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Autore: Sesquiplebe    28/12/2018    1 recensioni
Decise di combattere l'odio con l'odio bruciando ciò che gli era rimasto.
«C'è qualcosa di sbagliato in tutto questo.
Puzza di marcio, come la fossa comune dei cadaveri di guerra.»
»I disegni appartengono ai rispettivi artisti. Gli edit sono miei invece«
»Storia principalmente con Oc di Master«
Genere: Azione, Comico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una pioggia violenta aveva cominciato ad abbattersi sulle strade abbandonate di Fuyuki bagnando il sangue sgorgato sull'asfalto consumato. Nel giro di pochi minuti si era trasformato in un fiume in piena, riempiendo d'acqua le sue scarpe e macchiando le suole di rosso. Nella mano destra ancora penzolava il pugnale del padre la cui lama venne lavata dalle gocce che scivolavano sui fradici indumenti.
Aveva fatto il suo lavoro.
Paralizzata di fronte al suo cadavere, i capelli si inzupparono completamente appiccicandosi alle guance e alle labbra serrate mentre, lentamente, sollevava la mano riportando nel proprio fodero l'arma maledetta usata per vincere. Non riusciva più a percepire la presenza dell'altro Servant, senza ombra di dubbio era stato definitivamente sconfitto. Si concesse un ampio sospiro nella speranza di metabolizzare l'intero atroce accaduto soffocando le lacrime che premevano con forza negli occhi gonfi. Scosse la testa.
Aveva fatto il suo lavoro.
Dei passi familiari sempre più vicini, dalle spalle di lei, iniziarono a farsi strada nei suoi pensieri trascinandola a quella mostruosa realtà.
«Master.» si limitò a dire l'altro, appoggiando la punta della spada a terra e fissando fieramente la donna nonostante le ferite provocate dall'ultimo combattimento. Era stata più dura di quanto immaginasse.
«Saber.» rispose al richiamo, voltandosi verso il Servant che l'aveva servita duramente fino a quel momento. Quasi invidiava quello sguardo così audace e furente, anche quando veniva battuto. E se ne pentiva di starlo per disonorare.
«Tu...Accetterai qualsiasi decisione io scelga?» lo sguardo sofferente dipinto sul viso di lei lo fece sospettare sulle sue azioni, e il cadavere dietro confermarono le ipotesi. Gli urtava dover rinunciare al premio tanto ambito a pochi centimetri da esso, ma significava che non era ancora il suo momento. Confidava negli dei. Dopotutto doveva il suo successo, la sua gloria e il suo gran destino a loro, nonostante il male stesso che gli avevano procurato.
«Se è ciò che volete, io accetterò.»
La giovane parve sentirsi meglio a quell'affermazione, aveva una colpa in meno addosso e un macigno più leggero da trasportarsi. Alzò il braccio destro piegando verso di sé l'avambraccio e mettendo in vista le due magie di comando avanzatele.
«Mi dispiace.»
Una luce scarlatta circondò il marchio preparandolo al suo ultimo viaggio.
«Con la seconda magia di comanda come master, io ti ordino...» le mancarono le parole. Non era intenzionata a credere a quel che stava per combinare, pur sapendo del breve tempo restatole. Le capitava spesso di odiare la vita programmata regalatele maledicendo chi gliel'aveva donata: nascere conoscendo già la propria data di morte era un grande fardello da sostenere, troppo grande.
Aveva vissuto. Però, aveva vissuto bene?

Il suo timer continuava a pulsare i timpani della propria mente da quando l'era stato raccontato. Per loro non era altro che una prova destinata a essere usata e poi bruciata tra le macerie dei fallimenti.
Chiuse gli occhi prendendo il respiro.
«Di uccidermi.»
L'ordine arrivò presto alle orecchie di Saber obbligandolo istintivamente a stringere la presa sul manico attendendo l'ultimo comando prima di agire. Non avrebbe fatto domande sul perché di quelle decisioni, conosceva molto bene le motivazioni.
«Con l'ultima magia di comando come master, ti ordino di suicidarti.»
Uno dopo l'altro entrambi gli incantesimi svanirono dall'arto privandola delle sue facoltà di master una volta per tutte. Le cose non si sarebbero risolte, ma in questo modo avrebbe fatto crollare una delle colonne portanti del progetto. Lo Spirito Eroico eseguì senza opporre resistenza: puntò l'arma al petto della donna e avanzò.
«Spero che tu ca-»
«L'avverto, non sarà affatto piacevole.»
La interruppe immediatamente evitando qualsiasi prolungamento inutile -e sofferente- del discorso. Non serviva girare il coltello nella piaga ancora e ancora, soprattutto in un momento delicato come quello. Aveva già compreso. Lei allora si limitò a donargli un vivace sorriso, mentre la fredda lama trapassava con prepotenza il suo petto. Fu tutto molto rapido. Estrasse velocemente l'arma dalla ferita mortale lasciando che l'altra cada a terra sulle ginocchia vinta dal dolore e dalla morte alla sua porta. Usò le ultime energie solo per guardarlo negli occhi, ringraziandolo una secondo volta.
Ora toccava a lui.
Non era di certo una fine di cui vantarsi nei Campi Elisi pur essendo meglio morire di propria mano piuttosto di quella nemica. Peccato, sarebbe stata per la prossima evocazione, gli dei non lo avrebbero abbandonato. O almeno, sua madre non lo avrebbe fatto.
Sollevò la pesante spada tenendola ferma sul proprio cuore battente.
«Perdonatemi, madre! E voi tutti dei dell'Olimpo. Prego che possiate ancora supportarmi.»
Bastò un colpo secco e si ritrovò in fin di vita nel giro di pochi secondi abbandonandosi poi alla sorte, accasciando il corpo inerme sulla terra fracida. Esalò l'ultimo respiro fissando le gocce insistenti picchiettare il suo viso morente.
L'orologio a pendolo poggiato sul muro suonò la mezzanotte in perfetto orario emettendo un fastidioso rimbombo nelle piccola stanza che bloccò il loro importante discorso. Avevano già perso troppo tempo a discutere su una faccenda del genere, i veri problemi non erano sicuramente quelli.
«Ne abbiamo già discusso, Antonio.» riprese il più anziano del gruppo congiungendo le mani tozze sul tavolo rotondo. «Se la tua cavia fosse morta prima del completamento del progetto avremmo chiuso i fondi e le sperimentazioni.»
L'uomo preso in causa sospirò frustato incrociando le braccia. Odiava dover ricorrere alla retorica per convincerli.
«Lo so, ma vi posso confermare che sono davvero vicino alla conclusione per cui-»
«Non hai sentito?» lo troncò l'altro alla sua destra alzandosi dal posto su cui era seduto «Abbiamo perso fin troppo con te e per te. Da oggi il Progetto Omega può essere definito chiuso e cancellato. Hai già fatto abbastanza con l'estrattore di od e per questo ti sei meritato il nostro appoggio, tuttavia stai tirando troppo la corda che ti sostiene. Cerca di non spezzarla del tutto, oppure dovrai farti crescere delle ali.»
Rivolse lo sguardo verso il proprio capo facendogli intuire quali siano le sue intenzioni. Questo percorso suicida si era portato appresso solo guai e denaro bruciato, l'unico guadagno furono le accuse pesanti dell'Associazione a Londra. Del resto come non prevederlo, i ficcanaso non stanno mai al loro posto, se si parla dei maghi londinesi è più che prevedibile. Tuttavia questo aveva richiesto l'ausilio del più grande oratore di famiglia creando scompigli per un nulla di fatto. Tanto valeva porre un dannato punto alla storia lanciando il libro tra le fiamme.
«Come princeps di questo consiglio, ordino la chiusura della ricerca. Se ciò non verrà fatto taglieremo i fondi e lo scomunicheremo dalla famiglia togliendoti ogni tuo possesso o legittimità. Il che vuol dire i tuoi figli minorenni ti saranno strappati via e posti a giudizio del pater familias il quale deciderà se tenerli o darli in adozione. O, chissà, forse potrebbe pure ridarteli! Ma dubiterei.»
La voce calcolatrice e il tono freddo dell'anziano scosse l'animo di Antonio. Facevano sul serio. Teneva molto alla famiglia sebbene per colpa del lavoro non ne avesse dato prova e perderla lo avrebbe spinto sicuramente a pazzie. Doveva accettare la scelta del consiglio, per ora, e agire in altri modi.
«Così sia.» annuì, spostandosi indietro con la sedia. Esaminò successivamente l'ora del pendolo constatando della quantità di tempo usata per una conversazione del genere. Era in quel buco da due ore e mezza, se non tre.
«Con permesso.»
Uscì in fretta da lì prima di rischiare di soffocare realmente per tutto quell'ossigeno consumato. Una finestra -o due- non faceva male. La porta fu lasciata aperta appunto per la mancanza di aria, e in ogni caso nessuno avrebbe sentito con tutte quelle pareti isolate. Inoltre si trattava di una parte della villa del tutto costruita sotto terra in modo da non essere disturbati.
Il Consiglio restò ancora un po' in quella specie di bunker passando al prossimo argomento: il funerale di Lucrezia. Nonostante il suo tempo stava ormai per scadere era giusto darle una sepoltura d'onore per aver combattuto la guerra fino allo strenuo, benché non fosse riuscita a impossessarsi del Graal.
Nessuno si era impossessato del Graal.
Secondo le notizie pervenute dagli Schreiber tutti Master erano stati uccisi.
Anzi, meglio specificare: scomparsi. Gli unici due corpi senza vita ritrovati furono quello del loro Master e quello dei Nakamura.
Degli altri non ce n' erano tracce né prove della loro morte o sopravvivenza.
Ah, bel problema.
Qualcosa non quadrava assolutamente.
«È strano.» prese parola il più giovane riflettendo sull'accaduto.
«Abbiamo avuto i risultati dell'autopsia di Lucrezia. A parte la ferita che le ha provocato la morte è sana come un pesce. Non ha nemmeno danni agli organi, quindi i suoi Circuiti Magici non sono impazziti. Stessa cosa i Nakamura. Possibile che l'attivazione del Graal sia stata errata?»
«Impossibile.» ribatté il princeps convinto sulle sue ipotesi «I Nakamura provvedono alla sua attivazione da secoli e non hanno mai fatto sbagli. Invece penso a una maledizione, a una corruzione, anche se non esplicita. Non c'è stato né un vincitore né un desiderio.»
La situazione era scivolata via dal loro controllo. E come se non bastasse non avevano trovato valide spiegazioni a un accaduto del genere. Privi di prove, effettivamente, non potevano andare tanto lontani. Bisognava anche aggiungere il fatto che Fuyuki possedeva una lunga coda di eventi strani a partire dal famoso incendio, di conseguenza non c'era da strabiliarsi se certi presagi accadevano. Ah, lo aveva intuito, durante l'incontro con i Nakamura avrebbe dovuto chiedere di spostare il Graal da quella città maledetta. Andava bene pure un'isola nei meandri sperduti dell'oceano.
Dannazione.
La sfortuna non aveva fatto altro che perseguitarli dall'inizio fino alla fine.
Sperava almeno in un perdono svelto da parte del pater familias, chi voleva sentire le chiacchiere di quel vecchiaccio. Non era forse ora di morire? Sicuramente aveva più anni lui che la villa in cui risiedevano.
«Come raccontiamo al vecchio la totale assenza del Graal davanti ai cancelli?» chiese visibilmente irritato al resto del Consiglio. Neppure loro sapevano cosa fare. Inventarsi una bugia? Tanto gli restava poco da vivere, sarebbe crepato prima di scoprirlo. Ma se invece ne venisse a conoscenza sarebbero stati guai seri per tutti loro. Tradire il pater familias voleva dire tradire l'intera famiglia. Non avrebbe esitato a cacciarli data la sua severità.
«Possiamo solo dirgli la verità.» sentenziò il mezzano inclinando la sedia all'indietro. Di percorsi ce n'erano molti, però se la volevano scampare con la pelle ancora attacca era giusto narrare il vero.
«Bene,» riprese l'uomo a capo del Consiglio «chi si offre ambasciatore?»
Ovviamente nessuno osò fiatare o alzare un dito. Conversare con l'autorità più alta era sempre una grande sfida. Soprattutto se era uno uscito di senno eccessivamente legato in modo ossessivo alle tradizioni.
«Davvero?» il tono nervoso incrinò la domanda apparendo più una specie di rimprovero celato.
Capiva i membri più giovani -a malapena conseguivano le loro faccende senza far danno-, non i più vecchi. Insomma ognuno di loro, pure una volta, ha comunicato l'esito cattivo di alcune circostanze.
Quando proprio stava per arrendersi proponendosi lui stesso, tra le file giovanili si elevò una braccio.
«Ci penso io.» risolse la questione abbassando l'arto.
Oh sì, il figlio. Chi altro poteva?
Siccome secondo il padre avrebbe innalzato l'onore della famiglia per l'acuta intelligenza lo aveva chiamato Lorenzo. Prese parte a una singola Guerra del Santo Graal quale vinse con un Caster dalla sua parte. Nessuno seppe se la vittoria derivasse dalle sue capacità o dall'inconfondibile genialità del suo Servant, fatto sta fu accolto da tutti da piccolo prodigio. Gli avevano fatto frequentare le scuole migliori del paese per non parlare dell'università. Il padre avrebbe preferito un militare in casa, tuttavia Lorenzo decise di intraprendere Architettura ignorando i suoi avvisi. Difatti fu obbligato a cavarsela da solo e non rare volte venne costretto a pregare del denaro per continuare. Uno dei suoi maggiori difetti era la quasi inesistente elasticità mentale, Fu la moglie a fargli la proposta di matrimonio con un messaggio scritto su un tovagliolo e a lui ci vollero una trentina di minuti per arrivarci. Dopo aver letto e riletto la frase. In compenso i festeggiamenti furono indimenticabili nonostante il genitore avesse causato brevi litigate tra i due: non gli piaceva la sposa venendo da una famiglia di maghi di sole tre generazioni.
Ora che aveva la possibilità di vivere una vita in pace in compagnia dei suoi tre figli e della donna amata, all'orizzonte una nuova minaccia avanzava inesorabile verso di lui.
La Selezione.
Di sicuro desiderava persuaderlo nel declinare una tale -terribile- usanza consentendo loro di trascorrere una vita serena.
Idiota.
Pensarci no prima di far nascere tre bambini? Era un inutile castello di carta che si era costruito attorno quell'idea di “famiglia normale”. Essendo erede di maghi, di Master, era ovvia la fine di questa storia.
«Sei sicuro?» si rivolse all'uomo freddamente «So le tue intenzioni. E sai di non avere molte--»
«Taci.» rispose a tono «Farò quello che devo fare. E qualcosina un più non appartenente al vostro interesse.»
«Fa' come vuoi. Se fai danni dovrai prenderti le tue responsabilità»
In poche parole se ne sciacquavano le mani. Tsk, quei lecca piedi non avrebbero mosso dita se non per se stessi. In un certo senso, da quel punto di vista, concordava col padre. “Sono solo pattumiera che tenta di ritornare al suo antico splendore.” ripeteva spesso “Però il loro nome è l'eco di un grande passato, ecco perché vanno tenuti in considerazione. Entrare in quella cerchia potrebbe elevare la tua posizione.”. Non aveva chissà quale passione per il Consiglio, gli serviva un contentino da regalare al parente affinché stesse buono e tranquillo invece di criticare le sue azioni o, peggio, mettergli i bastoni tra le ruote.
Ne sarebbe stato capace.
Dovevano essere appena l'una di notte poiché il princeps aveva iniziato a sciogliere la seduta. Gli affari da discutere erano stati discussi per cui non aveva senso protrarre di ancora un po' la riunione.
«Per oggi la finiamo qui.»
Uno di membri più vicini all'interruttore della luce si sporse leggermente pigiando l'indice su di esso.
L'oscurità ingoiò l'atmosfera.
Le uniche fonti luminose si trovavano sulle pareti dell'unico corridoi e sulla grande scalinata che guidava dentro l'immensa villa. Non avevano badato a spese. Non illuminavano un granché, seppure bastava per una breve camminata. Ciò che invece attirava l'attenzione era la quantità di quadri di famiglia affissati, vanitosi. Vennero dipinti da un pittore di fiducia in stile classicheggiante per esaltare i dorati antenati. Lui li vedeva solo come l'ennesima strategia di manipolazione, la gloria impressionava con facilità le menti dei bambini. Donava direttamente loro degli eroi, degli exempla perfetti da adorare addirittura più dei genitori.
Ci era passato.
E lo aveva superato, grazie a Dio.
Era ingiusto quello che facevano. “Siamo maghi, non possiamo farci molto” affermò un giorno il padre, quando cercava di consolarlo il pomeriggio successivo all'adozione del fratello minore. Bugie. Avrebbero potuto crescere il minore celandogli la magia o la sua stessa esistenza.
“Da domani non sarà più tuo fratello, volente o nolente.”
Le camere delle sue gioie erano state allestite sul piano superiore dell'abitazione affacciate su uno stupendo paesaggio collinare baciato dalla natura. Anche Luca il più piccolo, pur soffrendo di vertigini, amò quel paradiso disteso di fronte al balcone. Di solito data la loro età le porte-finestre venivano chiuse ermeticamente e aperte in presenza di lui o della moglie, se fosse successo qualcosa a loro non si sarebbe mai perdonato.
Anzi, il danno lo aveva già fatto: ha dato loro la vita.
Non la considerava una cosa sbagliata -e tutt'ora non la considera tale-, tuttavia si era reso conto di aver condannato i figli a una vita da estranei.
Negli anni lontano dalla famiglia aveva supposto un cambiamento di pensiero da parte del padre -in particolare dopo avergli fatto notare quanto aveva sofferto anche lui alla perdita della sorella. Non si era smosso di un millimetro.
Per l'illuminazione dei corridoi e delle scale si era preteso di comprare quelle lampadine economiche a luce giallastra. Non perché mancasse il capitale, semplicemente donava un'aurea “placcata” a tutti gli spazi e agli affreschi disegnati praticamente su ogni centimetro. L'apparenza aveva un ruolo estremamente importante nella famiglia, non soltanto nella formazione delle nuove matricole. Più gente li amava dall'esterno, più supporto avevano durante avvenimenti non piacevoli. Per di più chi nasceva con un ottimo talento nell'oratoria e nella retorica gli veniva da subito insegnata l'arte in tutte le sue sfaccettature attirando i favori degli esterni in men che non si dica.
Tutto era regolato nel migliore dei modi.
Secondi o terzi figli da far adottare alle più grandi famiglie caso mai dovessero cadere in disgrazia -se l'unico proiettile della roulette russa li avesse colpiti facendogli perdere i circuiti magici sarebbe stata la conclusione della loro storia-, buoni avvocati cresciuti in casa e tanti -tanti- soldi.
Quanto inutile perfezionismo.
Una stupida ossessione.
I lampadari di cristallo penzolanti dal soffitto marcavano il suo percorso lungo un pavimento rigorosamente di marmo. Se si accostava di poco l'occhio per terra erano notabili delle piccole venature d'oro le quali, una volta seguite, conducevano nell'atrio principale fino a una porta al centro. Oltre essa vi era il salone.
A lui non interessava recarsi da quelle parti, aveva in mente solo i suoi bambini.
Perciò proseguì in avanti alle scale per il secondo piano.
Era stanco di pensare ulteriormente. Doveva stare lucido. O come avrebbe potuto vincere contro il padre? Un osso duro di quel tipo non si spezzava facilmente.
Salì sul primo scalino marmoreo appoggiandosi sullo corrimano quando una piccola sagoma femminile si scagliò contro di lui a braccia aperte. Sorrise d'istinto allo sguardo allegro della maggiore, impossibile da non ricambiare. Si abbassò su un ginocchio prendendola in braccio. Dio se stava maturando così in fretta. Fino a qualche anno fa neanche camminava!
«Diana, quante volte ti ho detto di non restare sveglia fino a quest'ora?» la rimproverò scherzosamente, tornando a muoversi. L'altra sbuffò strusciando il viso sulla spalla del padre.
«Non riuscivo a dormire! È tutto il giorno che non ti fai vedere.» si giustificò, sussurrando l'ultima frase.
Oh sì, aveva avuto parecchi lavori da svolgere. Il Consiglio ne possedeva di problemi di cui parlare. E rimuginare sulla Selezione rese il tutto assai pesante.
La Selezione, sì.
Non avrebbe permesso al pater familias di addestrare la sua Diana e vendere ad altre i suoi fratelli.
«Mi dispiace, davvero. Papà ha avuto un gran da fare! Domani rimedierò.» si scusò dolcemente prima di girare il pomello della porta e spalancarla piano. Accese le luci, chinandosi infine vicino al letto per far sedere la giovane. Lei liberò il collo di lui dalla propria presa.
«Me lo prometti?»
«Promesso.» rispose, spostando i capelli che lei aveva sulla fronte in modo da porgervi un piccolo bacio. La castana, soddisfatta, si mise sotto le coperte, aspettando il suo saluto notturno abituale. Spento il lampadario fece qualche passo all'indietro mettendo la mano sul pomolo.
«Buonanotte.»
Tirò con delicatezza l'uscio adocchiando istantaneamente le camere degli altri due. Ad ambedue serbò lo stesso trattamento, addentrandosi con passo felpato tra giocattoli sparsi e oggetti traballanti.
Poteva dichiarare chiusa la sua lunga giornata. Domani avrebbe combattuto una dura battaglia, ed era meglio recarsi a dormire in fretta.
Se non cedeva al secondo round non avrebbe resistito a lungo.
Dopotutto aveva fallito miseramente.
Aveva infangato il nome della famiglia.
E gli atri non se ne sarebbero stati in disparte difronte tale disonore.
Questione di tempo.


 
  
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