Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    30/12/2018    2 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal capitolo 9:


"Ben andò a sedersi sul divano accanto a Jenny che, sola, singhiozzava.
«Ehi...» fece il ragazzo, poggiandole una mano sulla spalla.
«Ben, li hanno presi... io ero con Andrea, le bambine dormivano... ero armata, ero vigile, io ero attenta, lo giuro, ma mi hanno colpito in testa e io... io...».
«Tranquilla, Jenny, stai tranquilla. Non è stata colpa tua, non avresti dovuto essere da sola qui... Keller voleva questo fin dall’inizio, non avresti potuto fermarlo. Non avrei potuto nemmeno io.».
[...]

«Ben, se fanno qualcosa alle bambine o ad Andrea...».
«Li troveremo, Jenny. Li troveremo. [...] Andrà tutto bene...». "




Reazioni

GIORNO 32.

Semir aprì gli occhi, infastidito dalla luce.
Aveva dormito e rispetto al giorno prima il mal di testa andava molto meglio. In compenso, però, i dolori a tutto il resto del corpo sembravano aumentati. La schiena e il bacino bruciavano terribilmente, ogni tanto qualche fitta gli toglieva il respiro.
«Buongiorno, ispettore.» esordì una voce giovane, a pochi metri di distanza da lui.
Semir sollevò del tutto le palpebre e notò una ragazza bionda nella stanza. Non si era nemmeno accorto che fosse entrata.
Era la stessa ragazza che nei giorni precedenti gli aveva controllato scrupolosamente i parametri vitali, ma si era sempre rivolta al dottor Schneider, chiedendo conferma del proprio lavoro. A lui aveva sempre solo rivolto qualche timido cenno di saluto.
Avrà avuto più o meno venticinque anni, Semir immaginava si trattasse di una tirocinante o una specializzanda.
«Buongiorno.».
La ragazza sorrise timidamente, avvicinandosi al letto. Non aveva ancora imparato a parlare ai pazienti senza farsi prendere dall’imbarazzo e, soprattutto, avendo intuito dai notiziari e dai giornali che cosa fosse successo a quell’uomo, aveva il terrore di poter dire o fare qualcosa di assolutamente sbagliato anche solo respirando.
«Come si sente oggi?» domandò, con voce gentile.
Semir sospirò piano. Detestava quella domanda.
«Vorrei vedere mia moglie...» disse, in un soffio. L’aveva chiesto già il giorno prima al dottor Schneider, ma non si sarebbe arreso alla prima risposta negativa ricevuta.
Lisa sorrise, dispiaciuta, scuotendo leggermente il capo «Mi dispiace, ma temo che per ora sia impossibile. Non può ancora alzarsi, il dottor Schneider è stato chiaro... non appena sarà possibile la porterò io stessa da sua moglie, glielo prometto.».
«Grazie. Mi dispiace insistere, ma io... io ho bisogno di vederla.».
La specializzanda annuì, sforzandosi di non lasciarsi sopraffare dall’emozione davanti a quella richiesta, una palese e semplice richiesta d’aiuto.
Dopo un attimo di silenzio, si avvicinò a un monitor e lesse qualcosa, corrucciando appena la fronte.
«Ispettore, il dottor Schneider ha deciso di diminuire le dosi di antidolorifici. Lei è già sotto diversi farmaci e il dottore dice che preferirebbe almeno diminuire un po’ le quantità... ce la fa a sopportare il dolore? Altrimenti posso chiedergli di...».
«No, ce la faccio.» la interruppe Semir.
Non voleva correre il rischio che lo intontissero ancora di più. Voleva rimanere lucido.
Lisa annuì ancora, digitando qualcosa sul monitor e poi scrivendo a mano qualcos’altro su un post-it, che si sistemò nella tasca del camice.
«Allora io vado, se ha bisogno di qualunque cosa chiami. In mattinata passerà il dottor Schneider.» disse, dirigendosi verso la porta «Ah, ispettore! Se ha anche solo bisogno di parlare... mi chiami, d’accordo?».
Semir annuì e sorrise debolmente, mentre la ragazza si chiudeva la porta alle spalle e si allontanava.

Ben percorse il corridoio in fretta, come faceva ormai sempre, anche quando non aveva alcun motivo per cui correre.
Sorpreso, vide un profilo conosciuto che lo precedeva di qualche metro e andava nella sua stessa direzione.
«Jenny!» chiamò, accelerando il passo per raggiungerla.
La poliziotta si voltò e si fermò ad aspettarlo.
«Ben, ciao. Volevo vedere come sta Semir... non ero ancora riuscita a passare.».
«Anche io sto andando da Semir... credo che la Kruger prima o poi mi caccerà per sempre dal commissariato, non ci sono mai.» sorrise lui, continuando a camminare.
La ragazza alzò le spalle «Penso che la Kruger capisca la situazione, Ben.».
«Sì, lo credo anche io.».
Si fermarono entrambi davanti alla porta della stanza di Semir, trafelati senza nemmeno conoscerne la ragione.
«Senti, che ne dici se vai tu da Semir, mentre io cerco il medico e parlo un attimo con lui? Poi arrivo.» propose Ben, allontanandosi.
Jenny annuì rivolgendogli un breve cenno di saluto, poi posò la mano sulla maniglia della porta.
Ma non la abbassò.

Ben trovò Schneider davanti alla porta della stanza di Andrea, poco distante da quella di Semir ma dietro l’angolo del corridoio, intento a scrivere qualcosa sulla cartellina.
«Ehi Chris, ti disturbo?» domandò, avvicinandosi a lui.
Il medico trasalì. Ma non appena riconobbe il ragazzo, si rilassò e finì di scrivere, per poi chiudere la penna  e tornare a guardarlo.
«Ben, non ti avevo sentito arrivare.».
«Ci sono novità?».
Il medico scosse il capo con un sospiro «Né miglioramenti né peggioramenti, che in altri casi potrebbe anche essere una cosa positiva. Però in questo caso... Ben, ogni giorno sono sempre più convinto che Andrea non abbia possibilità di svegliarsi.».
L’ispettore annuì. Si aspettava esattamente quel tipo di risposta.
«E Semir?».
«Non l’ho ancora visitato stamattina.» rispose il dottor Schneider, allontanandosi di qualche passo dalla stanza di Andrea «Però ieri mi ha chiesto se non potrà camminare mai più e io... io gli ho detto che è così. E poi continua a chiedere di vedere la moglie, ma ancora non me la sento di farlo alzare dal letto, è troppo debole.».
Ben annuì ancora «E non vuole parlare... non parla di Lily...».
«Ben, queste cose richiedono tempo per essere metabolizzate.» affermò il medico, sistemandosi gli occhiali sul naso e guardando il suo interlocutore dritto negli occhi.
«Lo so, ma... insomma, mi aspettavo qualche reazione, invece quando gliel’ho detto Semir mi ha chiesto di lasciarlo solo, ma non... non ha reagito. Almeno, non come mi aspettavo. E non credo sia un bene.» replicò il ragazzo, mordendosi il labbro nervosamente.
«Infatti non è un bene.» fece Chris, con un sospiro «Ma il dolore si può manifestare in tanti modi, Ben. Io per esempio...».
L’uomo si bloccò all’improvviso. Non aveva programmato questo. Non aveva immaginato di parlargliene.
Ben corrugò la fronte, cercando con lo sguardo gli occhi del medico, che ora però erano rivolti a terra.
«Chris, tutto bene?».
«Ben, ho dei pazienti da controllare ora. Scusami.» replicò lui. Poi lo salutò frettolosamente e si allontanò, lasciandolo solo nel corridoio deserto.

Quando Ben imboccò nuovamente il corridoio in cui si trovava la stanza di Semir, rimase sorpreso nel trovare Jenny ancora fuori dalla stanza, in piedi davanti al vetro che lasciava intravedere l’interno, immobile.
«Jenny? Jenny, tutto bene?».
La ragazza trasalì e si voltò di scatto verso di lui.
«Ehi, Jenny, non ti volevo spaventare. Stai bene?» chiese l’ispettore, avvicinandosi a lei con cautela.
La poliziotta annuì, tornando a fissare l’interno della stanza attraverso le tendine che coprivano il vetro.
«Sei entrata?» domandò ancora Ben, a bassa voce.
La ragazza si limitò a scuotere il capo, senza guardarlo.
«Jenny...».
«Non ce la faccio, Ben.» mormorò poi, guardandolo finalmente negli occhi. Una lacrima le rigava la guancia sinistra «Non ce la faccio. È colpa mia, non sono riuscita a impedirlo... hanno preso Andrea e le bambine per colpa mia!».
«Non è vero, non ci pensare nemmeno. Non è stata colpa tua...».
«Io ero in casa con loro, avrei dovuto proteggerle! Avrei dovuto...» Jenny si bloccò, ormai in preda al pianto «Avrei dovuto proteggerle...».
Ben la abbracciò.
La verità era che anche lui si sentiva in colpa. Terribilmente.
La abbracciò e la tenne stretta a sé per un istante lunghissimo.

 

N.d.A.
E con calma, con moltissima calma, ci avviciniamo a un’altra piccola svolta.
Grazie sempre, buon anno!
Sophie

  
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