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Autore: Alicat_Barbix    27/12/2018    3 recensioni
Trama:
John, forse il migliore agente a servizio dell'MI6, viene inviato sotto copertura ad indagare in uno dei più eminenti Night Club di Londra, per stanare la mente criminale più pericolosa che il mondo abbia mai conosciuto. A questa missione John è pronto, sa che non può fallire, che nelle sue mani vi è il destino di Londra e non solo. O almeno, crede di essere pronto, ma un bizzarro incontro con uno dei dipendenti del locale ha il potere di ribaltare le carte in tavola.
Sherlock, decisamente il miglior prostituto all'interno del Morningstar, vive felicemente la sua vita densa di sesso, avventure e disinibizione. Sherlock ama il suo lavoro, lo trova divertente e sa di essere il migliore e che niente potrebbe mai cambiare la sua vita da condannato all'Inferno che però tanto adora. O almeno, crede che niente possa cambiare la sua vita "perfetta", ma un bizzarro incontro con un ex medico militare così facile eppure difficile da leggere con le sue deduzioni ha il potere di stravolgere la sua intera esistenza.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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BEYOND 
EVERYTHING

 
by Alicat_Barbix
 
God, No. Jesus, No.
 
Sherlock camminava lungo Baker Street con aria assente, le mani che stringevano la busta di carta che gli avevano rilasciato per evitare di perdere il contenuto. Erano le sette e mezzo e nei i ristoranti della via si vedevano già i tavolini occupati da avventori affamati, coppie ad un appuntamento romantico, famiglie riunite dopo un considerevole tempo. Non si riconosceva in quel pantano di quotidianità in cui i suoi piedi affondavano: erano passati quasi due mesi, eppure non si era ancora assuefatto a quella vita che gli sembrava così impropria a lui. Più di una notte si era svegliato madido di sudore con la sensazione di avere un cappio stretto attorno al collo e più di una notte aveva pensato di ricorrere alle droghe, o, addirittura, di trovarne davvero uno, di cappio con cui impiccarsi.
Ad un tratto, il cellulare in tasca iniziò a trillare insistentemente, ma non ebbe bisogno di tirarlo fuori per sapere chi fosse: in fondo, conosceva poche persone interessate a contattarlo – Mycroft, Victor e… John aveva provato a contattarlo ripetutamente in quelle ultime due ore, eppure lui non aveva mai risposto. Codardia? Forse. Era sempre più difficile gestire la loro instabile situazione. Percepiva la loro fine avvicinarsi sempre di più, e non perché ci fosse qualcosa di sbagliato nella loro relazione, ma perché lui era sbagliato, incapace di assaporare appieno quel rapporto.
La porta d’ingresso del 221B gli si palesò di fronte con rassicurante concretezza. Entrò in casa e si trascinò su per le scale: la signora Hudson, quella sera, era fuori per un torneo di bridge con chissà quale delle sue tante amiche settantenni. Si stupì, dunque, quando trovò le luci del proprio appartamento accese e un odore invitante provenire dalla cucina. Si affacciò sul vano da cui si levava quel penetrante aroma, e il cuore si strinse appena quando scorse la figura di John voltata, intenta a smanettare col forno.
“John?”
“Ehi! Finalmente! Cominciavo a perdere le speranze.” esclamò l’altro di rimando, rubandogli un bacio a fior di labbra prima di tornare ai fornelli.
“Che stai facendo?”
“Ti preparo una cena degna di questo nome. La signora Hudson mi ha detto che non mangi come si deve da giorni interi.”
“La solita pettegola.” borbottò lui sfilandosi sciarpa e cappotto, indumenti che si portava ancora dietro nonostante fosse, ormai, maggio inoltrato.
Entrando nel soggiorno, notò la tavola accuratamente apparecchiata, con una candela rossa nel mezzo la cui fiammella danzava sul cerino. Si prese alcuni momenti per ammirare l’appartamento riordinato e pulito, così diverso da quell’ammasso caotico che era diventato ultimamente a causa delle sue innumerabili ricerche. Era commovente lo sforzo di John – perché era ovvio fosse opera di John, visto che ormai la signora Hudson si era rassegnata a lasciare che il suo appartamento marcisse nel disordine più totale.
“A tavola.” lo richiamò la voce di John, che ora stava servendo nei piatti un qualcosa che aveva del ragù di carne con… qualcosa di bianco, ma che nonostante l’aspetto appena bruciacchiato, aveva un buon odore.
“Che cosa dovrebbe essere?” chiese accomodandosi al suo posto, mentre il biondo gli versava del vino nel bicchiere.
“Lasagna. Mi sono fatto dare la ricetta da Angelo.”
“Angelo ti ha sul serio passato una sua ricetta?”
“Credo di essergli sembrato piuttosto disperato.”
Sherlock ridacchiò e si avvicinò il calice di vino alle labbra, bagnandosi appena le labbra. “A cosa devo quest’inaspettata visita?”
“Inaspettata in senso buono, spero.”
“Dipende.” replicò con fare misterioso, suscitando un sorrisetto malizioso nell’altro.
“Volevo passare del tempo con te visto che ultimamente ci siamo a malapena sentiti per telefono… Oh, a questo proposito, posso sapere cos’hai fatto tutto il pomeriggio e perché non mi hai risposto?”
“Ti tradivo.” rispose semplicemente facendo schioccare le labbra per il sapore forte del vino. “E’ molto forte. Stai cercando di farmi ubriacare?”
“Dubito che il tuo amante si sia scomodato a farti assaporare un buon vino d’annata.” osservò John buttando giù qualche sorso a sua volta. “Comunque, ti sei divertito con quello?”
Sherlock assunse un’espressione dubitante. “Più o meno… Era un po’ rigido, però non è stato poi così male.”
Il resto del pasto lo consumarono chiacchierando tranquillamente dei risvolti della loro quotidianità, ma mentre esternamente Sherlock ostentasse compostezza e una certa dose di spensieratezza, dentro più guardava quel volto e mandava giù quei bocconi cucinati appositamente per lui, più si sentiva morire.
Alla fine della cena, John raccolse le stoviglie sporche e le depositò nel lavello, aprendo l’acqua calda affinché lo sporco non ingrassasse esageratamente la ceramica. Lui, intanto, si era diretto verso la finestra, le dita intrecciate dietro la schiena e gli occhi che scattavano nervosamente dal buio fuori al bianco della cartellina sul comodino basso accanto a lui. Quando lo scroscio dell’acqua e il tintinnio delle posate tacquero, seguirono diversi istanti di silenzio, finché una dolce melodia risuonò per tutta la casa, proveniente dal giradischi. Le braccia di John gli cinsero la vita da dietro e lo tirarono delicatamente verso di lui, chiudendolo in un abbraccio meravigliosamente rassicurante e protettivo, misto a quelle note celestiali cantate dal vecchio apparecchio della signora Hudson.
“Chopin, concerto per pianoforte numero 1 in Mi minore. Hai scelto a caso o c’è stato qualcosa che ti ha aiutato nella scelta?”
John ridacchiò, mentre gli baciava la pelle che la camicia blu mezza sbottonata gli lasciava scoperta, all’altezza della spalla. “Ho cercato su Internet musica classica romantica e questo è stato uno dei risultati. Visto che avevi il disco mi è sembrato perfetto.”
“Ti prego, dimmi che non sei serio. Dimmi che non hai fatto una ricerca così idiota.”
Le labbra del biondo gli stuzzicarono il collo latteo, concentrandosi su uno di quei nei che, col tempo, Sherlock aveva scoperto essere una sua ossessione. “Se te lo dicessi, mentirei e quindi dovresti trovare un modo per… punirmi.”
Sherlock ruotò appena il suo viso in direzione dell’altro, un nodo alla gola che di colpo gli aveva occluso la trachea. “John, senti…”
“Ti prego sta’ zitto e fammi ascoltare questa meraviglia.” lo zittì, però, l’ex soldato, prendendo a baciarlo con lasciva lentezza, mentre quelle carezze fatalmente seduttrici con le labbra venivano accompagnate da Chopin.
Sherlock ricambiò il bacio con altrettanta calma, sentendo, poi, la mano di John chiudersi attorno alla sua e trascinarlo con sé verso il divano su cui si ritrovarono sdraiati, uno sopra l’altro, persi nelle reciproche carezze e nei reciproci baci. Le dita del biondo si infilarono fra i suoi capelli, incoraggiandolo ad approfondire quel loro contatto, mentre si tendeva verso di lui col bacino, dichiarandogli il suo – già in precedenza chiaro – desiderio. Sorrise amaramente mentre, nella foga del momento, si lasciava spogliare della camicia blu che cadde a terra: quant’era difficile lasciarsi andare… Impossibile.
“Sherlock…” gemette improvvisamente John nella sua bocca. “Sherlock, ti prego…”
Si staccò appena, il giusto per guardare negli occhi dell’altro annebbiati d’eccitazione, le gote arrossate e i capelli sparati in tutte le direzioni. Dio, quant’era bello. “Cosa, John?”
“Scopami, cazzo.” ringhiò prima di prenderlo per il retro del collo e spingerlo nuovamente contro di sé, in un doloroso ed eccitante contatto tra i loro corpi.
John gli baciava ogni angolo di pelle mentre ripeteva come posseduto il suo nome. Lo sentiva risuonare ovunque: nelle sue orecchie, nel suo ventre, nelle sue labbra, assieme a quella preghiera che aveva sibilato la bocca dell’altro.
Sherlock… Sherlock… Scopami… Sherlock… Scopami cazzo…
Gli pareva di essere risprofondato nel materasso del Morningstar, addossato ai corpi dei suoi clienti. Sentiva le loro labbra dappertutto, i loro gemiti, i loro orgasmi… Spalancò gli occhi e si allontanò a fatica da un John accaldato e voglioso che gli aveva praticamente artigliato le spalle per tenerlo con sé. Crollò a sedere a terra, indietreggiando come se avesse di fronte un mostro invece che la persona che per lui significava di più al mondo. Come da copione, John si levò a sedere sul divano, un’espressione deformata dalla frustrazione e da una certa dose di rabbia.
“Posso sapere che cazzo ti prende?” gli sbraitò contro il biondo, i pugni serrati. “Sai quant’è che stiamo insieme, Sherlock? Due mesi! Due fottuti mesi! Due mesi che cerco di convincermi che va tutto bene, che hai solo bisogno di adattarti a questa vita… Ma io… non capisco, Sherlock, sei cambiato! Sei diventato scostante, a malapena mi scrivi un sms al giorno, quando ti invito ad uscire accampi sempre una scusa qualunque che so non essere vera. Quando ci vediamo, a stento ti fai baciare!” Ansimava dalla rabbia, John, e i suoi occhi riflettevano la profondità della sua confusione e della sua sconfinata frustrazione. “Se ti sei stancato di me, di noi, allora ti prego di dirmelo invece che continuare a tenermi a distanza, illudendomi che sia solo una cosa passeggera, che passerà, perché tanto ormai so che non passerà mai!”
Sherlock, gli occhi tristi fissi sull’altro, distolse lo sguardo, un sorriso mesto ad illuminargli il viso pallido. “Hai ragione: non passerà mai.” sospirò chiudendo le palpebre e serrando un pugno sul tappeto. “Non passerà mai, John…”
“Significa che è finita?” boccheggiò John che, nonostante tutto il suo monologo, di certo non si aspettava di aver ragione, o meglio, non sperava di aver ragione.
Sherlock vedeva quel discorso come la scappatoia che in quegli ultimi giorni aveva insistentemente cercato, sperando di potersi finalmente riappropriare della sua vita, una vita che da quando vi era entrato John era stata sconvolta radicalmente. “John… Chi vogliamo prendere in giro? Non può funzionare. Non mi sembra più neanche di vivere da quando me ne sono andato dal Morningstar, sono ancora incatenato in quel posto, con tutto ciò che avevo. E tu… tu non puoi darmi quello che cerco. E io non posso darti quello che cerchi tu.”
Un sorriso incredulo fiorì sul viso di John. “Stiamo davvero cercando due cose così diverse?”
“Sì, John. Io cerco libertà, mentre tu… tu cerchi stabilità. E non conosco nessuno di più instabile di me e…”
“Libertà?” fece l’altro sputando fuori una risatina sbalordita. “Libertà, sul serio? Quando quel bastardo ti teneva al guinzaglio come il suo cagnolino, costringendoti a prostituirti per arricchirsi, ti sentivi libero?”
Sherlock si prese qualche istante per rispondere, infine annuì con poderosa decisione, gesto che svuotò di ogni energia l’ex soldato, il quale crollò nuovamente disteso sul divano, gli occhi persi a scrutare il soffitto.
“Sono andato a ritirare oggi stesso un biglietto per l’Italia. Credo che staccare da tutto questo potrebbe farmi bene.” riprese, allora, per riempire quel silenzio in cui sentiva sarebbe annegato. “Starò fuori a tempo indeterminato… Potrebbe essere una settimana, così come un mese intero… chi lo sa. Andrò sulla costa nord del mar Tirreno e-”
“Perché me lo stai dicendo?” lo interruppe di colpo il biondo, uno sguardo rassegnato che gli tingeva amaramente l’espressione.
“Non ne ho idea.”
John arricciò le labbra e si levò in piedi, poi, come un tornado, sfrecciò in direzione dell’attaccapanni, buttandosi addosso la giacca. “Beh, allora, divertiti, Sherlock. Se hai piacere mandami pure una cartolina per farmi sapere che hai trovato la libertà.”
Fu in quel modo che la serata si concluse. Una voragine senza fine fagocitò l’intero 221B, ormai mezzo vuoto. Sherlock si trascinò in camera, gli occhi che vagavano senza meta, infine prese la sua valigia nera e cominciò a buttarci dentro le prime cose che gli capitavano in mano. Doveva smettere di pensare a John. Domani sarebbe partito per il suo viaggio e quasi l’idea di non tornare lo carezzava suadentemente.
Sherlock era da sempre stato uno che sapeva spassarsela, godersi la vita, soprattutto da quando aveva iniziato a lavorare per Moriarty. Da ora in avanti sarebbe stato lo stesso. Sarebbe scappato dalla realtà, sì, ma avrebbe morso il frutto della vita e ne avrebbe bevuto il succo dolce. Perché, in fondo, la vita era troppo breve per essere sprecata in rimpianti e paure.
 
Camminare. Aveva bisogno di camminare. Via. Lontano da tutto. Lontano da tutti. Lontano da se stesso. Incredibile quanto la vita possa essere puttana. Il primo da cui voleva andar via, era proprio se stesso, e invece eccolo lì, relegato nel suo corpo, perso nei suoi pensieri. Si sentiva così stupido… Non sapeva più niente. Non sapeva se incolpare se stesso per aver fatto allontanare Sherlock o se incolpare se stesso per essersi illuso di poter costruire qualcosa con un uomo che non avrebbe mai accettato di essere posseduto – non nel senso ossessivo del termine. E aveva voglia di urlare. Di urlare e strapparsi di dosso quella bestia che abitava nel suo petto e lo stava divorando membro per membro.
Una cabina telefonica, alla sua sinistra, iniziò a squillare. Un sorriso sprezzante affiorò sulle sue labbra, mentre tirava dritto, le mani ficcate in tasca. Se Mycroft sperava di catturare la sua attenzione per due volte di fila in quella maniera, si sbagliava di grosso. Ma ovviamente, se il Governo inglese in persona ha desiderio di parlarti, rifiutare è semplicemente impossibile.
Salì sulla macchina nera che lo pedinava, ormai, per tutte le strade di Londra, seguendolo con lentezza snervante persino per lui che fuggiva, e non osava pensare a quel povero bastardo d’autista. Una volta accomodato sul sedile posteriore, si volse, aspettandosi di trovare Anthea, come la prima volta, ma sorprendentemente incontrò lo sguardo di Holmes in persona.
“Vedo che la tua melodrammaticità non è cambiata, anche se dovresti inventarti qualcosa di nuovo, questo ormai è superato. Comunque, la risposta è no.”
“Non ho ancora aperto bocca.”
“Non ti scomodare: non ho intenzione di tornare a fare la marionetta al servizio di persone che mi detestano.”
“Alla fine la tua iniziale rovina della missione si è rivelata la salvezza, un po’ come con mio fratello…”
“Non ho voglia di parlare di tuo fratello, Mycroft.”
“E allora mi spiace, ma dovrai trovarla. Sono qui proprio per lui.”
John gli rivolse un’occhiata arrogante, senza mascherare la vena di disprezzo che provava verso lui e tutti gli altri del Governo e dell’MI6. “Vedo che hai tanto potere sulla Gran Bretagna quanta debolezza su tuo fratello. Comunque, la questione Sherlock non mi riguarda più. Abbiamo chiuso.”
“Sì, ho visto dalle telecamere.”
I suoi occhi s’ingigantirono improvvisamente per la sorpresa. “V-vuoi dire che... hai piazzato delle telecamere nel 221B?”
“Oh no, non solo nel 221B, anche a casa tua.”
“Si chiama violazione della privacy!”
“Se sei preoccupato riguardo il tipo di contatto che tu e mio fratello avete avuto in questi ultimi tempi, stai pur certo che non mi sono dilettato a guardarvi mentre… ve la spassavate.”
Sembrava tutto così lontano, ora. Solo un’ora prima era seduto a tavola con Sherlock, chiacchieravano allegramente e sorseggiavano del vino. Solo due ore prima se ne stava davanti ai fornelli, a fantasticare sui risvolti della serata. Solo novanta giorni prima se ne stava nella sua casa, a chiedersi se avrebbe mai trovato la persona giusta. Si era illuso che Sherlock fosse quella persona? Probabile. Fin da bambini, chiunque impara ad associare qualcosa ad un nome. Un cane, una casa, un fiore, mamma, papà… Eppure a quello che provava per Sherlock, un nome non riusciva a darlo. Forse neanche voleva darlo. Ci mancava solo che si mettesse in testa strane idee sui suoi sentimenti, ora che l’aveva perso.
“Ad ogni modo, John.” lo richiamò Mycroft, incrociando le dita in grembo. “Credo che dovresti tornare a Baker Street.”
“E per che cosa? Per farmi umiliare una seconda volta? Per farmi dire che non posso dargli quello che cerca? No, grazie.”
“Ascoltami” lo incalzò, però, l’altro, con voce pacata e quasi fraterna. “Ascoltami, John, perché le cose sono molto più complicate di così.”
“Quando si parla di Sherlock è tutto più complicato.”
“Sei arrabbiato e lo capisco, chiunque reagirebbe come reagiresti tu, però-”
“Io non sono arrabbiato, Mycroft, sono ferito. Preferirei essere arrabbiato, ma non ci riesco. Tutto quello a cui sono in grado di pensare è a come abbia potuto lasciare che scivolasse via dalle mie braccia. Non so più chi sia il vero Sherlock. Una volta mi corteggiava spudoratamente, ci mancava che si mettesse in ginocchio a supplicarmi, ricercava costantemente la mia compagnia, mi provocava, mi sfidava… Era bello. Ora, invece, è distante e freddo, a tratti persino triste, e se sono io quello a renderlo così, allora forse è meglio che faccia questo viaggio e se la spassi come e con chi preferisce.”
Mycroft taceva, i suoi occhi penetranti erano persi sulla strada che sfilava accanto alla loro macchina accostata. John s’interrogò su quali pensieri frullassero in quella mente contorta che apparteneva al maggiore degli Holmes – e da un lato anche al minore – ma non riuscì ad afferrarne nemmeno uno.
“Ho sempre avuto un vanto.” esordì, dopo diversi istanti di silenzio, Mycroft. “E cioè quello di conoscere e leggere mio fratello meglio di quanto io riesca a conoscere e leggere me stesso. Quindi credimi quando ti dico che ci sono ragioni più ampie sul vostro allontanamento e sul fatto che lui tenga a te più di ogni altra cosa.”
John ridacchiò sdegnosamente, scuotendo la testa. “Sì, certo, è facile parlare se non si è stati appena scaricati proprio da lui.”
“Alla fine, John, dopo tanti sproloqui su come ti saresti impegnato a proteggerlo, le circostanze hanno voluto che fosse lui a proteggere te.”
Inarcò un sopracciglio, dubbioso. “Proteggermi? Proteggermi da cosa? Da se stesso? Dal suo passato? Non gli ho dimostrato sufficientemente di essere disposto a combattere contro tutto e tutti per lui – anche contro i suoi fantasmi passati e i suoi demoni presenti?”
“Dall’atterraggio.” sospirò Mycroft con tono rassegnato.
“Dall’atterraggio?”
“John… Non condivido le azioni di mio fratello, ma non posso che rispettarle. Tu hai però il diritto di sapere la verità e di scegliere di conseguenza.”
“Scegliere? Ma… Mycroft, non sto capendo! Mi sta proteggendo dall’atterraggio, è mio diritto scegliere… Che cosa significa?”
“Parlargli. Stavolta, sul serio. Fatti dire tutta la verità. E poi starà a te.” Detto questo, si volse in direzione dell’autista, rimasto in silenzio per tutto il tempo. “Baker Street.”
 
Quant’era trascorso? Un’ora? Due? Pochi minuti? Si era gettato sulla valigia subito dopo averla chiusa, spogliato di ogni intenzione. Avrebbe giaciuto lì fino a che il sole non lo avesse incoraggiato ad alzarsi e a raccogliere quello che era rimasto di lui per quella fuga disperata. Per un attimo, si domandò se fosse la scelta giusta, e sì, si rispose. Voleva vivere davvero. Voleva visitare quel suggestivo paese che aveva più volte progettato di esplorare, sin dalle sue avventure da pirata con Victor.
Victor. Chissà come se la passava. Si erano visti un paio di volte dal tramonto del Morningstar. Solo qualche giorno prima gli era arrivato l’invito al matrimonio per l’inizio di Giugno. L’aveva fatto a pezzettini e gettato nelle fiamme del camino ed era rimasto a lungo a guardare quelle lingue di fuoco crepitare, banchettando con la felicità di un’altra persona. Si era sentito meglio. Per un attimo, i brutti pensieri erano passati e il peso al cuore si era alleggerito. Era meschino? Lo era eccome: disprezzava la serenità, la gioia di una persona a lui cara, di un amico, di un compagno, di un fratello. Eppure, ogni volta che lo sentiva blaterare di quanto felice la sua futura moglie lo rendesse e di tutti i progetti che avevano nel cassetto, mentre fuori stirava le labbra in un falso sorriso, dentro si chiedeva cosa ci fosse di così diverso tra loro. Perché a Victor tutto quello era concesso e a lui no? Perché non poteva trovare anche lui la gioia? Perché quel vuoto doveva corroderlo, divorarlo?
“Aspettiamo un figlio.” gli aveva detto durante il loro ultimo incontro, prendendogli le mani di fronte a due tazze di the fumanti, gli occhi che gli brillavano. “Aspettiamo un bambino, Sherlock.” E quell’ultima notizia aveva segnato la fine delle loro uscite assieme, come se fosse stato un comune accordo.
Ad un tratto, un trillo nel buio. Il campanello. La signora Hudson non era ancora tornata? Non ci aveva fatto caso. Ma poteva essersi scordata le chiavi di casa? Lei, così pignola e perfezionista? Si tirò su come un vecchio e come un vecchio arrancò verso il citofono.
“Signora Hudson.”
“Non proprio.”
Il respiro gli morì in gola e, per svariati secondi, non si azzardò ad inspirare, timoroso che il suo corpo potesse tradire il minimo coinvolgimento.
“Posso salire?” chiese dopo un po’ la voce di John.
Si limitò ad aprirgli la porta d’ingresso e ad accomodarsi con posa altera sulla propria poltrona. L’incrollabilità e la credibilità della facciata avrebbero deciso le sorti della sua intera esistenza. Sarebbe bastato il minimo dubbio, in John, per rovinare ogni cosa. Avrebbe dovuto mantenere il controllo delle sue azioni e, soprattutto, delle sue emozioni. Si sarebbe rifugiato dietro quella barriera di ghiaccio che aveva spesso eretto negli ultimi tempi e sarebbe andato tutto bene. Doveva resistere fino al giorno dopo e poi tutto quello sarebbe stato solo un…
“Ti faccio le mie congratulazioni per la tua commediola. Adesso, se non ti spiace, raccontami la verità.” esordì John irrompendo rapidamente nell’appartamento e lasciandolo completamente senza parole. E adesso? si chiese col cuore che sembrava volergli fuggire dal petto e rintanarsi come un coniglio da qualche parte, lontano da lì.
“L’ho fatto.” rispose seccamente, tentando di mantenere i nervi saldi.
“Cazzate.” ribatté sveltamente il biondo, la fronte corrugata. “Senti, non fraintendermi, sono qui soltanto per una mera questione di orgoglio. Detesto quando le persone mi mentono-”
“Parli proprio tu…”
“Sì, ho sbagliato, ma alla fine la verità è venuta a galla e sono stato io a farla emergere. O sbaglio?”
Sherlock cercava di controllare il fremito che gli scuoteva le viscere, ma sembrava tutto così difficile ora. Era vulnerabile: non dormiva da giorni, a stento mangiava, dopo che John se n’era andato aveva vuotato la bottiglia di vino, e tutte le sue più grandi paure erano lì, impersonate dall’uomo che si ostinava a voler tenere a distanza nonostante avesse bisogno di averlo vicino. In quale patetica telenovela era appena finito?
“Sherlock.” lo chiamò l’altro, con voce soffice ed improvvisamente pacifica. “Sherlock, ti prego, parlami. Sono qui per te.”
“Non ho bisogno di te.”
“E allora scacciami. Guardami negli occhi e dimmi quello che mi hai detto prima, poi accompagnami di sotto e chiudimi la porta in faccia. Solo allora ti crederò.”
La sua convinzione vacillò e, probabilmente, John doveva essersene reso conto, perché si era immediatamente fatto vicino e ora stava lì, in ginocchio, le mani strette alle sue ginocchia, e lo guardava, lo trapassava con quella stupida deferenza e fiducia che provava nei suoi confronti.
“Dimmi la verità, Sherlock. Non sarai mai libero come tanto desideri, se non ti sarai tolto questa zavorra.” gli sussurrò il biondo facendo risalire le mani sulle cosce, finché non incontrò le sue dita allacciate insieme. E lui lasciò che quelle mani che tanto adorava stringessero le sue, illudendosi, per un effimero frangente, che andasse tutto bene. “Te l’ho promesso, Sherlock. Ti ho promesso che ti avrei protetto e lo farò anche adesso.”
Fu allora che Sherlock cedette. Che dopo mesi di silenzio e dolore sopportato in solitudine, si lasciò andare. Fu allora che i suoi occhi s’inumidirono di lacrime calde e che le sue mani si aggrapparono a quelle di John con disperata rassegnazione, mentre un sorriso sconfitto gli si dipingeva in volto. “Moriarty aveva ragione. Ha sempre avuto ragione: non puoi proteggermi da tutto. Però posso essere io a proteggere te. John, permettimi di proteggerti. Siamo ancora in tempo, basta che prendi quella porta e te ne torni alla tua vita, senza di me. Basta pochissimo, John, ti prego-” Un bacio a fior di labbra lo ammutolì, mentre le mani di John gli accarezzavano il volto, dolcemente. Quando si scostarono appena l’uno dall’altro, Sherlock si strinse a John come un bambino indifeso, scivolando a terra e rannicchiandosi fra le sue braccia, le lacrime che gli inumidirono la camicia. “John… John… Sto male.”
John gli accarezzava i capelli, depositando fra i ricci ribelli lunghi baci. “Adesso ci sono io qui con te.”
“No… Non capisci. Io sto male. Sono malato.”
A quelle parole, il corpo di John s’irrigidì, riducendosi quasi ad una statua di pietra, finché non gli prese il viso, costringendolo a guardarlo negli occhi. “Malato?”
Sherlock, in quello sguardo, vi trovò una folle paura che ebbe l’effetto di spezzarlo in due. Ecco ciò che temeva. Non avrebbe mai voluto vedere John in quelle condizioni. Annuì, socchiudendo gli occhi, sfuggendo per pochi attimi dalla verità scritta sul volto dell’altra. “AIDS.”
Accadde tutto in un attimo. John scattò in piedi, privandolo del suo calore. Scuoteva la testa come un ossesso, le palpebre che venivano sbattute irregolarmente, un sorriso irrealmente rigido di stupore sulle labbra. “No… No, no, no, no…” prese a farfugliare vagando per la stanza come un pazzo.
“John…”
“Non è possibile, c’è un errore…”
“John.”
“Mi stai raccontato una cazzata, vero? E’ una sporca menzogna, non è così? Uno dei tuoi giochetti? E’ uno scherzo… solo uno scherzo… Ma certo, tu e tuo fratello vi siete messi d’accordo per piegarmi alla vostra volontà. Ha senso, ha maledettamente senso-”
“JOHN!” sbottò infine, trattenendo un singhiozzo a quella visione, e solo allora John arrestò il suo frenetico su e giù, immobilizzandosi in mezzo alla stanza, gli occhi fissi su di lui.
Lentamente, la denegazione rotolò via dal volto di quello, granello dopo granello, sostituito prima da un dubbio oscuro, infine da una lancinante consapevolezza. Aprì la bocca più volte, ma le labbra tremavano a tal punto che alcun suono ne uscì. Sherlock rimase impotente ad osservarlo spezzarsi e crollare in ginocchio con le mani che arpionavano i corti capelli biondo cenere.
“Dio, no… Gesù, no…” biasciò l’ex militare mentre rovesciava la testa all’indietro, le palpebre serrate e l’intero viso contorto in una smorfia di dolore puro.
Sherlock strisciò fino ad arrivargli vicino e, con cautela, gli sfiorò una guancia con la mano, timoroso di una sua reazione. A quel contatto, John si limitò a riaprire gli occhi, un velo di sconfitta li avvolgeva, catturando la loro solita luminosità. Si guardarono in silenzio, schiacciati dal peso di quella rivelazione.
“Da quanto lo sai?”
“Dal giorno in cui mi hai trovato in bagno completamente ricoperto dalle percosse di Moriarty. Gli avevo appena comunicato i risultati delle analisi del sangue. E… beh, inizialmente non è stato troppo contento di essere stato infettato. Poi ha trovato la cosa divertente, ha detto che eravamo uniti da un unico destino e che era il segno che eravamo fatti l’uno per l’altro.”
John prese un respiro profondo. “E non mi hai mai detto niente.” Non era una domanda, ma l’affermazione sottomessa di un uomo distrutto.
“Non volevo arrivare a… questo. Sarebbe stato inutile.”
Inutile? Quello che provo io sarebbe inutile?”
“John, sto per morire, Cristo! Non basto io per soffrire? Perché coinvolgere anche te!?”
“Dio, Sherlock… Non puoi decidere per gli altri, lo capisci? Hai già fatto i bagagli per partire per l’Italia con l’intento di lasciarmi qui senza di te.”
“Meglio che ci lasciamo qui piuttosto che in una camera d’ospedale, no?”
John gli ghermì le spalle, uno sguardo carico di rabbia e agonia puntato su di lui. “Io non ti abbandonerò.”
Sherlock sgranò appena gli occhi e tacque, mentre le lacrime gli ferivano le guance. Tutto si sarebbe aspettato, meno che quello. Sì, esatto, lui che prima aveva conosciuto Andy Rose e poi John Watson, tutto si sarebbe aspettato meno che volesse rimanergli accanto nonostante tutto quello. In realtà, prima di allora non si era neanche posto il problema: era convinto che lo avrebbe protetto da quel segreto, ma mentre la verità intrideva le sue parole, aveva già programmato come meglio salutarsi senza soffrire troppo. Come se fosse possibile. “John… No, non voglio che-”
“Che condivida con te questo peso?”
“Che mi veda morire.”
John scoppiò a ridere in modo quasi isterico. “Sei davvero un coglione, Sherlock Holmes. Ti seguirei anche all’Inferno.”
“John, questo non è l’Inferno… è peggio.”
Le labbra dell’altro lo baciarono con trapassante dolcezza e gli comunicarono tutto ciò che a parole non sarebbe risultato pienamente chiaro. Capì grazie a quel bacio, Sherlock Holmes. Riaprì gli occhi, osservando tristemente quell’uomo che avrebbe ridotto a pezzi e che lo avrebbe ridotto a pezzi. Si sarebbero fatti del male a vicenda in quel modo, ne era consapevole. Avrebbe vissuto ogni suo ultimo giorno accanto all’uomo che l’aveva salvato e gli aveva dato uno scopo per vivere anche se la vita non era più una questione per lui trattabile. Da quanto gli aveva riferito Mycroft, aveva condannato a morte dieci persone, una delle quali aveva condannato a morte lui. Fortunatamente, i suoi clienti erano ristretti e non avevano mai prediletto un altro amante a lui, perciò almeno i dipendenti del Morningstar, i suoi compagni d’avventure, erano salvi. E se solo John avesse accettato ai suoi primi corteggiamenti… sarebbe stato il suo carnefice.
“John… Sarà un inutile farsi del male a vicenda.” provò ancora, due nuove lacrime che gli rotolavano giù dagli occhi. “Voglio che tu sia felice.”
“E non potrei mai esserlo lontano da te.”
Si passò la manica della vestaglia sugli occhi arrossati, un respiro tremante che gli uscì dalle labbra. “Beh, temo che dovrai presto farci l’abitudine.”
Fu con una pesantezza disarmante che quelle parole raggiunsero John e l’effetto fu semplicemente devastante. Lo tirò a sé, stringendolo con forza, affondando il volto nella sua spalla, forse pianse in silenzio e quello fu solo un espediente per non farsi vedere da lui… ma Sherlock rispose a quel contatto, circondando il corpo dell’altro con le sue fragili braccia, cercando di contenere entrambi i loro dolori. John era con lui… John sarebbe stato con lui… John sarebbe rimasto…
“Moriarty aveva davvero ragione…” sussurrò con voce arrochita dalla sofferenza l’altro, strusciandosi contro di lui. “Su ogni cosa… Un giorno mi sveglierò senza di te perché non sono stato abbastanza forte per proteggerti…”
“Non avresti potuto proteggermi comunque…”
“Avrei potuto… Avrei dovuto, cazzo…”
Sherlock gli baciò il collo e aspirò appieno il suo odore. Gli sarebbe mancato così tanto quell’odore, dovunque fosse destinato ad andare. Sospirò sulla sua pelle, frenò una nuova sequenza di lacrime mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare. “Voglio vivere, John.” sussurrò alla fine. “Voglio vivere tutti gli anni che non potrò vivere. E se è quello che vuoi… allora sarò felice di viverli con te.”
John annuì ripetutamente baciandogli il viso, fino ad arrivare alla bocca, ma Sherlock si scostò di scatto, pulendosi la piccola ferita da cui era sgorgato un minimo rivolo di sangue. Gli occhi del biondo si colmarono di tristezza. “Giusto…” sospirò poggiando la fronte contro la sua.
“Incredibile come basti una goccia di sangue per distruggerti la vita…”
“Vivrai a lungo.” mormorò John, arricciando le labbra. “Ci sono terapie che consentono di aumentare la speranza di vita fino a… trent’anni.”
“Che vita sarebbe? Vivrei nel terrore di avvelenare chiunque mi stia intorno.”
“Con le ultime terapie si è in grado di abbassare notevolmente la probabilità per un sieropositivo di trasmettere l’HIV-”
“Sai bene che la probabilità non ha valore quando si tratta della vita. Persino l’1% non può essere ignorato.”
John sospirò e gli baciò i capelli. “Non hai intenzione di curarti, vero?”
Sherlock non rispose e si lasciò avvolgere dalle braccia calde dell’altro. “Parti con me.”
“Tutto quello che vuoi.”
Chiuse gli occhi, lasciando che i suoi occhi ardenti, finalmente, si acquietassero. Soffocò un colpo di tosse, il torace che gli doleva insistentemente – piccoli fastidi a cui ormai era avvezzo. Sorrise tristemente.
Ci sono terapie che consentono di aumentare la speranza di vita… Non hai intenzione di curarti, vero?...
Troppo tardi.

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SPAZIO AUTRICI
Shit, raga. E' venuto fuori un mago', questo capitolo. Ebbene, il vaso di Pandora è stato scoperchiato. Ora, ragazzi, arriva la parte difficile, purtroppo. Sherlock è malato e John è a pezzi. Ora, devono cercare di risollevarsi e andare avanti finché possono. Il prossimo capitolo sarà incentrato su loro due e sul loro modo di approcciarsi alla situazione in cui sono immersi. Siamo consapevoli che queste tematiche sono forti e potrebbero intristire molti, però chi vorrà farsi forza e continuare a leggere ci renderà immensamente felici. Chi invece deciderà di preservare la propria sfera emotiva intatta, allora avrà tutto il diritto di smettere.

Con questa punta di malinconia, vi auguriamo comunque BUONE VACANZE! Dai, è pur sempre Natale. Per rimediare pubblicheremo le due ff scritte per i context dei vari gruppi Fb as soon as possible. Vi aspettiamo, speriamo numerosi, Domenica prossima con il nono - in teoria - capitolo. Buon proseguimento a tutti, sciauu!!

*kiss*
Alicat_Barbix
   
 
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