere, cercatelo su wattpad: https://www.wattpad.com/670939431-oltre-capitolo-32-drops-of-life

Ahahahahah!!!

Seconda di pooooiiii… non odiate il piccolo Sun per il momento che ha interrotto… mica pensavate che dopo 32 capitoli vi servissi così sul piatto d’argento tutto e subito!

Pazienza che… arriverà quel che deve arrivare!

Ciaociaociao… chao!

   
 
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