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Autore: JEANPAGET    26/12/2018    1 recensioni
Lei e' morta. Assassinata. Non puo' essere vero.
Genere: Dark, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Mi sveglio di soprassalto. Ancora quell’incubo. Rumore di vetri rotti. Altri suoni indistinti. Lei e’ piccola, dorme nel suo lettino. Vedo una copertina rosa con gli animaletti. E tutto a un tratto l’afferrano bruscamente, la portano via in braccio di corsa. L’odore del cuoio del giubbotto dell’uomo che l’ha presa. Il freddo, il buio, l’aria gelida. Le tiene la mano premuta sulla testa e la faccia schiacciata sul petto. Vorrebbe respirare, piangere. Non ce la fa. La finestra. La tenda che sventola nella notte. Il pianto disperato di una donna. L’urlo di un uomo che lacera l’aria

Moira… MOIRAAAA!!!

E come ogni volta mi sveglio a quell’urlo disperato, quasi un ruggito.  Eccomi di nuovo sveglia nel mio letto, nel mio appartamento fatiscente. Il cuore a mille come tutte le volte. Il corpo teso. La fronte mi fa male. Le tempie mi pulsano. Quello stronzo con cui ho combattuto ha piazzato bene un paio di colpi. Sono quasi rattrappita. Le mani mi dolgono per i pugni dati. Non ho bevuto abbastanza scotch liscio per anestetizzarmi.

Mi alzo a fatica, vado nello sgabuzzino che ho per bagno. Mi sciacquo la faccia con cautela. Cerco qualcosa nell’armadietto con cui disinfettare la ferita da cui mi esce ancora un po’ di sangue. niente. Quella volta il disinfettante e le bende le aveva procurate lei. Chissa’ quanto lo aveva pagato al mercato nero. Era stato un incontro particolarmente difficile. Proprio prima di discutere i dettagli del nostro affare. Mi aveva visto conciata piuttosto male, anche se avevo minimizzato. E non aveva esitato. Era uscita dal locale e rientrata dopo neanche un’ora, provvista di tutto il materiale di medicazione che era riuscita a trovare. Che brutto mondaccio in cui ci ritroviamo a vivere, dove le cose basilari sono a portata solo di chi le puo’ pagare di piu’.

Mi guardo allo specchio incrinato. Ho le occhiaie scure, gli occhi pesti, i capelli sparati in tutte le direzioni. E la ferita. Un bello spettacolo davvero, Black star. Cosi mi aveva detto lei quella volta.

“Non e’ niente, non fa male” avevo ribattuto piccata.

“Non sara’ niente, ma fa male. Io lo so, bambina”

“Non sono una bamboccia, io!”

“Non ti ho detto che lo sei. Ti ho solo chiamato bambina.”

Bambina. Non sono mai stata bambina. Quell’incubo. Mi sono sempre fatta tante domande su chi sono, su chi sono i miei genitori, da dove vengo. Perche’ sogno sempre di una bambina che viene portata via. Domande a me stessa. Mai domande espresse. Non ho mai avuto tempo di cercare risposte. Ero troppo impegnata a sopravvivere. Finora me la sono cavata.

Mi asciugo il volto con un asciugamano che una volta era pulito.

“Fai sempre cosi la dura?”

“Io sono dura.”

“Si, certo.” Il tono ironico e condiscendente di chi ha capito la verita’

“Tu che ne sai?”

“Ne so qualcosa. Vieni, quelle ferite vanno curate.”

Mi aveva medicato con delicatezza e competenza, attenta a non farmi male. E alla fine nello scostarmi i capelli mi aveva fatto una carezza. Dolcemente. Quasi.. materna. Si era subito ripresa ma in quegli occhi verdi avevo visto brillare qualcosa.

“Dovresti tenerli legati i capelli, ti darebbero meno impiccio” 

“Lo so” le ho detto.  Faccio quel che mi pare, ricordo di aver pensato

“Si lo so, non li leghero’ mai se non altro perche’ mi ha detto di farlo.” Aveva emesso un breve sospiro rimettendo le garze nella loro custodia.

“Hai una certa praticaccia, vedo, nel medicare la gente. Sei infermiera, per caso?”  Lo avevo chiesto tanto per dire. E un piccolo sorriso dolente le aveva curvato le labbra. Questione di un istante.

“In un’altra vita .. ho fatto anche questo.” Il tono era diventato malinconico. Nostalgico. Venato di rimorso, quasi.

“Qualcuno che si faceva spesso male?”

“Qualcuno che come te era testardo e pensava fosse l’unica cosa che sapesse e potesse fare in quel momento della sua vita. E che non importasse a nessuno”

“Qualcuno che amavi?” Ancora adesso non so come mi era uscita quella domanda. Io non sono sentimentale. Anzi.

“Lo amo ancora.” Il tono delle sue parole mi aveva colpito. Dolce, sicuro. “Ma adesso parliamo d’altro. Il tempo e’ poco, e sono qui per il nostro accordo.”

Alla fine le aveva chiesto perche’. Non chiedo mai niente ai miei clienti. Ma a lei lo avevo chiesto. Perche’ le serviva quel materiale. Per la bomba.

“Per mettere fine a qualcosa contro cui combatto ormai dura da molto, troppo tempo. E che deve finire.”

Perche’ ripenso a questo nostro scambio? Per la maggior parte del tempo abbiamo parlato di quello che dovevo procurarle, e in fretta. Roba pericolosa. Del mio compenso, parte in anticipo e parte a saldo. A me importano solo i soldi. Niente di personale. Solo affari. Ma era intelligente, scaltra, precisa, puntuale e sapeva quel che diceva. Aveva un qualcosa di particolare che la rendeva bella, nonostante gli anni avessero offuscato la sua avvenenza fisica. Nonostante la sua corporatura minuta, il suo aspetto dimesso, gli occhiali fuori moda, aveva occhi fieri, che trasmettevano una grande forza d’animo. Era una donna provata, che aveva sicuramente avuto dei grossi dolori nella vita. lo si percepiva dalla sua persona. Piegata, si. Ma non spezzata. Non del tutto. Aveva un fuoco che le bruciava negli occhi. Di chi non scherza. Di chi non si ferma davanti a niente per raggiungere i suoi scopi. Non c’erano molte persone di quel tipo in giro per Star City.

Quella mi ha detto che e’ morta. Assassinata. Non ci credo. Non posso fare a meno di pensare che non e’ vero. Una come lei, determinata e decisa non puo’ essere morta cosi’. In fondo la rispettavo. Aveva uno scopo, un progetto da portare a termine. E lo avrebbe fatto. A qualunque costo. Si, c’era qualcosa in lei.. qualcosa di speciale. Qualcosa di familiare. La lotta. Io mi sento viva quando faccio a pugni nella gabbia. Ho imparato a lottare fin da piccola, per salvarmi dalle botte di quelle megere dell’orfanotrofio. Anche lei, Felicity, ha lottato nella vita. Ne portava i segni sul viso, ma soprattutto nel cuore, nella sua anima. Avevamo qualcosa in comune, noi due.

Non mi piace quella Canary, la vigilante. Anche se non me lo avesse detto Felicity, a pelle non mi ha ispirato nulla di positivo. E neanche la ragazza giovane, e’ uguale alla vecchia. Il ragazzo invece… non so, ha qualcosa. Capisce in fretta visto che ha messo subito i soldi sul tavolo. Ma sembra… gentile. Non un debole, come tanti pagliacci che mi trovo a dover frequentare. Mi ha dato l’impressione di essere solido, intelligente. E triste. Ho letto chiaramente dolore e incredulita’ sul suo volto quando hanno detto che Felicity e’ morta.

“Vi avverto fare domande su Felicity Smoak non portera’ niente di buono per nessuno.”

Lo pensavo davvero quando l’ho detto. Ma forse l’ho detto anche perche’ voglio proteggerla?

Sospiro. Inutile girarci intorno. C’e’ solo un modo per sapere

Tolgo dal nascondiglio il tablet che ho rimediato per comunicare con lei. Non l’ultimo grido ma funziona. Lei ha storto un po’ il naso. Ne sa di tecnologia molto di piu’ di quanto non lasci intendere, l’ho capito subito.

Stabilisco la connessione

BS: Ci sei?
….
BS: sono io, ci sei o no?
….
BS: rispondi!

Il display balla per un attimo che sembra infinito. Perche’ l’angoscia mi attanaglia il cuore? Non sono abituata a questo tipo di sentimento
e poi

GFG: Sono qui

BS: la connessione e’ sicura?

GFG: per un minuto

BS: Gira voce che sei morta

GFG: ma davvero?

BS: assassinata

GF: la fantasia di certa gente e’ senza limiti

BS: Black Canary non e’ una con molta fantasia
….
BS: sono venuti al club, come avevi predetto

GFG: chi?

BS: Canary vecchia e giovane e un ragazzo

GFG: Un ragazzo?

BS: 25-30 anni alto moro occhi scuri pieno di soldi

GFG: Procediamo come da accordi.

BS: Io voglio solo i miei soldi

GFG: Li avrai

BS: Se non me li dai tu me li faro’ dare da lui

GFG: Avrai anche piu’ dei soldi

BS: Non voglio guai

GFG: Stai attenta, bambina

CONNECTION FAILURE… CONNECTION FAILURE … CONNECTION FAILURE

Se n’e’ andata. Svanita nel buio cibernetico come era svanita l’ultima notte che l’avevo vista. Mi aveva sorriso malinconica, quel suo sorriso a mezza bocca che avevo imparato a conoscere.

“Ci vediamo presto” aveva sussurrato alzando titubante una mano, quasi a volermi toccare. Ma era stato un solo attimo.

Prendo del ghiaccio dal vecchio catorcio che ho come frigorifero, e meno male che funziona ancora. Lo metto dentro all’asciugamano e mi tampono la fronte. Freddo. Un brivido. Dolore.

Guardo fuori da questi vetri sporchi, rigati dalla pioggia. Tutta la pioggia dell’universo non riuscira’ mai a lavare lo sporco di questa citta’. Lo sporco di questo mondo tetro. Non ho molta scelta, ci devo vivere. Meglio che posso. E i suoi soldi mi aiuteranno. Anche se non capisco cosa intende con ‘avrai molto di piu’’ Meglio non aspettarsi niente. Se uno non ha aspettative, difficile che venga deluso. Ma allora perche’  questa ansia mi rode dentro? Perche’ il pensiero di non rivederla piu’ mi aveva tanto sconvolto? Perche’ sento qualcosa verso questa donna, una perfetta sconosciuta con la quale faccio solo affari, affari pericolosi? Che mi ha dato di piu’ in 4 incontri di quanto altra gente in tutta una vita? Perche’ mi attrae cosi’ tanto? Per quella sua dolce carezza forse?
Ho bisogno di dormire. La testa mi pulsa ancora. Ma no, niente ospedale. Ho gia’ fatto quell’errore. Se non sono stata schedata, poco ci e’ mancato. Stavo troppo male quella volta. E quella storia che il DNA di tutti i cittadini di Star City e’ registrato e puo’ essere usato dalle autorita’ cittadine per rintracciare e far sparire le persone. No, non mi faro’ incastrare. Mai. Parola di Black Star. Ma adesso voglio solo dormire. Spero di riuscire a dormire. Ho bisogno di dormire.
Torno a letto. Tiro il cassetto del logoro comodino. Prendo due pastiglie di antidolorifico, senza acqua. Aveva ragione lei. Non e’ niente. Ma fa male. Ripongo il tubetto. Le mie dita urtano la foto. Le do’ uno sguardo. La foto. Lei non sa che l’ho trovata prima di incontrarla. Se la stavano disputando due cani randagi cenciosi per strada. Li ho cacciati via in malo modo. La cornice era andata, ma la foto era intatta. L’ho riconosciuta subito quando l’ho incontrata, lei stessa mi aveva detto che un tempo aveva abitato li’ vicino. lo sapevo gia’. Dalla foto. Lei e’ giovane, bella, radiosa. Gli occhi sfavillanti, i capelli sciolti. Sorride verso l’obiettivo. Circondata dalle braccia di lui. Bello. Alto e biondo. Forte, protettivo. Le sue possenti braccia la stringono ma si intuisce la tenerezza in lui. L’affetto, la complicita’. L’amore. Sicuramente e’ lui quello testardo che si faceva male e che continua ad amare. Chissa’ com’e’ diventato. Se e’ ancora cosi’ bello anche da vecchio, se ha messo la testa a posto. O se e’ morto o fuggito in capo al mondo con un’altra. So che quella ragazza sorridente e’ diventata la donna dura e determinata che conosco adesso. Con un’ombra dentro che la segna. Non mi importa. Non deve importarmi. Eppure…quel che c’era tra loro e’ cosi’ tangibile, a distanza di anni in quella foto si sente ancora in tutta la sua forza.

Butto la foto nel cassetto, mi stendo sul letto. Chiudo gli occhi. Avevo tenuto la foto chissa’ per quale motivo. Per ricattarla in qualche modo se non avesse rispettato i nostri accordi?  Per illudermi che esistano davvero dei sentimenti forti come l’amore? Mah. Voglio, devo dormire. Ma il pensiero torna sempre li. Chi sei davvero, Felicity Smoak?

Dall’altra parte della citta, in un luogo nascosto

Felicity chiude il coperchio del pc compatto. Ha chiuso la connessione facendo violenza su se’ stessa. Il tempo stava scadendo. Ma non solo per quello.

Nel silenzio sente la pioggia scrosciare fuori. E un ricordo le attraversa la mente. Una notte di pioggia. Due giovani, un ragazzo e una ragazza. Posso fidarmi di te? Si, puoi fidarti di me.

Tutto quel che avevano vissuto. Tutto quello che avevano passato. La loro lotta. La loro amicizia. Il loro amore. Insieme. Divisi. Di nuovo insieme. Di nuovo divisi. William. Moira. Quel che era successo. La perdita, il dolore. L’abbandono. L’allontanamento. La tristezza. La distanza. Il prendere nuovamente coscienza di se’. Il tornare in se’, rimettendo insieme tutti i pezzi del suo cuore. Quel cuore che era ancora vivo, che era tornato a battere. Per lui. Per loro. Lo aveva cercato. E trovato. E poi aveva trovato lei. Incredibile. Eppure cosi’ semplice. L’ aveva trovata. La ricerca del DNA negli ospedali. Aveva imparato a memoria i loro DNA. Ma anche se non lo avesse scoperto dall’analisi, solo al vederla l’avrebbe riconosciuta comunque. Era identica a lui. Nello sguardo. Nella testardaggine. Nella sua abilita’ innata nella lotta. Nel suo bere scotch liscio. Nel broncio. Nel suo nascondersi dietro a una maschera da dura per difendersi dal mondo. E soprattutto da se’ stessa.

Sente una mano sfiorarle la spalla, carezzevole. Sorride leggermente. Quel gesto che non cambiava mai. Che non sarebbe mai cambiato. la mano che le raggiunge l’addome, che la stringe la schiena contro il suo corpo saldo, compatto. La sua roccia.

Afferra la mano dalle lunghe dita. Stringe la mano grande e Calda. Quelle sensazioni che solo lui le trasmette. Da una vita.

“Ti sei alzato. Non dovevi. Non stai ancora bene.”

“Sto bene. Non ti devi preoccupare.”

Un breve silenzio tra loro. Il respiro di lui nei capelli di lei. Un leggero bacio sulla seta dei capelli biondo cenere striati di rosa di lei.

“Chattavi con .. lei?”

Si gira a guardare l’uomo davanti a lei. Segnato dal tempo e dal dolore, come lei. Ma di nuovo vivo, come lei.

Si stringe al suo petto, la guancia sul cuore, lui che le cinge le spalle con l’unico braccio rimasto.

“Si, mi ha contattato. Sono andate da lei. Ha visto Will”

Lo sente tremare al nome del figlio.

“Allora e’ tornato. E’ cominciato…”  mormora lui a bassa voce

“Si amore, e’ cominciato.”

“Sei sicura, Felicity?”

Lei alza il volto per guardarlo, dritto negli occhi. Quegli occhi che dopo tanti anni ancora le parlano senza parole.

“Sono sicura, Oliver. Torneremo a essere una famiglia. Te lo prometto. Non possiamo aver sofferto cosi’ tanto, aver sacrificato cosi’ tanto per un presente tanto oscuro, un futuro senza speranza. Il destino puo’ essere ancora cambiato, puo’ essere sempre cambiato. Non dobbiamo arrenderci.”

Lui che annuisce. “Mi spiace solo di non esserci stato”

“Sei sempre stato con me. Ci riprenderemo il nostro futuro, Oliver. Insieme.”

“Si, amore mio. Insieme.”

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BS = Black Star
GFG = Ghost Fox Goddess

Spero che questa mia one shot vi sia piaciuta.
Buone Feste tutte le mie preziose lettrici.
E a tutte l’augurio di un 2019 pieno di salute, serenita’ e successo! Baci e a presto!
 

   
 
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