"Ben andò a sedersi sul divano accanto a Jenny che, sola, singhiozzava.
«Ehi...» fece il ragazzo, poggiandole una mano sulla spalla.
«Ben, li hanno presi... io ero con Andrea, le bambine dormivano... ero armata, ero vigile, io ero attenta, lo giuro, ma mi hanno colpito in testa e io... io...».
«Tranquilla, Jenny, stai tranquilla. Non è stata colpa tua, non avresti dovuto essere da sola qui... Keller voleva questo fin dall’inizio, non avresti potuto fermarlo. Non avrei potuto nemmeno io.».
[...]
«Ben, se fanno qualcosa alle bambine o ad Andrea...».
«Li troveremo, Jenny. Li troveremo. [...] Andrà tutto bene...».
Reazioni
GIORNO 32.
Semir
aprì gli occhi, infastidito
dalla luce.
Aveva dormito e rispetto al giorno prima il mal di testa andava molto
meglio.
In compenso, però, i dolori a tutto il resto del corpo
sembravano aumentati. La
schiena e il bacino bruciavano terribilmente, ogni tanto qualche fitta
gli
toglieva il respiro.
«Buongiorno, ispettore.» esordì una voce
giovane, a pochi metri di distanza da
lui.
Semir sollevò del tutto le palpebre e notò una
ragazza bionda nella stanza. Non
si era nemmeno accorto che fosse entrata.
Era la stessa ragazza che nei giorni precedenti gli aveva controllato
scrupolosamente i parametri vitali, ma si era sempre rivolta al dottor
Schneider, chiedendo conferma del proprio lavoro. A lui aveva sempre
solo
rivolto qualche timido cenno di saluto.
Avrà avuto più o meno venticinque anni, Semir
immaginava si trattasse di una
tirocinante o una specializzanda.
«Buongiorno.».
La ragazza sorrise timidamente, avvicinandosi al letto. Non aveva
ancora
imparato a parlare ai pazienti senza farsi prendere
dall’imbarazzo e,
soprattutto, avendo intuito dai notiziari e dai giornali che cosa fosse
successo a quell’uomo, aveva il terrore di poter dire o fare
qualcosa di
assolutamente sbagliato anche solo respirando.
«Come si sente oggi?» domandò, con voce
gentile.
Semir sospirò piano. Detestava quella domanda.
«Vorrei vedere mia moglie...» disse, in un soffio.
L’aveva chiesto già il
giorno prima al dottor Schneider, ma non si sarebbe arreso alla prima
risposta
negativa ricevuta.
Lisa sorrise, dispiaciuta, scuotendo leggermente il capo «Mi
dispiace, ma temo
che per ora sia impossibile. Non può ancora alzarsi, il
dottor Schneider è
stato chiaro... non appena sarà possibile la
porterò io stessa da sua moglie,
glielo prometto.».
«Grazie. Mi dispiace insistere, ma io... io ho bisogno di
vederla.».
La specializzanda annuì, sforzandosi di non lasciarsi
sopraffare dall’emozione
davanti a quella richiesta, una palese e semplice richiesta
d’aiuto.
Dopo un attimo di silenzio, si avvicinò a un monitor e lesse
qualcosa,
corrucciando appena la fronte.
«Ispettore, il dottor Schneider ha deciso di diminuire le
dosi di
antidolorifici. Lei è già sotto diversi farmaci e
il dottore dice che
preferirebbe almeno diminuire un po’ le
quantità... ce la fa a sopportare il
dolore? Altrimenti posso chiedergli di...».
«No, ce la faccio.» la interruppe Semir.
Non voleva correre il rischio che lo intontissero ancora di
più. Voleva
rimanere lucido.
Lisa annuì ancora, digitando qualcosa sul monitor e poi
scrivendo a mano
qualcos’altro su un post-it, che si sistemò nella
tasca del camice.
«Allora io vado, se ha bisogno di qualunque cosa chiami. In
mattinata passerà
il dottor Schneider.» disse, dirigendosi verso la porta
«Ah, ispettore! Se ha
anche solo bisogno di parlare... mi chiami,
d’accordo?».
Semir annuì e sorrise debolmente, mentre la ragazza si
chiudeva la porta alle
spalle e si allontanava.
Ben
percorse il corridoio in
fretta, come faceva ormai sempre, anche quando non aveva alcun motivo
per cui
correre.
Sorpreso, vide un profilo conosciuto che lo precedeva di qualche metro
e andava
nella sua stessa direzione.
«Jenny!» chiamò, accelerando il passo
per raggiungerla.
La poliziotta si voltò e si fermò ad aspettarlo.
«Ben, ciao. Volevo vedere come sta Semir... non ero ancora
riuscita a
passare.».
«Anche io sto andando da Semir... credo che la Kruger prima o
poi mi caccerà
per sempre dal commissariato, non ci sono mai.» sorrise lui,
continuando a
camminare.
La ragazza alzò le spalle «Penso che la Kruger
capisca la situazione, Ben.».
«Sì, lo credo anche io.».
Si fermarono entrambi davanti alla porta della stanza di Semir,
trafelati senza
nemmeno conoscerne la ragione.
«Senti, che ne dici se vai tu da Semir, mentre io cerco il
medico e parlo un
attimo con lui? Poi arrivo.» propose Ben, allontanandosi.
Jenny annuì rivolgendogli un breve cenno di saluto, poi
posò la mano sulla
maniglia della porta.
Ma non la abbassò.
Ben
trovò Schneider davanti alla
porta della stanza di Andrea, poco distante da quella di Semir ma
dietro
l’angolo del corridoio, intento a scrivere qualcosa sulla
cartellina.
«Ehi Chris, ti disturbo?» domandò,
avvicinandosi a lui.
Il medico trasalì. Ma non appena riconobbe il ragazzo, si
rilassò e finì di
scrivere, per poi chiudere la penna
e
tornare a guardarlo.
«Ben, non ti avevo sentito arrivare.».
«Ci sono novità?».
Il medico scosse il capo con un sospiro «Né
miglioramenti né peggioramenti, che
in altri casi potrebbe anche essere una cosa positiva. Però
in questo caso...
Ben, ogni giorno sono sempre più convinto che Andrea non
abbia possibilità di
svegliarsi.».
L’ispettore annuì. Si aspettava esattamente quel
tipo di risposta.
«E Semir?».
«Non l’ho ancora visitato stamattina.»
rispose il dottor Schneider,
allontanandosi di qualche passo dalla stanza di Andrea
«Però ieri mi ha chiesto
se non potrà camminare mai più e io... io gli ho
detto che è così. E poi
continua a chiedere di vedere la moglie, ma ancora non me la sento di
farlo
alzare dal letto, è troppo debole.».
Ben annuì ancora «E non vuole parlare... non parla
di Lily...».
«Ben, queste cose richiedono tempo per essere
metabolizzate.» affermò il
medico, sistemandosi gli occhiali sul naso e guardando il suo
interlocutore
dritto negli occhi.
«Lo so, ma... insomma, mi aspettavo qualche reazione, invece
quando gliel’ho
detto Semir mi ha chiesto di lasciarlo solo, ma non... non ha reagito.
Almeno,
non come mi aspettavo. E non credo sia un bene.»
replicò il ragazzo, mordendosi
il labbro nervosamente.
«Infatti non è un bene.» fece Chris, con
un sospiro «Ma il dolore si può
manifestare in tanti modi, Ben. Io per esempio...».
L’uomo si bloccò all’improvviso. Non
aveva programmato questo. Non aveva
immaginato di parlargliene.
Ben corrugò la fronte, cercando con lo sguardo gli occhi del
medico, che ora
però erano rivolti a terra.
«Chris, tutto bene?».
«Ben, ho dei pazienti da controllare ora. Scusami.»
replicò lui. Poi lo salutò
frettolosamente e si allontanò, lasciandolo solo nel
corridoio deserto.
Quando
Ben imboccò nuovamente il
corridoio in cui si trovava la stanza di Semir, rimase sorpreso nel
trovare
Jenny ancora fuori dalla stanza, in piedi davanti al vetro che lasciava
intravedere l’interno, immobile.
«Jenny? Jenny, tutto bene?».
La ragazza trasalì e si voltò di scatto verso di
lui.
«Ehi, Jenny, non ti volevo spaventare. Stai bene?»
chiese l’ispettore,
avvicinandosi a lei con cautela.
La poliziotta annuì, tornando a fissare l’interno
della stanza attraverso le
tendine che coprivano il vetro.
«Sei entrata?» domandò ancora Ben, a
bassa voce.
La ragazza si limitò a scuotere il capo, senza guardarlo.
«Jenny...».
«Non ce la faccio, Ben.» mormorò poi,
guardandolo finalmente negli occhi. Una
lacrima le rigava la guancia sinistra «Non ce la faccio.
È colpa mia, non sono
riuscita a impedirlo... hanno preso Andrea e le bambine per colpa
mia!».
«Non è vero, non ci pensare nemmeno. Non
è stata colpa tua...».
«Io ero in casa con loro, avrei dovuto proteggerle! Avrei
dovuto...» Jenny si
bloccò, ormai in preda al pianto «Avrei dovuto
proteggerle...».
Ben la abbracciò.
La verità era che anche lui si sentiva in colpa.
Terribilmente.
La abbracciò e la tenne stretta a sé per un
istante lunghissimo.
N.d.A.
E con calma, con moltissima calma, ci avviciniamo a un’altra
piccola svolta.
Grazie sempre, buon anno!
Sophie