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Autore: Fiore di Giada    24/12/2018    0 recensioni
Qualche istante dopo, un medico uscì dalla stanza, il volto greve e cupo.
– Signor Leone? – lo chiamò.
Il giovane guerriero, sentendosi chiamare, si alzò dalla panchina e si avviò verso l’uomo, il cuore stretto in una morsa d’angoscia. Si era avveduto dell’espressione dispiaciuta del dottore e questo era un segnale di sventura.
E questo lo angosciava.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I bianchi corridoi dell’ospedale Hygea di Mykonos erano percorsi da medici, pazienti stesi su barelle e infermieri.

Vulcano Rosso, seduto su una panca di ferro, attendeva. Tutto, in quel momento, gli sembrava assurdo.

– Maledizione… – sussurrò, frenando a stento un gemito di disperazione. Quella vacanza si era trasformata in un incubo privo di luce.

La sua fidanzata, Flora, era stata ferita da un sicario dell’organizzazione, che da tanto, troppo tempo, serviva con devozione.

In quel momento, giaceva su un letto d’ospedale e solo dei macchinari le permettevano di vivere.

Il giovane chiuse gli occhi e strinse le mani. Aveva deciso di trascorrere con la sua fidanzata una vacanza a Mykonos, perché desiderava festeggiare con lei il suo successo in una mostra tenuta in Francia.

Flora era riuscita ad ottenere il successo che, per tanto tempo, aveva desiderato, come rivincita su una esistenza tormentata e piena di amarezze.

Non aveva mai rinunciato al suo sogno di divenire una pittrice affermata e famosa.

A lui piaceva questo di lei.

Nel suo cuore si mescolavano la forza di una guerriera e la grazia di una ninfa di Raffaello.

E, in quel momento, giaceva su un letto d’ospedale, lontana dalla sua terra natia.

E la colpa di quanto accaduto era sua.

Perché aveva deciso di servire una setta di fanatici?

Non aveva saputo vedere la verità e si era fermato ai loro superficiali proclami.

E lei pagava le sue colpe.


Qualche istante dopo, un medico uscì dalla stanza, il volto greve e cupo.

– Signor Leone? – lo chiamò.

Il giovane guerriero, sentendosi chiamare, si alzò dalla panchina e si avviò verso l’uomo, il cuore stretto in una morsa d’angoscia. Si era avveduto dell’espressione dispiaciuta del dottore e questo era un segnale di sventura.

E questo lo angosciava.

Ne era certo, quello sguardo non era portatore di buone notizie.

Rabbrividì. No, non poteva credere a quella terribile, dolorosa eventualità.

Il solo pensiero gli dilaniava il cuore e sentiva un dolore quasi fisico abbattersi su di lui.

– Cosa succede, dottore? – domandò l’italiano con voce esageratamente pacata.

Il medico scosse la testa in segno di dispiacere e scuse.

– E’ in stato di morte cerebrale. Mi dispiace. –


Le parole del medico trapassarono la mente del giovane. No, non riusciva a crederci!

No!

Con un gemito, si abbandonò sulla panca, la testa tra le mani.

Non posso crederci… Non è giusto…, pensò. In quel momento, tutto gli pareva insensato e crudele.

I membri dell’Organizzazione si erano rivelati mostri crudeli, affamati di sangue innocente.

E lui, per tanto, troppo tempo non lo aveva compreso.

Si era lasciato irretire dalle loro splendide e vuote parole, piene di retorica e falsità.

Si erano serviti di Flora per punire lui.

Ma quale era il senso di tutto questo?

Gli sembrava tutto ridicolo, assurdo, insensato.

Scosse la testa, cercando di recuperare la lucidità. No, in realtà un senso c’era in quegli eventi.

Il dolore, in quel momento, gli ostacolava una lucida riflessione, ma di questo era certo.


– Signore, si sente bene? – domandò il medico, preoccupato.

Vulcano Rosso, con un gesto deciso, alzò la testa e fissò l’altro. Come poteva fargli una simile domanda?

Avrebbe riso, se la disperazione, come una belva famelica, non avesse divorato la sua anima.

Con la morte della sua amata, nulla per lui aveva senso.

Anzi, il suo cuore era precipitato in un abisso.

Ogni sentimento positivo si era dissolto dal suo cuore, quando era venuto a conoscenza della morte di Flora.

Il suo cuore era stato devastato da una brama di vendetta, che aumentava sempre di più.

– Sto bene. Almeno fisicamente, sto bene. – mormorò il giovane uomo, il tono apatico. In realtà, aveva detto una pietosa bugia.

E, di sicuro, il medico se ne era accorto.

Questi, con un cenno dubbioso del capo, acconsentì.

– Signore, dobbiamo informare i familiari dell’accaduto… – iniziò il medico.

– Non sarà necessario. Lei è… era orfana. Si può dire che la sua unica famiglia sia io. Mi occuperò io di tutte le pratiche relative al suo funerale e alla sua sepoltura.– mormorò il giovane, lo sguardo fisso davanti a sé.


Si scosse e fissò il medico negli occhi.

– Tuttavia, vorrei vederla un’ultima volta. Sarebbe possibile? – chiese.

Questi annuì e lo condusse nella stanza numero venti.


L’ambiente, di forma rettangolare, era assai ampio e, addossati alle pareti, tinte d’azzurro, si scorgevano dei letti, a cui erano collegati dei macchinari, dai quali si spandevano dei deboli ronzii.

Dei paraventi, anche essi blu, dividevano ciascun letto da un altro.

L’illuminazione era fornita da alcune lampade di forma quadrata, da cui pioveva una spenta luce gialla.

I due uomini raggiunsero uno dei letti, sul quale giaceva una ragazza di trent’anni, coperta da un lenzuolo bianco.

Il livido chiarore del volto, coperto dalla maschera per l’ossigeno, era attenuato dal verde della cuffia che le copriva i capelli.

Vulcano Rosso chiuse gli occhi, avvilito. No, quel corpo aveva solo le sembianze di Flora…

Meravigliosa dea, come hanno osato colpire te?, pensò.

Il medico, discreto, si allontanò.


Il giovane guerriero italiano allungò la mano destra e la posò sul viso della ragazza, in una tenue carezza.

Un brivido gelido si propagò lungo il suo braccio. Quel freddo non apparteneva a lei, così vitale e forte.

I suoi occhi neri, in quel momento chiusi in un sonno innaturale, trasmettevano con un solo sguardo la sete di esperienze che bruciava dentro di lei.

Quel corpo, legato ad una vita artefatta, priva di coscienza, non le apparteneva più.

Di lei manteneva solo le splendide sembianze.

Singhiozzò e si coprì gli occhi con le mani, abbandonandosi ad un pianto silenzioso. La sua mente era ben cosciente di quello che doveva fare, ma il suo cuore era straziato da quella ineluttabile necessità.

Ogni speranza era stata infranta, distrutta, annientata.

Si allungò un poco sul letto e le sue labbra, lievi, sfiorarono la gelida fronte di lei.

– Ti sei presa il mio cuore, mia dea… Ovunque andrai, ti chiedo di averne gran cura. – sussurrò, gli occhi goccianti di lacrime. Voleva illudersi di avere con lei un flebile, sfilacciato legame, ma il suo amore gli ordinava di troncare quella esistenza fasulla.

La amava e doveva rispettare la sua persona.

Tuttavia, qualcosa per lei ancora poteva fare.

Flora… Ti prometto che la tua morte avrà la giusta vendettaTe lo prometto., pensò. Quel bastardo non sarebbe fuggito alla sua ira.

Lo avrebbe cercato e ucciso, a costo della sua anima.

Rise, amaro. La sua anima, in quel momento, era perduta con lei.

Non l’aveva più.

Era un corpo morto, animato da una sempre crescente brama di vendetta.


Qualche minuto dopo, il medico ritornò.

– Siete pronto? – chiese.

Con un cenno del capo, il combattente italiano annuì.

– Staccate la spina. Io devo occuparmi delle pratiche burocratiche per riportare Flora in Italia. – dichiarò il giovane. Non aveva detto l’intera verità.

Aveva bisogno di un pretesto per stare lontano da lei.

Vedere il suo corpo immobile nella morte dilaniava la sua anima e indeboliva la sua volontà di vendetta.

Il medico annuì e Vulcano Rosso, con passo svelto, si allontanò dall’ospedale.

   
 
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