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Autore: Shakespeps    01/01/2019    1 recensioni
Antonio è un bambino solitario, che si appresta a trasferirsi con sua madre da Roma a Bolzano. Quando il suo pupazzo di neve Pingu comincia a sciogliersi, è disposto a tutto pur di salvarlo, anche a svuotare un intero freezer e a rimanere a fianco a quello che per lui è un amico per tutta la giornata.
Ma forse Pingu non è d'accordo. Forse per lui è veramente arrivato il momento di lasciar andare il suo padrone.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Antonio immerse le sue braccia nel freezer, emergendone dopo una breve ricerca, con un vassoio ripieno di cubi di ghiaccio. Ignorò il torpore crescente e cominciò ad avviarsi fuori dalla cucina, verso la massiccia porta che separava il giardino dall’interno della casa. 

La vista di sua madre seduta di fronte a un tavolo di legno lo bloccò. E se si fosse svegliata e l’avesse sorpreso nel portare tutto quel ghiaccio a Pingu? 

L’aveva sentita lamentarsi abbastanza nei giorni precedenti: “Perché passi tutto quel tempo da solo con quel coso?” era ormai all’ordine del giorno. Così come “Vai a giocare con i tuoi amichetti, per una volta. Per l’amor del cielo, è solo un pupazzo di neve.” 

‘Solo un pupazzo di neve’. Non era tanto il modo nel quale si rivolgesse al suo amico a infastidirlo, né il tono che usava mentre lo sminuiva. Ciò che lo feriva davvero era come lo facesse sentire impotente nel farle capire come quel legame fosse importante per lui.  

“… e quindi finalmente l’inverno ci darà un po’ di tregua. A partire da domani, ci possiamo aspettare un notevole aumento nelle temperature, fino a cinque o sei gradi Celsius…” 

“Oh no!” Antonio strinse i denti e aprì la porta dell’ingresso. Una voce debole dietro di lui gli disse qualcosa riguardo allo stare attento e coprirsi, ma questo non lo rallentò: anche un secondo avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte di Pingu. 

Il vento gelido lo spinse rafforzare la sua stretta sul vassoio pieno di ghiaccio e chiudere gli occhi. Pingu era ancora al centro del giardino, rivolto verso un punto indefinito dall’altra parte rispetto all’abitazione. Sembrava debole e stanco, con la sua schiena piegata come se stesse cercando di riprendere fiato dopo una maratona; purtroppo da quella stanchezza non si sarebbe più ripreso. 

“Ecco!” versò i cubetti addosso al pupazzo di neve, a partire dalla testa rigonfia e stando attento a evitare il piccolo cappello e la carota che fungeva da naso. “Ti senti meglio?” 

La testa di Pingu si raddrizzò e raggiunse quasi il livello di quella del suo creatore. Antonio si chinò, scrutando all’interno dei piccoli occhi cavi. 

“Che occhi grandi. Sicuro che stai bene?” 

“Sto bene,” sussurrò Pingu “non preoccuparti per me. Tu, piuttosto, mi sembri un po’ leggerino. Dovresti ascoltare tua madre e indossare un cappotto più pesante.” 

“No. Non c’è tempo. Hai sentito le previsioni? Domani farà tanto caldo.” 

“Cinque gradi non mi sembrano troppi.” 

“Ma per te sì. Ti scioglierai.” 

Antonio incrociò le mani, cercando di combattere i brividi che lo attraversavano. I cubetti si stavano sciogliendo più velocemente di quanto avesse previsto, e sarebbero spariti prima che potesse fare in tempo a sostituirli. 

“Non… Non voglio che sparisci.” 

“Ma succederà. Del resto, mi sono sciolto già l’anno scorso, ma questo non ti ha impedito di rincontrarmi tre giorni fa.” 

Il tremore delle braccia aumentò soltanto, mentre delle lacrime cominciavano a formarsi negli occhi del bambino. 

“Stiamo trasferendoci a Roma!” urlò, mentre le lacrime cadute sulla neve cominciavano a cristallizzarsi “mamma dice che non nevica mai a Roma. Non abbastanza.” 

“Oh!” Pingu sembrava più indebolito che rattristato dalla rivelazione. Antonio aveva già assistito altre volte a quel processo: il pupazzo stava sciogliendosi dall’interno, e avrebbe smesso di parlare in una manciata di minuti. Il suo tentativo aveva fallito. 

Rimasero entrambi in silenzio. Sua madre si era stancata di vivere a Bolzano quasi subito dopo che suo marito se n’era andato. Odiava il clima rigido, e l’unico motivo per il quale non era ancora partita era proprio il matrimonio; l’aveva sentita mille volte lamentarsi della mancanza di posti di lavoro e delle possibilità che le si sarebbero aperte in una metropoli come Roma. 

E così aveva smesso con i sogni ed era passata all’azione. 

“Non è la fine del mondo, amico mio.” La voce di Pingu gli parve leggermente più forte “Significa solo che non potremo più vederci così spesso. Ricordi due anni fa alle scuole materne? C’era quel tuo amico che si era preso una brutta tosse e non è potuto uscire di casa per settimane, ma non appena vi siete rincontrati, era come se non fosse passato neanche un secondo.” 

“Lo so, ma…” 

“E dove sono i tuoi altri amici, Antonio? Da quando hai cominciato le elementari non mi hai presentato più nessuno. Sicuramente avrai qualcun altro con cui giocare…” 

“I miei compagni non mi piacciono.” s’imbronciò “sono cattivi.” 

Bè, in ogni caso non li dovrai sopportare ancora per molto. Poi scusa, anche tu puoi essere cattivo, se vuoi. Ricordi quando mi rubasti il naso?” 

Entrambi risero per la prima volta da quando, quella mattina, Antonio aveva notato qualcosa che non andava nell’aspetto del suo pupazzo di neve. Era come se una nube di fumo fosse stata spazzata via da un vento fresco e gioioso. 

“Stavo solo provando una magia che mi ha fatto vedere mio zio,” ridacchiò “eri così buffo senza il tuo naso, e così arrabbiato…” 

“Di certo conoscerai dei trucchi migliori. Tuo zio ti ha spiegato come far sparire una moneta, giusto? Fallo vedere ai tuoi compagni nuovi, quando ti trasferirai. Sono sicuro che ne andranno matti.” 

 “Speriamo.” 

Antonio tirò su col naso e si asciugò con una manica. Così quello era il suo modo di dirgli addio. Sua madre gli aveva sempre detto le stesse cose: di essere più sicuro di sé e, soprattutto, di crescere. 

Non si preoccupava di altro: “Non rimanere nel tuo mondo, devi crescere!”, “Non allontanarti dai tuoi amici, devi crescere!” 

Buffo che Pingu la pensasse allo stesso modo. 

“Posso fare qualcosa? Ti posso fare un naso più bello. Un pomodoro…” 

“Questo va benissimo.” Il pupazzo assunse un’espressione pensierosa per un paio di secondi “Ma tua madre? È d’accordo se rimani fuori così a lungo?” 

“Sì.” Antonio distolse lo sguardo, mentre cercava di rimpolpare Pingu con quella poca neve che rimaneva sotto i suoi piedi. “Cioè… mi ha detto di coprirmi, perciò…” 

“Perciò ti ha detto che potevi rimanere con me? Tutto il tempo che volevi?” 

“No. Non potevo chiederlo.” Gettò una manciata di neve sporca per terra “Se mi diceva di tornare subito non potevo parlarti. Vuoi scioglierti da solo? Come… come l’anno scorso? Eri così triste…” 

“Non ha importanza. Mi scioglierò comunque, che ti piaccia o no.” Pingu abbassò la testa, come per fissare le mani ancora tremanti di Antonio. “Non puoi impedirlo.” 
Gli occhi di Antonio si gonfiarono e tutto davanti a lui si fece sfocato. 

“A dire la verità, c’è qualcosa che puoi fare per me, ora che ci penso.” 

“Cosa?” Antonio si asciugò nuovamente le lacrime con la manica “Quello che vuoi. Lo so! Lo so! Ti metterò nel freezer. È piccolo, ci entra solo la testa. Va bene lo stesso?” 

“Eh? No, no, mi mancherebbe il mio corpo. E poi in uno spazio così piccolo non saprei che fare.” 

“Ma… ma… allora che posso fare?” 

“Puoi portarmi una tazza di quella bevanda che tua madre ti dà sempre quando hai freddo.” 

Antonio spalancò gli occhi. 

“Vuoi… la cioccolata? Ma… Perché?” 

“Perché quando te la dà tua madre sembri felice.” 

Non alzò mai la testa, fin quando non tornò in cucina, con il vassoio vuoto che gli pendeva dalla mano. 

Sua madre era ancora lì, con la sua testa poggiata sulle braccia incrociate sul tavolo. Qualche briciola su un fazzoletto davanti a lei emanava un aroma di noci e zucchero. 

Stava dormendo pacificamente, con un’espressione serena come se stesse facendo il più bel sogno possibile. Vedendola dormire così Antonio esitò di nuovo, ma il pensiero di Pingu che attendeva l’ultimo pasto gli diede la forza per smuoverla delicatamente. 

“Mamma?” 

Lei sollevò la testa e sorride lievemente. 

“Sei già tornato?” 
“S… Sì. Posso avere del cioccolato?” 
“Ma certo che puoi,” si alzò e gli scompigliò i capelli prima di avvicinarsi al forno. Prendi anche un pezzo di zelten, prima che lo finisca tutto.” 
Come sempre la madre di Antonio si muoveva piena di energia, come se non avesse dormito fino a pochi secondi prima, mentre prendeva un pentolino e lo riempiva di latte. 

Pingu sta bene?” ghignò aggiungendo la polvere di cacao “ti sei comportato bene con lui, spero.” 

“Io… Sì… Sta bene.” Antonio abbassò la testa “devo smettere di giocare con lui’ 
“Oh cielo, no!” sua madre gli scoccò un rapido sguardo, prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione alla preparazione “Domani farà caldo. Dovresti giocare il più possibile con lui, prima che si sciolga.” 

Antonio riuscì a malapena a non piangere, sentendo quelle parole. Dopo qualche minuto sua madre si arrestò davanti a lui con una tazza fumante in una mano e una fetta di dolce nell’altra. 

“Non essere triste, stellina. Non dev’essere un addio.” 

“Ma…” la sua voce tremò “… Ma andremo a Roma. Non c’è neve a Roma.” 

“E allora? Potrai vederlo quando vuoi. Sei tu che l’hai fatto. Lui è già…” 
“Nel mio cuoricino. Lo so.” 

“No, sciocchino,” gli puntò un dito sulla fronte “qui. Dove davvero non potrai mai perderlo.” 

Arrossì, incapace di staccarle gli occhi di dosso, mentre il calore della tazza si mescolava con quello del suo sorriso. Riuscì ad afferrare solo aria un paio di volte, prima di trovare la maniglia della porta che conduceva fuori. 

“È davvero buono.” 
Pingu non disse altro. 

Antonio si chiese se il suo pupazzo stesse soffrendo, ma il modo nel quale la sua faccia si stava sciogliendo gli conferì un’espressione simile a un sorriso che rimosse ogni dubbio dalla mente di Antonio. Era la stessa espressione che lui stesso faceva ogni volta assaggiando il primo sorso. Un sorriso rassicurante, causato non solo dal sapore, ma da tutto l’amore che era stato messo nella preparazione. Questo pensiero non riuscì comunque a impedirgli di piangere per il resto del pomeriggio. 

*** 

Sua madre non gli aveva detto nulla. Un abbraccio, un sorriso triste ed era finito tutto lì. Ripensandoci anni dopo, Antonio comprese come lei sapesse perfettamente ciò di cui aveva avuto bisogno, ed era proprio ciò che gli aveva dato. 

“A che stai pensando, stellina?” 

“Non chiamarmi così, mamma!” sussultò “se proprio vuoi saperlo pensavo a perché non bussi prima di entrare.” 

Oooh ti sei spaventato? Allora ecco qualcosa di veramente spaventoso: so quale trucco stai preparando per lo spettacolo di fine anno.” Sua madre tirò fuori un paio di monete truccate che teneva in mano.” 

“Cosa?” Antonio allungò le mani, ma lei le teneva appena al di là della sua portata. “Come… come hai…” 

“Me l’ha detto Alessandro,” gli sorrise puntandosi un dito alla tempia “lo vedi, non ho bisogno di alcun trucco per leggerti nella mente.” 

“Così non vale. Questa me la paga.” 

Abbandonò ogni tentativo di riprendere le sue monte. Si limitò a riprendere a cercare tra i fogli di carta sparsi sulla sua scrivania, beandosi dell’espressione curiosa sul volto di sua madre. 

Era sicuro di aver messo il pupazzetto lì da qualche parte. Se non l’avesse sommerso in una marea di appunti su come migliorare i suoi numeri per l’esibizione, l’avrebbe trovato anche più velocemente. 

Un punto arancione accanto a un foglio accartocciato colse la sua attenzione. Eccolo lì. 

“Ho paura che non sappia proprio tutto. Che ne dici di questo? Le consegnò il pupazzo di carta con un gesto teatrale. 

“Un pupazzo di neve?” 

“Sì, ma non un pupazzo di neve qualsiasi, vedi…” 

“Aspetta, è lui… come lo chiamavi… Pingu!” la faccia di sua madre s’illuminò “Hai usato come base il disegno che hai fatto da piccolo?” 

“No.” Antonio arrossì “L’ho disegnato e fatto ieri. Che sembra il disegno di un bambino piccolo?” 
“Ma certo,” annuì lei con una faccia seria “sei ancora un disegnatore terribile.” 

“E allora ridammelo.” Lo afferrò con un gesto secco, con le guance ancora rosse “Se pensi così, allora non ti dirò cosa volevo farci.” 

“Ah, quindi intendi usarlo per uno dei tuoi trucchi.” 

“Forse, ma visto che lo trovi così terribile, ho paura che dovrò disegnarlo da solo. Volevo darti una piccola anticipazione, ma adesso dovrai aspettare lo spettacolo come tutti.” 

“…O che Alessandro mi dica cos’hai in mente.” 

“Ok, ora di certo non gli dirò nulla.” 

Sua madre lo abbracciò da dietro e gli diede un bacetto sulla guancia. “Hai vinto, aspetterò come tutti quanti. Mi sto preparando una tazza di cioccolata calda. Ne vuoi un po’ anche tu?” 

“Tu che dici? Finisco di prepararmi e arrivo.” 

“Ok. Non sforzarti troppo. Ti voglio bene.” 

Uscì rapidamente, lasciandolo da solo con il suo pupazzo di carta. Antonio aspettò finché non fu sicuro che non stesse ascoltando e mise una moneta sul cappello di cartone. 

“Credi che sospetti qualcosa?” Sussurrò. 

“Spero di no. Non vorrai che si preoccupi di nuovo.” 

Io sono sicuro che non le dispiacerebbe. E se glielo dicessi?” tamburellò le dita sulla scrivania, mentre Pingu cominciava a palleggiare con la moneta. “Sa che sono intelligente, con i piedi per terra.” 

Il pupazzo sghignazzò, senza distrarsi dal suo compito. 

“Ok, quello magari no, ma adesso ho degli amici. Andiamo, non vivo più nel mio mondo. Non c’è niente di cui preoccuparsi.” 

“Vero,” Pingu rimase immobile, mentre Antonio bilanciava una seconda moneta sulla prima “non è di quello che si preoccuperebbe.” 

“Ok, allora di che stai parlando?” 

“Bè, io sarei sicuramente preoccupato se mio figlio non mi nascondesse neanche un segreto. Comunque, quasi dimenticavo di ringraziarti per avermi ridato la vita. Lo farò adesso. Grazie.” 

“No,” Antonio sorrise godendosi lo spettacolo di Pingu. “Grazie a te.” 

 

 

 

 

   
 
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