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Autore: crazy lion    02/01/2019    5 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Demi, Dianna e Dallas hanno dei cupi trascorsi alle spalle. Se è vero che Patrick non vive più con loro da un paio d'anni e che lui e la donna non stanno più insieme, il ricordo di ciò che ha fatto non se ne andrà mai. Ora però c'è Eddie nella loro vita, un uomo che ha saputo ridare loro la speranza. Demi ha accanto anche un amico speciale, Andrew. Riusciranno le famiglie dei due bambini a trascorrere insieme un felice Natale?
Storia stilata con Emmastory.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza scopo di lucro, non intendiamo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Vale non solo per Demi, ma anche per gli altri personaggi famosi dei quali abbiamo parlato.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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CRONACA DI UN FELICE NATALE
 
Demi entrò pian piano nella camera della sorella. Dallas dormiva e alla piccola dispiaceva disturbarla, ma aveva assoluto bisogno di chiederle una cosa.
“Dallas?” la chiamò con una vocina dolce.
L’altra non si mosse, quindi la bimba la scosse leggermente.
“Demi, cosa vuoi?”
La ragazzina aprì gli occhi e si stiracchiò. Non avrebbe voluto essere maleducata. Per lei Demi era quanto di più bello la vita le avesse regalato, ma era così stanca in quel momento! Aveva passato tutta la Vigilia ad aiutare la mamma a preparare il pranzo di Natale perché, anche se non sarebbero stati in tanti, le cose da fare erano molte.
“Niente, volevo solo chiederti se secondo te Babbo Natale mangerà i biscotti che gli abbiamo lasciato.”
Lo disse con una flebile vocina, mentre il suo cuoricino batteva forte per quella che forse era paura che lui non arrivasse, che non li apprezzasse o… chissà.
Dallas lo notò, capì la preoccupazione della sorellina. Lei aveva quasi dieci anni, ma non voleva dirle che quel signore con la barba lunga che arrivava su una slitta, si calava nel camino e portava i regali ai bambini buoni non esisteva. Era giusto che Demi ci credesse, ne aveva tutto il diritto. E in fondo anche a lei piaceva pensare che fosse così.
“Vieni qui.”
La piccola si sedette sul suo letto.
“Certo che li mangerà e gli piaceranno tantissimo. Insomma, sono al cioccolato! Chi non li ama?”
Il viso di Demi si aprì in un bellissimo sorriso, uno di quelli che avrebbe illuminato anche la giornata più cupa.
“Davvero?”
Era stata lei a metterglieli nel piatto facendo una piccola torre.
“Sì! Ora fila a letto, principessa. Babbo Natale viene solo se i bambini dormono” mormorò Dallas, ripetendo una frase che le aveva sempre detto la loro mamma.
Demi ebbe ancora un po’ di paura. Era stata buona, voleva quei giocattoli! Tornò a letto di corsa e provò a dormire, ma non ci riuscì. Continuava a domandarsi come facesse quel signore a portare tutti quei doni in una notte sola. E il giorno dopo, quando tornava a casa, cosa faceva? Cercò di ricordare i nomi delle renne ma le vennero in mente solo Rudolph e Blizzard.
 
 
 
Andrew non sapeva che gli stava succedendo quell’anno. Non credeva più a Babbo Natale da diverso tempo, più nello specifico da quando la sua maestra di inglese - quella stronza! - tre anni prima aveva detto alla classe che quell’uomo non esisteva e i bimbi si erano messi a piangere. I genitori avevano spiegato loro che non era vero, che lui non era mai andato da quell’insegnante perché da piccola era stata cattiva. Molti ci avevano creduto, Andrew invece aveva capito che era una bugia. Avrebbe voluto fare come Demi, si disse. Erano vicini di casa, si conoscevano da sempre, e forse anche complice la sua età la bambina riusciva a vedere nel Natale tutta la magia che in lui sembrava essersi spenta.
“Andrew?”
Joyce, sua madre, entrò in camera.
“Ciao mamma! Hai bisogno di qualcosa? Il pudding non è ancora pronto? Ci penso io se ti va!”
Il bambino era sempre molto disponibile, aiutava spesso in casa e di questo Joyce e Frank non potevano che essere contenti.
“No tesoro, è tutto a posto per domani. Andremo da Dianna e passeremo una bella giornata, okay?”
Si sorrisero.
Andrew stava diventando proprio bello, pensò Joyce. Non che prima non lo fosse, ma più cresceva più somigliava a suo padre che era un uomo piuttosto alto, né grasso né magro e con uno sguardo dolcissimo. Il figlio ce l’aveva uguale. Aveva anche i capelli castani e gli occhi verdi come lui.
“Ah, perfetto! Allora io andrei a dormire. Sono comunque curioso di vedere che regali mi avete comprato quest’anno.”
Andrew non chiedeva quasi mai nulla.
“Avremo?” domandò Joyce, tirandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio.
“E dai, mamma!”
“No, no.” Gli si avvicinò e gli prese le mani. “Ricordati che, anche se stai crescendo, qui dentro” e gli indicò il cuore “può restare un po’ di magia. È giusto che sia così, Andrew. Non devi né vergognartene, né pensare che sia una cosa stupida perché non lo è. Se qualcuno a scuola o in qualunque altro posto te lo dovesse dire, tu non badarci. Pensa, anche a me piace credere a Babbo Natale.”
Il ragazzino scoppiò a ridere. Aveva una risata argentina che contagiò anche la donna.
“Scherzi, vero?”
“No! Perché dovrei? Per papà vale la stessa cosa.” Joyce tornò seria. “Davvero, non lasciare che quella magia se ne vada del tutto. Non permetterlo mai.”
“Ci proverò.” Stava meglio ora che aveva avuto quella conversazione con la mamma. Era più sereno. “Carlie e papà dormono?”
“Sì. Papà è crollato sul divano, mentre per tua sorella ci è voluto un po’ più di tempo. Voleva rimanere sveglia a vedere Babbo Natale.”
Madre e figlio si strinsero in un delicato abbraccio, poi si diedero la buonanotte e Joyce lasciò la stanza.
Andrew si mise a letto e si addormentò quasi subito.
 
 
 
Intanto, ignara di tutto e tutti in quella notte tanto quieta, anche Demi era riuscita ad addormentarsi. Le rassicurazioni della sorella avevano funto da panacea contro i suoi dubbi e ora riposava e con il sorriso sulle labbra. A soli cinque anni credeva ancora a tutte le favole e le storie che i bambini della sua età ascoltavano dai più grandi, inclusa quella sull’ormai famoso Babbo Natale. All’asilo una delle maestre le aveva raccontato di come quell’uomo tanto vecchio e generoso fosse buono con i bambini e che ognuno di loro, chiudendo gli occhi e concentrandosi a fondo, poteva riuscire a vederlo. Piccola e ingenua, ci aveva creduto ma a quanto sembrava, lo stratagemma della maestra doveva aver funzionato fin troppo bene e i genitori della bambina potevano confermarlo. Difatti, e soltanto due giorni prima, aveva passato la giornata a giocare nella sua cameretta per poi scattare in piedi come una molla alla vista di quella che aveva creduto fosse la slitta del caro rubicondo, che poi si era rivelata essere un uccello di passaggio dalle piume bianche come la neve che era caduta coprendo il giardino. L’inverno a Los Angeles non la portava quasi mai con sé, ma guardando fuori dalla finestra della cucina Dianna rimase in silenzio, e parlando con se stessa si disse che quell’anno dovevano essere stati fortunati. A poco a poco il tempo continuò a scorrere, e con l’arrivo del mattino, Demi fu la prima a svegliarsi. Veloce come un fulmine sgusciò fuori dalle coperte e attraversò correndo lo stretto corridoio che portava alla camera della sorella.
“Dallas! Sveglia, sveglia, svegliati!” cantilenò nel chiamarla, ricordando a memoria una delle battute di “Frozen”, un film uscito da poco e a causa del quale aveva stressato i genitori, riuscendo a guardarlo ben venti volte in una sola settimana.
Era incredibile eppure vero, e come se ciò non bastasse, era riuscita ad imparare ognuna delle canzoni e successivamente delle battute. Letteralmente. Ne aveva già dato prova più di una volta, anche quando la sorella più grande le aveva detto di essersi presa una bella cotta per Aiden, un ragazzino della sua scuola.
Non puoi sposare un uomo che conosci appena” aveva risposto, imitando alla perfezione la regina del gelo di quel film che tanto amava.
Molto bello e per la maggior parte cantato, certo, ma non migliore di “Elf”, un altro film natalizio che ormai considerava il suo preferito. Non lo diceva, ma dentro di sé sperava che lo trasmettessero presto, magari proprio quella sera. Come “Frozen”, l’aveva visto più volte anche se non certo venti e rideva al solo pensiero di rivivere le avventure di quel piccolo elfo smemorato.
“Io non lo voglio sposare! Mi piace e basta, Demi, è diverso. Capirai quando sarai più grande” era stata la risposta della sorella, che aveva infastidito la più piccola perché spesso le veniva detto che avrebbe compreso tante cose una volta cresciuta.
Ancora persa nei suoi sogni, Dallas si voltò fra le coperte ignorandola e mugolando parole prive di senso.
“Mmm… Che… Cosa? Dem, saranno le sei del mattino! Che ti salta in mente?” le chiese, stanca e seccata dall’essere stata svegliata a quell’ora.
“Ti sbagli! Sono le nove ed è una bella giornata. Adesso vieni, tocca a mamma e Eddie!” insistette la piccola, correggendo la sorella e costringendola ad alzarsi spogliandola delle coperte.
Seppur svogliata, Dallas decise di assecondarla e una volta fuori dal letto si incamminò a passi incerti verso lo specchio. Conosceva la sorellina ed era certa che ben presto l’avrebbe trascinata in una delle sue marachelle. Se davvero fosse successo avrebbe accettato, non con i capelli in quello stato però. Dirlo era un’esagerazione, ma nel guardarsi la ragazzina pensò che nella notte un uccellino doveva forzatamente aver fatto il nido nella sua chioma. Sicura dell’impossibilità della cosa rise al solo pensiero, e pettinandosi lanciò uno sguardo alla piccola Demi che intanto si era seduta sul letto.
“Hai finito? Se ci metti troppo si sveglieranno da soli!” insistette questa, con l’impazienza tipica dei bambini.
“Demi, la smetti o no di lamentarti? Ci vorrà un attimo, e mamma ed Eddie saranno ancora a letto” la rassicurò l’altra, senza distrarsi mentre era occupata a lottare contro un nodo difficile da sciogliere.
“Davvero?” fu la seconda domanda della bambina, dubbiosa a riguardo.
“Davvero” le fece eco la sorella, abbozzando un sorriso e due ultimi colpi di spazzola.
A lavoro finito, ripose la spazzola nel cassetto accanto al letto e con un giro su se stessa si rese ancor più conto di quanto il nuovo pigiama le stesse bene. L’aveva ricevuto come dono il Natale l’anno precedente.
“Rudy!” disse la piccola, riconoscendo immediatamente la renna dal naso rosso.
La adorava proprio per quel particolare: il naso rosso brillante come una delle stringhe di luci appese all’albero “piantato” in casa, la faceva sempre scoppiare a ridere.
“Sì, è Rudolph. Io sono pronta, andiamo?” rispose subito Dallas, spostando velocemente lo sguardo dal viso di Demi alla porta della stanza ancora chiusa.
Scivolando nel silenzio, la bambina si limitò ad annuire e, mentre trascinava i piedi nudi sul tappeto della stanza, si impose di fare meno rumore possibile. Quello che aveva architettato era uno scherzo già messo in atto un paio d’anni prima, quando Patrick era ancora con loro, e che disgraziatamente aveva rovinato la mattina e il resto della giornata. Tutt’altro che contento di vederle e molto probabilmente reduce da una sbornia, le aveva cacciate in malo modo dalla stanza davanti agli occhi esterrefatti e terrorizzati di Dianna e, malgrado fosse riuscito a contenersi per il resto della giornata e della serata in compagnia degli altri parenti, nell’aria madre e figlie potevano ancora respirare la tensione, tale da poter essere tagliata con un coltello. Per le bambine era difficile ammetterlo ma ricordavano ancora le urla, i piatti rotti e le liti fra i genitori. Dallas rammentava anche il giorno in cui quel mostro, poiché chiamarlo bestia avrebbe significato offendere quelle vere, aveva sbattuto una porta con una forza tale da far tremare i vetri delle finestre con l’unico risultato, e forse l’intento, chi lo sapeva, di spezzare le dita di una delle mani della moglie. Dianna aveva lottato verbalmente fino all’ennesima e nervosa resa dell’uomo, troppo abbrutito dalla droga che aveva in corpo per ascoltarla oltre. Era stato Patrick a chiamare l’ambulanza. Aveva detto che si era trattato di un incidente. I medici avevano aiutato la donna, ma per una delle falangi non c’era stato scampo. Dianna aveva avuto troppa paura per dire la verità, come spesso accade alle vittime di violenza domestica, e due mesi dopo aveva saputo di aspettare Demi. La bambina aveva scoperto tutto poche settimane prima origliando una conversazione tra la mamma e Dallas.
“Non dirle che lo so!” aveva supplicato la sorella dopo averglielo raccontato, poi era scoppiata in un pianto quasi convulso.
Ovviamente la bambina più grande non aveva potuto tacere.
A quei ricordi entrambe le sorelle piangevano o sudavano, ma non allora. Succedeva ancora, certo, ma almeno per quel Santo Natale non volevano pensarci. Così, pronte, le due lasciarono quella stanza, dirigendosi a passo felpato verso la camera dei genitori. Una volta arrivate, non si preoccuparono di bussare, ma la porta socchiusa fu quasi un invito ed entrando con la lentezza di un felino strisciarono all’interno, per poi saltare nel letto di coloro che più amavano.
 
 
 
“È Natale! È Natale! Svegliatevi, è Natale!” gridò Demi, scuotendo la madre dal suo sonno con energico stupore, in quanto ancora incapace di credere a ciò che vedeva e sentiva intorno. La neve, gli auguri fatti al mondo dal telegiornale del mattino, i canti natalizi nelle strade cittadine, la sua casa decorata con palline, ghirlande e altri addobbi, era tutto bellissimo.
Sorpresa, Dianna si svegliò di soprassalto ridendo nel ritrovare la figlia fra le proprie coperte.
“Demi, tesoro! Buongiorno!” salutò, faticando a drizzarsi a sedere e tossendo nello strozzarsi accidentalmente con la propria saliva. “Alla fine è arrivato, visto?” continuò poi, felice di vedere la bambina scoppiare di salute e contentezza.
Non riusciva a crederci: Demi, sua figlia, la bambina che lei stessa aveva partorito, soltanto cinque anni ma un cuore forse più grande del suo esile corpicino. Come ogni madre ricordava ancora il giorno della sua nascita e con quel pensiero in testa si alzò dal letto, avendo cura di non svegliare il compagno che, nonostante la confusione, si era mosso appena. Da quando si erano fidanzati Dianna non era stata che felice e grata di essere riuscita a salvarsi da quella così tossica relazione e lasciarsi quell’inferno alle spalle. Non del tutto, però, perché l’uomo la chiamava di frequente insultandola. Stando agli accordi stabiliti nel divorzio, Patrick aveva ancora modo di vedere le bambine, ma non tanto spesso quanto avrebbe voluto. Meglio pensava ogni volta la mamma, sicura che mai nella sua vita gli avrebbe permesso di averne la custodia esclusiva.
Solo pensarci le faceva male al cuore, ma che sarebbe successo se l’avesse davvero fatto? Le avrebbe picchiate? Mutilate come aveva fatto con lei? Le avrebbe convinte a cadere nel suo stesso baratro dicendo loro che le pastiglie che probabilmente assumeva erano soltanto caramelle? No, non voleva pensarci, non quel giorno. Così, scuotendo la testa, infilò le pantofole e la vestaglia, e seguita dalle piccole di casa, raggiunse la cucina. Avvicinandosi ai fornelli scaldò una tazza di caffè per sé e due di latte per le bambine e ben presto dei pancake. Cucinando, si assicurò di farli a forma di renna ma riuscì a replicare sulla dolce pasta soltanto il muso di quegli animali. Non appena i pancake furono pronti, Dianna li mise in tavola e poco dopo anche Eddie si unì a loro.
“Già al lavoro nel giorno di Natale, eh? Riuscirà questa dama a riposarsi?” le chiese, avvicinandosi e stringendola in un abbraccio.
Avrebbe voluto baciarla, ma si bloccò notando la presenza delle bambine.
“Eddie!” replicò lei, arrossendo in volto e coprendosi le guance con le mani in segno di finta sorpresa.
“Cosa? È la pura verità. Lavori troppo, anche per una famiglia così piccola” le rispose il compagno, sorridendo nel prenderle la mano.
Mangiando senza una parola, Dallas quasi non fece caso alla coppia innamorata alle sue spalle ma, al contrario di lei, Demi posò la forchetta e si fermò ad osservarli, quasi in adorazione. Forse era stupido e lo sapeva, ma sentiva che non c’era alcuna vergogna nel desiderare di trovare l’amore come aveva fatto la mamma, incontrando qualcuno capace di amarla davvero. Lei non voleva un orco come il padre, ma un principe. Sentendosi osservati, gli adulti si allontanarono l’uno dall’altra e finalmente, dopo la colazione, il momento tanto atteso. Come ogni anno, Eddie e Dianna avevano deciso di partecipare alla messa natalizia che si sarebbe tenuta nella chiesa poco distante da casa.
“Bambine, oggi non è soltanto Natale, sapete?” disse la mamma alle piccole, tentando di fare quell’annuncio nella maniera più calma possibile.
La messa era importante sia per lei che per il compagno, ma non voleva che le bambine lo vedessero come un impegno, o peggio, una costrizione. Dallas conosceva già il vero significato del Natale, ma sentirlo ripetere non le avrebbe fatto male.
“Davvero? Allora che giorno è?” chiese Demi.
Stavolta fu Eddie a parlare, prendendo la parola e precedendo la fidanzata.
“Un giorno speciale, piccola. Oggi noi cristiani celebriamo l’uomo che ci ha permesso di essere chi siamo. È stato coraggioso e si è sacrificato per tutti noi.”
“Gesù Cristo?” tentò la bambina, pur temendo di sbagliare.
“Sì, esatto. Ora vestitevi, andremo fra poco” le rispose Eddie, sorridendo nel tentativo di incoraggiarla e avvicinarla ancora di più alla fede.
Demi annuì e mise nel lavello il proprio piatto da brava donnina di casa, poi aprì il rubinetto del lavandino e lo sciacquò, così da risparmiare almeno quel lavoro alla mamma.
“Fatto” dichiarò, seria e orgogliosa di se stessa. “Ora vado” disse poi, girando sui tacchi e dirigendosi verso la sua stanza. “Mi aiuti, Dallas?”
“Certo, Dem! Sarai bellissima oggi in chiesa, garantito” replicò in fretta la sorella, decidendosi a seguirla e raggiungendola con due sole falcate.
“Che brave bambine” mormorò Eddie sottovoce, restando fermo a guardarle allontanarsi.
“Quasi quanto te” rispose di rimando Dianna, aiutata dal fine udito che nel tempo non aveva mai perso.
“Quasi?” le chiese allora il compagno, fingendosi sorpreso.
“Esatto, ho detto quasi. Devono pur imparare da qualcuno, non credi?” fu svelta a replicare la donna, poi gli riservò uno dei suoi soliti sorrisi. Uno di quelli dolci, rari soltanto anni prima e divenuti più frequenti dal giorno in cui aveva trovato nell’amore di quell’uomo una più che valida ragione per sorridere.
“Dianna De La Garza, dolce come sempre, vedo” osservò a quel punto Eddie, ricambiando quel sorriso e sostituendolo attimi dopo con un veloce occhiolino.
“Non negarlo, in fondo so che ti piace” fu l’unica risposta della donna, che senza saperlo finì per avvampare.
“Oh, certo” sussurrò appena l’uomo.
Si avvicinò alle sue labbra e le donò il bacio che aspettava di darle da tanto, troppo tempo. Colta alla sprovvista, Dianna quasi perse il respiro ma nell’arco di un secondo tornò ad essere se stessa, godendosi ogni secondo di quel dolce contatto. Il bacio durò poco, meno di un minuto, ma a lei parve non importare. Separandosi dall’abbraccio dell’amato tornò nella propria stanza per vestirsi seguita da Eddie. Una volta pronti, i due si precipitarono di nuovo giù non attendendo altro che le bambine. Nonostante i mille pensieri che aveva per la testa al momento, Dianna era riuscita a sentire Dallas fare quella promessa alla sorella, cosa che ora si stava rivelando controproducente. Certo, le figlie sarebbero state bellissime in un’occasione tanto speciale, ma era mai possibile che ci mettessero così tanto? Frustrata, la donna inspirò per calmarsi trovando poi conforto nella presenza di Eddie al suo fianco.
“Non sono ancora pronte?” le chiese, incredulo.
“Pare di no e siamo quasi in ritardo” rispose lei, iniziando a litigare con la lampo della propria giacca, testarda e incapace di chiudersi come voleva. “Dannazione!” imprecò, rischiando di tagliarsi un dito.
“Lascia, faccio io” si offrì Eddie, premuroso come sempre.
Taceva al riguardo, ma odiava vedere la donna che amava con i nervi tanto tesi, specialmente per questioni futili come quella che irrimediabilmente si aggiungevano al resto dei problemi, problemi che nella sua testa avevano solo un nome: Patrick.
“Grazie” rispose lei, dandosi tregua e accettando il suo aiuto.
Di lì a poco e dopo un’attesa che ad entrambi parve infinita, le bambine fecero finalmente il loro ingresso, magnifiche negli abiti che avevano accuratamente scelto. Piccola e gracile, Demi era la tenerezza in persona, con indosso quel vestitino leggero ma caldo che la madre stessa le aveva comprato, e che in quel frangente la faceva sembrare una ballerina. Agli occhi di molti abbinare il rosa del vestito al nero del cappottino sarebbe stato azzardato, ma non ai suoi, mai. Al contrario di lei, Dallas aveva deciso di vestirsi completamente di bianco come a voler rispettare regole che già conosceva, inclusa la volontà del Signore. Con un giro su se stessa si mostrò agli adulti con calma, poi si avvicinò per sussurrare all’orecchio della madre.
“Scusa, mamma. Ha insistito…”
Indicò con lo sguardo la piccola, ignara di tutto e impegnata in mille e mille piroette per il salotto.
“Non scusarti, è bellissima” rispose subito Dianna, non avendo motivo di perdonare la figlia per qualcosa che non aveva fatto.
Certo, Demi aveva deciso di vestirsi in quel modo, ma da quando la moda era un crimine?
“Va bene, ballerina, andiamo. Ti accompagnerò alla Juilliard più tardi, d’accordo?”
Ignorando gli adulti, la bambina continuava a ballare ma la voce di Eddie bastò a riportarla alla realtà.
“Come?” azzardò lei, ancora confusa dai capogiri.
“Niente principessina, ora andiamo.”
Senza una parola Demi gli trotterellò accanto fino all’auto, e salendovi, i quattro partirono. Il viaggio non fu lungo, ma se per tutta la sua durata Dallas ascoltò musica con gli auricolari, Demi scelse di guardare fuori dal finestrino chiuso, cercando in ogni nuvola di passaggio una forma diversa.
“Dallas, guarda! Zucchero filato!” esclamò, felice.
“Eh? Oh, sì, sì, come vuoi, Dem” rispose l’altra con aria seccata, non avendo orecchio che per le canzoni che ascoltava.
Arrivarono dopo alcuni minuti. Mentre entravano in quel luogo di culto, la piccola Demi si stupì del silenzio che regnava all’interno. Non che non ci fosse mai stata, anzi, ma nonostante questo, la cosa la meravigliava ogni volta. Ingenua com’era, pensava spesso che gli adulti esagerassero quando dicevano che si poteva letteralmente sentir cadere uno spillo tanta era la quiete, ma quando riprese a camminare accanto alla sorella non sentendo altro che il suono e l’eco dei suoi passi, si convinse. Di lì a poco trovarono posto sedendosi su una delle panche lì presenti, non troppo avanti né troppo indietro, vicini abbastanza per ascoltare la funzione. Funzione, che parola strana per una festa! pensava Demi, seduta accanto alla madre che intanto teneva la testa bassa e le mani giunte.
Non poteva sentirla, ma di tanto in tanto vedeva la bocca muoversi. Stava pregando. Demetria sapeva il Padre Nostro e l’Avemaria, ma a parte questo stava ancora imparando le altre orazioni. Era strano, o almeno così credeva. Si sarebbe sempre guardata bene dal dirlo ad alta voce, ma che senso aveva il viaggio in auto verso quel luogo per fare qualcosa che in realtà lei e la mamma facevano ogni sera prima di dormire? In fin dei conti, e stando a ciò che aveva sentito dire all’asilo prima e da Eddie poi Dio era ovunque, ma se era vero, perché allora dovevano spostarsi da casa ogni domenica? Non lo sapeva, o meglio non lo capiva e sembrava essere destinata a rimanerne all’oscuro. Così la bimba si perse nei suoi dubbi, e frattanto, la funzione ebbe inizio.  Uno dopo l’altro seguirono canti e preghiere, alcuni fatti in piedi, altri da seduti. Demi cercò di seguire quei pochi che sapeva, per il resto ascoltò provando a non perdersi nella sua mente. Ecco un’altra cosa che non capiva. Che bisogno c’era di alzarsi e sedersi a comando? Cos’erano, cani? E soprattutto, che avrebbe dovuto fare se le gambe le avessero fatto male? Essere l’unica bambina a restare seduta senza unirsi agli altri fedeli in preghiera? Dubbiosa, la piccola scosse il capo più volte, e dopo quella che le parve un’eternità la messa ebbe fine. Era stato noioso e si era ritrovata a dondolare le gambe per la noia svariate volte, rimediando occhiatacce di disprezzo dalle altre donne sedute vicine alla sua famiglia. In totale onestà, Demi si aspettava che le altre signore avessero un pizzico di rispetto per lei e per i suoi diritti di bambina, fra cui figurava anche quello alla noia, ma per sua sfortuna non fu affatto così.
“Lo so che non ti piace e che non capisci bene quanto è importante,” le disse la mamma, “ma non devi comportarti così nella casa di Dio. Non è corretto. Domenica prossima, quando ci andremo, ti dirò meglio come fare.”
Desiderando essere brava e non far star male nessuno, la piccola annuì.
“Scusa” disse abbassando lo sguardo.
Dianna le diede un bacio.
“Va tutto bene, tesoro.”
Tornando a casa la bimba provò vergogna per ciò che aveva fatto, tanto che passò il viaggio di ritorno con le mani giunte come la mamma, tentando di espiare la sua colpa. La strada scivolava lenta, e con ogni minuto che passava la felicità di Demi aumentava. Nel marasma del mattino, aveva dimenticato di controllare il piattino con la sua torre di biscotti e ora che finalmente avrebbe potuto farlo, sperava ardentemente di vederli ridotti in briciole. Quella del latte e dei biscotti era una tradizione, e se sparivano significava che Babbo Natale era passato dalla loro casa mentre dormivano e che aveva lasciato loro dei regali. Come ogni bimba della sua età aveva chiesto bambole e giocattoli nuovi, ed era stata buonissima quell’anno. Con quel pensiero in testa si preparò a scendere dall’auto, e non appena questa si fermò corse via come un fulmine, precipitandosi in casa. Elettrizzata, corse subito in cucina, spalancando la bocca e coprendosela con una mano nel vedere ciò che vide: briciole. Soltanto briciole. I biscotti non c’erano più. Andò nel salotto di casa e proprio sotto l’enorme abete natalizio, tutti i suoi doni. Pacchi, pacchetti e pacchettini, colorati e con diverse targhette, ognuna con il nome del destinatario. Abbassandosi provò a sbirciare, ma Dallas decise di fermarla.
“Demi, no! O spariranno!” gridò, spaventandola.
“No! Non voglio! Sono miei!” replicò lei, perdendo il controllo delle emozioni e non badando al tono che utilizzò nel parlare.
“Nostri, piccolina, nostri” corresse gentilmente Eddie, apparendo alle spalle delle bambine e posando una mano su quelle di Demi.
“Sì, scusate” replicò la piccola, abbassando lo sguardo in segno di vergogna.
“No, non fa niente” rispose a quel punto Eddie, regalandole un sorriso e stringendola brevemente a sé.
La bimba ridacchiò divertita.
“Mi aiutate a preparare la tavola?” domandò Dianna.
Le bambine misero la tovaglia e lei si occupò del resto.
Dopo circa un’ora, qualcuno bussò alla porta.
"Joyce!" esclamò Dianna aprendo e abbracciandola.
L'altra, che teneva in mano una grande pentola, non riuscì a farlo ma sorrise.
"Buon Natale!" rispose. "Ho portato il tacchino ripieno, come da tradizione."
"Bene, io ho fatto le lasagne. Le scaldo adesso e poi iniziamo."
"Ho il pudding" disse Andrew entrando, seguito poi dal padre e dalla sorella.
“E noi il mince pies” aggiunse Demi.
“Ehi, cara!” la salutò l’amichetto, appoggiando sul tavolo il dolce per abbracciarla.
Frank e Eddie si fecero gli auguri e si strinsero la mano.
"Come va, amico?" chiese il secondo.
"Non mi lamento. Stasera facciamo la nostra classica partita a scacchi, vero?"
"Contaci!"
Tutti si salutarono e si scambiarono gli auguri, comprese Demi e Carlie che, però, preferirono correre subito a giocare sul tappeto del salotto. Demetria mostrò all'altra bambina tutte le sue bambole dimenticando che l'aveva già fatto chissà quante volte.
"A me ne è arrivata una nuova stamattina!" trillò l'altra bimba, che a differenza del fratello aveva gli occhi azzurri come la madre, così chiari che ogni volta che li guardava Demi ne rimaneva incantata.
"Sul serio? I miei non mi hanno fatto aprire i regali, uffa!" si lamentò la piccola.
"Papà ha detto che Babbo Natale me ne ha portati altri e che sono qui, ma  che li apriremo tutti insieme dopo pranzo. Sono sicura che troverai anche i tuoi."
"A tavola!" chiamò Dianna e, anche se all'inizio le piccole fecero qualche capriccio, avevano fame e quella vinse sulla voglia di giocare.
Avrebbero avuto tempo per farlo, in fondo.
Demi si sedette vicino ad Andrew e subito cercò la sua mano. Se la strinsero sotto il tavolo, così nessuno li avrebbe visti.
"Stai bene?" le chiese il bambino, preoccupato.
L'aveva stretto così forte qualche giorno dopo che Patrick se n'era andato. Lui era venuto a trovarle e Dianna gli aveva spiegato che avevano litigato e che si erano lasciati, non entrando però nel dettaglio. In fondo Andrew allora aveva solo nove anni, non era pronto a sapere e poi forse era più appropriato che fossero i suoi genitori a dirgli come stavano le cose, quando sarebbe diventato un po’ più grande. Dallas non gli aveva detto niente e Demi, beh, non era ancora pronta a rivelargli tutto. Eppure lui aveva visto la paura nei suoi occhi, le lacrime, gli era venuto qualche dubbio ma, ricordando molti momenti felici passati con l'amichetta e Patrick, si era detto che non doveva essere successo nulla di così grave.
"Sì, sto bene."
La vocina di Demi lo riportò alla realtà.
"E allora cosa c'è?"
Le circondò le spalle con un braccio.
"Ho solo paura che lui mi rovini il Natale e non voglio!" ammise, alzando la voce nel pronunciare le ultime due parole.
"Che succede, ragazzi?" chiese Dianna mentre appoggiava davanti a loro due piatti di invitanti lasagne.
Andrew non sapeva cosa rispondere. Avrebbe dovuto dire la verità o che non era successo niente? Temeva che Demi avrebbe potuto arrabbiarsi e non sapeva come comportarsi.
"Ho paura che torni papà e mi rovini il Natale" disse la piccola, alla quale si era chiuso lo stomaco.
Dallas, seduta a poca distanza da loro, la udì e si irrigidì all'istante. Provò un senso di nausea che le fece venire l’istinto di correre in bagno a vomitare, ma rimase dov’era. Non sarebbe riuscita a muoversi.
Dianna lasciò penzolare le braccia lungo i fianchi sentendo che le si era bloccato il respiro, poi parlò.
"Non succederà, te lo prometto."
"Come fai a saperlo?"
Già, come? Avrebbe voluto risponderle che molto probabilmente suo padre in quel momento era in qualche bar a bere o chissà dove a farsi, ma nonostante tutto quello che era successo sapeva che le figlie gli volevano ancora bene e non voleva rovinare del tutto l'immagine che avevano di lui.
"Lo so perché papà vuole bene ad entrambe" disse guardando anche Dallas.
“Sì, certo” mormorò quest’ultima cercando di trattenere le lacrime.
Per fortuna Demi non la sentì, ma Dianna sì.
"Immagino sia difficile da capire visto come si è comportato,” continuò, “ma non era in sé quando faceva quelle cose, stava male. Ora si sente meglio e sono sicura che non vi rovinerebbe mai una festa."
Spero non sia così stronzo pensò la donna. E che davvero non fosse in sé.
"Ha rovinato il mio quarto compleanno, però" ci tenne a sottolineare Demi.
"Sì, è stato proprio un… Dio, che rabbia!" gridò Dallas, non riuscendo a trattenersi.
Aveva imparato a sostituire il dolore con la rabbia per non lasciarsi andare, per non abbattersi troppo. Non aveva scatti d’ira, ma a volte parlando del padre urlava o batteva i pugni. Cercava però di non farlo in presenza di Demi.
Ormai tutti stavano guardando Dianna e le figlie, non avevano nemmeno iniziato a mangiare e rimanevano in silenzio, sperando che quel momento di tensione passasse. Eddie avrebbe voluto intervenire, dire che non era il caso di farsi venire il sangue amaro, ma quello era un tasto dolente e fare una tale osservazione visto ciò di cui stavano parlando sarebbe stato orribile. Ad ogni modo si alzò e appoggiò una mano sulla spalla di Dallas, mentre Andrew continuava a stringere la mano di Demi e Joyce abbracciò Dianna.
"Mi ha portata a prendere un regalo e poi siamo tornati subito a casa" continuò Demetria, "come se un dono potesse sostituire il suo amore e il tempo che passa con me."
Quelli potevano sembrare discorsi strani per una bambina della sua età, ma a causa di quanto aveva passato Demi era cresciuta e maturata in fretta. Tuttavia, ogni volta che i genitori la sentivano parlare così si stupivano perché sembrava un'adulta.
Nessuno sapeva come superare quel momento di difficoltà.
"Dallas, ci sono io qui. Andrà tutto bene" le mormorava Eddie.
Joyce consolava Dianna in modo simile, Carlie stritolava la mano del papà non capendo cosa stava accadendo, mentre Andrew stringeva Demi senza parlare. La abbracciò forte, pensando che avesse bisogno di un contatto più stretto e sapendo che in quel momento la ragazzina non aveva bisogno di parole, perché il silenzio e l'affetto possono fare molto di più. La piccola era consapevole del fatto che c'era solo una cosa che avrebbe potuto aiutarla e, si augurava, dare una mano a tutti. Si sciolse delicatamente dall'abbraccio del suo amico che la guardò perplesso, si alzò in piedi e cominciò a cantare.
"Hark! the herald angels sing,
"Glory to the new born King,
peace on Earth, and mercy mild,
God and sinners reconciled!"
Joyful, all ye nations rise,
Join the triumph of the skies;
With th' angelic host proclaim,
"Christ is born in Bethlehem!"
Hark! the herald angels sing,
"Glory to the new born King!""
La sua vocina era dolce, ma non troppo delicata in modo che fosse udibile. Catturò tutti quasi ipnotizzandoli. Era bellissima e gli adulti ed Andrew si emozionarono. Ci fu un coro di applausi che Demi non si aspettava. Tuttavia non arrossì, né si sedette. Rimase ferma dov'era, lo sguardo fisso sul suo piccolo pubblico, sentendosi perfettamente a suo agio.
"Un giorno farai la cantante, me lo sento" disse Frank abbracciandola. "Sei stata grande!"
La bimba ricevette i complimenti di tutti e poi propose di cantarla insieme e terminarla. Così fecero, anche se Carlie non sapeva tutte le parole e si perse dopo la prima strofa. Quella canzone e forse anche la voce di Demetria fecero sparire la tensione che si sciolse come neve al sole e quella sorta di famiglia allargata poté mangiare il pranzo di Natale in pace.
Il tacchino ripieno di castagne con contorno di purè e fagiolini fu quello che Demi preferì, ma anche le lasagne non erano male. Quell'anno mangiarono due dolci tipici: il pudding e le mince pies, fatte con frutta secca, uva passa e molto altro. Dianna non ci aveva però messo il liquore, visto che c'erano dei bambini.
"Sapete," raccontò Eddie, "si dice che nemmeno Babbo Natale possa resistere ad un dolce così buono."
"Sono più buoni i biscotti che gli ho lasciato!" esclamò Demi.
"No, i miei!" ribatté Carlie.
"Sono buoni entrambi, d'accordo?" si intromise Andrew per evitare che le due piccole litigassero.
“Come fai a dirlo? Non li hai provati!” replicò la sorellina, indignata nel vedere che il fratello non prendeva le sue difese in quello sciocco litigio.
Era vero, Andrew non aveva assaggiato nessuno dei due tipi di biscotti, ma per come la pensava evitare una lite era molto più importante. Conosceva la sua piccola amica Demi da sempre, e perfettamente cosciente dei suoi trascorsi a causa di un padre poco presente per non dire di peggio, temeva che un qualunque screzio avrebbe potuto causarle altro dolore. Un pensiero nobile per un ragazzino della sua età, e una decisione di fronte alla quale sua madre Joyce non poté che sorridere. Insieme, i tre giocavano tranquilli.
“Vi va se andiamo fuori?” propose dopo un po’ Dallas che si era unita a loro.
“Sì!” esclamarono in coro, ma prima di farlo chiesero il permesso ai genitori.
Fu loro accordato, ma tutti raccomandarono ai figli di coprirsi bene a causa dell’aria fresca che tirava. Eddie e Frank aiutarono le figlie più piccole a infilarsi il cappotto e il berretto.
“So farlo da sola!” protestò Demi.
Era la verità, ma era altrettanto vero che le piaceva atteggiarsi da grande.
“Oh, scusa” le disse Eddie, salvo poi sorridere quando la bambina non riuscì a chiudersi la zip.
Una volta fuori i quattro bambini corsero per il giardino, giocarono a scappare e a prendersi a vicenda ridendo e gridando come pazzi. Era bello divertirsi senza preoccupazioni né pensieri, assaporando il gusto della libertà. Era una parola difficile quella, infatti Carlie non lo pensò perché era troppo piccola, ma Andrew e Dallas sì e Demi, beh, si disse che era stupendo ridere davvero. Quando suo padre diventava un mostro non lo faceva mai, o se capitava sorrideva solo per far felici Dallas e la mamma. Ma ora era tutto finito.
“Giochiamo a nascondino? Dai, dai, giochiamo?” iniziò a chiedere Carlie, ripetendo quelle domande all’infinito mentre stavano ancora correndo.
“Senti” le propose Dallas, ”perché intanto non lo facciamo io e te? Io conto e tu ti nascondi. Andrew e Demi arriveranno fra poco, vero ragazzi?”
“Sì!” confermarono i due.
La sorella di Demi aveva capito che gli amichetti avevano bisogno di un po’ di tempo per stare da soli, senza gli adulti o loro due. Non li consideravano un peso, questo mai, però avevano bisogno di passare almeno qualche minuto senza nessun altro intorno. Andrew ringraziò Dallas con lo sguardo, poi la bambina propose a Carlie di andare più in là e le disse di correre a nascondersi mentre lei contava a voce bassa.
Rimasti soli il ragazzino e Demetria si guardarono per lunghi istanti senza dire niente. Era difficile trovare qualcosa di cui parlare, dato che si incontravano spesso.
“Sono contento di essere tuo amico” iniziò lui.
Avrebbe voluto dire qualcosa di più articolato ma temeva che  la piccola non sarebbe stata in grado di capire.
“Anch’io sono felice di essere la tua. Sei il mio amico del cuore, Andrew.”
“E tu la mia.”
Non se l’erano mai detti prima, non a parole almeno. Provarono un’emozione difficile da descrivere. Una sensazione di leggerezza e gioia immensa si allargò loro al centro  del petto e si propagò in ogni fibra dei loro corpi. Demi toccò il cuore di Andrew e lui fece lo stesso, come a dirsi con quel gesto che ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altra. Il vento soffiava forte e nonostante fosse coperta la bambina tremò.
“Sto bene” si affrettò a dire, anticipando il compagno che avrebbe voluto chiederle se aveva freddo. “Sono solo… felice.”
A volte era difficile pronunciare quella parola dato quel che aveva passato, ma era vero.
Andrew non sapeva se porre o no quella domanda. Non voleva farla soffrire. Alla fine parlò senza che il suo cervello lo volesse.
“Hai ancora paura? Come prima?”
“No. Se ci sei tu non ne ho” rispose la bambina. Anche se l’amico non sapeva tutto quello che le era capitato, Demi era sempre stata sincera con lui riguardo i suoi sentimenti e il ragazzino adorava questo di lei. “Ti voglio bene, Andrew!” concluse la bambina, mentre la vocina le si incrinava appena per l’emozione.
“Anch’io te ne voglio.”
Non sapendo cos’altro aggiungere i due si strinsero più forte che mai. Era bello abbracciarsi così, pensò Demi. Tra le braccia di Andrew si sentiva sempre protetta, al sicuro, come se fossero state la sua seconda casa.
Poco dopo raggiunsero Dallas e Carlie per giocare ancora.
Una volta rientrati, stanchi ma contenti, arrivò per i piccoli il momento più importante. Da bravi bambini avevano vuotato i loro piatti, ragion per cui poter aprire ognuno i propri regali fu per loro una sorta di premio. Contenta come mai era stata, Demi quasi cadde a terra inciampando nel tappeto, ma per fortuna Andrew fu lì per sorreggerla.
“Piano, superstar, quei regali non andranno da nessuna parte” le disse, ridendo di gusto e rassicurandola.
“Dallas dice il contrario” rispose subito lei, con ancora in mente le parole della sorella.
“Bah! Scherzava, come sempre” ipotizzò Carlie, tenera come ogni bimba della sua età.
“Ecco, visto? Adesso calmati, li apriremo uno per volta, va bene?” suggerì Dianna, sorridendo nel vedere i pacchetti sotto l’albero in perfetto ordine.
Demi annuì, ne afferrò uno e lo portò ad Eddie. Sorpreso, l’uomo non seppe cosa dire e non potendo reprimere un sorriso, si sciolse come neve davanti alla sua piccola.
“Che aspetti? È da parte mia, aprilo!” lo incoraggiò la compagna, impaziente.
“D’accordo, d’accordo!” replicò l’uomo, ridendo divertito e sciogliendo con cura il fiocco prima di strappare la carta del pacco. Scoprì che la scatola ne conteneva una seconda e al suo interno c’era un pigiama nuovo. Caldo, grigio e comodo, vantava un motivo a quadretti e nonostante nell’immaginario comune quel colore simboleggiasse tristezza, allo stesso tempo Dianna l’aveva scelto pensando che sarebbe stato perfetto per quell’inverno sorprendentemente rigido. Senza toglierlo dalla scatola Eddie lo osservò cercando poi la mano della fidanzata per baciarla da vero gentiluomo. “Grazie tesoro, è bellissimo” disse soltanto, poi la strinse a sé.
Lasciandolo fare, la donna rischiò di arrossire di nuovo e stavolta davanti agli ospiti, ma per fortuna non accadde.
“Tu non le hai preso niente?” chiese Dallas, spezzando la quiete di quel momento fra i due innamorati.
“Come? Certo! Demi, piccola, prenderesti il pacco che c’è lì, con la carta stellata?” fu svelto a rispondere l’uomo, sicuro di aver fatto centro con il proprio regalo.
“Subito!” trillò la bambina in risposta, contenta per la mamma. “Eccolo!” disse poi, porgendoglielo con grazia.
“Non è molto, Di ma… beh, spero ti piaccia” ammise Eddie, guardandola negli occhi e non riuscendo comunque a mascherare una punta di vergogna.
Sapeva di essere sempre stato molto romantico con lei, dolce nei suoi confronti e quella poteva essere l’unica ragione legata alla sua improvvisa timidezza.
“Sarò io a giudicare, se non ti dispiace, caro.”
Quando aprì il pacco, lentamente come amava fare, non riuscì a credere ai propri occhi. A quanto sembrava, il compagno era riuscito a leggerle nel pensiero e nonostante quel regalo non fosse davvero molto, soltanto una nuova camicia da notte color rosa pallido, lei apprezzò il gesto, sorrise e si sforzò di non piangere, ricacciando indietro la singola lacrima che minacciò di rigarle il volto.
“Che fai, mamma? Piangi?” chiese la piccola Demi, preoccupata.
“Sì, amore. Ma sono… sono lacrime di gioia, tranquilla” spiegò, con la voce rotta dalla palese emozione finalmente diversa dalla mestizia che era solita dilaniarle l’anima.
Rinfrancata da quella parola la bambina non disse altro, ma avvicinandosi, notò che il pacco della mamma non era completamente vuoto.
“Qui c’è un’altra cosa!” esclamò, sollevando il pacchetto ben chiuso in un altro involucro di carta.
“Davvero? Dem, fa vedere!” provò a dire Dallas, impicciandosi.
“No, è della mamma!” protestò l’altra, difendendola.
“Ha ragione, Dallas. Su, Demi, dammelo così lo apro.”
Obbedendo, la bambina le porse il pacchetto e dopo averlo scartato la donna perse il respiro. Quasi contemporaneamente anche il suo cuore perse più di un battito, e con mani tremanti la donna fissò quel regalo con gli occhi di chi ama, stringendoselo poi al petto. I bambini non poterono vederlo, ma era un portafoto e l’immagine conservata all’interno era speciale per Dianna. Una foto semplice che ritraeva lei, il compagno e le due figlie, tutti insieme e sorridenti nonostante la pioggia che quel giorno li aveva colti di sorpresa. Fra loro lei ed Eddie erano gli unici a tenere un ombrello, mentre le bambine si tenevano per mano. Non potendo farlo da soli, avevano chiesto ad un passante di immortalare quel momento con uno dei loro cellulari, e una volta stampato, quel pezzo della loro vita aveva trovato il proprio posto in quella cornice di puro argento.
“Eddie, io non… non so cosa dire, io…” balbettò la donna nel guardarlo, emozionandosi e sentendo gli occhi bruciare a causa di un pianto che avrebbe solo voluto liberare.
Piangeva, ed era vero, ma per una volta non era colpa di Patrick, l’uomo, anzi il mostro che le aveva rovinato la vita, era tutto il contrario. Era difficile da spiegare, ma in una sola parola, si sentiva rinata. Esatto, rinata, perché Eddie era un uomo dolce, simpatico, innamorato di lei e delle sue bambine, capace di sorreggerla ed essere la sua roccia nei momenti più bui e difficili e anche lei lo era per lui. Era questo l’amore, pensò. Senza parole, ora Dianna si asciugava gli occhi con una manica del maglione che indossava, maledettamente grata e felice.
“Non devi dirmi nulla, Dianna. La tua presenza mi basta” la rassicurò l’uomo in uno slancio di puro romanticismo, in nome di quel sentimento che fra i due non era mai mancato.
Annuendo lentamente, lei gli diede ragione e appena un attimo dopo i due si abbracciarono. Commossi, anche Joyce e Frank versarono qualche lacrima mentre i quattro bambini osservavano la scena sorridendo - anche Carlie che di solito non era così tranquilla - e poco dopo, quando le acque si furono calmate, toccò ai piccoli aprire i propri regali. Seguendo il consiglio dell’amico, Demi aveva evitato di buttarsi di nuovo sul tappeto del salotto e inginocchiandosi invece con più delicatezza, andò alla ricerca del dono. Era un ospite, e stando ai suoi ragionamenti e alla sua logica semplice, a lui spettava farlo per primo.
“Questo è per te, te l’abbiamo preso io e la mamma” disse la piccola, spingendo il pacchetto verso l’amico.
“Demi, grazie! Non dovevate! Dimmi, cos’è?”
Il ragazzino era stupito. In genere non chiedeva mai nulla neanche ai genitori, ma sapere che l’amichetta si era data tanto disturbo lo rendeva felice.
Quella mattina, quando aveva scartato i regali a casa, aveva ricevuto un maglione e un videogioco. Era stato contento, ma qualcosa gli diceva che quello che adesso stringeva sarebbe stato ancora più speciale. Una vecchia insegnante aveva distrutto le sue speranze sull’esistenza del buon vecchio Babbo Natale, ma sua madre aveva ragione: non avrebbe dovuto lasciare che la magia e lo spirito di quella festa svanissero dal suo cuore.
“Non posso! Che sorpresa sarebbe?” replicò la bambina, dando voce ad una verità che le era stata inculcata già da tempo.
“Hai ragione” le disse l’amico, sorridendo e fissando lo sguardo sulla carta rossa e luccicante.
Strappandola con decisione si sentì felice come mai prima, e ben presto si rese conto di avere fra le mani un libro. Non un libro qualunque, ma uno che riconobbe subito dalla copertina. Rossa e a caratteri dorati, ritraeva una saetta, uno stormo d’uccelli e un gufo con una lettera nel becco. Con gli occhi pieni di meraviglia, lesse il titolo: “Harry Potter e la pietra filosofale”. Il primo di un’eptalogia fantasy, genere di cui tutti i suoi compagni di classe erano patiti. Non ne aveva mai letta neanche una riga, ma vinto dalla curiosità decise di dare alla scrittrice e all’intera serie almeno una possibilità. Lentamente fece scivolare una mano sulla copertina, poi incontrò gli occhi di Demi.
“Allora? Ti piace? Ti piace?” gli chiese, rimanendo poi in attesa della sua opinione.
“Lo adoro!” rispose il ragazzino, allargando le braccia per stringere a sé quella bambina tanto dolce, tenera compagna di mille avventure.
“Ne sono felice” sussurrò lei in quell’abbraccio, che pur soffocandola le provocò una delle sensazioni migliori della sua vita.
Di lì a poco, anche Dallas aprì il suo dono. Lentamente, come le era stato insegnato anni prima al solo scopo di non rovinarsi mai la sorpresa. A differenza degli altri pacchi, tutti quadrati, il suo era di forma rettangolare, e curiosa, lo aprì strappando la carta verde muschio. Un gesto che richiese tempo e che, una volta compiuto, le rivelò la verità. Davanti a sé aveva un puzzle che, stando a quanto c’era scritto sulla scatola che lo conteneva era composto da circa mille pezzi. Un ottimo passatempo per una bambina della sua età, e a dirla tutta, per l’intera famiglia. Grande e colorato, sembrava essere stato creato apposta per quel periodo dell’anno.
Mille pezzi?” chiese, stupita. “Scherziamo? Babbo Natale ha esagerato!” esclamò incredula. “Devo essere stata buonissima.”
“Più o meno” dissero i genitori e tutti risero.
Sempre secondo la scatola, la figura completa ritraeva una piazza cittadina coperta di neve, alcuni bambini impegnati a costruire un pupazzo di neve, un uomo e il suo fedele cane e altri abitanti intenti a riempire la fredda aria dell’inverno di canti natalizi, tutto sotto gli occhi della luna già in cielo, regina della notte e di quella magica stagione. Poco lontano, enorme e colorato, c’era un albero di Natale pieno di luci e decorazioni, circondato da regali di ogni forma e dimensione. Silenziosa, Dianna se ne stava sul divano con Eddie, in disparte. Non per noia, non per tristezza, ma in muta ammirazione. Non l’avrebbe ammesso, ma se studiava con attenzione la scena che aveva davanti, la ragione era una sola. Ogni madre non vorrebbe che il meglio per i propri figli, ovvio, e come c’era d’aspettarsi, quel concetto valeva anche per lei. Per molti il Natale era una festa come un’altra, e i regali solo una noiosa incombenza, ma non per la donna. Ai suoi occhi era infatti sinonimo di felicità, gioia e unione, tutte cose che poteva vedere negli occhi dei suoi ospiti e delle sue bambine. Unendosi agli amici, anche la piccola Carlie aveva scartato il suo regalo, e facendosi aiutare da Andrew, aveva scoperto di aver ricevuto una casetta per le bambole completa di tutti gli accessori.
“Oh, bello!” continuava a ripetere, incantata. “Mamma guarda, c’è anche il fornello per cucinare.”
“Sì, faremo dei tè e delle cene buonissimi!” le assicurò la donna, avvicinandosi e dandole un bacio su una guancia.
“Giocherete anche voi?” chiese la bimba indicando Andrew e il padre e i due per farla felice annuirono, anche se non erano molto entusiasti.
“Ma voi cos’avete ricevuto per Natale?” domandò Dianna ai due adulti.
“Io un orologio!” trillò Frank, mostrandolo con orgoglio.
“Ed io un cellulare, il mio si era rotto” disse Joyce.
“Mamma, ma perché voi vi siete fatti i regali e anche Dianna e Eddie e Andrew ne ha ricevuto uno da Demi? Non dovrebbe portarli tutti Babbo Natale?”
Carlie non riusciva a capire.
“S-sì” iniziò la donna, incerta. “Lui ne dà tantissimi, ma permette anche che le persone se li facciano tra loro. Capito?”
La bambina annuì, accontentandosi di quella spiegazione anche se non l’aveva convinta del tutto, poi se ne dimenticò e tornò a giocare con la sua casetta.
Intanto, Demi non trovava il suo regalo e calciando via da sé i rimasugli di carta colorata sparsi sul pavimento, raggiunse la madre con il volto in una maschera di tristezza.
“Che c’è, Demi?” chiese questa, confusa. “Non apri il tuo pacco?”
“Vorrei, ma non c’è. Sono stata cattiva, vero?” rispose la bimba, con voce dolce e quasi angelica.
“Cosa? No, tesoro, no! Vieni, sono sicura che è in mezzo agli altri, ti aiuto a cercarlo” si affrettò a dirle la mamma, alzandosi dal divano e inginocchiandosi insieme a lei.
Unite in quella caccia madre e figlia si impegnarono fino allo spasimo, ma niente. Il nulla più totale. A quanto sembrava la piccola aveva ragione, e con qualche lacrima già sul viso, tornò a sedersi sul divano, affranta. Notandola, anche Joyce le andò vicino, offrendole un fazzoletto e posandole una mano sul ginocchio.
“Non ho avuto un regalo” si lamentò la bambina, ferita.
Non sapendo cosa dire, la madre di Andrew provò a consolarla con un abbraccio e alcune frasi di conforto, e proprio allora, la conferma delle sue speranze. Riemergendo da quell’autentico marasma Eddie fece il suo ritorno nel salotto, portando con sé un regalo diverso dagli altri. Difatti, se i precedenti avevano tutti forma quadrata o rettangolare, questo somigliava a una casetta. Inizialmente, la bambina pensò di aver ricevuto lo stesso dono dell’amichetta, ma fu solo raggiungendo Andrew e Dallas sul tappeto che scoprì cosa l’aspettava.
“Fa’ attenzione, d’accordo? Piano” l’ammonì Eddie, posando a terra quel pacco tanto delicato.
In silenzio, la piccola annuì e liberandolo in fretta dalla carta che lo copriva solo in parte, per poco non si mise a urlare. La scatola che aveva davanti era in realtà una cuccia, e addormentato all’interno c’era un dolcissimo batuffolo di pelo bianco. Incuriosita, Demi sfiorò con le dita la porticina in plastica e per tutta risposta l’animaletto si svegliò. Solo allora, la bimba capì che era un cucciolo, e permettendogli di uscire lo prese subito in braccio. Troppo energico per star fermo, il cagnolino sfuggì da quella stretta, e di nuovo per terra, iniziò a guardarsi intorno con curiosità e forse un po’ di paura, poi cominciò a girare su se stesso alla ricerca della sua coda, acciuffandola e tenendola fra i denti senza farsi alcun male. Nel farlo si lasciò sfuggire un adorabile latrato, e sciogliendosi come neve al sole, Dallas provò ad accarezzarlo. Ancora incredula, Demi guardò Eddie e la madre, parlando nonostante il nodo di gioia che le attanagliava la gola.
“Volete dire… che è mio?” chiese, di nuovo vicina a piangere.
“Sì, stella. È il tuo cucciolo” le rispose la madre, abbracciandola.
“Allora, come si chiama?” azzardò poi lo stesso Eddie, curioso.
Indecisa, la bambina ci pensò su, e in meno di un attimo ebbe la risposta.
“Buddy” disse infatti, convinta.
“Mi piace, ottima scelta” commentò Dallas, felice quanto e forse più di lei.
Unendosi alle amiche, anche Andrew e Carlie diedero il proprio assenso.
Con il calar della sera, giocare con quel cucciolo divenne la missione principale di ogni invitato, Demi per prima. Che poteva farci se aveva il cuore tenero e la vista di qualunque animale la portava a versare lacrime di gioia? Niente, ecco cosa. Vicina alla figlia, anche Dianna si unì al gioco, limitandosi però ad accarezzare saltuariamente quella dolcissima e bianchissima palla di pelo. Fra un attimo e l’altro, si concesse del tempo per pensare, e in quell’istante, un solo pensiero le illuminò la mente.
Non rovinerai anche questo, non più si disse, riferendosi mentalmente a Patrick e maledicendolo per ciò che aveva fatto nel giorno del quarto compleanno della sua piccola Demi.
Infido e costantemente sospettoso, aveva imparato nel tempo a giocare d’astuzia mostrandosi ad eventuali ospiti solo nei rari momenti in cui l’alcol e la droga non lo rendevano un’indomabile belva. Poi, di colpo, la seconda illuminazione. Era quella la ragione per cui Andrew, Joyce e Frank non si erano mai accorti di nulla. Quel mostro li aveva raggirati uno per uno, spingendoli a credere che nella sua vita tutto andasse a meraviglia e che qualunque cosa succedesse fra le mura di quella casa, anche a notte fonda, era sempre frutto di sciocche liti o sfortunati incidenti. Disgustata da quei ricordi, Dianna strinse i denti imponendosi di non pensarci ancora, e concentrandosi invece sull’albero che aveva decorato, sui sorrisi che aveva mostrato e ricevuto e sulla felicità delle figlie attorno a lei, tirò un sospiro di sollievo. Distraendosi, osservò fugacemente la luna, poi di nuovo il divertimento che regnava nel salotto. Ci erano voluti anni prima che la sua vita diventasse quella che era, prima che eliminando Patrick tornasse ad essere se non del tutto serena almeno tranquilla, ma ora, circondata dall’affetto dei membri della sua famiglia e di visi amici, poteva dire di esserlo davvero, e che quella appena vissuta non era stata che la cronaca di un felice Natale.
 
 
credits:
Frozen
 
 
Mahalia Jackson, Hark! the Herald Angels Sing
 
 
 
NOTE:
1. i film citati non sono usciti nel 1997, anno in cui questa storia si ambienta, ma io e la mia amica abbiamo deciso di inserirli perché ci sembrava stessero bene con il contesto e la storia in generale.
2. In "Simply Complicated" viene detto che Patrick lanciava oggetti e urlava, era molto aggressivo e aveva scatti di rabbia improvvisi e faceva uso di alcol e anche di droghe. A quanto so, Dianna l'ha lasciato per questo. Demi era molto piccola, nel libro “Falling With Wings: A Mother’s Story” di Dianna c'è scritto che aveva un anno e mezzo, ma ho preferito inventarmi che ne avesse tre in modo che potesse ricordare più cose del suo passato come tra l’altro ho scritto in altre FanFiction, per esempio “Father”. Ovviamente non è mia intenzione offendere Patrick e solo Demi e la sua famiglia sanno tutta la verità.
Sono sicura che lei abbia visto il padre ubriaco e arrabbiato perché Marissa Callahan, un'amica della cantante, ha detto sempre nel documentario che la ragazza è stata testimone di quegli episodi. Demi ha anche fatto sapere che non vuole colpevolizzare totalmente suo padre per ciò che ha fatto, che erano i suoi disturbi a controllargli, almeno in parte, la mente.
Poco tempo fa ho letto un’intervista nella quale Dianna diceva che lasciava che le bambine vedessero il padre se questo ovviamente non le avesse messe in pericolo, anche se nel libro non ne parla per cui credo che ciò non accadesse spesso. La storia delle telefonate piene di insulti è vera, ne ha scritto Dianna nel memoir.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
e per l’anno nuovo, eccomi tornata con una nuova storia! Stavolta, però, non l’ho scritta da sola. L’idea è mia, ma ho chiesto alla mia meravigliosa amica Emmastory di scriverla con me, per cui ci siamo divise le parti. Speriamo che questa OS vi sia piaciuta. Noi ci abbiamo messo tutto l’impegno e l’attenzione possibili soprattutto nel trattare tematiche delicate come la violenza domestica, cosa che dev’essere fatta con attenzione, sensibilità e tatto.
Scriverla è stato emozionante e, per certe scene, anche divertente.
Nel salutarvi, vi auguriamo un buon anno e vi lasciamo con le immagini di questo capitolo, ovvero la copertina del puzzle di Dallas e il libro di Andrew.
 
 
 
 






Christmas-puzzle
Harry-Potter-and-the-Philosopher-s-Stone
   
 
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