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Autore: _Lisbeth_    03/01/2019    7 recensioni
Maylor (Brian May/Roger Taylor)
1969/1988
Dal primo capitolo:
- Roger, ti sei mai preoccupato per i sentimenti di qualcuno che non sia Tim? – lo interruppe Brian, calmo. Tranquillo, anche troppo, ma il suo cuore era sprofondato. Non riusciva più ad ascoltare le sue parole, le sue urla, i suoi attacchi e le autocommiserazioni. Per lui importava solo Tim. Era solo, lo aveva appena detto. Solo, senza Tim. E lui cos’era, allora?
Il ragazzo dagli occhi azzurri socchiuse la bocca, fermandosi. Deglutì. – Io… sì. Che razza di…
Brian gli si avvicinò, guardandolo negli occhi, toccandogli leggermente il petto con un dito magro. – Io invece penso proprio di no.
Lo scansò prendendolo per le spalle, facendosi spazio dietro di lui, uscendo dalla camera e chiudendo delicatamente la porta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 3 - And now you leave me
 
Brian continuò a stringere e carezzare dolcemente il corpo tremante del migliore amico, che pur avendo smesso di piangere continuava a essere scosso da piccoli sussulti. Probabilmente aveva freddo, si disse Brian. Lo lasciò andare per un momento, per poi prenderlo per una spalla aiutandolo a sedersi sul divano. Afferrò una coperta e gliela mise sulle spalle, sedendosi poi accanto a lui guardandolo con apprensione. Non lo riconosceva più, era così… Diverso. Era fragile, indifeso e triste. Roger non aveva mai affrontato così un dispiacere, forse solo dopo il divorzio di Michael e Winifred, ma almeno in quel momento aveva reagito. Ma in quel momento sembrava aver perso ogni voglia di reagire, con tutte quelle cose sommate tra loro. L’abbandono di Tim, l’accaduto della sera precedente e… Quello che Tim gli aveva detto, forse gli aveva fatto più male di tutto. Accarezzò dolcemente i capelli biondi di Roger, sospirando. – Rog, ehi.
L’amico alzò leggermente gli occhi per guardare i suoi. Brian li vide tristi e stanchi.
- Che ne dici di… Guardare un film? Il tuo preferito, ho anche la cassetta! Oppure… Potrei mettere su il vinile di Hendrix, o potremmo ordinare qualcosa da mangiare, tipo…
- Bri, non ho fame.
- No, non ci credo. Tu hai sempre fame.
- Non ora.
Il chitarrista sospirò, guardando l’amico per poi alzarsi. – Dai, Rog. Tirati su, distraiti. Andiamo al cinema, che dici?
- Non voglio uscire. – mormorò Roger. Brian scosse la testa – Se non vuoi uscire, vediamo un film o facciamo qualcos’altro qui. Ma non puoi restare a far nulla, hai bisogno di un po’ di svago.
- Hai rotto i coglioni. – disse il biondino, tirandosi la coperta più vicino. Il ragazzo più grande sorrise leggermente. Almeno qualcosa di Roger era ancora lì. Certamente il linguaggio non sarebbe cambiato nemmeno se gli avessero tolto la batteria. O la macchina.
- Dai, Rog, ho Peeping Tom a portata di mano. Anche Psycho. Sono i tuoi preferiti.
Roger tirò giù la coperta. Gli occhi non erano più lucidi. – Tu odi gli horror. 
- Sì, ma amo te alla follia. – scherzò Brian, prendendo le due cassette e tenendole in mano.
Il biondo sorrise timidamente. Mandò per un attimo a fanculo il pensiero di Tim, le parole che gli aveva detto, le stronzate che lui stesso aveva fatto. Sentiva che se ci fosse stato Brian, avrebbe potuto fare tutto. Avrebbe potuto dire tutto, avrebbe potuto sentirsi libero e supportato. E lo capiva solo in quel momento, mentre vedeva il suo migliore amico certo di ciò che diceva, sebbene fosse un coniglio quando si trattava di film horror.
- E va bene. Peeping Tom sia.
 

 
- Roger, che cazzo succede?! – esclamò Brian, praticamente in piedi sulla sedia per la paura. Sentiva le urla provenire dalla sala, mentre sullo schermo erano proiettate immagini che lui avrebbe evitato di vedere. Sentì il migliore amico ridere mentre sgranocchiava i suoi popcorn. – Le stanno sfasciando la testa.
Brian si fece sfuggire una smorfia disgustata, stringendo il bracciolo della sedia con la mano libera. L’altra era a coprire i suoi occhi. Il migliore amico continuò a dirgli tutti i dettagli, mentre il riccio tremolava. Roger rise. – Sei un senza palle.
- Non sono un senza palle, solo che vorrei dormire, sta notte.
- Appunto.
Il riccio maledisse se stesso e Roger per essere andato a vedere quel film. Lo aveva accontentato perché Tim non era potuto andare con lui, ma tra tutti i film che poteva scegliere, doveva andare a prendere proprio “La notte dei morti viventi”? Aprì leggermente due dita, vedendo di sfuggita il cadavere di Helen per terra, facendosi sfuggire un urletto che fece scoppiare a ridere Roger, mentre una ragazza si girava verso di loro, zittendoli. Brian lasciò andare uno sbuffo frustrato. – Ti odio.
- Lo so.
 
Quando uscirono dal cinema, Brian era praticamente scioccato. Tremava ancora, mentre Roger continuava a sfotterlo facendo battute poco gradevoli. Il riccio lo guardò malissimo. – Non sei affatto divertente.
- Tu invece sì. Sai, forse è meglio che Tim non abbia potuto accompagnarmi. Mi sono divertito di più.
Brian non ci credette. Sapeva quanto Roger ci fosse rimasto male, anche se non lo faceva vedere e non lo avrebbe mai detto a voce alta. Tremante per il freddo e per la visione che lo aveva disturbato non poco, mise le mani in tasca facendo uscire dalla bocca una nuvoletta di fiato caldo, guardando Roger. – Che facciamo ora?
- Io voglio mangiare fino a sfondarmi. Se andassimo a strafogarci di carne? – propose il batterista.
- Ma se sono vegetariano.
- Una pizza?
- Rog, hai appena mangiato un pacco grande di popcorn. Farai indigestione.
- Che palle. Sembri mia nonna.
Il ragazzo più grande alzò gli occhi al cielo, prendendo le chiavi della sua 500 dalla tasca del giubbotto, aprendo le portiere. – Pizza sia.
Roger lo fermò prima che potesse salire. – Mi fai guidare?
- Sì, Roger, in un'altra vita. Quando inizieranno a piacermi i film dell’orrore.
- Brian Harold May, fammi guidare.
- Roger Meddows Taylor, non ti faccio guidare.
Il biondo fece una smorfia scocciata, sbuffando e facendo il giro, salendo al sedile del passeggero, mentre Brian accendeva il motore.
- Prima o poi te la graffio. Ci incido sopra la mia faccia.
Brian sospirò, spingendo il piede sull’acceleratore e partendo, dirigendosi verso la pizzeria.

 

 
- Questo film non ha un senso. Questo uccide le persone senza motivo. – osservò Brian, infilando le mani nella coperta. Roger alzò gli occhi al cielo, indicando il televisore. – Guarda che c’è un motivo. Vuole fare un documentario con la reazione delle sue vittime mentre le uccide.
- Quindi in pratica oltre a essere pazzo è stupido. Chi è così idiota da fare un documentario in cui, in pratica, sbandiera a tutti che… AH! – Brian saltò sul divano, quando il pugnale sistemato sul treppiedi del criminale uccise la povera giovane attrice. Roger non si mosse di un millimetro, facendo un piccolo sorriso.
- Come diavolo fai a restare impassibile?
- Non sono un caga sotto come te.
- Ma l’ha appena uccisa!
- Bravo, vedo che hai ancora il senso della vista.
Brian sbuffò, incrociando le braccia, tremando leggermente. Continuò a guardare il piccolo e vecchio schermo, mentre sentiva il respiro leggero di Roger sulla spalla. Il fiato del ragazzo gli fece venire i brividi, ma non si scostò. La testa bionda del migliore amico era appoggiata sulla sua spalla, e per un attimo Brian ebbe voglia di stringerlo meglio a sé, ma non lo fece. Sapeva che Roger non amasse particolarmente quel tipo di attenzioni, e forse era stato un miracolo che, prima di quel momento, lo avesse abbracciato. Pensò che non aveva mai ricevuto un abbraccio così da parte del ragazzo, mai. E non era stata una brutta sensazione, quella che aveva provato quando Roger gli aveva circondato il petto con le braccia. Lo aveva fatto sentire a casa.
- Bri. – lo sentì mormorare. Guardò il ragazzo. – Sì?
- Grazie.
- Per cosa? – gli domandò, guardando il televisore. Fortunatamente le immagini del film erano diventate tranquille scene quotidiane.
- Per quello che stai facendo per me.
- Anche se mi hai rotto metà dei regali che mi aveva fatto mia nonna, sai che sei importante per me.
- Erano tutti da parte di tua nonna, quei cazzo di soprammobili?
- Sì. Le piacciono.
Roger rise. – Forse anche troppo.
- Non toccare mia nonna.
- No, figuriamoci. Fattene regalare altri.
- Così me li rompi?
- Esattamente. – rispose Roger, sistemandosi meglio sulla sua spalla. Brian sentì il cuore tremare. Guardò per un attimo il migliore amico, che aveva smesso di tremare ed era visibilmente più sereno. Era riuscito a farlo distrarre, ma dall’espressione di Roger (pur sempre più distesa di un’ora prima) capiva che stava ancora pensando a qualcosa che lo faceva star male. Lo strinse a sé.
- Ahia, non sono una spugna.
- Ma se non ti ho fatto niente.
- Solo perché sei un manico di scopa, non vuol dire che tu non abbia forza nelle braccia.
- Sei insopportabile e io sono arrabbiato.
- E allora perché mi abbracci?
- Cristo, ma perché a me? – sospirò Brian, togliendo il braccio dalle spalle di Roger. Il biondo rise. – Dai, sto scherzando. Non era male.
- Mi prendi per il culo?
- Solo un pochino.
- Mi stai dando ai nervi.
Roger sorrise lievemente, mentre vedeva i titoli di coda scorrere sulla TV. Si girò verso Brian. – Era così male?
- Sì. Meno di quello che abbiamo visto al cinema. Però la trama di questo era stupida e inutile. Anche perché…
- Ma stai zitto che mi stanno cadendo i coglioni a terra.
Brian alzò gli occhi al cielo, alzandosi e andando a spegnere il televisore. Guardò poi Roger, vedendolo avvolto nella coperta. – Stai bene? – gli chiese, apprensivo. Il più piccolo scrollò le spalle, deglutendo. – Sto bene, Bri. Mi fa ancora male la testa, ma… E’ tutto a posto.
Il chitarrista gli si avvicinò. Il tono del migliore amico non lo convinceva per niente, ma non disse nulla. Semplicemente scosse la testa. – Ma come devo fare con te? Ti cacci sempre nei guai e devo puntualmente farti da grillo parlante.
- Per me non c’è alcun problema a essere lasciato in pace, Brian. Sono abbastanza grande per gestirmi da solo, chiaro? – sospirò Roger spazientito
- Sì, l’ho notato dalle minchiate che hai fatto ieri.
- Ascolta, non tirare fuori discorsi che non c’entrano.
- Sei scemo?
- Mi conosci da quasi due anni, Bri, dovresti sapere che lo sono.
Brian sospirò e decise di lasciar perdere. Poi vide Roger sorridere, sebbene si vedesse che ancora non fosse di buon umore. – Ti ricordi la prima volta che ci incontrammo?
 

 
- Ciao! Tu devi essere Roger, giusto? – gli disse il chitarrista, con un’espressione accogliente e rassicurante in viso. Roger lo guardò meglio: era molto alto e magro, aveva i capelli ricci e gli occhi color castano chiaro. Un sorriso ampio, sincero e spontaneo era disegnato sul viso allungato e la carnagione era molto chiara, un po’ meno della sua. Il biondo strinse con decisione la mano che gli aveva allungato il ragazzo, sorridendo a sua volta. – In carne e ossa.
- Io sono Brian, Brian May. E’ un piacere conoscerti. Hai fame? – gli chiese il ragazzo, facendolo accomodare nel soggiorno della casa dei suoi genitori. – Mia madre sta preparando dei biscotti e del Thè.
Roger non rinunciava mai al cibo. Adorava mangiare, per questo accettò volentieri la proposta del ragazzo, che si sedette sulla poltroncina di vimini accanto al divano su cui lui era seduto. Una donna alta e mingherlina, molto simile al ragazzo, con i capelli corti e ricci e un sorriso luminoso entrò nella stanza, con un grembiule rosa chiaro e un vassoio colmo di biscotti. Appoggiò il vassoio sul tavolino, guardando poi Roger. – Sono Ruth, la madre di Brian. Spero i biscotti ti piacciano, il Thè è ancora nel bollitore, ma tra poco sarà pronto. E’ bello averti qui, sei così carina!
Roger rimase per un attimo a fissarla con la bocca semiaperta, senza capire. Poi vide Brian spalancare gli occhi, fissando la donna. – Mamma, è un ragazzo. Si chiama Roger.
- Uh, oddio! Devi perdonarmi, caro, sono davvero un’idiota! Ma come è potuto saltarmi in mente? – si scusò la donna, rossa in viso, guardando il biondo con aria mortificata. Il ragazzo più piccolo rise, scuotendo la testa. – Non si preoccupi, signora May.
Ruth sospirò di sollievo, passandosi una mano sulla fronte. – Menomale, che stupida che sono. Stavo per…
- Mamma, credo che il bollitore stia fischiando, vai in cucina a controllare! – balbettò Brian con evidente imbarazzo. La donna sembrò capire subito il disagio del figlio e alzò le mani, annuendo. – Vado, vado. Spero di non combinare altri danni anche con il Thè! – esclamò mentre si avviava in cucina. Brian sospirò, guardando Roger. – Devi scusarla, non le avevo spiegato nulla, le ho detto solo che avremmo avuto ospiti.
- Sembro così tanto una ragazza? – chiese Roger, guardandosi le mani e facendo una piccola smorfia.
- Beh, no. Non so perché mamma ti abbia scambiato per tale.
- In tal caso, spero di essere una bella figa.
Brian lo guardò piegando la testa da un lato. – Beh, io…
- Scherzo. So di essere bellissimo. – Gli rispose, allungandosi per prendere un biscotto. Il ragazzo coi capelli ricci aggrottò la fronte. Roger lo guardò. – Cosa c’è? – gli chiese con la bocca piena.
Brian scosse la testa, cambiando argomento. – Quindi tu sei un batterista. E’ da molto che suoni?
- La batteria no, mi sono appassionato da un pochi anni. So suonare la chitarra e so cantare, soprattutto le note più alte, ma mi sento molto più a mio agio quando suono la batteria, e più portato.
Brian annuì, ascoltandolo. Ruth rientrò nel soggiorno, appoggiando le tazzine del Thè sui sottobicchieri che aveva posato sul tavolino, per poi tornare in cucina. Il riccio prese una delle due tazze, soffiando leggermente per non bruciarsi. – Come ti sei appassionato alla musica?
- Diciamo che ci sono nato, con la musica. Studio canto fin da quando ero piccolo, mio padre è un musicista e ascolto molti artisti.
- Tipo?
- Il mio preferito è Jimi Hendrix.
Brian sorrise. – Per me puoi entrare nella band anche subito.
Roger ridacchiò. – Lo sapevo.
- Purtroppo il solista, che è anche bassista, Tim, oggi non c’è. Però gli parlerò di te.
- Cazzo, tua madre è fantastica a cucinare. Questi biscotti mi fanno venire voglia di un avere un orgasmo.
Brian sollevò le sopracciglia. – Che?
- Spaccano! Credo di essermi innamorato di tua madre.
- Ma cosa?! – esclamò il riccio, fissandolo a occhi strabuzzati. Il biondo rise, dandogli una piccola pacca sulla spalla. – Sto scherzando, amico.
- Ah. – disse Brian, guardandolo con un’espressione tra l’infastidito e il confuso.
- Oh, ma dai, come sei serio. Hai diciotto anni, su con la vita.
- Veramente ne ho venti.
- Sei più vecchio di me, allora. Vai all’Università?
- Sì, studio astrofisica. – gli rispose Brian, serio.
- Che figata! – Roger saltò dal divano, facendo tremare Brian quando fece quasi cadere la tazzina con il Thè all’interno.
- Tu cosa vorresti studiare? – gli domandò il chitarrista, bevendo il suo Thè.
- Odontoiatria. O biologia. Ma l’astrofisica dev’essere sicuramente più bella! – poi aggrottò la fronte. – Aspetta, ma cos’è l’astrofisica?
 

 

- Eri proprio un coglione. E il fatto è che lo sei ancora. – disse Brian, scuotendo la testa e sospirando. Roger fece una smorfia. – Le tue parole sono coltelli.
- Anche le tue. Per la mia sanità mentale e la mia pazienza.
- Eppure sono il tuo migliore amico.
- Mi domando ancora come sia potuta succedermi tale disgrazia.
- Atro che coltelli, questi sono proiettili direttamente sparati nei coglioni.
- Ne sono profondamente lusingato.
- E’ per questo che non riesci a trovarti una ragazza.
Brian lo fulminò con lo sguardo. D’un tratto, il telefono squillò di nuovo. Roger guardò Brian mentre si alzava per prendere l’apparecchio, alzando la cornetta e avvicinandola all’orecchio. Quando la voce dalla parte opposta rispose, il riccio fece un’espressione corrucciata. – Clare?
Roger rizzò le orecchie quando sentì il nome della sorella. Si avvicinò a Brian togliendogli il telefono dalle mani. Alzarsi così all’improvviso gli aveva fatto girare la testa, che ancora gli faceva male per i postumi della sbornia. – Che succede?
- Roger, oh, grazie al cielo sei lì. Stai bene? – sentì dire dalla ragazzina. Quando sentì la sua voce tremare, insistette. – Che è successo?
- Stai bene, Rog?
- Sì, sì, cazzo. Vai avanti, per Dio. Avrai chiamato per un motivo.
- P-papà… L’ha fatto ancora. – deglutì la sedicenne. Il respiro di Roger si fermò per un attimo.
- Cos’ha fatto? – il tono era gelido. Il sangue gli ribolliva nelle vene, il cuore cominciò a battergli all’impazzata. Sentì Clare fare un respiro profondo. – Lui… Lui è tornato a casa urlando, ha iniziato a prendersela con me.
Roger spalancò gli occhi, sbiancando. Sua sorella era da sola, sola con quel matto. Piccola e indifesa. – Clarie, dove sei? Dov’è lui? Ti ha fatto del male? – disse, cercando di assumere il tono più delicato che poteva per non spaventarla di più.
- Sono chiusa in camera mia. Roger, ho paura.
- Ti ha fatto del male, Clare?
- No, io… Sono scappata prima che mi prendesse. Ma lo sto sentendo urlare.
- Resta dove sei, Clarie. Sto arrivando.
- Roger, no. Ti farà male.
- Ho detto resta dove sei. Dammi cinque minuti. – appoggiò la cornetta al suo posto. Dimenticò tutto. Pensò solo a prendere la giacca e aprire la porta. Brian lo prese per il polso. – Ma che fai?
- Devo andare da Clare.
- Roger non puoi guidare. Non sei nelle condizioni nemmeno per fare un isolato.
- Brian, cazzo, ma non capisci? Sei stupido? Mia sorella sta passando il momento peggiore della sua vita probabilmente, è da sola, cazzo! Lasciami immediatamente e fammi uscire!
Brian tirò fuori le chiavi della macchina dalla tasca. – Non ho detto mica che non devi andarci.
Roger lo guardò con occhi stupiti e confusi. Brian stava facendo davvero una cosa simile per aiutarlo? A costo di assistere allo scempio che avrebbe fatto suo padre? – Bri, non…
- Vuoi aiutare tua sorella o no? Muoviti. – uscì dalla casa trascinando il biondo con sé, entrando in macchina e facendo sedere il ragazzo sul sedile accanto al suo.
- Conosci la strada? – gli chiese il più piccolo.
- Sì.
- Come cazzo fai? Non sei mai stato a casa di mio padre.
- Ti accompagnai, una volta. – sterzò velocemente, cercando di andare meno lentamente possibile per arrivare presto all’indirizzo.
- Sono proprio rincoglionito.
- Sì, concordo.
- A sinistra.
- Lo so.
Roger si appoggiò allo schienale, respirando profondamente. Ad ogni angolo che superavano, il cuore gli batteva più forte e l’ansia cresceva. Dopo un bel po’ di chilometri riconobbe la casa da lontano, deglutì e guardò Brian. Il suo sguardo era fisso sulla strada, mentre si avvicinavano sempre più all’edificio scuro.
Il biondo non aspettò nemmeno che Brian si fermasse. Aprì la portiera, sentendo dietro di lui il ragazzo più grande urlargli di calmarsi. Si sbatté il portello alle spalle, correndo davanti alla casa. E si ricordò di non avere le chiavi.
- Merda, merda, merda. – ansimò, cercandole ovunque. Controllò anche sotto allo zerbino per una chiave di riserva, ma non trovò nulla. Nel frattempo, lo aveva raggiunto anche Brian. Si guardò intorno, cercando di capire come poter entrare. E si rese conto che le finestre erano basse. – Prendimi sulle spalle.
- Cosa?
- Brian, prendimi sulle spalle. Adesso.
- Non hai intenzione di entrare dalla finestra, vero?
- E’ camera di Clare, se è ancora chiusa lì come mi ha detto, mi aprirà. – A Roger sorse un dubbio. Non sentiva nulla provenire dalla casa. Niente di niente. Non un sussurro, non una parola, non un grido. Tremante, guardò Brian. – Bri, per favore.
Il riccio lo guardò, respirando profondamente e annuendo. Si inginocchiò lasciando che il ventenne si arrampicasse sulle sue spalle, e stringendo gli occhi si rimise in piedi. Nonostante la statura, Roger non era esattamente leggerissimo.
Il ragazzo sbirciò con gli occhi azzurri dentro alla finestra, e vide una ragazzina accucciata a terra, spaventata, con una racchetta da tennis in mano, forse unica cosa che aveva a disposizione per difendersi. Sospirò di sollievo, bussando con le nocche sulla finestra. Vide Clare sobbalzare, ma poi la guardò girare lo sguardo verso la finestra e aprire la bocca, quando lo vide lì. E poi sentì Brian imprecare per la quarta volta. Sua sorella si alzò, correndo alla finestra e aprendola.
- Bri, spingimi un po’ più su. – disse al chitarrista.
- Sei impazzito?
- Dammi la mano, ti aiuto io. – gli consigliò sua sorella. Roger fece come gli era stato detto, e Clare lo tirò dentro mentre Brian lo agevolava mettendosi in punta di piedi. Quando Roger salì, la preoccupazione invase il corpo del riccio. Il biondo si affacciò. – Grazie, santo May.
- Rog, stai attento. Per favore.
- Sì, sì, che palle. – poi si allungò verso Brian, scompigliandogli i capelli per poi chiudere la finestra. Clare lo strinse forte.
- Stai bene? – le chiese.
- Sì.
- Lui… se ne è andato? Non lo sento.
- No. E’ qui. Ha smesso di urlare, ma non è uscito. Avrei sentito la porta aprirsi.
Roger sospirò, poi guardò la sorella negli occhi. – Perché cazzo sei qui? Perché non sei da mamma?
- Io…
Sentirono un rumore metallico provenire dalla cucina. Forte, stridente. Il maggiore rizzò la schiena e le orecchie, prendendo la mano di Clare per tranquillizzarla. Sentiva la sorella tremare come una foglia, lui deglutì. Si girò verso di lei, mettendole le mani sulle spalle. – Io adesso vado. Tu devi promettermi che resterai qui, qualunque cosa accada.
- Rog, non…
- Promettimelo, Clarie.
Clare respirò profondamente, guardando gli occhi del fratello, identici ai suoi. Lo abbracciò, mentre lui la stringeva a sé di rimando. – Promettimelo.
- Promesso. – sussurrò la sorella.
- Come quando eravamo bambini, okay? Chi infrange la promessa mangia solo verdure per una settimana intera, Clarie. – raccomandò Roger, sorridendole. La sedicenne annuì. Il maggiore le rivolse un ultimo sorriso, prima di salire al piano di sopra. Non aveva preso nulla per difendersi, ma era bravo almeno a tirare pugni e calci. Pensò che non sarebbe potuta andare peggio, quel giorno. Stava di merda per Tim, si sentiva un irresponsabile per come si era comportato e la testa gli faceva ancora un male cane. Ma per sua sorella avrebbe distrutto tutti anche da moribondo.
 

 
Il ragazzino si stropicciò gli occhi quando sentì una voce flebile e tremante chiamò il suo nome.
- Roggie, fratellone. Roggie Rog.
Roger puntò lo sguardò sulla sorellina, sbadigliando e tirando su col naso. – Clare. Che fai? E’ notte fonda. Saranno le tre del mattino.
- Ma fratellone…
- Clarie, vai a dormire. – disse, girandosi dall’altra parte. La bambina di sei anni gli scosse la spalla, e lui si voltò di nuovo.
- Non riesco a dormire, Roggie. – sussurrò la bambina, con le lacrime agli occhi. Appena Roger, seppur assonnato e al buio, vide quelle lacrime luccicanti, si sedette sul letto, guardando sua sorella e asciugandogliele. – Hai sognato qualcosa di brutto?
La sorellina annuì, abbracciandolo. Il maggiore sospirò, ricambiando quell’abbraccio e facendo sdraiare sua sorella nel letto. Prese un libro dallo scaffale più in basso, avvicinandosi alla sorella e sfogliandolo piano. A Roger e Clare era sempre piaciuto leggere, ogni giorno leggevano uno o due capitoli dei libri che la loro mamma comprava, e quando ne finivano uno ne leggevano un altro, e poi un altro ancora. Da alcuni giorni avevano iniziato a leggere “Le Avventure di Pinocchio”, e a entrambi piaceva molto e faceva ridere. Il maggiore si sedette sulla sedia davanti al letto dov’era stesa la sorella, che si era portata le coperte fino al naso per il freddo. – Dov’eravamo arrivati? – chiese Roger, sebbene fosse stanchissimo e non avesse voglia di leggere, ma solo di dormire. Clare si alzò mettendosi seduta, guardando il fratello. – Al capitolo in cui Pinocchio rivede la fatina.
- No. Quello lo abbiamo superato.
- Allora quello in cui fa a cazzotti!
- Nemmeno. Superato.
Clare si toccò il naso con un dito, pensando. Poi prese il libro dalle mani di Roger.
- Ehi! – squittì il maggiore.
- Ecco! Siamo arrivati qui! – esclamò Clare, restituendo il libro a Roger. La bambina sapeva già leggere, anche se non bene, nonostante a scuola ancora non glielo avessero insegnato. L’aveva messa sulla buona strada sua madre, che per prima cosa le aveva insegnato l’alfabeto, poi le aveva fatto scrivere e leggere ad alta voce delle intere parole.
Roger afferrò il libro e annuì, prendendo fiato e iniziando a leggere.
 
- “Domani finalmente il tuo desiderio sarà appagato!” esclamò la Fata. “Cioè?” chiese Pinocchio. “Domani finirai di essere un burattino di legno, e diventerai un ragazzo per bene.”
Dopo poche pagine, il capitolo era finito, così Roger chiuse il libro, assonnato. Sbadigliò, per poi rendersi conto che la sorellina, probabilmente già da un bel pezzo, si era addormentata. Si stiracchiò, alzandosi dalla sedia e mettendo a posto il libro, stendendosi per terra, su un tappeto, lasciando il letto alla piccola Clare. Nonostante quel posto fosse scomodissimo, Roger si addormentò quasi immediatamente, con un’espressione serena sul viso da bambino. 
   
 
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