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Autore: _Lisbeth_    21/12/2018    6 recensioni
Maylor (Brian May/Roger Taylor)
1969/1988
Dal primo capitolo:
- Roger, ti sei mai preoccupato per i sentimenti di qualcuno che non sia Tim? – lo interruppe Brian, calmo. Tranquillo, anche troppo, ma il suo cuore era sprofondato. Non riusciva più ad ascoltare le sue parole, le sue urla, i suoi attacchi e le autocommiserazioni. Per lui importava solo Tim. Era solo, lo aveva appena detto. Solo, senza Tim. E lui cos’era, allora?
Il ragazzo dagli occhi azzurri socchiuse la bocca, fermandosi. Deglutì. – Io… sì. Che razza di…
Brian gli si avvicinò, guardandolo negli occhi, toccandogli leggermente il petto con un dito magro. – Io invece penso proprio di no.
Lo scansò prendendolo per le spalle, facendosi spazio dietro di lui, uscendo dalla camera e chiudendo delicatamente la porta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 2 - You've broken my heart
 
Brian si chiuse la porta alle spalle, respirando profondamente e avviandosi nel suo salotto, dove Freddie lo spettava a gambe accavallate e con gli occhiali da sole inforcati. – Ce ne hai messo, di tempo.
Il chitarrista inarcò un sopracciglio. – E’ casa mia.
- Lo so, ma far aspettare gli ospiti è maleducato. Come sta il tuo amico? – chiese Freddie, togliendo gli occhiali da sole e appoggiandoli sul bracciolo del divano su cui era seduto. L’appartamento di Brian non era molto grande, quella sala era praticamente striminzita, come la sua camera e la cucina, ma in compenso aveva due bagni. La chitarra la teneva esposta alla vista di tutti proprio nella sua stanza, così come l’amplificatore. Il riccio si appoggiò al muro, guardando Freddie e alzando le spalle. – Mi ha vomitato sul pavimento.
Il giovane Bulsara fece una smorfia disgustata, per poi indicare l’asta del microfono che era appoggiata disordinatamente al muro. – Gli hai parlato della band?
- Sì, ma era troppo rincoglionito per capire.
- Da ciò che pare, è sempre così.
Brian sospirò, incrociando le braccia al petto. – Evidentemente. – si sedette su una piccola poltrona in un angolo della stanza, mentre Freddie canticchiava. Il chitarrista pensò che avesse una voce bellissima, unica, speciale. Ed era dieci volte migliore rispetto a quella di Tim. Sorrise. – Per niente male.
Freddie gli rivolse un sorrisetto compiaciuto, incrociando le braccia. – Lo so.
Il telefono di Brian squillò, facendo aggrottare la fronte a Freddie. – Spero sia per una giusta causa, chiunque abbia chiamato ha interrotto il mio canto e dovrebbe vergognarsi.
- Pronto? – rispose Brian sollevando la cornetta. Sentì una voce femminile e familiare dall’altra parte, che gli chiedeva, evidentemente irrequieta, come stesse suo figlio. Il chitarrista deglutì alla domanda di Winifred Taylor, riflettendo. Era arrabbiato con Roger, da morire, ma non voleva far preoccupare eccessivamente sua madre. Sospirò, scuotendo la testa. – E’ qui, con me. Sta bene, solo un po’ di mal di testa e… - cercò un termine che non facesse troppo schifo. – indisposizione.
- Era con te, ieri? – sentì dire dalla donna, poi chiuse leggermente gli occhi. – Sì, ha passato la serata da me e ha dormito qui.
Udì la signora Taylor sospirare, sollevata. Deglutì, nel sentire il suo “Grazie, Brian”. Le aveva mentito. Brian non mentiva quasi mai, e soprattutto, quella era la peggiore situazione in cui mentire. La madre del suo migliore amico (testa di cazzo), che era ancora sotto gli effetti del post sbornia, lo aveva chiamato preoccupata per chiedergli come stesse suo figlio, e lui le aveva mentito. Sospirò, salutando la donna e appoggiando la cornetta al suo posto. Vide Freddie accendersi una sigaretta, e alzò gli occhi al cielo. – Dopo questo la mia casa puzzerà di sbornia e fumate.
Freddie aggrottò la fronte. – Non fumi, caro?
- Non sono quel tipo di persona che fa di tutto per aumentare le possibilità di morire prematuramente.
- Come sei noioso. Ma quanti anni hai?
- Ventidue.
- Oh, pensavo ne avessi qualcosa tipo, che so, settantasei.
Brian ruotò gli occhi nelle orbite e scosse la testa. Poi sospirò, pensando a come aveva trattato Roger. Certo, meritava una strigliata. Ma probabilmente stava passando uno dei momenti più scomodi e incasinati della sua vita, e non aveva nessuno accanto a sé. Aveva perso la verginità con qualcuno che nemmeno conosceva e sicuramente doveva stare di merda per questo. Forse si stava preoccupando troppo, aveva esagerato, probabilmente. Forse il suo dovere era solo quello di stargli vicino, e non quello di urlargli in testa che aveva sbagliato o che era deluso. Il fatto, era che quelle cose lui le pensava davvero, perché sebbene fosse preoccupato per lui e per quanto potesse star male, Roger lo aveva deluso davvero. Non si era dimostrato la persona forte che lui credeva di conoscere, aveva preferito voler dimenticare a reagire. E il fatto, era che non aveva dimenticato proprio un bel niente.
 

 
- Rog, capisco che tu sia curioso, ma ascolta questo consiglio, da migliore amico a migliore amico vergine. Aspetta il momento giusto. Non essere frettoloso, non farlo solo per curiosità. Fallo quando sarai sicuro di ciò che starai facendo.
Roger alzò le spalle, sedendosi sullo sgabello della sua batteria e mettendo a posto le bacchette. – Fai discorsi che farebbe mia madre, anzi, nemmeno lei. E’ una cosa come un’altra, Bri. Non mi devo certo sposare o laureare.
Il chitarrista sospirò. – E’ una cosa importante. Ma non per me, per te. Potresti pentirtene, un giorno. Io mi sono pentito.
- Tim no.
Brian trattenne la voglia di tirargli la chitarra sulla testa. – Non me ne frega niente di Tim. Ti sta parlando Brian May.
- Ascolta, apprezzo i tuoi consigli, ma non ne ho bisogno. Se mi andrà, quando mi andrà, lo farò. Non ci starò a pensare su come una vecchia pazza che parla da sola.
Il ragazzo coi ricci annuì a se stesso. A che serviva parlare a Roger? Tanto, in un modo o nell’altro, avrebbe fatto di testa sua. Forse glielo diceva solo perché sperava non si pentisse, come era successo a lui. Lo aveva fatto con una ragazza, per la prima volta. Era convinto di amarla, per tutto, per come parlava, per com’era caratterialmente e fisicamente. Prima di scoprire la sua omosessualità pochi anni dopo. Ed era ferito, quando aveva dovuto lasciare quella ragazza. Probabilmente se ne era pentita anche lei, non poteva immaginarlo, ma era plausibile.
- La prima volta è importante, Rog. Non la riavrai più indietro.
- Senti, pensala come vuoi. Ti ho domandato cosa si provi, non ti ho chiesto alcun consiglio.
- A volte sei un po’ una testa di cazzo.
Roger sorrise, accendendosi una sigaretta e portandola alle labbra. – Mi fa piacere che tu tenga così tanto al fatto che io scopi per la prima volta con te.
Brian sussultò, spalancando gli occhi e arrossendo leggermente. – Che cosa stai…
Il biondo rise leggermente, alzandosi e tirandogli un cazzotto un po’ troppo forte sulla spalla. Brian fece una smorfia, portandosi la mano sul braccio colpito. – Ahi, ma perché?
- Scherzavo, Bri. Sei la persona più eterosessuale che io conosca.
Brian deglutì, continuando a massaggiarsi la spalla. Poi si voltò, allontanandosi da Roger, leggermente innervosito. – Certo. La persona più eterosessuale che tu conosca. – sussurrò a se stesso, quando fu certo che il più piccolo non lo sentisse.

 

 
Roger ripensò a quel discorso, stringendo il cuscino tra le dita come a volerlo bucare. Deglutì, tremando per le fitte alla testa e allo stomaco. Era corso in bagno una o due volte per vomitare, ma in quel momento non aveva nemmeno la forza di alzarsi. Il suo stomaco aveva smesso di contrarsi, ma gli bruciava ancora come l’inferno. La testa era ancora peggio. Il dolore che sentiva la sera prima non era niente a confronto, in quel momento era come avere tanti spilli conficcati nel cervello, che gli facevano più male ogni secondo che passava. E quelle frasi, quelle maledette frasi, che si ripetevano nella sua mente senza dargli tregua, facendogli girare ancora di più la testa. Brian. Aveva bisogno di Brian.
Erano rari, i momenti in cui Roger Taylor aveva bisogno di qualcuno. Non chiedeva quasi mai aiuto, faceva sempre tutto sa sé e voleva gestirsi da solo in qualunque situazione, anche se ne avesse avuto la necessità non avrebbe mai messo in mezzo gli altri per qualcosa che avrebbe dovuto affrontare lui. Ma in quel momento, si sentiva talmente solo da farsi sovrastare dai pensieri. Ed era anche quello un problema, perché non si faceva comandare facilmente da essi. Era pragmatico e istintivo.
Non si sentiva nemmeno più se stesso, e continuava a pensare alle frasi di Brian e a ciò che aveva fatto. Tutto ciò che pensava, tutto ciò che aveva detto al suo migliore amico un mese prima era eclissato. Avrebbe voluto che la sua prima volta fosse con Tim, aveva promesso a se stesso che mai e poi mai si sarebbe fatto sfiorare da qualcuno che non fosse il ragazzo a cui, anche in quel momento, stava pensando. Qualcosa era andato storto, i pensieri che si accumulavano, l’alcool che li rendeva insopportabili.
Cercò di mettersi dritto, sedendosi e tentando di prendere il bicchiere d’acqua che Brian aveva appoggiato sul comodino accanto a lui. Mentre se lo portava alle labbra, vide il ragazzo più grande entrare, e per poco non fece cadere il bicchiere.
Brian lo guardava gelidamente calmo. Quella calma intimorì leggermente Roger. Come diavolo faceva a essere sempre così dannatamente serio, anche quando si vedeva lontano un miglio che era incazzato nero?
- Lo hai tirato lo scarico? – chiese il chitarrista. Roger lo guardò senza capire. - Che scarico?
- Quello del mio cazzo di bagno, Roger.
Il biondo socchiuse la bocca, mettendo a posto il bicchiere. – Oh. Sì, l’ho tirato.
Brian si sedette sul letto, dall’altra parte, dandogli le spalle. Mise i gomiti sulle ginocchia, prendendosi la testa tra le mani. – Ha chiamato tua madre.
Roger spalancò gli occhi, iniziando a sudare freddo. – Cazzo, mamma.
Effettivamente non si era nemmeno accorto del fatto che non vedesse sua madre da due giorni. Sarebbe dovuto tornare a casa, sua madre aveva bisogno di lui, Freddie avrebbe dovuto chiamare lei, ma come avrebbe fatto, senza il suo numero? A pensarci meglio, effettivamente non sapeva nemmeno come fosse riuscito a mettersi in contatto con Brian. – Come… Come ha fatto a chiamarti?
Il riccio continuò a dargli le spalle. – Chi?
- Freddie.
- Ha chiamato Tim, prima di me. Si conoscono
Roger deglutì quando sentì quel nome. – E… E tu che c’entri con Tim?
Brian si mordicchiò il labbro. Se glielo avesse detto, Roger ci sarebbe rimasto malissimo. Probabilmente anche troppo male, sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Ma il vaso era già traboccato la sera prima. Respirò profondamente, cercando di essere più delicato di quanto la rabbia gli permettesse. – Tim ha detto che non voleva saperne niente. Perciò ha dato a Freddie il mio numero.
Roger sentì un il cuore diventare pesante come un macigno. Respirò profondamente, cercando di non buttare all’aria ciò che si ritrovava intorno. Tim non aveva voluto saperne. Era come se non lo conoscesse, come se non se ne importasse nulla di lui. Forse era proprio così, forse a Tim interessava solo di se stesso, o semplicemente non era di lui che si preoccupava. Deglutì. – Te lo ha detto Freddie?
Brian annuì, senza parlare. Cambiò discorso. – Ti ho detto che ha chiamato tua madre.
- Lo so. Ho capito. – rispose Roger, gli occhi gli si erano fatti lucidi e la voce tremava. – Cosa le hai detto?
- Le ho mentito.
Il biondo si girò verso Brian. – Le hai mentito?
- Sì. Le ho semplicemente detto che ieri sei stato con me.
- Perché?
Brian si voltò. Lo guardò per la prima volta dal momento in cui era entrato nella camera. – L’avrei fatta morire di preoccupazione se le avessi detto la verità. E ti ho parato il culo come non meritavi nemmeno.
Roger sorrise. Brian non riusciva mai a non difenderlo, anche se avesse voluto, il biondo era sicuro che il più grande non ci sarebbe riuscito. – Grazie, Bri.
Il ragazzo coi capelli ricci iniziò a tamburellarsi la gamba con le dita, senza rispondergli. Non se ne andò, restò lì, sebbene fosse ancora di spalle al ragazzo. Non riusciva a starli lontano, in quel momento. Soprattutto dopo che gli aveva rivelato la verità su ciò che Tim aveva detto al telefono. Non voleva che stesse da solo, non voleva che accadesse ciò che era accaduto la sera precedente.
- Lasci l’ospite da solo? – chiese il più basso con voce roca, schiarendosi poi la gola dolorante. Brian scosse la testa. – Freddie è andato a casa sua. Ha detto che doveva… Badare ai suoi gatti, o una cosa del genere. E’ un tipo proprio strano, però ha una voce incredibile. Ci siamo dati appuntamento per domani per discutere della band.
Roger annuì, incerto. Non riusciva a pensare a un solista che non fosse Tim, e questo lo faceva arrabbiare con se stesso. Nonostante fosse passato appena un giorno, e nemmeno, dall’abbandono di Tim, lui avrebbe voluto superare subito la cosa, andare avanti. Dopotutto era una fortuna che avessero già trovato qualcuno che, di sua spontanea volontà, volesse entrare nella band. Ma non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero del suo abbandono. Più ci pensava, più il suo desiderio di sprofondare cresceva e sentiva di voler mollare tutto.
- Scusa. – sussurrò Brian, grattandosi il palmo della mano. Il cuore di Roger si ammorbidì nel petto, facendogli sorridere gli occhi e le labbra. – Sono stato irresponsabile. Ne subisco le conseguenze, non devi scusarti di nulla.
- Il fatto è… Che io sono arrabbiato, tanto arrabbiato con te. Ma non voglio lasciarti solo, o farti soffrire più di quanto stai già facendo. Io ti voglio bene, Rog. E non voglio che tu soffra.
Roger bevve un sorso d’acqua, tossendo leggermente per il bruciore alla gola. – Mamma cosa ha detto?
- Niente.
- Niente? Sono via da casa da due giorni e non dice niente?
Brian sospirò, preferendo non risponde. Roger e sua madre non avevano esattamente il rapporto che c’era tra lui e Ruth. Lei e il padre di Roger erano divorziati, e forse al ragazzo non era ancora andato giù il boccone. Inoltre, la salute di Winifred era instabile. Il divorzio dal marito aveva solo aggravato la sua condizione e Roger ne era consapevole, ma probabilmente era una cosa troppo grande per lui, non riusciva a gestirla.
- Come sta? – gli chiese il migliore amico. Brian poté sentire la preoccupazione nella sua voce. – Sta bene. Era solo… Molto preoccupata. - Si alzò dal letto, stiracchiando leggermente le braccia magre. – Vado a prenderti un altro bicchiere d’acqua.
Roger gli afferrò il polso, puntando gli occhi grandi e blu nei suoi. A Brian fece un effetto strano. Lo fece sussultare leggermente, e vedere quelle iridi lo mise a suo agio, lo rilassò. Gli occhi del migliore amico erano gonfi e circondati da aloni neri, ma restavano meravigliosi. Erano così grandi che potevano divorare il mondo al loro interno.
- Non ne ho bisogno, poi mi alzo io. – fece il più piccolo, continuando a trattenerlo. Brian non ne volle sapere. – Te lo scordi.
- Bri, non ho bisogno di…
- Di aiuto?
Roger si morse il labbro. – Sì.
- Devo ricordarti cosa è successo l’ultima volta che me lo hai detto?
 

 
- Bri, porca puttana, lascia quegli scatoloni e torna a fare quello che stavi facendo. Non ho bisogno di aiuto. – disse Roger, acido e spazientito. Stava aiutando Brian a sistemare il nuovo appartamento, dato che il migliore amico era praticamente in alto mare con gli scatoloni e i mobili da sistemare. Era andato da lui di sua spontanea volontà per dargli una mano, e Brian si era anche arrabbiato leggermente con lui per questo. Non voleva causare disturbo a Roger, sapeva che la madre del ragazzo avesse bisogno di compagnia e supporto dopo il divorzio dal marito, e che anche Roger avesse la necessità di riposare e stare tranquillo per lo stesso motivo.
- Rog, apprezzo il tuo aiuto, sul serio, sei la domestica migliore che possa esistere, ma è casa mia. E dovrei sistemarla io.
Roger non lo ascoltò. Era troppo occupato ad allungarsi il più possibile per sistemare le scatole (tra l’altro scatole con scritto “fragile” sul retro) e sistemarle sulla parte superiore dell’armadio di Brian. Era in piedi sull’ultimo gradino di una scala, ma proprio non riusciva ad arrivare al punto necessario.
- Roger Meddows Taylor, mi ascolti, una buona volta?
- Taci, mi distrai.
- Distrarti da che?
- Brian, se cado è colpa tua.
- Rog, non sei esattamente alto per poter raggiungere quella mensola. E lì dentro ci sono dei soprammobili.
Roger aggrottò la fronte, girandosi verso Brian. – A che cazzo ti servono tre scatole con dentro dei soprammobili?
Brian si sentì leggermente offeso. – Sono regali.
- Tre scatole. Tre. Tutte piene di soprammobili.
- Che c’è di male?
- Non so, portarti qualcosa di più utile? Tipo, che ne so, direttamente un ceramista?
Brian alzò gli occhi al cielo. – Roger, scendi.
Ma il ragazzo non lo ascoltò nemmeno per sbaglio. Si alzò sulle punte, saltellò due o tre volte con le scatole, tutte una sopra l’altra, in mano, ma niente. Maledisse la sua piccola statura, e perse di colpo l’equilibrio sulla scala. – Cazzo!
Brian spalancò gli occhi, preoccupato che l’amico cadesse. Poi però pensò che sarebbe stato meglio se Roger si fosse rotto la testa, quando il biondo lasciò andare istintivamente le scatole aggrappandosi con entrambe le mani alla mandola più in basso. Vide gli scatoloni crollare sul pavimento, sentendo un rumore che non gli piacque assolutamente, mentre Roger cercava di scendere stando attento a dove metteva i piedi. Brian restò per dieci buoni minuti con gli occhi strabuzzati fissi sugli scatoloni, per poi guardare l’amico. Roger si grattò una tempia, facendo un sorrisetto innocente. – Be’… non erano poi così importanti, no?
- Io ti ammazzo.

 

 
- Non puoi usarla come paragone. Ferisci i miei sentimenti e mi fai sentire un coglione.
- Vorresti dire forse che non lo sei? – disse seccamente Brian, sospirando e incurvando leggermente la schiena.
- Non esattamente. Meno di te certamente.
- Roger forse ti sei dimenticato che in questo momento ho io il potere e sono molto, molto arrabbiato con te. Potrei cacciarti di casa in ogni momento.
Roger alzò le mani, scuotendo le spalle. – Come vuole lei. Sarò un angelo, da questo momento in poi.
- Ti conviene.
Il biondo sorrise, mentre vedeva Brian uscire dalla camera. – Tanto so che mi ami lo stesso.
Il chitarrista sollevò il dito medio in risposta, dirigendosi in cucina per prendere l’acqua all’amico. Mentre versava il liquido nel bicchiere, aggrottò la fronte nel sentire il campanello suonare. Lasciò il bicchiere sul tavolo, avviandosi verso la porta e aprendola. Si trovò davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere.
- Ehi, dottor May. – la voce di Tim gli diede fastidio ai timpani. Stava per chiudergli la porta in faccia, ma il ragazzo lo fermò appoggiando un piede nella fessura che era rimasta libera. – Dai, amico, fammi entrare.
- Che vuoi?
- Parlare con te e Rog.
Brian cercò di chiudere di nuovo la porta, più scocciato di prima, ma il piede di Staffel era sempre lì, fastidioso come il ragazzo. Il riccio sbuffò. – Cristo, che vuoi? Ci hai già fatto incazzare abbastanza, vuoi alimentare il fuoco e far scoppiare un incendio?
- Volevo solo parlarvi di Freddie. – rispose l’altro. Brian sentì una voce acuta e leggermente graffiata dietro di lui. – Cosa ci fai qui?
Si girò, guardando il migliore amico reggersi al muro e fissare entrambi con gli occhi blu tremanti.
- Rog! Amico, mi è stato detto che ieri…
- Esci di qui. – disse Roger, secco, la voce gli tremava come le braccia. Brian lo sostenne tenendolo per le spalle, ma il biondo lo scansò con una piccola spinta.
- Dai, non essere rancoroso. Dovresti aver già superato la cosa, non credi? – gli rispose Tim, avvicinandosi e appoggiandogli una mano sulla spalla.
- Non ti permettere a toccarmi. – sbottò il biondo, tirandogli uno schiaffo sul braccio. Brian notò gli occhi lucidi del ragazzo, deglutendo. – Calmo, Rog.
 Staffel aggrottò la fronte. – Ehi, piccoletto, chi ti credi di essere?
- Esci da questa cazzo di casa! – ansimò Roger, e se il chitarrista non lo avesse trattenuto si sarebbe avventato contro l’altro ragazzo. Tim drizzò la schiena, infilando le mani in tasca. Guardò Roger. – Sei pazzo come tua madre.
Il batterista spalancò gli occhi, mentre Tim usciva di fretta dalla casa chiudendosi la porta alle spalle. Brian stava facendo del suo meglio per tenere Roger stretto a sé, ma anche se non sembrava per nulla, il più piccolo aveva una forza che gli tolse il fiato. Si dimenò, cercò di fargli male per liberarsi, ma il chitarrista continuò a stringerlo. Come la sera precedente. – Calmo, Rog. Calmo. – avrebbe voluto uccidere Tim per quello che aveva detto, ma restò tranquillo solo per Roger. Sentì i suoi capelli biondi solleticargli il petto, quando vide le braccia del ragazzo stringersi intorno al suo busto, abbracciandolo. Il cuore di Brian mancò un battito, deglutì istintivamente, mentre allentava la stretta sul corpo del migliore amico, accarezzandogli la schiena con le nocche. Poteva sentirlo singhiozzare mentre lo stringeva forte con le braccia fragili e tremanti. Gli appoggiò le labbra sulla testa, baciandogli dolcemente il cuoio capelluto.
 

 
- Roggie, vieni qui.
Il ragazzino dagli occhi blu si avvicinò titubante a sua madre, guardandola leggermente preoccupato. Deglutì. Sapeva che Winifred fosse malata, malata mentalmente, e non era mai riuscito ad aiutarla, era troppo piccolo, era tutto più grande di lui e sembrava che quel tutto volesse soffocarlo. Sentì la mano della donna afferrargli il braccio e stringerlo con le unghie. Roger gemette, cercò di divincolarsi, ma la forza in quella mano era terribile.
- Roggie, non lasciarmi sola. Michael è andato via, mi ha abbandonata. Non mi abbandonare, Roggie. – tremò la donna. La stretta era diventata insopportabile, tanto che Roger sentiva piccole gocce di sangue macchiargli la manica della giacca.
- Mamma… Lasciami. – sussurrò Roger, stringendo gli occhi per il dolore.
Winifred si fermò, allentando la stretta e guardando suo figlio con gli occhi spalancati. – Ti ho fatto male, Roggie?
Roger la guardò con timore, sospirando però di sollievo quando la donna estrasse le unghie dal suo braccio. Il ragazzo fu spaventato dagli occhi spalancati e vitrei della donna, non l’aveva mai vista in quelle condizioni. – C-cosa ha fatto papà?
La donna lo afferrò per le spalle, scuotendole leggermente e guardandolo fisso negli occhi. Sentì il figlio tremare. – E’ andato via. Mi ha lasciata sola. Mi ha abbandonata per una sporca puttana.
Roger non ebbe nemmeno il tempo di realizzare, che Winifred gli circondò il corpo con le braccia, stringendolo a sé. – Roggie, non andartene anche tu. Non lasciarmi sola.
Il biondo deglutì. Sentì la madre singhiozzare contro il suo petto e abbassò lo sguardo, lasciando scivolare a sua volta una lacrima. 
   
 
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