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Autore: NyxTNeko    02/01/2019    1 recensioni
Roma, 37 d.C.
Una giovanissima schiava proveniente dalla Gallia, abile conoscitrice di ogni tipo di erba, approda nella Città Eterna. Divenuta libera, la sua vita sembra essere destinata a svolgersi nell'ombra della Capitale del Mondo...fino a quando il potere non entrerà dalla porta della sua piccola bottega di filtri e veleni e le stravolgerà l'esistenza risucchiandola inevitabilmente nel suo vorticoso buco nero.
Locusta, la prima serial killer della storia, fu un personaggio enigmatico, quasi leggendario, di cui si sapeva davvero poco anche ai suoi tempi, una cosa, però, era assolutamente certa: la strega di Nerone non sarebbe sopravvissuta a lungo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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"Vive in dies et horasnam proprium est nihil"
Epitaffio di Prima Pompea II / I sec. a.C.

Dopo esser stata battezzata, Locusta aveva ricevuto in dono da suo marito la croce di legno che lui portava sempre al collo.

Nonostante la sua purificazione attraverso il rito del battesimo, quei giorni erano stati particolarmente tormentati; Locusta tendeva ad isolarsi sempre più dai suoi cari, per evitare che il momento dell'addio fosse troppo doloroso.

Gaudenzio, affacciato ai porticati della domus, vide la sua sposa in riva al lago dove avrebbe voluto veder sorgere la sua arena. La raggiunse e delicatamente le mise le mani sulle sue spalle.

Lei ebbe un sussulto e si girò - Gaudenzio sei tu... - emise rassicurata.

- Ti vedo sempre più chiusa in te stessa...non ce la faccio più a vederti così...pensavo che il battesimo ti avesse risollevata

Locusta sospirò, ancora non aveva capito nulla di quello che stava facendo e pensando, avrebbe voluto dirgli tutto, ma ogni volta qualcosa la fermava.

- Cosa hai? Spiegamelo ti prego...parlami...non dare tormento anche a me che ti amo…

- Niente - sospirò lei - Voglio solo stare da sola… - lo guardò per un secondo e poi si allontanò da lui.

- Ti conosco troppo bene, ti stai isolando per evitare di far male a me ed alle persone che ti sono intorno...ma con il tuo silenzio...con la tua solitudine…me ne stai procurando molto più di quanto tu possa credere...  - s’interruppe per un attimo poi riprese - Parlami...

Ma la moglie era troppo lontana per udirlo.

- Ti prego dimmi qualsiasi cosa...

- Voglio solo che questa agonia finisse - sussurrò.

In giro correva voce che le ricerche fossero divenute sempre più capillari. Era questione di poco tempo, tuttavia lei era pronta a tutto.

Si appoggiò alla finestra e cominciò a guardare il cielo, in quella giornata era così terso e azzurro, le ricordava quello che vedeva da bambina, seppur in Gallia fosse assai raro, ma in quelle volte che accadeva, lei si sentiva felice, in contatto con la natura. Dopo tanti anni riuscì di nuovo a provare quella sensazione di ingenua ed infantile pace.

Nonostante fosse molto avanti con gli anni, Tito Flavio Vespasiano mostrava un'agilità incredibile, dovuta alla sua lunga esperienza sui campi di battaglia ed un'apertura mentale che raramente si poteva trovare nella capitale in quel periodo di caos.

Infatti, pur non apprezzando particolarmente l'operato di Nerone ed anche quello di Galba, per la piega che stava prendendo, decise di non esprimere pareri, anche per evitare eventuali ripicche. Era diretto verso la domus per un appuntamento fissato con l'architetto: bussò alla porta con molta disinvoltura.

- Avanti, la porta è aperta - rispose Gaudenzio, mentre era intento a scrivere su delle pergamene.

L'ufficiale entrò e con un profondo inchino disse - Spero di non arrecare disturbo

- Affatto...ormai in questi giorni apprezzo tutto ciò che potrebbe farmi distrarre dai mille pensieri e dai tormenti che mi provocano solo dolore…

- Viviamo in un periodo assai burrascoso - iniziò lui non potendo non dargli ragione - Posso capire ciò che provate, Gaudenzio - aggiunse sospirando.

Mentre Gaudenzio scriveva, Tito Flavio si avvicinava. Quando fu davanti a lui, posò lo sguardo sulle pergamene che Gaudenzio aveva riempito con i suoi disegni ed i suoi appunti. Vespasiano ammirò quel progetto estasiato per la sua grandezza.

- Questa creazione è una meraviglia, ho viaggiato in ogni angolo dell’impero, ma non ho mai visto una cosa così grande…- fissava quei progetti e la penna di Gaudenzio che continuava a tracciare nuove linee - La vostra mente dimostra che non solo la spada può render grande il nome di un impero. Il nostro Cesare te ne sarà veramente grato per questo

Sentendo nominare l’imperatore, Gaudenzio ebbe un impeto di rabbia spezzando la penna che aveva fra le mani e battè violentemente il pugno sul tavolo.

- Se Cesare mi vuole ricompensare per rendere ancor più potente Roma, che risparmi la vita della mia sposa!!

Vespasiano sospirò ancora - Ahimè, bisognerebbe parlare con l'imperatore, ma non vuole sentire ragioni - lo guardò dritto negli occhi - Ha paura di fare una fine peggiore di quella del precedente sovrano, ma temo che continuando così, non farà altro che autocondannarsi...il morale delle truppe pretoriane è volubile, io lo so bene, basta un niente per provocare altre congiure e rivolte…

- Allora il progetto del colosseo sarà da questa sera, carta per alimentare i fuochi dei bracieri delle mie stanze!! - affermò lui guidato dalla rabbia.

- No, Gaudenzio, non lo sarà - disse l'ufficiale guardandolo, non poteva permettere che un simile progetto andasse in fumo, era qualcosa di grandioso, magnifico, eccelso, come la potenza di Roma. - Non lo permetterò, perché lo sto finanziando anche io!

Gaudenzio sospirò fortemente, si mise le mani nei capelli, sempre a testa bassa, e lo sguardo rivolto al tavolo - Tito...fate si che Locusta possa abbandonare segretamente la capitale in qualche luogo al di fuori dei sospetti dell’imperatore...fino al termine di realizzazione del progetto…

Vespasiano fece un terzo sospiro e si grattò i radi capelli che aveva in testa - Ci proverò, Gaudenzio, ma non vi garantisco nulla, anche perché non gli ero simpatico da quando era un mio semplice collega

- Grazie...amico mio…

Il militare gli sorrise con l'intento di incoraggiarlo un po’ e aggiunse, prima di uscire per raggiungere Galba - Salutatemi vostra moglie e ditele di stare un po’ più tranquilla

Dopo poche ore Vespasiano tornò da Guadenzio, più gioioso che mai. - Aprite, ho una notizia meravigliosa! - esclamò traboccante di felicità.

L’architetto aprì la porta - L'imperatore ha concesso la grazia a Locusta, non so quali parole siano riuscite a convincerlo, ma ora non ha più nessuna taglia o altro è libera - disse tutto d'un fiato l'ufficiale. Era così contento per loro.

- Hai sentito amore?! Sei finalmente libera - si rivolse poi verso l’amico e lo abbracciò come un fratello - Grazie...grazie Tito...ve ne sarò eternamente grato

Vespasiano, che non era abituato agli abbracci, rimase un po’ freddo a quel contatto così personale - Questo ed altro per voi - aggiunse sorridendo.

Poi guardò Locusta che si era inchinata per ringraziarlo, pur non essendo molto convinta dall'atteggiamento dell'imperatore, conosceva bene quel tipo di ambiente.

Quando rimasero soli, Locusta si rivolse al marito dicendogli - Ora potrai terminare con tranquillità la tua opera, fallo Gaudenzio, e mi devi promettere che la realizzerai a qualsiasi costo, qualsiasi cosa accada...me lo devi promettere…

- Ma certo che lo farò ma...perché parli così? Sei salva, potremmo affacciarci nuovamente da questo porticato e vederla sorta davanti ai nostri occhi...

Locusta gli sorrise, con le lacrime agli occhi, un sentore le diceva di non fidarsi dell'imperatore, aveva sostituito senza troppi problemi Nerone e fatto in modo che su di lui si abbattesse ogni sorta di malalingua, era capace di fare anche altro.

Però, voleva rassicurare il marito e il suo amico che avevano fatto tanto per lei - Scusami, che stupida che sono - sussurrò la donna mentre lo abbracciava - Hai ragione, ma come la chiamerai quest'opera? - domandò alla fine.

- Affianco ad essa voglio che vi sia il colosso di questa domus...

- Per sostituire quello di Nerone che hanno abbattuto…  continuò lei.

- Perché sarà un’opera colossale per l’impero e per la storia del mondo...il suo nome sarà “Colosseo”.

- Però dovresti chiamarla anche con il nome della famiglia di Vespasiano, non credi? - le suggerì - È stato il primo a sostenere il progetto fin dai primi schizzi, se lo merita…- ci pensò un po’ poi continuò - Colosseo, anche chiamato Anfiteatro Flavio...che ne dici? -

- Si, sarà sicuramente terminato anche sotto l’occhio vigile di Vespasiano, ne sono convinto

- Chissà come reagirà quando saprà della dedica - rise lei immaginando l'imbarazzo dell'ufficiale.

Poco dopo Gaudenzio uscì per andare a prendere altri attrezzi, quando improvvisamente qualcuno bussò energicamente alla porta. “Non può essere già tornato” si disse mentre andò ad aprire. Sbiancò nel vedersi davanti a lei l'imponente e sinistra figura di Tigellino, che la guardava con gli occhi neri iniettati di sangue - Era da un po’ che non ci vedevamo, Locusta! - esclamò con la sua voce cavernosa e lugubre.

La donna, dopo un secondo di smarrimento, capì tutto, sorrise amaramente, lo guardò senza mostrare alcun timore né rancore ed emise freddamente - Eccomi, Tigellino, ora l'imperatore può fare di me ciò che vuole

I pretoriani non si aspettarono un atteggiamento così stoico da parte sua, persino il prefetto rimase spiazzato. Ma lo stupore durò poco, poiché lei fu legata ai polsi e fu gettata fuori a calci. Lei non si lamentò, sopportò ogni cosa che le dicevano o facevano.

Il rumore cadenzato di una corsa, riecheggiava fra i corridoi della Domus, insieme al respiro affannoso di un uomo, che all’improvviso aprì la porta dello stanza dell’architetto - Gaudenzio...Gaudenzio!

- Cos’è successo Achaikos?

Nonostante il fiatone, riuscì a farsi uscire di getto - Locusta...Locusta…

- Locusta? Cosa Locusta? 

- Locusta è stata catturata dal prefetto Tigellino e la stanno torturando per poi condannarla a morte!

Dopo quelle parole Gaudenzio scattò in piedi come un fulmine per poi afferrare le spalle dell’amico e urlargli contro - Dove sono adesso? In quale luogo l'hanno portata? Dimmelo Achaikos, ti scongiuro!

La donna fu portata al cospetto dell'imperatore, che già si era adattato alla vita di corte in quei mesi. Tuttavia quando vi entrò, Locusta notò che tutto ciò che Nerone aveva fatto costruito e decorare era stato sostituito, ciò le fece più male delle torture che le avrebbero inferto “La tua arte non l'hanno capita, mio unico imperatore” si disse a testa bassa.

- E così sarebbe lei la famosa Locusta? - chiese Galba, il cui volto scavato dalle rughe - Me la immaginavo più spaventosa, invece è solo una donna comune

- Diffidate dal suo aspetto, altezza - fece Tigellino, gettandola ai piedi dell'imperatore - È più pericolosa di una vipera

Lo sguardo dei due si incrociò, anche se quello di Locusta era spento e quasi privo di vita. L'imperatore rimase colpito da lei, sembrava una morta che camminava, non trovava vitalità in lei. - Sapete quello che dovete fare, Tigellino - fece l'imperatore con la mano, le sembrò di rivedere per un attimo il suo Nerone, ma era solo una sua impressione.

Prima della condanna a morte, fu portata in una sala apposita per essere frustata a sangue. Mentre Tigellino controllava che nessuno si avvicinasse per liberarla.

Gaudenzio e Achaikos giunsero al Palatino correndo di stanza in stanza. Non appena s’imbatterono in un pretoriano che stava girando per fare la guardia. L’egizio dovette fermare l’amico accecato dalla rabbia e dalla preoccupazione.

- Fermati! Non fare sciocchezze! O ci ritroveremo tutti i pretoriani addosso in un lampo…

Il guerriero lo seguì senza fare rumore, e certo che non ci fossero altre guardie lo prese da dietro per il collo e lo sollevò da terra.

Gaudenzio vedendo la scena andò subito verso di lui e gli assestò due pugni sul viso e poi lo afferrò per il collo minacciandolo a denti stretti - Se ci tieni alla tua pellaccia faresti meglio a dirmi dove hanno portato Locusta...sono stato chiaro?!

- Chiarissimo - fece Tigellino sbucando dal nulla - Se vuoi ti accompagno - aggiunse con una risatina per nulla rassicurante.

- Dimmi dove l’hai portata bastardo!

- Se farai il bravo ti ci porterò senza farti alcun male, ma solo tu, il tuo amichetto negro non c'entra nulla con questa faccenda - disse leccandosi le labbra come se stesse per gustarsi un piatto succulento.

I tre sentirono in lontananza  grida di dolore di una donna, col rimbombo di una frusta. Achaikos mise una mano sulla spalla del suo amico - Vai da lei, mi occupo io di questo maledetto...

- Quindi vuoi morire anche tu? - si schioccò le dita il prefetto - Bene, avrò una ricompensa tripla, quest'oggi - poi scoppiò a ridere. Si avvicinò all'egizio sovrastandolo per poi colpirlo violentemente.

Nel frattempo Gaudenzio corse verso le stanze da dove sentiva gridare. Aprì le porte e vide la sua sposa legata in ginocchio a terra, coperta di sangue. Alla vista della sua donna torturata in quel modo terribile, l’uomo corse verso il pretoriano, il quale caricò la frusta.

- Gaudenzio, fermati! - urlò con quel poco fiato che le rimaneva - Perché sei venuto a suicidarti? Perché non sei rimasto a casa? - le chiese poi sputando del sangue sul palo e a terra.

Il soldato riuscì a colpire il suo avversario, ma nonostante venne percosso, nel momento in cui la frusta si sollevò di nuovo, Gaudenzio riuscì a bloccare la guardia, prendendolo per le gambe e a buttarla a terra.

Cominciò una estenuante lotta sul terreno, nella quale l’uomo, afferrò il gladio del pretoriano procurandogli una ferita ad un braccio. Quando la rabbia prevalse, si avventò come una belva assetata di sangue sull’uomo e gli infierì il colpo mortale tra la spalla e il collo.

Ma non poté cantare vittoria, poiché un tonfo tremendo fece sobbalzare i due che si voltarono. Videro Tigellino che trascinava il corpo pieno di ferite e sangue di Achaikos - Lui ti farà compagnia in cella, sempre che non sia già crepato - rise lui dandogli un calcio.

- Achaikos, anche tu - mormorò Locusta sentendo la vita allontanarsi sempre di più da lei, le lacrime si mescolarono al sangue, non aveva più nessuno che potesse proteggerla davvero.

- Perchè non mi hai ascoltato? Perché non sei sfuggita a tutto questo quando ne avevamo l’opportunità? - le domandò fra le lacrime Gaudenzio - io non voglio perderti...non voglio!-

- Se esiste davvero un paradiso, allora ci ritroveremo là - disse Locusta senza mostrare alcun sentimento.

Tigellino guardò quella scena con un misto tra disgusto e rabbia, dovette però, calmarsi, solo lei doveva essere uccisa, gli altri al massimo feriti per poi divenire cibo e intrattenimento per le belve e il popolo. Prese Gaudenzio per la tunica e lo sollevò da terra - È finito il momento di dirvi addio, piccioncini

Gli diede un forte schiaffo con il dorso della mano, sul viso seguito poi da un pugno, che lo atterò, con lo sguardo rivolto alla sua sposa, che lo guardava con lo sguardo vacuo, di chi era già nell'aldilà. - Addio - fece solo con la bocca.

Il suo carnefice si avvicinò e con un solo colpo di spada tagliò la corda, la prese malamente - Sembra una bambolina di pezza - ridacchiò Tigellino, avvicinò le mani al suo esile collo e glielo strinse sempre più forte, sadicamente.

Locusta guardava il suo sposo durante i suoi ultimi istanti, nel momento in cui sentiva la vita andarsene, cercò quanto meno di imprimere nella sua mente il sorriso dell’uomo che amava. Quando le fu nitido, spirò fra le mani omicide del prefetto, pronta a raggiungere il suo Nerone, il suo Aulus e la sua Tiberia, che erano sicuramente da qualche parte, non erano morti del tutto, ne era sicura negli ultimi secondi, quando l'esistenza acquista il suo senso e le sue certezze.

- Non ha resistito molto - fece il prefetto un po’ deluso e la lasciò andare, già stufo di lei. Si girò verso Gaudenzio per dirgli - E ora...tocca a te…

- Fermatevi Tigellino...placate la vostra sete di sangue e lasciate stare Gaudenzio! - s'intromise Vespasiano, il quale era piombato troppo tardi per salvare lei, ma con lui poteva fare ancora qualcosa.

Mentre interloquivano, con la forza della disperazione, e del dolore, Gaudenzio si diresse verso il corpo senza vita della sua amata con espressione straziata. Le chiuse delicatamente gli occhi e in altrettanto modo le accarezzò una guancia. La abbracciò per cominciare un pianto che l’avrebbe accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.

   
 
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