Anime & Manga > Altro - anime/manga horror/thriller
Ricorda la storia  |      
Autore: Alyss Liebert    25/12/2018    3 recensioni
[Himitsu – The Top Secret]
[ bromance!Maki/Aoki; established!Aoki/Miyoshi; What if? ]
«Non è possibile», mormorò ad un tratto, fra un ansito e l’altro, «Non era lui».
Faticava a credere alle sue stesse parole, poiché avrebbe riconosciuto il suo caro Maki ovunque, in ogni circostanza, da ogni distanza; ma in quell’istante aveva bisogno di autoconvincersene, di illudersi, di raggirare una verità che il suo cuore non era ancora pronto ad accogliere.

{Questa storia partecipa alla Challenge delle Parole Quasi Intraducibili organizzata da Soly Dea sul forum di EFP}
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: OC
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer
I personaggi e le ambientazioni sono proprietà di Reiko Shimizu.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 
The truth untold
 
 

Aveva fatto arrabbiare Maki, ancora una volta.

Aoki sapeva che vi erano giorni in cui l’umore non sempre promettente del suo superiore risentiva in misura maggiore di certe complicazioni in ambito lavorativo; ed era anche a conoscenza che soprattutto in quei momenti, i quali lo rendevano una sentinella intransigente, il minimo passo falso da parte dei suoi sottoposti contribuiva a scemare ogni briciolo di pazienza che ancora riusciva a plasmare il suo viso composto ma ugualmente terrificante.
In più, Aoki doveva fare i conti con la propria personalità intraprendente e impulsiva, che lo portava spesso a non ponderare a sufficienza prima di compiere certe decisioni o a dimenticare addirittura certi particolari rilevanti, guadagnandosi di conseguenza un rimprovero da parte di Maki.
Quella volta i sentimenti erano stati il suo errore fatale, poiché era bastato un messaggio da parte di Yukiko Miyoshi, la sua compagna, a fargli perdere ogni cognizione del tempo e del dovere. Approfittatosi di uno di quei rari attimi di libertà nei quali non era stato incaricato di portare a termine un compito alquanto pressante, si era diretto nel reparto di anatomia patologica gestito dall’amata e aveva eccezionalmente discusso con Yukiko su ogni argomento possibile fuorché qualcosa di inerente al loro mestiere, avvalendosi dei momenti in cui non vi erano le sue assistenti nei paraggi per scambiarsi tenere effusioni.
L’inizio della loro relazione aveva contribuito a temperare il carattere esuberante della bella donna dai capelli corti e scuri, e a far smarrire la dedizione di Aoki in chissà quale angolo della sua mente.
Per sfortuna di quest’ultimo, quell’amore sovrabbondante pareva non scalfire nemmeno un centimetro dell’animo di Maki, il quale, venuto a sapere della prolungata assenza del suo subordinato dal suo ufficio e ritrovatolo in compagnia della dottoressa Miyoshi, non si fece scrupoli a redarguirlo di fronte a lei con la sua solita improvvisa esplosione di furia, mettendolo al corrente che altri suoi colleghi del Nono l’avevano cercato dappertutto per informarlo di improvvise complicazioni sorte durante l’ispezione di un caso e di inevitabili incarichi che gli erano stati affidati nelle ultime ore.
Fu vano il tentativo di Yukiko di ristabilire la calma e rabbonirlo, rivolgendogli comunque uno sguardo – secondo Aoki – torbido, quasi indisposto. Il sovrintendente ebbe da ridire anche sul suo conto; azione che servì soltanto ad accentuare la tensione che aleggiava nell’aria.
La questione ebbe a risolversi nel seguente modo: con il necessario congedo di Aoki dalla sezione presieduta dalla compagna e il successivo ordine freddo di Maki di finire il turno per ultimo, di restare fino alla chiusura del dipartimento e recuperare la nuova mole di lavoro che aveva trascurato.
Il giovane era, perciò, rimasto fino alle otto di sera a compilare documenti, visionare encefali di malcapitati e segnarsi sul taccuino ogni progresso possibile dell’indagine.
Non sapeva, però, se quella sua mansione sarebbe stata giudicata brillante, sia per la stanchezza opprimente, sia perché tormentato da mille pensieri.
Come poteva restare indifferente di fronte all’inquieto rapporto sempre crescente fra il suo capo e Yukiko? Di certo ciò non lo sorprendeva, ma non riusciva nemmeno ad abituarsene.
Erano state le mani tremanti di Maki a premere il grilletto e mettere fine alla vita di Suzuki, il suo più caro amico, due anni prima per legittima difesa; ma erano state le prime ad aver premuto contro il pavimento quando egli si era prostrato davanti ai parenti del defunto, in cerca di perdono e comprensione. Esse avevano anche soffocato le sue grida di dolore sotto la pioggia di quel giorno nefasto, la quale velava le sue lacrime amare.
Suzuki, però, era anche l’amante di Yukiko. L’angustia provata ai tempi dalla donna era analogo; una pena incommensurabile che non riusciva a scorgere tolleranza e buon senso, solo rancore e sconforto.
Entrambi avevano ottime ragioni per sentirsi così, ma Aoki desiderava tanto farli riavvicinare in qualche modo, soprattutto perché riteneva avessero molte cose in comune, come la personalità austera e dominante per la quale egli si era reso conto di avere una particolare fissazione.
Lui amava entrambi, con sfumature differenti che non riusciva al momento ad interpretare.
 
Finito il suo turno, mise a posto ogni oggetto e scartoffia. Certo di non aver dimenticato nulla, uscì dal suo ufficio, chiudendo la porta a chiave.
Voltatosi in seguito, sobbalzò dallo spavento non appena scorse Maki seduto sul suo divanetto personale; aveva il naso su un quotidiano e un’aria vagamente spossata.
«Maki», lo chiamò Aoki avvicinandosi a lui, «Perché sei ancora qui?»
Pensò subito che il suo superiore avesse cordialmente deciso di attenderlo fino a quell’ora; gli rivolse, perciò, un sorriso alquanto strambo.
Sorriso che Maki notò quando sollevò il capo per incontrare quello sguardo magnanimo, quel volto di ometto che era ormai abituato a vedere regolarmente. Studiò il suo sottoposto per diversi secondi con la massima inespressività, com’era solito fare; poi chiuse il giornale e controllò il suo orologio da polso.
«Sono le otto e cinque minuti», constatò, «Puoi andare».
L’espressione gioiosa di Aoki si assottigliò di poco.
«Ehm… temevi che me la svignassi prima di quanto stabilito?», azzardò, «Sai che non ne sono capace. Prendo seriamente ogni compito».
«Come hai fatto stamattina?»
Il respiro gli si smorzò in gola. Poté giurare di essere arrossito fino alle orecchie. Tentò di camuffare l’imbarazzo sistemandosi gli occhiali.
Non voleva ricominciare quella discussione: era stanco e sapeva di essere nel torto. Era certo che ciò che stizziva Maki non era tanto il tempo che era riuscito a ritagliarsi con Yukiko – sebbene eccessivo –, bensì il disinteresse provato per quell’indagine sì meno astrusa ma ugualmente importante.
Non esitò a chinarsi nella sua direzione e dire: «Mi dispiace molto. Sono stato irrispettoso nei confronti di tutti voi, scaricandovi tutte le ricerche. Ti prego di perdonarmi».
Sentì Maki alzarsi dal divano e dirigersi verso l’attaccapanni. Lo vide indossare il suo cappotto beige e mantenere un’espressione pensierosa.
«In quanto capo di questa sezione, è sempre mio dovere accertarmi che il luogo venga lasciato come lo si trova la mattina, e quindi restare qui fino alla fine della giornata», proferì poi.
Aoki sgranò gli occhi. Non era al corrente di questo ulteriore dovere di Maki, già abbastanza oberato di lavoro.
«E comunque…», proseguì il suo superiore, «… fuori sta piovendo molto e non ho l’ombrello. Okabe ha alcuni impegni con la famiglia e non mi può scortare. La mia auto ha un guasto all’impianto frenante. Saresti, per favore, disponibile a concedermi un passaggio fino a una determinata via?»
Ci volle qualche secondo prima che Aoki assimilasse tutte quelle informazioni sciorinategli senza giri di parole.
Curvate le labbra in un timido sorriso, grattandosi la nuca con una mano non esitò a rispondere: «È un bel guaio per entrambi, perché anche la mia auto è dal meccanico».
Maki lo osservò stupito, poi i tratti del suo volto si contrassero in un’espressione turbata. Tirò fuori da una tasca il suo cellulare, sbloccando la schermata iniziale e restando a contemplarla, come se non sapesse cosa fare.
«Se posso permettermi, avresti un meeting?», domandò il più giovane, sentendosi in colpa.
«… Sì», fu la replica dopo qualche attimo.
«In che via dovresti dirigerti?»
«Via Nagasaki».
«Ah, ma allora non è lontana!», esclamò Aoki risollevato, «Io ho l’ombrello e possiamo benissimo andarci a piedi, se non ti dà fastidio camminare sotto la pioggia».
«A me no, ma ti creerei un inconveniente perché da lì dovresti poi tornare a casa tua da solo, e faresti il doppio del normale tragitto», ribatté Maki ostentando una certa premura, «Ti ringrazio per la disponibilità, ma a questo punto mi conviene contattare altre persone o rimandare tutto».
«Assolutamente no», s’incaponì Aoki, «Ti prego, lascia che ti accompagni. Non crei il minimo disturbo; anzi, è un piacere. Tra l’altro sarebbe l’occasione per farmi perdonare, perciò…»
Sguainò l’ombrello dall’apposita cesta accanto alla porta d’ingresso con fare vittorioso. «… non rimandi proprio niente».
I due non discussero molto, forse per la stanchezza, e la solita testardaggine di Aoki ebbe il sopravvento.
 
Una volta fuori dall’edificio, sul marciapiede di una delle tante strade inglobate dalla placida notte e bagnate dall’acqua piovana, Aoki aprì l’ombrello mentre erano riparati sotto una tettoia.
L’aria di quella sera di novembre arrossò i loro visi scoperti, facendo persino lacrimare gli occhi del più giovane; respirarla era alquanto faticoso, poiché gelida e pungente alla minima percezione tattile.
Notarono la mancanza quasi totale di persone che vagavano per quelle vie; il vacuo silenzio era colmato dai ticchettii rasserenanti delle gocce che si depositavano sulla strada circostante, sulla tela che li copriva, talvolta sui loro abiti.
Difatti, la seconda cosa che Aoki osservò fu: «Accidenti, non ci ripara abbastanza! È troppo piccolo!»
«Mi basta non bagnarmi la testa», rispose Maki.
«No, non va bene!». Con un certo imbarazzo propose: «Dovremmo… stringerci un po’».
Senza attendere una reazione da parte dell’interessato, ripiegò il braccio destro, protendendolo verso il suo superiore in cerca di contatto da parte sua.
Maki tornò a scrutare il viso del collega, e quest’ultimo ricambiò lo sguardo.
Aoki studiò i suoi lineamenti quantomeno distesi, delicati. Ogni volta il ragazzo non poteva fare a meno di riconfermare a se stesso quanto chi gli stava accanto fosse gradevole, armonioso; oserebbe dire quasi attraente.
Il suo volto non rispecchiava per niente la sua età, camuffava tutti i patimenti incassati in quegli anni. I suoi occhi mettevano chiunque in soggezione, ma effondevano miriadi di pensieri ed emozioni; le sue labbra rosee esprimevano parole tanto ricercate ed incisive quanto mordaci; aveva i capelli sottili e fluenti.
Molte cose di lui gli ricordavano Yukiko; vi erano attimi in cui temeva che ciò non fosse una cosa tanto normale.
Maki fece passare la mano più vicina ad Aoki sotto il suo braccio, poggiandovi poi le dita sopra con una certa discrezione.
«Proseguiamo, sennò si fa tardi», non tardò poi ad esprimersi, osservando davanti a sé.
Si era lievemente irrigidito. Aoki lo constatò per via della sua stretta timida ma ferma, la mandibola serrata che egli scorse in lui non appena gli lanciò un’occhiata furtiva, la maniera alquanto differente con la quale aveva ripreso a camminare. Non poté fare a meno di sorridere, notando per di più quanto fosse basso di statura ed esile, nonostante sapesse incutere terrore persino ad un gigante come Okabe.
Quel maggiore contatto fisico non dispiacque a nessuno dei due, poiché si riscaldavano a vicenda, si proteggevano dalla pioggia scrosciante, dalle intemperie esterne.
 
Il tragitto durò circa venti minuti, ma per Aoki il tempo parve volato via.
Ad interrompere quell’idillio fu Maki. Separatosi dal collega, una volta raggiunto un portico della via Nagasaki, disse: «Puoi lasciarmi qui».
«Oh… siamo arrivati?», chiese l’altro un po’ stranito, vedendo che intorno a loro non vi era nessun locale o persona ad attendere l’interessato.
«Ora vorrei proseguire da solo», chiarì il suo capo con un’espressione che trasudava la frase “Fai come ti dico ed evita altre domande”.
Perlomeno, era ciò che Aoki intese; pensò subito che chi dovesse incontrare fossero individui peculiari con i quali magari potevano interagire soltanto persone di un certo rilievo. Inoltre, quando Maki deliberava una cosa, così doveva essere.
«Va bene, ma permettimi di lasciartelo», rispose quindi, porgendogli l’ombrello, «Se devi fare un altro pezzo di strada per conto tuo, allora devi tenerlo».
«E tu? Come ti riparerai durante il tuo ritorno a casa?»
«La pioggia non è fitta come prima: posso arrangiarmi con il cappuccio del mio giubbotto».
«No, Aoki, non se ne parla».
«Insisto».
«Non fare il testardo!»
Frattanto che discutevano, sembrò che le condizioni del tempo avessero deciso di agevolarli, perché le gocce d’acqua divennero nel giro di pochi minuti sempre più rarefatte, fino a che non smisero quasi totalmente di cadere.
Dopo un istante di stupore da parte di entrambi, Maki proruppe: «Approfittane e incamminati». Chinò di poco la testa. «Grazie per avermi accompagnato».
«Ah, ehm… figurati!»
Maki aveva già fatto dietrofront prima ancora che potesse notare Aoki agitare la mano; quest’ultimo rimase a contemplare la sua figura minuta allontanarsi e divenire sempre meno nitida nella foschia notturna.
In quel momento gli si strinse il cuore; un brusco senso di vuoto o nostalgia cominciò a tormentarlo. Il suo istinto lo volle mettere al corrente di qualcosa che non seppe definire, qualcosa di non propriamente positivo.
Ogni buon proposito di non immischiarsi negli affari privati di Maki andò in fumo in un baleno. Aveva anch’egli cominciato ad avanzare in quella direzione, spinto dalla volontà di seguirlo.
Si mosse con circospezione, imprecando contro se stesso per essere stato vinto ancora una volta dalla sua caparbietà. Il pensiero che quello spionaggio avrebbe potuto fargli rischiare il posto di lavoro, se colto in flagrante da Maki, martellava la sua coscienza; tuttavia, ciò non lo frenò.
Fece estrema attenzione a mantenere una dedita distanza da colui che non aveva perso di vista, muovendosi con passo felpato, riparandosi di tanto in tanto all’interno di qualche vicolo perpendicolare alla strada principale qualora gli paresse che il suo superiore si voltasse indietro.
 
Il luogo dove Maki entrò era una sorta di piano-bar; non proprio, dunque, ciò che Aoki si aspettava.
Il ragazzo decise di appropinquarsi ulteriormente al locale.
Non cercò più di comprendere perché gli interessasse sapere che accidenti ci facesse lì dentro il suo capo. Dopotutto, sebbene Maki indossasse sempre una maschera di austerità al lavoro, e tutti fossero abituati a considerarlo un uomo tutto d’un pezzo, era quantomeno plausibile che nel resto delle sue giornate potesse dedicarsi a certi altri tipi di svaghi e interessi, a coltivare rapporti dalle molteplici sfumature. Per una persona che aveva da tempo superato l’età adolescenziale e che non si era sposato, era più che comprensibile.
Passato dopo diversi minuti al lato dell’ingresso con circospezione, osservò per un attimo quell’ambiente elegante e illuminato da luci soffuse, nel quale vi era poca gente. Dalle finestre esterne figurò che vi erano probabilmente due piani: quello superiore, decorato all’interno con tende di seta, e il piano terra dove si poteva bere, mangiare, riposare seduti su comode poltrone che s’intravedevano dall’enorme vetrata che dava al marciapiede.
E Aoki, oltrepassata quest’ultima per gettarvi rapidi sguardi, lo vide.
Adagiato su un sofà in pelle accanto a un tavolino.
Privo del cappotto, con la cravatta allentata e la camicia sbottonata in corrispondenza delle clavicole.
Insieme a un individuo lievemente più alto. L’unico assieme a lui in quell’area.
Con le labbra su quelle di quest’ultimo in un bacio approfondito, passionale.
E fu proprio quella visione ad interrompere definitivamente ogni contatto stabile con la realtà che circondava Aoki.
Nulla. Nella mente svuotata, sconvolta del giovane vi era il nulla cosmico; così fu per i primi due minuti dopo la conturbante scoperta.
La sua coscienza lo fece poi riscoprire con le gambe vacillanti, il cuore che batteva freneticamente, il respiro celere e un improvviso calore che divampava nel viso, nel collo già accaldato, nelle mani sudate.
Non guardò di nuovo per avere qualsiasi ulteriore conferma; non ne ebbe il coraggio, né la voglia.
«Non è possibile», mormorò ad un tratto, fra un ansito e l’altro, «Non era lui».
Faticava a credere alle sue stesse parole, poiché avrebbe riconosciuto il suo caro Maki ovunque, in ogni circostanza, da ogni distanza; ma in quell’istante aveva bisogno di autoconvincersene, di illudersi, di raggirare una verità che il suo cuore non era ancora pronto ad accogliere.
Il rumore di un clacson lo fece distrarre di poco dallo shock. Gli si fermò davanti un’auto che conosceva molto bene, guidata dalla persona che meno voleva vedere in quel lasso di tempo.
«Chiudi la bocca prima che ti entrino le mosche», esordì Yukiko quando abbassò il finestrino.
Aoki realizzò di averla effettivamente spalancata.
«Che ci fai qui da solo? Non dovresti essere a casa?», domandò lei.
«… Sì, infatti. Mi ci stavo dirigendo», parlò egli, abbozzando un sorriso e cercando in tutti i modi di placare la sua tempesta interiore.
«Tesoro, questa non è la strada giusta: stai andando nel senso opposto», spiegò lei con espressione preoccupata, «Ti vedo stremato. Tsuyoshi deve averti fatto sgobbare. Ah, come fai ad essere così paziente con lui!?»
Aoki s’irrigidì non appena ella pronunciò il vero nome di Maki.
«Che sbadato…», riuscì a dire.
«Sali in macchina: ti ci accompagno io. Fortuna che ho finito il mio turno adesso e sono passata per questa strada», propose Yukiko.
E il ragazzo, per quanto desiderasse restare da solo per assimilare, riflettere, deliberare cose meno sconclusionate, non se lo fece ripetere due volte. Raggiunse a passo lesto la sua donna, senza voltarsi verso quel locale un’ultima volta.
«Sì, ti prego», gli sfuggì sentendo un inspiegabile nodo alla gola, un’amarezza incredibile, «Portami via».
 
© Alyss Liebert
 
 
•••
 
 
{Note e curiosità}
Riuscirò ad aprire la sezione di Himitsu su EFP. Lotterò con tutta me stessa.
Questo manga è sbalorditivo. Da quando l’ho scoperto, è entrato di prepotenza nella mia personale Top 3 degli anime/manga che più ho amato finora. Non sapete quanto mi rende triste sapere che non è conosciuto qui in Occidente come dovrebbe.
Ho deciso di scrivere qualcosa sulla ship che amo, la AoMaki, sperando di intrigare molte più persone. Questa one-shot è, ovviamente, parecchio disimpegnata rispetto al guazzabuglio di intrighi, sentimentalismi, introspezione psicologica e soprattutto sofferenza che caratterizza l’intricata trama di quest’opera. Ho colto l’occasione per calare i personaggi principali in un’atmosfera lievemente più serena (perché vi posso assicurare che, in genere, non hanno un attimo di pace), scegliendo la parola Aiaigasa, “ombrello condiviso”, dalla challenge alla quale partecipo per la seconda volta.
Si tratta, inoltre, di una “What if?”. Diciamo che nella storia originale si intuiscono certe cose riguardanti la vita privata di Maki, e ovviamente quell’ingenuo di Aoki non le comprende (almeno per ora). Così ho pensato: “Perché non inscenare un momento in cui becca il suo capo in una situazione compromettente? Quale sarebbe la sua reazione?”. Ed ecco la one-shot! Come dovrebbe proseguire? Mah, vi lascio libera interpretazione.   
Sono consapevole che molti aspetti della trama e del carattere dei personaggi non possono essere ben compresi solamente leggendo questa storia (sebbene abbia comunque provato a inserirvi quanti più elementi possibili); infatti, per chi vuole saperne di più, vi lascio il collegamento alla favolosa recensione che mi ha fatto addentrare in quest’universo, scritta da una ragazza che mi ha gentilmente concesso di linkarla e gestisce un blog che personalmente adoro e vi straconsiglio. Cliccate qui.
Infine, il titolo da me scelto racchiude l’essenza del racconto: ciascun personaggio è oppresso da segreti, responsabilità, incomprensioni, verità non dette.
Perdonatemi se mi sono dilungata, ma era necessario chiarire certe cose per chi non conosce il manga.
Grazie mille per aver letto questa one.shot. Se vi va, lasciatemi i vostri pareri; li apprezzo sempre tantissimo, indistintamente.
Buon Natale e – in anticipo – buon anno nuovo (non posterò altro prima di Gennaio).
 
Jā ne,
Alyss
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Altro - anime/manga horror/thriller / Vai alla pagina dell'autore: Alyss Liebert