He swore by grass, he swore by corn
(that his true love had never been born)
-PRIMO CAPITOLO-
“Accosta,” fa in tempo a biascicare Sam, e Dean – che non ha ancora finito di
ridere di come gli anni a Stanford gli avessero restituito un fegato così
vergine da non fargli reggere neanche una goccia di alcol in più – può sentire
il viso mutare i propri tratti, perdere qualsiasi traccia di ironia.
Esegue la richiesta, deglutisce un boccone amaro.
Più amaro della bile che Sam riversa sull’asfalto su cui si piega per la
seconda volta in meno di venti miglia. Questo, di certo, non fa ridere.
Sono appena le otto del mattino di quella che si preannuncia essere un’assolata
giornata di fine estate, ma nell’aria arida e sterrosa di quella statale
dispersa nel nulla, Dean ha come l’impressione vi sia già un tocco di autunno.
I raggi del sole velano la nuca tesa di Sam senza infondergli alcun calore,
mentre questo sputa rimasugli di schifo
rimastogli in bocca, annaspa un po’.
“Non so te, ma io ci andrei piano col bourbon, almeno per un paio di giorni.”
Il maggiore dei Winchester si piega sulle ginocchia, fa apparire un sorriso
beffardo sul volto, completamente sbagliato.
“Ci penserò io a svezzare quel tuo pancino
delicato, fratello. Lo farò tornare quello di sempre, ma con calma–” spiega. La sua mano ha preso a
strofinare la schiena di Sam già da un po’; lì, lungo gli anelli delle vertebre
inarcate. Vi era un tempo in cui a Sam piaceva quando lo faceva. Tra i sedili posteriori dell’impala,
si accoccolava sulle sue ginocchia come un gatto (a otto anni ci entrava
ancora, sulle sue ginocchia); pretenzioso, agitava le scapole a richiamarne
l’attenzione e il gesto, poi faceva finta di dormire. Era un tempo in cui vi era molta più carne intorno a
quelle ossa, e anche questo sembra aggiungere carico al senso di colpa che già
divora ogni singola cellula del suo corpo, ma non è qualcosa a cui vuole
pensare.
Sam non commenta. Gli occhi arrossati e gonfi, stretti in due fessure, sembrano
ferite infette.
Dean è lì lì per aiutarlo a risollevarsi, quando, no – no, è
una trappola: Sam irrigidisce la schiena, affonda le dita tra i ciuffi di
erbaccia secca; tempo due secondi, è di nuovo spezzato a metà, e Dean vorrebbe
maledire il mondo intero, se solo non avesse già cominciato a farlo tre giorni
fa, e sarebbe ridondante.
Non aggiungerebbe niente di nuovo. Continua quindi a fingere che vada tutto
bene, perché se finge con convinzione, magari si avvera davvero.
“Meglio?” domanda, dopo un numero ridicolmente lungo di
minuti utili in cui avrebbe potuto trovare conferma da sé, ma il cenno di
assenso di Sam è l’unica risposta disposto ad accettare.
È chiaro che farebbe volentieri a meno del modo in cui lo cinge per le spalle
per riportarlo in auto, non è difficile intuirlo (negli ultimi tempi, Sam
sembrerebbe voler fare a meno di qualsiasi
cosa, e Dean non se la sente di biasimarlo), ma il modo in cui barcolla non
appena torna sulle sue gambe gli sbatte in faccia la realtà, e apparentemente,
non ha voglia di lottare contro i mulini a vento – ha altre ragioni per cui
farlo. Per cui, Sammy fa il bravo
bambino, non protesta. Con il dorso
della mano premuto sulla bocca, si fa trascinare verso l’auto con passi lenti e
incerti. Si accomoda svogliatamente sul sedile, poggia la testa contro il
finestrino.
Come se il rombo dell’Impala avesse in qualche modo tradito le sue aspettative,
Dean comincia a perdersi in stupide chiacchiere; un chiacchiericcio senza
senso, cinguettii sul caso del giorno precedente, sui Red Sox che da qualche
parte, in questo momento, stanno sicuramente facendo il culo agli Yankees, roba
di cui solitamente a Sam non gliene frega un benemerito cazzo (e neanche a lui,
in tutta onestà). Non sa dire perché senta la necessità di far a pezzi quel
silenzio, stranamente insopportabile e irritante, ma non ottiene alcuna
considerazione da colui che giace sul lato passeggero, ed è fastidioso. Manda a
puttane ogni suo sforzo. Non va bene.
Si volta ingrugnito, lancia un’occhiata veloce a quell’ingrato di suo fratello: sta dormendo.
Crollato. Andato. Partito. La bocca
socchiusa, la testa reclinata su un lato. Sembra quasi sereno (sereno come non
lo è da tempo).
Beh, non male. Dean piega le labbra in un ghigno soddisfatto.
Durante la scorsa notte, aveva avuto l’impressione di sentire un animale
notturno rovistare nel giardino di Bobby, e Dean Winchester è abbastanza furbo
da sapere che gli animali notturni non sempre coincidono con quelli sui libri
di scienza; non nel giardino di Bobby,
per lo meno.
Imbracciato il fucile caricato a sale, in mutande e canotta, Dean era sceso sul
portico a controllare – per poi scoprire che Sam lo aveva battuto sul tempo. A
differenza sua, questo indossava ancora la camicia su cui il giorno prima aveva
accidentalmente versato l’intero
menu’ del McDonald’s che aveva preso per lui.
Dean aveva sollevato un sopracciglio, storto la bocca.
“Non avevi detto di aver sonno sta sera?” Il tono autoritario non era voluto,
ma è venuto fuori da sé nello scorgere il volto cinereo che lo aveva accolto. A
ora di cena, Sam si era infatti alzato da tavola dopo aver rimescolato il
bollito di Bobby senza quasi assaggiarlo: ‘ho
sonno, sono troppo stanco’, aveva detto. Né lui né Bobby avevano osato commentare
la cosa. La domanda, quindi, era venuta da sé; con tutto il suo fastidioso
corredo.
Sam aveva scrollato le spalle, calciato una pila di rottami
d’auto arrugginiti; un procione era schizzato fuori scappando a gambe levate,
emettendo un verso straziante.
“Ho cambiato idea,” aveva risposto evitando lo sguardo e rientrando in fretta
in casa, prima che Dean potesse ricordargli come avesse usato una scusa simile
anche la sera prima.
Per cui sì, il fatto che Sam sembri essere così sfinito da crollare non appena
in auto, per Dean è l’unico aspetto positivo della situazione.
Peccato che, un centinaio di miglia dopo, Sam sia di nuovo sulle proprie
ginocchia; di nuovo sull’asfalto rovinato di una statale dell’Arkansas in cui
non sembra esserci stata traccia di vita terrena prima del loro arrivo.
Non gli è rimasto più nulla in corpo da rigettare, ma non sembra importargliene niente al suo stomaco, che si contorce, si spreme, si spezza in due come volesse vomitare la sua stessa anima, o forse quella cosa cattiva che Sam ha appena scoperto albergare in lui (no, non è andata così; Sam non lo ha scoperto: è stato lui a dirgli di possederla, sulla base di ciò che potevano essere i deliri pre morte di un uomo con una emorragia cerebrale in corso, o chissà cosa).
Dean solleva gli occhi al cielo, si morde l’interno delle
guance. Lì, dove due afte dolorose si offrono volontarie per dargli quella
continua quantità di dolore che sente di meritare. Uno stillicidio piccolo e
continuo, granelli di una punizione che ha l’impressione di non poter mai
scontare a sufficienza.
Quando lo stomaco di Sam si arrende all’evidenza di non poter vomitare se
stesso, Dean gli poggia tra le mani una bottiglia d’acqua, intimandogli di
bere, e di farlo lentamente. Molto lentamente.
Lo dice con un tono che a Sam non piace – e in realtà, non piace neanche a lui.
Quel tono da ‘persona che si interessa
davvero alla sua salute quando in realtà è colui ad averlo ridotto in quello
stato’, e si fa un po’ schifo da solo, Dean. Ed ha l’impressione di vedere
lo stesso sentimento nelle rimostranze di Sam.
Ottimista, certo. Perché in verità, Sam è probabile abbia da tempo esaurito la
forza mentale per potersi permettere elucubrazioni mentali simili, e il
poggiare le tempie pulsanti sulla portiera ed esiliarsi dal mondo, sembra
essere la sua unica preoccupazione. Il problema principale però, è che sta
cominciando davvero a disidratarsi. Le labbra screpolate su cui si rifugia
l’attenzione di Dean non promettono niente di buono. “Andiamo, bevi un sorso,
Sam-“ la bandana che bagna nella stessa acqua, e con cui comincia a
rinfrescarne il viso sudato, rende l’invito un po’ più fattibile.
“Non mi sento molto bene-“ di questo se ne era accorto da solo, ma sentirlo da
Sam fa un altro effetto.
È il suono della sconfitta, della disfatta più totale.
Sam non può ‘non stare bene’. Non è
fatto per ‘non stare bene’. Non
davanti ai suoi occhi.
Dean stira gli angoli delle labbra in una linea sbilenca, prende un respiro con
entrambe le narici.
Il bizzarro ingranaggio che lo porta ad attribuirsi qualunque responsabilità
dei ‘non stare bene’ di Sam è già
attivo da un pezzo (e questa volta, ha
anche ragione).
Lo mette a tacere come può, fanculizzandolo e fanculizzandosi. Un grande, grosso, infinito macello
interiore, il cui unico eco visibile a Sam, è il lieve tremolio della mano cui
ripulisce la sua fronte.
Mette via la bandana quando la schiena di Sam sembra essersi accomodata fin
troppo su quella strada sterrata. Dean torna in piedi, tira su col naso.
“Sarà un virus intestinale. O magari è colpa di qualche schifezza salutista che
hai mangiato prima di dormire...” o non
hai mangiato prima di non dormire,
sembrerebbe suggerirgli una saccente vocina del cazzo dentro di sé.
“Questo posto è un fottuto buco, ma dovrà pur esserci un motel da qualche
parte...” dice Dean, guardandosi intorno alla ricerca di improbabili segni di
esistenza umana.
Tuoni di un temporale estivo riecheggiano in lontananza, tra poco comincerà a
piovere.
“Non è necessario fermarsi.” Sam si chiude in una smorfia, come avesse
assaporato qualcosa di disgustoso rimastogli in bocca. Fa leva sull’avambraccio
per sollevarsi, darsi una parvenza di decenza. “Abbiamo detto a Bobby che ci
saremmo occupati noi di quel caso a Houma,” tenta di tornare sulle proprie
gambe da solo.
“Non è un caso, Sam. Ci ha mandato a Houma per consegnare un
fottuto libro a una vecchia fattucchiera svitata di sua conoscenza che sostiene
di avere una lavatrice posseduta dal fantasma di uno spogliarellista brasiliano
– non è ciò che chiamerei un caso!” incalza, afferrando l’avambraccio di Sam.
Lo accosta a sé, ne ristabilisce l’equilibrio (In tutti i sensi. Sam accanto a
se è la definizione più completa e precisa che ha del termine ‘equilibrio’, un vero e proprio pezzo di
dizionario in carne ed ossa).
“Questa sera ci fermiamo a dormire. Siamo in auto da otto ore, io sono stanco,
tu sei stanco – per cui, questa notte si dorm—Sam!”
L’acqua che il minore dei Winchester restituisce al mondo in un improvviso,
inaspettato conato, ne rafforza la necessità nonché l’urgenza.
-
Respira con respiri corti e veloci, Sam. Così corti e veloci che la mano destra
di Dean abbandona automaticamente il volante e parte verso il collo di suo
fratello quando la linea di demarcazione mentale tra la sicurezza e pericolo
comincia prepotentemente ad assottigliarsi. Lo tasta per bene, le dita scorrono
sulla carotide, in alto, poi in basso verso l’incavo della spalla, poi di nuovo
su. Rilassa le spalle quando l’assoluta certezza che Sam sia ancora in vita lo
avvolge, ma il terrificante calore che si ritrova tra le mani non è qualcosa da
sottovalutare. Sfiora la fronte, prima con la punta delle dita, poi con tutto
il palmo della mano.
Sam si sveglia quando questa comincia a premere in quel modo
fintamente casuale e volutamente fastidioso, e dentro di sé, Dean gioisce. Ha
raggiunto il suo obiettivo.
Il minore dei Winchester non emette suoni. Si limita a voltare il collo verso
il proprietario di quella mano, lo fissa con occhi vacui, vitrei.
“Sam? Sei sveglio?” domanda, come se non lo sapesse.
Un cenno del viso di Sam rimette a posto ogni cosa. Solleva un pugno, si strofina gli occhi cisposi come avesse di nuovo tre anni (magari, avesse di nuovo tre anni).
“Stai bruciando come un fottuto ferro da stiro, Sammy.” annuncia;
alterna lo sguardo tra la strada e suo fratello in autocombustione. “Devi
spalmarti al più presto su di un letto e dormire, amico. Dovrebbe esserci un
motel da queste parti...”
Lo aveva detto anche un paio di ore prima, vero – il guaio è che non ha trovato
nulla di nulla nel frattempo; non vi era che una strada dall’asfalto logorato
dal sole, e un ammasso confuso di colline giallo ocra. Si domanda dove cazzo
siano finiti, ma soprattutto, dove cazzo siano finiti i motel per Sam (e dove cazzo sia finito quel fottuto mondo a-prova-di-Sam che credeva
esistere negli anni ottanta, cazzo!).
“D-Dean...” vi è tutto il dramma del mondo in quella frase; “accosta—“, e se un
qualche rimasuglio d’acqua vi era ancora in Sam, appena quella necessaria a
garantirne la sopravvivenza, adesso Dean ha la certezza matematica che non ci
sia più.
Passa una mano tra le lunghe ciocche castane di Sam adesso bagnate di pioggia,
le tira un po’ indietro quando i succhi gastrici colano ad innaffiare la
sterpaglia oltre il guard rail, non dice nulla. È troppo impegnato a dichiarare
guerra a quella divinità di merda che ha deciso quel giorno di fargli tutto
questo. La sua faccia è un collage di tutte le persone più odiose che ha
conosciuto (ha anche un che di Jessica, ma shhh...),
Dean la guarda dritta negli occhi, e gli dice che sì, se è una sfida, che vinca
il migliore!
Ancora inarcato oltre il guard rail, Sam respira rumorosamente, tenta come può
di allontanare il senso di nausea. La lamiera è ruvida, verosimilmente
tagliente, per questo Dean ne scolla le mani del fratello con un gesto lento,
si sostituisce ad essa come fonte di equilibrio (ancora, equilibrio) ma è meno semplice delle volte precedenti, perché Sam è un fottuto Sasquatch, e adesso è anche malato. Se
normalmente è complicato gestire un Sasquatch, il fatto che sia anche malato
aggiunge un'ulteriore sfida alla manovra già di per sé complessa– ma riesce in
qualche modo a rimetterlo in marcia verso l’auto.
“Uccidimi–“ Arriva al posto di un gemito, quello che avrebbe accompagnato il momento in cui gli ha piegato la schiena per rientrare all’interno dell’Impala, perché cazzo, a quel punto, Dean non sfiderebbe a credere come gli faccia tutto male, ci sta. E invece, arriva lei.
“Vuoi che ti uccida perché ti sei beccato un’influenza
estiva? Sapevo che eri una drama queen, Samantha,
ma certe vette non le avevi ancora raggiunte! “
“È quella cosa, Dean– “ è sicuramente il delirio dovuto alla febbre, alla
disidratazione e a Dio solo sa cos’altro - si autorammenta Dean mentre piega le
fottute gambe di suo fratello dentro
la fottuta Impala che in momenti come
questi non era più Baby, ma un fottuto
sfasciume sempre troppo piccolo!
“Papà aveva ragione, è quella cosa dentro me a farmi questo,—“ Decisamente la
febbre, si ripete ancora.
A confermarglielo, la mano che gli piazza di nuovo sulla fronte. La temperatura
si è sicuramente alzata.
È sicuramente così.
“Certo, Sam. È quella cosa mostruosa scoperta in laboratorio che ha per nome una serie di lettere e numeri più o meno casuali” dice in un misto di scherno e terrore, prima di staccare a forza le dita di Sam dalla sua giacca, chiudere la portiera, e rimettersi al volante.
Accende la radio, non fa caso neanche alla stazione. Andrebbe bene qualunque cosa, pur di coprire i patetici bisbigli di suo fratello (che non è suo fratello, sta solo delirando; si ripete ancora e ancora) e quella valanga di cose che la sua testa gli sta gridando, tutte insieme, tutte in una volta, con qualcosa di più sensato, tipo il notiziario delle sedici che annuncia piogge intense in tutto il paese con schiarite in tarda serata.
-
Il neon di una stazione di servizio, deformata dalla pioggia che il
tergicristalli non fa neanche in tempo a spostare, appare a Dean come una sorta
di luce divina, la luce alla fine di un
tunnel – letteralmente.
Civiltà! - esulta dentro di sé. Si sente un po’ come un moderno Cristoforo
Colombo che scorge una terra a cui anche lui aveva un po’ smesso di credere.
Se fosse un motel, probabilmente sarebbe così felice da baciare
appassionatamente Sam; ma si tratta solo di una stazione di servizio, per cui
Sam è salvo- si limita semplicemente a svegliarlo.
“Sammy,” lo scuote sul petto; la bandana che ha messo sulla sua fronte un’ora
fa, quando ha finalmente smesso di frignare (più o meno), e ripreso sonno, è
quasi asciutta. Sam si sveglia di soprassalto; gli dà un paio di secondi per
riprendere consapevolezza della realtà (e per pentirsi immediatamente della
geniale trovata di averlo svegliato, in primis), prima di annunciare che c’è
una stazione di servizio, che sta per fare un salto dentro a vedere se hanno
qualcosa per l’influenza, prendere delle schifezze da gettare giù nello
stomaco, e magari chiedere indicazioni per il motel più vicino. Non è certo Sam
abbia pienamente compreso il suo discorso, ma senza sfatare il proprio dubbio,
Dean scatta comunque fuori dall’auto come una lepre. Come non vedesse l’ora di
farlo. ‘Gas & Sip’ non ha mai suonato tanto come ‘felicità’ prima di adesso.
Fine primo capitolo
Note:
- Zalbe. In realtà, questa fanfiction è nata e terminata come una
LUNGHISSIMA oneshot. Ben oltre 16,000 parole. Quindi, ho deciso di dividerla in
più capitoli (per un totale di sei) che pubblicherò a cadenza più o meno
settimanale (giorno più, giorno meno). Sono tutti già pronti, per fortuna.
Non rischierete che venga lasciata a metà. Giuro! ;) – il titolo è tratto da
una strofa (portata al maschile) di “The well below the valley”, murder ballad
irlandese.
- Non aspettatevi una grande trama. È
una di quelle fanfiction che ho iniziato giusto perchè volevo “un progetto
leggerino in cui divertirmi ad umiliare prendermi cura dei miei personaggi
preferiti” e invece, mi sono ritrovata con un polpettone angst e gruesome. Mi
dispiace. ^^”
- Betata al volo da Narcy.
Grazie di cuore <3.
- Questo primo capitolo lo dedico a Desy, che durante la stesura mi ha supportata con delle gif impareggiabili. XD Ti adoro!
- Come al solito, grazie infinitamente per aver letto. <3