Epilogo
Le braccia
che circondavano il corpo di Stiles non subirono alcuna modifica, non sortirono
alcun effetto, il dolce dormire ebbe la meglio su qualsiasi aspetto si potesse
presentare e tutto poteva essere rimandato.
I raggi
solari illuminarono completamente l’oscurità del monolocale e ciò che era
nascosto si mostrò alla luce del nuovo giorno. Le iridi di giada si aprirono e
si specchiarono in quelle di miele.
Erano
attente, sveglie, attive, come se ogni traccia di sonnolenza fosse stata
spazzata via e lo stessero studiando da diverso tempo, eppure Derek non era
disturbato da quella sfaccettatura, ma da un cambiamento che l’offuscamento del
ridestarsi non gli permetteva di cogliere a tutto tondo.
Erano gli
stessi occhi su cui si era affacciato per due eterne settimane ogni mattina, ma
non erano più presenti l’innocenza ed il candore che li caratterizzava, la
fanciullezza dei loro cinque anni e l’adorazione che provavano nei suoi
confronti; improvvisamente erano più adulti, più consapevoli e con una traccia
d’amarezza. Continuavano ad essere grandi, enormi, tipici di Stiles, e seppure
il taglio fosse il medesimo e non fosse cambiato di una virgola, apparivano più
conformi al viso a cui appartenevano. Ad un’occhiata di sfuggita non sarebbe
più stato considerato un volto di soli immensi occhi.
«Stiles» lo
realizzò d’impeto, folgorato dall’illuminazione dei fatti, la saetta che lo
attraversava da parte a parte.
Stiles
sorrise appena, senza alcun sentimento, vuoto e disilluso ed era talmente
lontano dal calore che era tipico dedicargli, dalla purezza che fino al giorno
prima la sua piccola volpe era in grado di regalargli.
«Sei
tornato» proferì il mannaro con un misto di incredulità e concretezza,
abbracciando visivamente le nuove sembianze che l’umano aveva preso, tornando
al corretto anno d’età. La mano partì in automatico per accertarsi della
realtà, per assaporare e rendere tangibile il cambiamento, il viso che non
presentava più tratti morbidi, ma più affilati e definiti, quasi marcati e
rendendo possibile seguirne il percorso tracciando il loro contorno sulla
pelle.
«Non
toccarmi» ma Stiles lo scacciò via in malo modo, sottraendosi al suo tocco e
scappando dalla sua presa.
Derek restò
di ghiaccio sul posto, guardandolo con le iridi spalancate ed esterrefatte. Non
poteva essere vero che Stiles si scostasse da lui, non dopo che le sue braccia
l’avevano accerchiato per tutta la notte, premendoselo sul petto.
«Dio,
Derek. Non sono lui» esclamò con
impeto alla sua espressione contratta, il leggero tono di rabbia che albergava
tra loro. Un attimo dopo scoppiò in una risata di derisione verso se stesso. «Ero già un ragazzino per te, adesso sarò un
poppante» si liberò completamente da Derek, alzandosi a sedere precipitosamente
e balzando per scendere dal letto ed allontanarsi il più possibile.
Ma
nell’attimo in cui tentò di agire, il mutaforma lo afferrò per un polso e,
seguendo le sue movenze, portandosi a gambe incrociate sul materasso, lo attirò
a sé, lasciandolo ricadere sulle sue cosce. «Stiles» era solo il suo nome, non
era nemmeno la solita gradazione vocale di comando che gli impartiva
regolarmente, era solo una sollecitazione a rimanere.
«La devi
smettere» gracchiò il diciasettenne furibondo, manifestando tutto il suo odio
per il siparietto che si stava presentando. «Non puoi toccarmi così. Non puoi
toccarmi affatto. Non abbiamo questa familiarità. In realtà non ne abbiamo
nessuna».
«Perché sei
così adirato?» la fermezza e freddezza della creatura della notte non
vacillarono di un attimo.
«Non sono
adirato. Sto sottolineando un concetto» strattonò il polso di cui si era
appropriato, districandosi dalla morsa ed allontanandolo quanto possibile. «Hai
costruito un’intimità tattile con una persona che non sono io».
«Una
persona che non sei tu?» domandò di rimando il mannaro, arcuando un
sopracciglio e guardandolo dubbioso. «Vuoi dirmi che non eri tu quel bellissimo
e adorabile bambino?».
Il naso di
Stiles si arricciò, sia per il disagio che per l’accostamento dei due
aggettivi. «No».
«No?» la
mano di Derek tornò a sfiorargli il volto, a tratteggiare il contorno del suo
viso, ad assaporarne il calore e la consistenza. Stiles resistette con ogni
mezzo disponibile dall’abbandonarsi teatralmente a quel contatto premuroso.
«Eppure rispondi allo stesso modo» c’era soltanto meno innocenza e trasparenza.
Stiles
appariva provato ed umiliato, ripudiando la facilità con cui era affine al
corpo del lupo. «Non mi toccheresti mai così».
«Chi l’ha
detto?» domandò retoricamente e seriamente il licantropo, poggiando
completamente il palmo sulla guancia dell’umano e stringendo un braccio intorno
al suo bacino. «Chi ti dice che non sia questo il modo in cui desideri
toccarti, sempre?».
Il labbro
inferiore del figlio dello sceriffo tremò e lo morse con i canini, sperando di
fermarlo e Derek ne approfittò per immergere il naso nella curva del suo collo.
«La sua pelle è la tua pelle. Il tuo odore è il suo odore» lo respirò a pieni
polmoni, riempiendoli completamente e contemplandolo amorevolmente, schioccando
un bacio lì dove affondava il setto nasale. «Tu eri in lui e lui è in te. Eri
Stiles. Sei Stiles. Esiste un unico Stiles».
Un
singhiozzo incontrollato sfuggì dalla bocca dell’adolescente e tutta la sua
materia grigia lo incitava a prendere il largo e tornare al luogo a cui
apparteneva. «Ti prego, Derek, non giocare sporco. Lasciami tornare a casa.
Lasciami tornare da mio padre e dimentichiamoci di questa storia, anche tu hai
dove tornare».
«Dimenticare?
Non dimenticherò niente» insorse il mutaforma, allacciando meglio l’arto
superiore al fianco dell’umano. «Ti ho aspettato per diciotto giorni. Per
diciotto giorni ho invocato il tuo nome, ti ho pregato di tornare da me».
«Sono
tornato, hai compiuto il tuo dovere» lo gelò il diciasettenne, le emozioni
disturbanti che gli attraversavano tutto l’organismo, incapace di controllarle
e detestandole, mostrando solo la corazza stoica che voleva esclusivamente
salutarlo e liberarsi di lui. Mettere finalmente il punto ad una storia che non
era mai nata. «Ora puoi raggiungere tua sorella, riprendere da dove hai
lasciato».
Derek era
talmente sopraffatto e sbigottito da non credere a ciò che il suo udito gli
riportava. «Riprendere da dove ho lasciato?».
«Sì» confermò Stiles senza divagare, senza aver dubbi
o ritrattare ciò che aveva detto. «Avevi i tuoi piani, le tue perfette
decisioni, bello pronto a partire e sei rimasto a causa mia, perché sono
regredito ad uno stupido bambino di cinque anni e ti sei sentito in dovere di
restare. Ma sei libero, spicca il volo, riscrivi la tua storia».
«Non sei
stupido, Stiles. Sei la persona più intelligente che conosca e quel bambino, tu,
era strabiliante. All’inizio ero convinto che il Nemeton
ti avesse fornito gli strumenti per compensare, ma né Scott né tuo padre
vedevano la cosa stranamente perché eri tu in tutto e per tutto. Perché sei
sempre stato enormemente brillante» era estremamente importante ribattere su
quel punto, su quanto importante fosse stato relazionarsi con un esserino
paffuto che lo venerava senza inibizioni. Come lo Stiles di cinque anni, quello
che si ritrovava dinnanzi riteneva di essere stato un peso, una seccatura da
cui era impossibile sottrarsi, ma per Derek quel bambino era stato autentico
ossigeno e lo stesso Stiles non poteva permettersi di provare a denigrarlo e
ridimensionarlo, infierendo sulla propria medesima persona.
L’accerchio
sul corpo del figlio dello sceriffo si fece più sentito, più tangibile e
veritiero, finendo per poggiare il capo sulla fronte della sua volpe. Era
talmente perfetto che non avrebbe mai voluto sciogliere quell’intreccio
idilliaco. «Ho amato quel bambino. Ho amato te. Amo te».
Stiles si
irrigidì tra le sue mani ed il fiato divenne quasi inesistente. «Cosa… cosa hai
detto?».
«Ho detto
che non riprenderò da dove ho lasciato, che non andrò da nessun’altra parte in
cui non ci sia tu» gli sorrise di sbieco, in una leggera sua imitazione da
grande rivelazione di bonaria presa in giro per le sue reazioni che lo
toccavano, riempiendogli quel cuore a cui venivano inferte ferite su ferite.
«L’unica cosa che ho lasciato indietro sei tu» le iridi si tinsero di un blu
metallico, gli arti superiori si sciolsero e le mani calde andarono a
circondare il viso della sua piccola volpe cresciuta. «Ti amo, Stiles».
Le pupille
nere si dilatarono a dismisura, appropriandosi quasi interamente dell’ambrato e
gli arti superiori afferrarono i polsi del mutaforma, staccandoli dal volto ed
allontanando di conseguenza il corpo dal suo. «Ho bisogno… ho bisogno di un
momento» tutta la sua attenzione fu rivolta altrove, con lo sguardo che vagava
ovunque ma non sul licantropo.
Derek, con
lo zaffiro che veniva rintegrato nello smeraldo, non seppe come interpretare la
sua reazione, distante da quella che si era figurato nella mente, ma forse quel
periodo di stallo ed indefinito gli toccava.
Stiles
mollò la presa sui polsi dell’uomo, quasi scottassero, ma allo stesso tempo non
fossero minimamente consistenti e le iridi si celarono dietro ad un velo vacuo.
«Ero un bambino fino a poche ore fa».
«Sì» confermò la creatura della notte, ben
conoscitore di quell’aspetto.
Il figlio
della massima autorità della città riportò le gemme dorate sulle sue, in una
meditazione complessa. «Non ha nessun effetto su di te?».
«No» rivelò Derek senza alcuna forma di
tentennamento, non esitando a rifletterci su. «Riconosco le differenze tra di
voi, benché siate la stessa persona. Non ho mai sovrapposto te a lui e non lo
farò adesso. Il te bambino ha il mio profondo affetto, ma il te adulto ha il mio amore».
Stiles
rabbrividì e le braccia andarono a stringersi attorno a sé, strapazzando
l’unico indumento che lo ricopriva fino a metà coscia, lasciandogli completamente
le gambe scoperte, e che era pregno dell’odore del Beta. «Non ho mai voluto
metterti alle strette, costringerti a scegliere».
Per quanto
Derek desiderasse rispettarlo, lasciargli il suo spazio e riprendere nuovamente
confidenza con se stesso, non riuscì a trattenersi dal
chinarsi su di lui e schioccargli un bacio sulla fronte. «Lo so».
L’umano
sgranò gli occhi ed il respiro gli graffiò la trachea, costringendolo a
rimanere pietrificato dov’era; non riusciva ad abituarsi a quell’improvvisa e
travolgente intimità. Non riusciva a concretizzarla e crederla reale. «Der. È
così che ti facevi chiamare?».
Era un
capovolgimento d’argomento interessante, era evidente che per qualche ragione
l’adolescente non volesse andare in profondità, non in quel preciso istante. A
Derek non rimase che scuotere le spalle in un unico movimento, come se non ne
fosse toccato. «Ti piaceva e puoi chiamarmi come desideri, piccola volpe».
Tutto
l’essere del lupo si arricciò deliziato al rossore che colorò le gote del
liceale. «Non chiamarmi così».
«Ah, no?»
domandò retoricamente il licantropo, abbassando il tono della voce che si tinse
di implicazioni scomode. «Eppure mi pareva che lo adorassi».
Il porpore sul viso dell’umano non accennò a diminuire, al
contrario prese più vigore ed istintivamente inclinò il volto. «Ero un
bambino».
La
giustificazione misera e petulante non soddisfò il mannaro, che si curvò verso
di lui schioccando le labbra su uno zigomo accaldato. «Quel bambino stravedeva
per me».
«Der»
gracchiò Stiles in un ammonimento pregato e dal ghigno che l’uomo gli rifilò,
seppe di aver perso su tutta la linea.
Gli
depositò un nuovo bacio sotto alla radice del setto nasale, un millimetro sopra
il labbro superiore che sfiorò con padronanza, afferrandogli delicatamente un
braccio tra le dita e regalandogli uno schiocco di bocca sentito e pieno di
sentimento sul polso interno, esattamente sopra una delle vene da cui poteva
percepire perfettamente il battito dell’organo cardiaco impazzito. Lo abbandonò
pressato contro il proprio cuore, intrecciando le falangi a quelle del figlio
dello sceriffo, accostando la fronte alla sua e rimanendo nel perpetuarsi del
silenzio incancellabile.
Stiles,
sospirando esausto, chiuse le palpebre a contatto con lui e non si mosse per un
tempo illimitato.
«Sei sicuro
di aver preso la decisione giusta?» gli chiese il liceale infrangendo il tedio
che li avvolgeva, prendendo un profondo respiro interno e costringendosi ad
aver coraggio.
«Era
l’unica decisione che andava presa» dichiarò la creatura della notte,
inequivocabile ed imperiale.
Stiles si
scosse appena da lui, osservandolo dall’alto con le labbra arricciate e la
ricerca di certezza. «Perché non mi hai informato della tua partenza?».
Eccolo lì,
il momento cruciale che il Derek di due settimane prima aveva sperato non si
presentasse mai. «Perché non ci sarebbe stata alcuna partenza altrimenti»
Stiles arcuò le sopracciglia chiare con un interrogativo perfettamente stampato
e Derek si ritrovò ad annegare nelle iridi del nettare degli dei. Coprire
morbidamente la bocca con la propria fu una necessità fisica che non riuscì, e
non tentò minimamente, di sopprimere e quell’unica carezza di labbra mandò il
cuore di Stiles in fibrillazione. «Se ti avessi visto, se ti avessi anche
soltanto percepito, se mi fossi semplicemente limitato a sentire la tua voce,
non mi sarei mai mosso di un passo» sarebbe rimasto con i piedi ben piantati
nel cemento ed avrebbe unicamente aspettato un cenno affermativo dell’umano che
gli accordasse di muoversi.
La colonna
vertebrale di Stiles fremette e l’incredulità emerse nel riflesso della sua
anima. «Eri sicuro che ti avrei fermato, anche se non l’avrei mai fatto
volontariamente».
Le dita
libere del mutaforma andarono ad attorcigliarsi tra le ciocche morbide del
ragazzo, con il polpastrello del pollice che prese ad accarezzargli gentilmente
una tempia. «Non riuscirai mai ad avere coscienza dell’enorme potere che hai su
di me».
«Questo…»
il diciasettenne si strozzò, la trachea si ostruì ed il suo organo involontario
non voleva saperne di darsi una calmata. «Non giustifica quello che hai fatto».
«Lo so» gli
rubò un nuovo bacio, non permettendogli per la seconda volta di ricambiarlo.
«Non volevo abbandonarti».
Un ulteriore
e nuovo singhiozzo pericoloso scappò dalle labbra ripetutamente baciate dal
lupo, costringendo nell’immediato Stiles a coprirle con una mano per smorzarlo,
per proteggersi e costruire una barriera impenetrabile tra le loro figure, ma
Derek era troppo bravo, troppo affine con l’anima e le emozioni
dell’adolescente. Gli scostò le falangi, alzandogli il viso e liberandogli la
bocca, congiungendola alla propria. Lo spiazzo di Stiles fu impagabile.
La
pressione sulle labbra si fece coincisa, premente e sentita, la consistenza dei
cuscinetti rosa veniva solleticata e ricercata, non era più uno sfioramento
veloce, inflessibile, che non poteva permettersi di soffermarsi, di prendere di
più e fare suo tutto quello che gli veniva incontro. La bocca di Derek non
sarebbe fuggita, si sarebbe goduta appieno il bacio, beneficiato della
corposità dell’altro ed avrebbe sanato ogni dubbio del ragazzo che stringeva
tra le braccia, guarito le sue ferite e ricoperto di promesse. Avrebbe smesso
soltanto quando Stiles non sarebbe più stato in grado di respirare, quando
avrebbe cessato di rispondere alla morsa, con le lunghe dita affusolate nivee
che affondavano tra i capelli corvini.
Le gemme
caramellate si specchiarono in quelle di smeraldo e l’anidride carbonica
repressa ne fece da padrona. Tutto quello che Derek vide furono le labbra di
Stiles gonfie e scarlatte. «Non ho più alcuna ragione di lasciarti».
«Dovrei
fidarmi di te, non è vero?» domandò l’umano in risposta, privo di qualsiasi
accusa, ma con l’enorme voragine che quella particolare caratteristica aveva
creato tra loro, rompendoli.
«Sì» Derek
non avrebbe minimamente immaginato che un giorno avrebbe pregato, sperato, che
qualcuno riponesse fiducia in lui, che non sarebbe stato il primo a scoraggiare
chi aveva di fronte, perfino quand’era stato un Alpha non si era impegnato fino
in fondo, con quella discrepanza che esisteva nel suo essere. «Devi fidarti di
me».
Stiles
arcuò le labbra in una strana piega, un po’ sbarazzina e piena di un ricordo
lontano. «Come lo Stiles di cinque anni?».
Non era una
vera domanda, era l’esempio concreto e perfetto che avvaleva la realtà di ciò
che provava il figlio della massima autorità della città per lui. Il fagotto
tutto occhi gli aveva creduto senza fronzoli e promesse di ogni sorta; aveva
spaventosamente rimesso la sua piccola vita nelle sue enormi mani estranee. «Lo
senti più, il Nemeton?».
«No» negò il diciasettenne in un istante.
No, cosa
avrebbe dovuto significare? Sarebbe tornato a far riecheggiare la sua litania
alle orecchie esclusive di Stiles? Aveva terminato il compito che si era
prefissato e di cui continuavano ad ignorare la motivazione? Sarebbe tornato
all’attacco? Avrebbe in qualche modo interferito nuovamente nel momento più
impensabile? «Percepisci ancora l’oscurità dentro di te?».
«Solo in
parte» proferì il liceale, accostando una mano sul petto, all’altezza del
cuore, lì dove il cerchio oscuro risiedeva. «Sembra più gestibile».
Gestibile, Derek
tremava all’idea di quanto Stiles avesse sofferto dopo lo squarcio che si era
aperto, disperdendo i rimasugli della sua innocenza e scambiandola con il male
del mondo. Quanto Stiles avesse sofferto per le pugnalate alle spalle che lui
stesso aveva continuato ad infliggergli, finché non era stato più in grado di
sopportarle e vincerle. «Non sparirà mai del tutto» gli faceva un male cane
quella prospettiva.
«Lo so»
confermò il ragazzo, pressando le dita sul torace, avvolgendo trasversalmente
l’organo cardiaco. «Ma è già una grande conquista e poi…» gli dedicò una
strizzatina d’occhio giocoso e complice, una di quelle che illusivamente
credeva di non scorgere da una vita intera e che facevano emergere tutta
l’autentica personalità dell’umano. «Ognuno ha i suoi demoni personali».
Derek
avrebbe preferito che Stiles non li scoprisse mai, ma purtroppo per lui era
affine con quella maledizione da molti più anni di quanti il mannaro potesse
contare. Intrappolarlo in un bacio che reclamava perdono e rammarico fu
consequenziale, ma Stiles lo ricambiò con uno pieno di sentimento genuino.
Quell’essere incantevole l’avrebbe ucciso in tronco. «Sei stato bravo, con il
piccolo Stiles» proferì la bella volpe a contatto diretto con la bocca,
intensificando con una lieve pausa significata la sua confessione di
apprezzamento.
«Sì?»
domandò di riflesso la creatura sovrannaturale, faticando non poco a seguire il
flusso dei suoi pensieri.
«Sì» confermò il liceale senza remore, ripercorrendo
dei ricordi che improvvisamente apparivano distanti, eppure incredibilmente
vicini da poter essere stretti tra le falangi e rivissuti, privo di qualsiasi
esitazione. «L’hai fatto sentire amato».
Derek era
consapevole del raggio d’azione incredibilmente ampio a cui Stiles si riferiva,
a come quel bambino a cui aveva donato ogni fibra di sé avesse vissuto nella
solitudine più recondita, mai con l’intenzione di cercarla ma perché costretto
da un mondo troppo ingiusto per comprendere la sua spettacolare essenza.
L’universo della piccola volpe era sempre stato di dimensioni malvagiamente
ridotte, smussato fino all’osso e la terribile coscienza eccessivamente
competente di Stiles non l’aveva mai aiutato a liberarsi di un peso che non
avrebbe dovuto portare. Stiles era stato sempre circondato da amore, ma anche
dall’ammontare enorme del rifiuto che la gente aveva nei suoi riguardi, entrare
a contatto con una realtà più ampia, con più componenti con cui interagire e
costruire un rapporto, era stata una battaglia che Stiles non pensava di poter
affrontare e che potesse essere ricambiata con indiscriminato affetto.
Soprattutto non uno Stiles che si era ritrovato a dover camminare da solo
nell’ignoto. «Sei amato» giunti a quel traguardo, l’unico incarico di cui si
investiva era quello di ricordarglielo nell’eternità del tempo.
Per le
orecchie dell’umano risuonava ancora come qualcosa di illusorio e che aveva
rincorso per una quantità temporale eccessiva, il crederlo reale e possibile
appariva quasi come una beffa, eppure era lì, riecheggiava tra le mura di
cemento e aveva le fattezze di un uomo fatto e finito, un uomo che non poteva
mentirgli.
Stiles si
abbandonò contro l’incavo della spalla, respirando sulla clavicola e Derek
inspirò l’odore familiare ed intenso della sua pelle, stringendolo
accuratamente nella morsa che lo circondava e donandogli un bacio candido tra
le palpebre socchiuse. Epurazione. «Tra tutti quelli che poteva scegliere, con
la schiera di estranei con cui è entrato in contatto, lo Stiles di cinque anni
ha scelto me» quella era una particolarità che non poteva cancellare e passarci
sopra come se nulla fosse, soprattutto perché era la ragione che li aveva
condotti a quel preciso istante.
«Oh, sì,
buffo» elargì Stiles come se fosse qualcosa di poco conto, qualcosa che in
qualche modo lo allietava e lo portava a sorridere.
«Buffo?»
domandò di rimando il mutaforma, contraendo le folte sopracciglia scure e
fissandolo con un’espressione che richiedeva delucidazioni. Derek lo avrebbe
classificato in molti modi, ma mai con buffo,
era stato terrorizzante.
Stiles lo
occhieggiò con una grazia tutta sua, la scintilla ammaliante a cui Derek non
sapeva resistere e che per qualche miraggio burlesco la associava alle vesti di
una volpe. Sì, Stiles la
rappresentava in pieno, in ogni sfaccettatura. «Come il Nemeton
conosca perfettamente il mio cuore».
A Derek
sembrò di precipitare da un dirupo.
Tutto quel
tempo e quella marmaglia di branco mal assortito aveva sempre avuto ragione.
La risata
ridacchiante di Stiles si prorogò per tutto il monolocale, divertita e piena di
delizia, vagamente intenerita dalla sua reazione. «Ehy,
Der» proferì con una nota vocale stracolma di affetto, protendendo le braccia e
circondandogli il collo, mentre si issava sulle ginocchia del lupo. «Me li
mostri i tuoi meravigliosi occhi?».
Se un
attimo prima Derek era frastornato, in quell’istante era alla deriva. Ma non
doveva spremersi troppo le meningi per capire a quali occhi in particolare si
stesse riferendo, a quali nel suo sconcerto li avesse incoronati come meravigliosi. Lo Stiles cinquenne si era
subito infatuato di loro e Derek non riusciva a farsene una ragione.
L’azzurro
metallico si rifletté sulle perle dorate e vide nuovamente come Stiles se ne
rinnamorò. «Non hai idea di quanto mi sia mancato questo blu» proferì l’umano
con un groppo in gola, le falangi affusolate che si allungavano per indicare le
gemme di zaffiro, sfiorando una palpebra inferiore. «È sempre stato il mio
colore preferito, il più bello» il suo interesse fu totalmente calamitato su di
esse e lo schiocco della bocca sulla palpebra destra il mannaro lo avvertì
nella complessità della sua interezza. «Sono stati gli occhi con cui ti ho
conosciuto, gli occhi per cui hai lavorato tanto, per riscattarti e redimerti.
Sono gli occhi che ti hanno reso ciò che sei adesso, ciò che mi ha portato ad
amarti» le corde vocali tremarono, ma si fecero più forti, più sonore ed
imponenti. «Mi dispiace tu abbia perso il tuo stato di Alpha, ma questi sono i
tuoi veri occhi, quelli che amo».
Derek non
aveva mai manifestato un’incapacità respiratoria, nessun attacco di panico né
di ansia, non aveva mai avuto un nodo alla trachea che gli impedisse di
scambiare l’anidride carbonica con l’ossigeno, eppure in quell’istante stava
avendo un epocale problema.
Con
l’annebbiamento totale dei sensi, Derek si rese conto che, da quando aveva
perso il suo stato di capo branco, non aveva più mostrato gli occhi del lupo a
Stiles ed egli non era stato testimone del ritorno di quel colore che tingeva i
loro albori.
Nessuno,
eccetto sua madre, aveva cercato di elogiare i suoi occhi da Beta che si erano
macchiati di sangue innocente; erano un marchio di fabbrica, una testimonianza
per qualcuno che non conosceva neppure un quarto della sua storia. Derek aveva
odiato la pigmentazione di quelle iridi del cielo dai suoi quindici anni e non
era mai riuscito a specchiarsi per venire a patti con la loro esistenza. Ma poi
era bastato che un bambino di cinque anni con le gemme del nettare degli dei lo
risollevasse dalla dannazione a cui lui stesso si era condannato. E senza che
il mutaforma ne prendesse coscienza, quegli stessi occhi del tormento delle sue
colpe erano diventati l’incarnazione dell’amore unico che Stiles provava per
lui.
Non era
Derek ad essersi riscattato, era Stiles che si era adoperato in sua vece. «Hai
rivalutato tutta la mia vita» disse in un eco del passato, parole similari
sillabate nella notte trascorsa, quando lo supplicava di rientrare nella sua
perenne quotidianità.
La bocca di
Stiles si arricciò verso l’alto, lieta, felice e colma di gioia per quelle
parole, per quella testimonianza che prendeva più terreno, più consistenza e
materia. «Quindi, valgo la pena?».
Eccola lì,
la sua bella volpe furba. Sfiorò la fronte con la propria, accarezzò il setto
nasale con il suo ed assaggiò ingordo la consistenza delle labbra rosse che
desiderava da due anni e che si schiusero nell’immediato sotto le proprie. Fu
un instante in cui ogni mistero dell’universo, dell’intero cosmo, fu risolto.
«Vali ogni cosa. Vali ogni atomo di me stesso».
Le braccia di Stiles scivolarono oltre le spalle
forti e larghe, circondandogliele e nascondendo il viso contro il suo collo,
mentre una mano affondava nei capelli corvini, incastrandosi tra le falangi ed
una singola lacrima salata cadeva nel vuoto, dentro la maglia disusa della
creatura della notte, depositandosi al centro del suo cuore e cristallizzandosi.
«Anche tu, Derek, ne vali la pena».
Ha qualcosa di poetico terminare questa storia, o
qualsiasi altra li ritragga, proprio il giorno che per una ragione o per un’altra
abbiamo destinato al compleanno del nostro lupo scorbutico per eccellenza. È
Natale, è il compleanno di Derek e la sua storia si conclude con Stiles.
Abbiamo finito con uno Stiles vicino alla maggior
età e il ricordo di uno Stiles di cinque anni che rimarrà nel cuore di Derek. Entrambi
i loro percorsi sono importanti, paralleli, Derek in qualche modo è cresciuto
con tutti e due, li ha conosciuti in sfaccettature diverse, eppure sapeva
sempre riconoscere il suo umano come unico.
Ringrazio come di rito la mia Beta (EarthquakeMG) che ancora una volta si è prestata ad un ruolo
che le è capitato per caso tanto tempo fa. Ringrazio chiunque si sia soffermato
da queste parti, chi ha lasciato e lascerà qualche parola a questi due e alla
storia, chi si limiterà a leggerla a bocca chiusa e chi ancora deve conoscerla.
Il tempismo mi permette di augurarvi un Buon
Natale e felice anno nuovo.
Ed anche di rendevi partecipi di aver pubblicato
una shot sul fandom de I Medici (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3812075),
che in qualche modo ha fatto coincidere il mio antico amore, Merlin, con quello
più attuale, Teen Wolf, per gli attori che vi sono
presenti, perché il mondo è molto piccolo.
Alla prossima,
Antys