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Autore: Imperfectworld01    31/12/2018    0 recensioni
Dicono che la vita di una persona possa cambiare in un attimo. In meglio, in peggio, non ha importanza. Perché nessuno ci crede veramente, finché non succede.
Ed è allora che gli amici diventano nemici, le brave persone diventano cattive, quelle di cui ci fidiamo ci tradiscono, e altre muoiono.
Megan Sinclair è la brava ragazza del quartiere, quella persona affidabile su cui si può sempre contare, con ottimi voti a scuola e con un brillante futuro che la attende.
E poi, all'improvviso, una sera cambia tutto. Una notte, un omicidio e un segreto. Un segreto che Megan, con l'aiuto di un improbabile alleato, cercherà di mantenere sepolto a tutti i costi.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Megan Sinclair

"Mi chiamo Megan Sinclair. Ho sedici anni. Vivo a Morgan City, in Louisiana. Frequento il terzo anno alla Morgan City High School. Ho molti amici. Non ho un ragazzo. Ho un buon rapporto con i miei genitori. Sono brava a scuola. Dopo il diploma voglio andare ad Harvard. Tutti quelli che mi conoscono mi definiscono nello stesso identico modo: una brava ragazza.
È quello che sono. Sono una brava ragazza. Lo dicono tutti, lo pensano tutti. Nessuno sospetterebbe mai di me. Lo sceriffo distrettuale vuole solo farmi delle domande perché sa che sono la migliore amica di Emily Walsh e che potrei aiutarlo a scoprire che cosa è successo ieri notte."

Queste furono le parole che continuai a ripetermi la mattina seguente per tranquillizzarmi e infondermi sicurezza, dopo che i miei genitori avevano ricevuto una telefonata dallo sceriffo. Egli aveva richiesto che mi presentassi al distretto di polizia per deporre la mia testimonianza riguardo a ieri sera. La sera in cui è stato ritrovato il corpo senza vita di Emily Walsh.
Quella notte l'avevo passata in bianco. Tracey mi aveva riportata a casa alle due e mezza, e le successive sette ore le avevo passate a girarmi e rigirarmi nel letto, a fissare il soffitto, a soffocare le grida sotto al cuscino. Mi ero decisa ad alzarmi dal letto e a uscire dalla mia stanza solo quando avevo sentito mio padre fare il mio nome mentre era al telefono con la polizia.
Subito dopo si erano susseguite le numerose, troppe domande da parte miei genitori: dov'ero stata ieri sera? Perché non mi ero fatta sentire? Perché ero tornata così tardi? Perché mi ero separata da Emily dopo la festa? Perché io e Tracey non eravamo tornate a casa insieme a lei? Sapevo che non era tornata a casa e che era in pericolo? Avevo idea di chi avrebbe potuto farle del male e perché?

Scoppiai in lacrime e mi rannicchiai a terra.

«Basta!» urlai. La mia migliore amica era morta, e loro si preoccupavano soltanto di sottopormi ad uno stupido interrogatorio. «Lasciatemi stare!»

Nascosi la testa fra le gambe. Non avrei potuto continuare a lungo in quel modo. Emily, una delle mie più care amiche sin dal primo anno delle superiori, era morta. Insomma, come poteva essere possibile una cosa del genere? Mi sembrava tutto così surreale. Come poteva qualcuno non esistere più? Fino al giorno prima si muoveva, parlava, respirava, viveva. Mentre ora era soltanto un corpo. Poco alla volta non sarebbe stata più neanche quello. Prima di tutto, l'autopsia avrebbe contribuito a deturpare il suo corpo. E poi si sarebbe trasformata soltanto in un cumulo di ossa, sotto terra, circondata da vermi e funghi che si sarebbero nutriti del suo corpo in decomposizione. Non potevo accettare nulla di tutto questo. Ancor meno, potevo accettare il fatto che fosse soltanto colpa mia se era successo.
Il senso di colpa, insieme al dolore, mi avrebbe consumata e ben presto avrebbe ucciso anche me. Non potevo più sopportarlo già il mattino seguente, come avrei potuto continuare ad andare avanti con la mia vita come se niente fosse, come se fossi innocente, come se non c'entrassi nulla? Come avrei potuto guardare in faccia i suoi genitori al funerale? Dio, sua madre soffriva di disturbi depressivi da cinque anni, la notizia della morte della figlia l'avrebbe distrutta, l'avrebbe fatta sprofondare ancora di più nel baratro, mentre l'unica che si meritava davvero di sprofondare ero io, giù, nel girone più basso dell'Inferno. O sarei dovuta andare in prigione. Era il minimo. Niente avrebbe potuto giustificare le mie azioni e niente sarebbe bastato a salvare la mia anima ormai dannata.

Me lo si leggeva in faccia che ero colpevole. 
Avrei voluto saper fingere come Tracey. Lei era sempre stata la più brava a mascherare i suoi sentimenti. Era sempre stata la più razionale fra le tre, quella che in situazioni critiche manteneva la calma. Così come ieri sera. Com'era riuscita a rimanere così tranquilla dopo aver visto il corpo di Emily steso a terra? Com'era riuscita a soffocare tutto e a dare spazio alla ragione, alla riflessione? Com'era riuscita a riprendersi in un attimo e a decidere subito cosa fare? Era quasi come se avesse sapito esattamente cosa fare. Forse era solo l'adrenalina.

Avrei dovuto imparare a mentire e a fingere come lei, a non lasciar trasparire le mie emozioni. Me l'avevano sempre detto tutti: «Te lo si legge in faccia, Megan. Sei un libro aperto».

Ma non avrei mai più permesso a nessuno di leggere quel libro. Dovevo impedire a chiunque di scoprirlo, a tutti i costi.

"Perché il mio nome è Megan Sinclair, e sono una brava ragazza."

•••

Neanche un'ora dopo, i miei genitori si erano già messi in contatto con il loro avvocato e mi avevano portata a casa sua così che potesse prepararmi per la mia deposizione che si sarebbe svolta lunedì. Mi avrebbe consigliato e mi avrebbe spiegato cosa dire e cosa non dire.
Era un loro vecchio amico, perciò non gli importò del fatto che ci fossimo presentati da lui alle dieci di sabato mattina. Oltretutto, era una questione urgente. La mia deposizione era stata fissata alle dodici e mezza di lunedì, perciò il mio avvocato (davvero avevo un avvocato? In quasi diciassette anni di vita, non avrei mai pensato che mi sarebbe servito) non avrebbe avuto nessun altro momento per sentirmi.

«Prego, prego, entrate!» ci accolse con un caloroso sorriso Frederick Finnston, prima di farci accomodare sul divano in salotto.

Era un uomo affascinante. Alto, capelli corvini tenuti in modo impeccabile all'indietro con il gel, senza neanche un ciuffo fuori posto, barba accuratamente tolta, forse prima del nostro arrivo, a giudicare dall'odore di dopobarba che avvertii quando gli passai di fianco per entrare, sorriso smagliante e denti bianchissimi, ma ciò che mi sorprese maggiormente fu il modo in cui era vestito: indossava una camicia bianca, infilata sotto i pantaloni cachi tenuti stretti da una cintura, e le scarpe. Chi diamine indossava le scarpe in casa propria? Di sabato mattina, per giunta.

«Scusate se non sono del tutto presentabile» disse, dopo essersi seduto sull'altro divano posto di fronte a quello su cui eravamo seduti io e i miei genitori.

Dopo quelle parole, gli rivolsi un'occhiataccia, prima di sentirmi in imbarazzo per come, invece, mi ero presentata io, in casa sua: capelli spettinati e pieni di nodi legati in una specie di crocchia, felpa grigia con delle piccole stelline bianche che avevo dalla terza media e, cosa peggiore, i pantaloni del pigiama. Per non parlare dell'espressione distrutta che avevo dipinta in volto. (Distrutta e colpevole. "Sono Megan Sinclair e sono una brava ragazza"). Non avevo la forza neanche di fare due passi senza rischiare di avere un altro crollo emotivo, figuriamoci se avrei potuto prepararmi in modo adeguato. Perciò sì, ero uscita di casa in quelle condizioni, senza neanche essermi pettinata i capelli né essermi lavata i denti, ed ero andata in pigiama a casa del mio avvocato.

Mentre i miei genitori cominciarono a spiegare la situazione all'avvocato Finnston, io evitai di prestare attenzione alle loro parole per paura di riprendere a piangere, quindi decisi di concentrarmi su altro. Mi guardai intorno, per ammirare l'incantevole villa in cui mi trovavo. Dandoci un occhio più attento, mi accorsi che non era tanto più grande di casa mia, però risultava molto più spaziosa. Non vi erano mobili ingombranti o decorazioni che occupavano spazio inutilmente, era tutto molto fine, elegante, ordinato. Davanti a me vi era un tavolo di vetro, sul quale era appoggiato il notiziario del giorno. Non appena lessi il nome di Emily in prima pagina, distolsi immediatamente lo sguardo. Mi concentrai sui grandi e numerosi scaffali appoggiati alla parete, ricoperti interamente da libri, molti dei quali dovevano essere manuali di legge. Su una mensola vicino alla porta d'ingresso era appoggiata una statuetta d'oro raffigurante una donna, vestita con quelle tuniche tipiche dell'Antica Grecia o dell'Impero Romano, la quale teneva in mano una bilancia morale. Sopra la mensola, appesa al muro, vidi una frase incorniciata che mi tormentò per tutti i seguenti minuti: «Sapere ciò che è giusto e non farlo, è la peggiore vigliaccheria».

Ecco che cos'ero: ero una vigliacca. Sapevo cosa era giusto, ma ero troppo vigliacca per agire come avrei dovuto.

«... non avete di che preoccuparvi. Megan andrà alla grande.»

Tornai alla realtà dopo aver sentito il mio nome e provai a sforzarmi per capire a cosa si stavano riferendo.
Ma certo. Sarei andata alla grande. Ero una ragazza affidabile, andavo sempre alla grande. Io ero Megan Sinclair, ero una brava ragazza, nessuno pensava mai a me quando succedevano dei casini. Era palese che non c'entrassi nulla con la morte di Emily. E poi non c'ero quando era successo, me n'ero già andata in quel locale insieme a Tracey, numerose persone avrebbero potuto confermarlo. Avevo ciò che si poteva definire un alibi. Non avevo di che preoccuparmi, giusto?

«Purtroppo per via del poco preavviso non ho potuto organizzarmi il lavoro e devo ancora stendere l'arringa per un processo che avrò martedì mattina, però a lei può pensarci mio figlio, David. Ha deciso di seguire le mie orme e sta studiando legge al Delgado Community College di New Orleans. Mi è stato di ottimo aiuto per molte delle mie cause, perciò sono sicuro che Megan sarà in ottime mani. Non preoccupatevi, sarà solo per oggi. Per il resto la seguirò io.»

Aveva davvero intenzione di affidarmi ad uno studente universitario? 
Ero fregata. La mia deposizione di lunedì e, di conseguenza, tutto ciò a cui le mie parole avrebbero portato dopo quella deposizione, sarebbero dipese da lui.

Ai miei genitori sembrò non importare più di tanto questa situazione. Perché?, mi chiesi. Poi mi risposi da sola: perché ero una brava ragazza. Qualsiasi cosa avessi detto, non avrebbe ricondotto a me come principale sospettata. Si erano rivolti ad un avvocato solo perché era la procedura più sicura da seguire in quelle situazioni. Deporre in assenza di un avvocato sarebbe andato a mio svantaggio, dal momento che durante gli interrogatori, la polizia tende a intimidire l'indiziato e spesso ad estrapolare dal contesto quello che dice. Ma io non correvo nessun rischio, secondo i miei genitori, per questo non erano preoccupati.

Ecco perché dopo aver salutato il signor Finnston con una stretta di mano, uscirono da casa sua, liquidandomi con un: «Quando hai finito, chiamaci che ti veniamo a prendere». Nell'istante in cui vidi la porta di casa chiudersi e i miei scomparire dietro di essa, mi sentii tremendamente sola. Ero rimasta soltanto io, al centro di un grande salotto, in una villa posseduta da un apparente sconosciuto, il quale al momento si era rintanato nel suo ufficio per lavorare alle sue cause. Era una sensazione terribile, quella di essere sola, con i miei pensieri come unica fonte di compagnia. E i miei pensieri al momento riguardavano soltanto Emily. 
Mi sentivo come un computer quando va in sovraccarico per via delle eccessive informazioni accumulate in tempo troppo breve, quando si surriscalda e le ventole producono quel rumore strano e assordante, quando lo schermo diventa bianco e ogni programma "non risponde", quando sembra che l'unica soluzione sia aspettare che giunga allo stremo, che si spenga e che venga portato in riparazione. 
Io però non ero un computer: niente avrebbe potuto riparare quello che avevo dentro. Sentivo che poteva solo peggiorare.

Poi sentii l'orologio a cucù segnare le undici e riuscii a fuggire dalle grinfie dei miei pensieri, che cercavano di tenermi imprigionata in un mondo che non era quello reale. Pensavo che la mia perdizione interiore fosse durata per molto più tempo, invece erano passati appena due minuti da quando i miei genitori se n'erano andati e l'avvocato Finnston si era ritirato nel suo studio.

Dovevo fare qualcosa. Non potevo continuare a perdermi in quello stato di trance ogni dieci minuti. Forse se avessi affrontato la situazione come una persona matura che sa assumersi le proprie responsabilità, sarei riuscita ad ottenere qualcosa. Perciò, seppur con la pelle d'oca e la mano tremolante, afferrai il giornale appoggiato sul tavolo. La notizia riguardante Emily era solo un piccolo inserto probabilmente aggiunto all'ultimo, considerando che era appena successo e non si avevano ancora abbastanza notizie.

Morgan City, 29 settembre 2018

SCOMPARSA SEDICENNE EMILY WALSH

L'ultima volta che fu vista da qualcuno, era ad una festa a casa dell'amico Dylan Walker

L'ultima volta che fu vista da qualcuno, era ad una festa a casa dell'amico Dylan Walker. I genitori non hanno più avuto nessuna notizia da allora. La polizia distrettuale si è messa subito alla ricerca della ragazza. Per qualsiasi avvistamento o notizia, rivolgersi direttamente alla polizia oppure chiamare i genitori, Dorothy e Theo Walsh.
Qui di seguito elencati i contatti cui fare riferimento, fra cui quello dello sceriffo distrettuale, Michael Kowalski.

Rilessi più e più volte il breve articolo di giornale, mentre con le dita diedi una lieve carezza alla sua foto (era la foto del suo profilo Facebook, gliel'avevo scattata io). Scomparsa? Quando io e Tracey siamo scappate, il corpo di Emily si trovava nel vicolo dietro casa di Dyl. E se qualcuno avesse spostato il corpo? E se Emily stessa, si fosse ripresa e fosse scappata? No, nessuna delle mie ipotesi aveva senso. Perché qualcuno avrebbe dovuto nascondere il suo corpo? E, se Emily fosse stata ancora viva, sarebbe di certo corsa dai suoi genitori. Se. Ma non lo era. Ne ero certa: il suo cuore aveva smesso definitivamente di battere.

•••

Uscii dalla porta, così da potermi allontanare dal casino che si era creato all'interno della casa di Dylan. A parte alcune persone che pomiciavano in veranda, non c'era nessun altro. Così tirai fuori il cellulare e selezionai il numero di Emily dalla rubrica.
Come avevo previsto, non rispose. Ma io non mi diedi per vinta, e la chiamai una seconda volta. 
Nel frattempo, per via dell'agitazione, avevo camminato avanti e indietro lungo il perimetro della veranda per almeno una decina di volte, finché ad un certo punto non scesi dagli scalini e mi allontanai dalla festa. Ora che ero più vicina alla strada e non sentivo quasi più la musica proveniente dalla villa, decisi di lasciare ad Emily un messaggio in segreteria. Stavo per aprire la bocca per cominciare a parlare, quando improvvisamente sentii un cellulare squillare. Seguii il suono, che mi condusse in un piccolo vicolo dietro casa di Dylan, dove vi erano soltanto dei bidoni e dei cassonetti, dai quali proveniva un odore a dir poco nauseante. Inoltre, il cellulare aveva smesso di squillare, quindi pensai che sarebbe stato meglio tornare indietro e provare a chiarire le cose con Emily il giorno seguente.

Eppure, una parte di me, mi diceva che avrei dovuto farle un ultimo squillo. Non seppi spiegarmi perché, in quel momento, mentre ripetevo gli stessi identici passaggi fatti già due volte, le dita mi tremavano. Tuttavia, composi il numero una terza volta e attesi in silenzio, col fiato sospeso.
Sentii il suono provenire a pochi metri da me. Quindi era il cellulare di Emily a squillare. Lei era lì. Un brivido mi percosse la schiena. Avanzai di qualche passo, finché non vidi l'inaspettato: Emily era stesa a terra, inerme, un coltello conficcato in gola.

Mi lanciai a terra. «Emily! Emily, svegliati!» urlai, percuotendola affinché riprendesse conoscenza. Il suo petto non si sollevava né abbassava. Non stava respirando. Poi mi ricordai di quel corso di pronto soccorso che avevamo seguito a scuola e cercai il modo di rianimarla. Dopo aver tracciato una croce immaginaria che mi aiutasse ad individuare il punto in cui si trovava il cuore, unii le mani e cominciai con le compressioni. Dovevano essere trenta, ognuna distante poco meno di un secondo dall'altra. «Respira! Respira, Emily, ti prego respira!»

Le lacrime non smettevano di colare dal mio viso, anzi, più passavano i secondi, più aumentavano d'intensità. Mi avvicinai con l'orecchio al suo petto. Il cuore non stava battendo. Non volevo crederci, così ripresi con le compressioni. Mi ricordai che dovevano essere serie da trenta compressioni, per un totale di cento al minuto. 
Potevo ancora salvarla. Non era morta. Non sarebbe morta. 
Dopo aver contato cento compressioni, mi fermai per qualche secondo per cercare di stabilizzare il mio, di battito cardiaco. Ma più il tempo passava, più questo non accennava a smettere di martellarmi nel petto. Non volevo arrendermi. Così, non sapendo cos'altro fare, feci quello che mi sembrava più logico e sensato: estrassi il coltello dal suo collo.
Solo allora, mi resi conto che avevo soltanto peggiorato la situazione. Un'enorme quantità di sangue cominciò a grondare dalla ferita. Stava perdendo tanto sangue, troppo sangue.

In quel momento realizzai che, se ci fosse stata anche solo una minuscola possibilità per Emily di essere salvata, io l'avevo appena buttata via. Se Emily era davvero ancora viva prima che la trovassi, io l'avevo appena uccisa.

•••

Ecco il primo capitolo! Come vedete, Megan sta affrontando un vero e proprio dissidio interiore: vorrebbe fare la cosa giusta e dichiarare ciò che sa in merito a quella notte, così da rendere giustizia alla sua amica, ma sa di non poterlo fare, poiché potrebbe essere incriminata. Inoltre, nemmeno lei conosce bene le dinamiche di quella serata: quando ha trovato Emily, lei era già (apparentemente) morta, eppure il suo corpo non è stato ritrovato dalla polizia distrettuale. Che ne pensate?

 
   
 
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