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Autore: Ram92    02/01/2019    0 recensioni
Sono passati circa quattordici anni dall'inizio della Grande Era della Pirateria. Tra pirati e Marina lo scontro è aperto. Nel frattempo, su una remota isola del Mare Occidentale, una bambina dai capelli rossi cresce con un piccolo, grande sogno.
-> Continuo della storia 'La leggenda del fantasma rosso - I parte', ma se volete partire da qui per un po' può anche funzionare
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Orso Bartholomew
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda del fantasma rosso'
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Capitolo cinque.
 
Koda continuava a peggiorare.
- Quanto tempo è passato dai primi sintomi?
Il respiro rasposo si era fatto più marcato. Segno che i polmoni stavano per bloccarsi definitivamente.
- Sono ormai sei settimane.
Un mese e mezzo, i tempi tornavano considerando il loro progressivo accorciarsi.
Midori cercò di auscultare il cuore al di sopra del fracasso che produceva ogni respiro amplificato dallo stetoscopio. Battito debole, lento.
- Gli antidolorifici?
A fianco del piccolo letto, la madre del bambino non si muoveva e non parlava. I gravi occhi chiari che non si muovevano dalla smorfia di dolore impressa sul volto del figlio.
- Siamo alla dose massima.
Midori si rimise lo stetoscopio sulle spalle.
Con la coda dell’occhio vide la piccola Riza, la bambina coraggiosa con gli occhi d’ambra, dormire raggomitolata in una coperta scura sull’altro lettino della stanza.
- Dategliene il doppio.
Il dottor Amos si affrettò a seguirla al di fuori della stanza.
- L’antidolorifico comincerà a danneggiargli il sistema nervoso. – disse a mezza voce. – E’ un principio base della medicina.
- Nella lista che ho dato a Kuma ci sono nuove scorte, non corriamo il rischio di rimanere senza…
- Abbiamo ancora una settimana. – continuò l’anziano medico. – Kuma potrebbe tornare in tempo.
Midori si fermò.
- Dobbiamo ancora scoprire qual è il problema e trovare una cura. – disse lapidaria. – Ci vorrà più di una settimana.
Quando riprese a camminare, il dottore non si mosse.
- Non sarò io a fare l’iniezione.
Midori strinse un pugno nella tasca del camice fino a piantarsi le unghie nella carne.
- Non è un problema. – disse soltanto, senza il benché minimo accenno di emozione nella voce. – Avrei dovuto pensarci io in ogni caso.
 
- Tutti pronti?
Aki si guardò intorno un po’ spaesata e a disagio.
- Davanti i più piccoli… stringetevi su!
Quella strana lumaca li fissava con occhi pigri e annoiati.
Aki non sapeva dove mettersi, in quella bolgia di bambini tutti intenti a mettersi accanto agli amichetti e comunque ben in vista.
- Avanti, veloci, prendete posto!
- Aki!
La bambina fece appena a tempo a voltarsi che la mano di Anne la trascinò con sé.
- Sorridete…
Aki guardò con orrore i grandi occhi tondi e spugnosi della lumaca proprio di fronte a lei, al centro del gruppo.
- …ancora un attimo…
La lumaca disse qualcosa di molto simile a ‘clatcha’ e strabuzzò ancora di più gli occhi per un istante. Aki non riusciva a smettere di fissarla con curiosità mista ad un certo disgusto.
- …e fatta. – annunciò allora il tipo che maneggiava la lumaca.
Gli altri bambini esultarono, gli occhi della bestia tornarono della loro misura iniziale e rivolsero ad Aki uno sguardo di sufficienza.
 
Erano bastate poche parole. La donna aveva capito e aveva annuito, prima di mettersi a piangere. Quando non la seguì dentro la stanza, Midori non si sentì di giudicarla. Non c'era nessuno ad affrontare tutto questo insieme a lei.
Dal primo cassetto prese una siringa, dal secondo una boccetta di un liquido trasparente. Sul fondo ne rimasero altre sei boccette identiche. Più di quante ne fossero necessarie.
- Sei qui per fare la magia?
La voce assonnata della bambina la colpì dritta allo stomaco, ma non disse niente.
- Posso vedere? – chiese Riza, alzandosi con ancora la coperta addosso senza darle il tempo di rispondere.
Midori sospirò e le fece spazio, poi la sua mano si colorò di nero e la siringa la imitò sino alla punta dell’ago. Riza la guardava affascinata, con un’espressione che raramente i bambini rivolgevano ad una siringa. Era decisamente una bambina coraggiosa. Quando l’ago bucò la pelle del fratello, Riza quasi sorrise e le rivolse un nuovo sguardo pieno di ammirazione.
- Ora Koda starà meglio?
Davanti all’espressione della piccola, Midori accennò suo malgrado un sorriso.
- Soffrirà meno. – riuscì a trovare la forza di dirle con una voce che si augurò suonare rassicurante.
La bambina la guardò perplessa e Midori lanciò un’occhiata alla madre appoggiata allo stipite della porta che le osservava in silenzio, gli occhi vuoti. Non poteva chiedere a quella donna di farlo. Toccava a lei.
- Tu sai che Koda è molto malato. – disse inginocchiandosi davanti a Riza fino a raggiungere la sua altezza. – Gli altri bambini nelle sue condizioni hanno resistito per poche settimane. Tuo fratello è stato bravo, ha lottato tantissimo, ma…
Quando la bambina le si buttò tra le braccia, Midori non poté far altro che stringerla e lasciare che piangesse. Con Aki aveva sempre funzionato.
Al di là della porta, gli sguardi che fissavano la scena adesso erano due. La poderosa sagoma di Kuma la attendeva pazientemente oltre la soglia.
 
- Ci vediamo a casa.
Aveva a malapena finito di mangiare, osservò Misato. Ed era qualche giorno che andava avanti così. Per fortuna, almeno Aki le dava un po’ di soddisfazione. Anche se fissava la porta da cui l’altro se n’era andato, le sue mascelle non avevano smesso per un solo istante di muoversi. Tutta suo padre, in questo.
- Anne mi ha detto che oggi è venuto il fotografo. – disse la donna cercando di ottenere l’attenzione della bambina.
- Fofogafo? – borbottò questa senza aspettare di inghiottire il boccone.
- Sì, il tizio con il lumografo. – insistette Misato con un sorriso gentile. – E’ stata la tua prima foto di classe, per ricordarti dei tuoi compagni…
- Fofo?
Un dubbio improvviso si fece strada nei pensieri de la proprietaria della locanda.
- Tu… sai cos’è una fotografia, vero Aki?
In tutta risposta, lo sguardo della piccola si fece più perplesso che mai.
 
- Mi fa male!
Oltre le lagne di Aki, la signora Midori lo aveva squadrato di sotto in su con uno sguardo lievemente minaccioso.
- Che cos’è, questa? – gli aveva chiesto perentoria.
Lui si era stretto nelle spalle.
- E’ solo un’erba che cresce nel bosco. Quando mi facevo male mi faceva guarire più in fretta le ferite.
Midori aveva continuato a fissarlo con sospetto.
- Non so come si chiama.
Aveva finalmente scoperto la ferita, che nel frattempo aveva smesso di sanguinare e sembrava sulla buona strada per rimarginarsi. La signora Midori l’aveva esaminata per qualche minuto, prima di fasciarla di nuovo con della garza pulita.
- Portami dove hai trovato questa erba.
Il tono era duro, ma aveva perso qualsiasi nota minacciosa. Riku si era limitato a fare strada.
- Chi ti ha insegnato queste cose? – gli aveva chiesto poco più tardi, con qualche ciuffo di quella erba arrotolato in un sacchetto di cotone.
Lui aveva scrollato la testa.
- Nessuno. Io so soltanto che funziona. O quello, o le pietre calde sotto al sole.
 
Riku si riscosse.
Il dito aveva scorso lungo tutta la pagina, ma non avrebbe saputo dire cosa era scritto oltre il titolo.
Era stata la prima volta, pensò, la prima volta che la signora Midori gli aveva prestato un libro di medicina. Un libro di erbe, per la precisione. La sua erba del bosco era a pagina 36 e aveva un nome preciso.
Se vuoi diventare davvero un pirata, aveva detto, qualche nozione di medicina ti potrebbe essere utile.
Era la prima volta che l’aveva sentita parlare della sua idea di diventare un pirata.
Riku chiuse il libro di scatto. Non riusciva a concentrarsi, nonostante quel raro e miracoloso silenzio. Fuori il cielo cominciava a tingersi di sfumature arancioni, e Aki non era ancora rientrata.
 
- Ecco qua!
Aki aveva guardato il piccolo pezzo di vetro e sughero che la signora Misato si era tanto data da fare ad appendere alla parete di fianco al bancone. Tirandosi in piedi sulla sedia per guardare da vicino, scorse tante piccole facce come disegnate, ed erano le facce degli altri bambini del villaggio con la maestra.
- E’ un vero peccato che Midori non sia ancora tornata. – si lasciò sfuggire la donna, riponendo il martello e i chiodi in un cassetto. – Ma non è un problema, tanto ne avrete un’altra anche l’anno prossimo! – si affrettò ad aggiungere.
La bambina continuava a guardare l’immagine con curiosità.
- Questa sono io? – chiese puntando il dito al centro esatto della foto e lasciando sul vetro l’impronta di una ditata.
Misato non poté trattenere un sorriso.
- E chi altro potrebbe essere con quei capelli? – disse scarmigliandole i ciuffi rossi pieni di nodi.
 
- E’ una specie di veleno.
Era tarda notte, la luna e la luce che filtrava dal microscopio erano le uniche luci nel piccolo laboratorio improvvisato e riempito di roba. Midori staccò gli occhi dalle lenti e accese la luce sopra la sua scrivania tirando giù un paio di libri dallo scaffale.
- Ce l’hanno tutti, grandi e bambini.
Kuma la osservava impassibile mentre lei sfogliava velocemente le pagine, un libro dopo l’altro.
- Le percentuali sono basse, forse è qualcosa che dagli adulti non viene assorbito…
Nella fretta di afferrare un nuovo libro, quello che aveva tra le dita le cadde di mano. Di riflesso chiuse la mano e le ultime pagine si strapparono, mentre il pesante tomo cadeva irrimediabilmente per terra.
- Forse dovresti riposare.
Midori alzò la testa di scatto, portando istintivamente la mano a cercare l’elsa della katana. Kuma era arrivato a toccarle il braccio senza che lei nemmeno lo avesse visto muoversi. Lo fissò per un lungo istante. Allentò la presa su Shingetsu. E poi successe. Si lasciò cadere in ginocchio, assieme al suo libro e fissò il pavimento fino a che non sentì la porta del laboratorio cigolare e i passi del rivoluzionario allontanarsi.
Solo allora si mise a piangere.
  
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