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Autore: Axel Knaves    05/01/2019    0 recensioni
Un patto di sangue involontariamente stretto e un'invocazione fatta per scherzo, portano Eva Rossi a condividere il suo appartamento con Helel (a.k.a. Lucifero) e Azrael (a.k.a. Morte).
Ma cosa potrebbe mai andare storto quando condividi la vita e la casa con la Morte, che entra nei bagni senza bussare, e il Diavolo, che ama bruciare padelle?
Eva non potrà fare altro che utilizzare le sue armi migliori per sopravvivere a questa situazione: il sarcasmo e le ciabatte.
~Precedentemente intitolata: Bad Moon Rising e Strange Thing on A Friday Night
~Pubblicata anche su Wattpad
Genere: Comico, Demenziale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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[17]» Livello di stabilità emotiva: mobile dell’IKEA «[17]

 

3rd POV

L’aria che una volta era impregnata di emozioni positive come felicità, pace e amore; ora gocciolava odore di sangue e morte.
I corpi di demoni, angeli e mietitori deturpati da armi e da poteri divini, ma non ancora passati a miglior vita, coprivano ogni centimetro del sentiero che Erezel e la sua armata avevano aperto con la violenza dall’Inferno alle porte del Paradiso.
I demoni, ancora in grado di combattere, erano quasi tutti seduti a terra; la battaglia era stata ardua e avevano bisogno di riposo. Il sangue nero e rosso che dal suolo iniziava ad impregnare i loro vestiti sembrava non dargli fastidio. Forse perché trovavano onore a portare sugli abiti il sangue delle proprie vittime, oppure perché era ancora più onorevole portare con sé il sangue dei fratelli caduti in battaglia.
Erezel, invece, non sembrava segnato dalla fatica del combattimento.
Infatti il demone non sembrava essersi mai sentito così vivo.
Il comandante dell’armata era in piedi, dritto, le sue protezioni di cuoio e zolfo erano macchiate di sangue e altri liquidi corporei; dalla spada, ancora sguainata e stretta nella mano destra, gocciolava il sangue caldo dell’ultima vittima mietuta.
Gli occhi erano puntati davanti a lui, non curandosi dei soldati alle sue spalle. Nella sua mente loro erano meramente delle pedine indispensabili per portarlo al potere cercato da millenni; la cosa davvero importante erano le immense porte di marmo, intarsiato con rivoli di argento e di oro. Aveva dovuto aspettare così tanto per vederle e finalmente era arrivato lì.
Non c’era rimasto nessuno, infatti, a mettersi in mezzo a lui e alle porte del Paradiso. Era ormai iniziata da due settimane l’invasione del Purgatorio, da parte delle sue armate, cui li aveva condotti alle porte del Paradiso. Avevano perso un ingente numero di demoni, ma l’armata di angeli e di mietitori - trovatosi nel Purgatorio al momento dell’attacco - aveva perso tre volte il numero di soldati: non erano rimasti esseri vivi in quel regno celeste, solamente le anime degli esseri umani ora abitavano quella montagna.
E finalmente Erezel riusciva ad assaporare il suo sogno; di fronte a quelle porte riusciva ad assaporare il potere portato dalla sua vittoria.

Quelle settimane di guerra avevano visto la sala di guerra angelica in una situazione di continuo caos. Gli angeli non avevano voluto ascoltare nulla di quello dettogli da Gavriel ed erano scesi in battaglia pensando di essere superiori in forza, potenza e numero ai demoni.
Avevano così incontrato una veloce morte, rendendo l’ascesa dei demoni solamente più facile.
L’armata angelica non aveva potuto contare neanche sui mietitori. Con il ritorno di Azrael la situazione si era solamente complicata: Yondar, asceso al potere durante l’assenza dell’angelo della morte, si era rifiutato di ridare il comando ad Azrael creando dunque una scissione nell’armata mietitrice.
Seppur il numero di seguaci di Yondar era esiguo, in confronti ai mietitori al comando di Azrael, l’angelo della morte sapeva benissimo come anche quei pochi mietitori avrebbero potuto fare la differenza.
La situazione dunque non si poteva dire a favore degli angeli, ma proprio il contrario.
Nella sala di guerra erano radunati i quattro comandanti - Gavriel, Helel, Mikael ed Azrael - e i rappresentati delle casate angeliche e mietitrici. Sarebbe dovuto essere un ritrovo di guerra, nel quale discutere un contrattacco contro i demoni che si avvicinavano sempre di più; eppure sembrava più il ritrovo di un gruppo di mercanti radunato intorno a un tavolo.
Tutti urlavano per coprire le voce di qualcuno, ognuno voleva avere ragione e nessuno voleva ascoltare le idee altrui.
Azrael era in piedi, in mano l’ultima lista delle vittime a loro pervenute. L’angelo aveva gli occhi lucidi a vedere quanti esseri divini e demoniaci erano già morti; non riusciva a credere il modo in cui anche davanti a quelle cifre nessuno volesse prestare orecchio a suo fratello per poter finalmente finire quella strage.
Sembravano essere tutti ciechi.
L’angelo dai capelli e gli occhi neri distolse gli occhi dalla lista e li indirizzò ai tre fratelli ancora presenti nella stanza.
All’inizio di questo gabinetto di guerra avrebbero dovuto partecipare anche Tridel e loro madre, ma i Rappresentati avevano votato perché venissero buttati fuori dalla stanza. Mikael aveva provato a controbattere che i due servivano per la buona riuscita della guerra ma quegli idioti non l’avevano minimamente considerata, iniziando a proclamare come un mezzo-demone e una donna una volta mortale non avevano posto a quel tavolo.
Helel aveva quasi ucciso tutti a quelle parole, fortunatamente Malika l’aveva fermato.  Lo aveva tranquillizzato, gli aveva inoltre garantito come lei si sarebbe messa a disposizione della guerra aiutando gli angeli protettori ad erigere le barriere necessarie per la protezione dell’ultimo cielo, mentre Tridel si sarebbe unito alle guardie degli angeli per proteggerla; infine i due avevano lasciato la sala a cuore pesante. Helel, da quel momento,si era seduto al suo posto, con un’espressione aggrottata, e non aveva più mosso un muscolo o prununziato parola.
Gavriel aveva provato a parlare con i rappresentati, ma, appena ebbe fatto una proposta per riprendere un pezzo di purgatorio già perso, si erano tutti messi ad urlare perché, secondo loro, le loro idee erano migliori. Nessuno voleva ascoltare, tutti volevano parlare. Ora Gavriel aveva il volto nascosto nelle mani, le vene del collo gli pulsavano così tanto da essere diventate visibili sulla pelle candida.
Mikael stava giocando con la sua spada sguainata, facendole il filo ogni tanto. Non l’aveva tirata fuori per noia, tutt’altro: quando i rappresentati avevano provato a suggerire che loro sorella non sarebbe dovuta essere presente in quanto donna; Mikael non si era di certo lasciata mettere i piedi in testa. Aveva sguainato la spada e aveva trafitto da parte a parte il tavolo di pesante mogano intarsiato d’oro, prima di dichiarare a pieni polmoni come l'unico modo per farla uscire di lì era sconfiggerla in duello e portare fuori le sue membra morenti.
Ovviamente nessuno aveva accettato le condizioni e ora Mikael teneva la spada in mano, giocandoci come se fosse uno stuzzicadenti, per ricordare a tutti che lei era prima l’arcangelo Michele, poi una donna.
Azrael, guardando quello spettacolo pietoso, comprese un importante fatto: se non fosse cambiato qualcosa al più presto, quella guerra sarebbe stata persa in un attimo e i demoni avrebbero regnato su tutti i regni.
Se quello fosse successo l’angelo della morte non sarebbe più stato in grado di proteggere Eva; bastava quel singolo pensiero a glaciare le sue interiora.
Avevano bisogno di un miracolo e ne avevano bisogno al più presto.

Il giovane angelo disperato non lo sapeva, ma il suo miracolo stava correndo proprio in quegli istanti verso la porta della sala di guerra.
Forse a prima vista quello non sarebbe neanche sembrato il miracolo tanto atteso, anzi sarebbe parso proprio l’opposto, ma in poco tempo i quattro comandanti si sarebbero resi conto quanto quella notizia, che stava viaggiando verso di loro, sarebbe stata la salvezza di tutti.
Tridel era un po’ stanco di dover correre da una parte all’altra dei quattro regni per dare brutte notizie. Se ne rese conto proprio mentre stava correndo per il palazzo degli angeli per dare l’ennesima macabra notizia da quando era iniziata la guerra. Un po’ si stava sentendo in colpa, un po’ iniziava a pensare di avere il malocchio, per cui alcuni avvenimenti erano colpa sua.
Dopo essere uscito dalla sala di guerra, scusate, dopo essere stato cacciato fuori, Helel aveva dovuto passare la prima mezz’ora a calmare le ire di Malika ed a salvare il vario mobilio ornamentale dei corridoi marmorei, da suddette ire femminili.
La donna, infatti, anche se apparsa totalmente calma e pacata all’interno della sala, dopo essere stata insultata da mietitori e angeli molto inferiori a lei, era totalmente alterata. E quando Malika era alterata, era meglio mettersi al riparo e pregare per la propria vita.
La donna, poiché in origine umana, non aveva un naturale controllo sui suoi poteri - come suo marito o gli altri angeli - aveva dovuto impararlo con molta fatica e sudore; infatti, i suoi poteri erano legati alle sue emozioni, esattamente come erano quelli dei figli.
Inoltre, la donna dai capelli neri, non era mai stata un essere umano molto moderato o con un’alta dose di pazienza. Anzi, il suo primo incontro con l’angelo che sarebbe diventato suo marito, Levi, era stato molto movimentato. Levi, un essere bellissimo dai capelli bianchi e occhi dello stesso colore, la carnagione chiara che risplendeva sotto la luce lunare, avea scelto le parole sbagliate da dire alla giovane donna - oltre al momento sbagliato per incontrarla - e si era ritrovato con le piccole nocche di lei nel naso.
Ai loro figli, Levi aveva sempre raccontato come quello fosse stato il momento in cui si era reso conto che Malika era il suo vero e unico amore. Mentre descriveva il prefetto destro della moglie ai figli, i 5 pargoli si guardavano tra di loro iniziandosi a chiedere se loro madre non avesse ammaccato - o rotto - qualche rotella nel cervello di loro padre.
Quando Tridel era finalmente riuscito a placare gli attacchi più violenti della donna, aveva scortato Malika nella sala di protezione; dove gli angeli protettori intrecciavano le loro energie per formare una barriera attorno all’ultimo cielo e gli angeli osservatori controllavano i movimenti nel resto del paradiso.
Gli angeli all’interno della sala, al contrario dei mietitori e degli angeli nella sala di guerra, gli avevano accolti con entusiasmo; felice di avere finalmente protezione da parte di un forte guerriero - i mietitori che erano stati messi a protezione della sala erano così stanchi che sembravano morti una seconda volta - e l’aiuto di uno dei più potenti esseri divini: i poteri di Malika erano capaci di tenere testa anche a quelli del primo angelo Levi.
Avevano così passato i seguenti giorni, Malika a ripetere allo sfinimento formule di protezione, prosciugando molte delle sue forze vitali e Tridel appoggiato allo stipite della porta, a fare il cane da guardia.
Sembrava tutto tranquillo, Malika aveva appena dato il cambio a un giovane angelo protettore, quasi svenuto a metà di una formula, e Tridel stava sbadigliando, aspettando ancora per un’ora il suo cambio, quando un angelo osservatore aveva lasciato andare un urlo spaventato ed era caduto a terra di sedere. In pochi attimi, tutti gli angeli che non erano impegnati ad osservare i cieli del Paradiso o a erigere le barriere protettive furono al fianco del giovane angelo spaventato.
«Sono qua!» Stava esclamando cereo in faccia, gli occhi sgranati velati da uno strato di lacrime. «L’orda demoniaca è arrivata! Erezel ha appena aperto le porte del Paradiso!»
Tridel non aveva aspettato l’ordine di nessuno. Appena l’angelo osservatore aveva concluso la frase, il demone senza corna era partito di corsa verso la sala da guerra, il sonno ormai dimenticato. Tridel doveva informare i suoi fratelli di quello appena successo; doveva avvisare Mikael.
Finalmente Tridel arrivò davanti alle porte della sala da guerra, dopo aver corso per quegli che gli erano sembrati millenni.
Senza troppi ripensamenti spalancò la porta senza bussare.
All’istante tutte le urla provenienti dall’interno della sala si zittirono e tutti gli occhi si concentrarono sul demone senza corna, affannato e sudato dalla corsa.
I quattro fratelli furono i primi a irrigidirsi, comprendendo come ci fosse qualcosa di sbagliato dal modo in cui Tridel aveva appena corso così forte per arrivare da loro. Mikael era già in piedi, la spada pronta ad essere usata.
«I demoni...» Cercò di dire il demone ma dovette interrompersi per deglutire e respirare una boccata di ossigeno. «I demoni sono entrati nel Paradiso».

EVA’S POV

Alberi, cielo, case. Case, cielo, alberi. Cielo, alberi, case.
Non riuscivo a ricordarmi nient'altro di quella settimana mentre la fronte mi rimbalzava ritmicamente sul finestrino dell’auto di Vittorio.
Una settimana.
Era passata una settimana da quando Malika aveva sciolto il legame di sangue. Era passata una settimana da quando gli angeli non vivevano più con me. Era passata una settimana da quando non riuscivo a sentire niente, se non vuoto e solitudine.
Il sovraccarico del mio cervello, però, era dato dal sapere di non essere sola, eppure quella sensazione di solitudine e abbandono, presente nel mio cuore, sembrava incurabile.
Vedevo come tutti i miei amici e famigliari erano preoccupati per me; lo vedevo nei loro occhi e nei gesti d’affetto molto più frequenti. E mi rendevo anche conto di cosa li stesse preoccupando: non parlavo più molto, l’appetito era diventato uno sconosciuto e il mio sguardo era sempre perso in mezzo al cielo e alle nuvole.
Mi stavo sempre più distaccando dalla mia vita. Me ne rendevo conto e non riuscivo a smettere.
Volevo indietro Azrael. Volevo indietro Helel. Volevo indietro la vita che aveva iniziato a costruire con loro.
«Eva lo sai vero?» Chiese la voce di Sonia, accanto a me. «Se vuoi parlare, noi ci siamo».
Eravamo sedute nei posti posteriori, mentre Vittorio guidava e Claudia occupava il sedile del passeggero.
Anche la dolce e spensierata Sonia, la quale stava cercando in tutti i modi di disfare quel muro invalicabile apparso tra me e i miei amici, non sapeva più cosa provare con me. Questo le aveva fatto perdere il suo solito e solare sorriso.
Fissai la ragazza bionda con sguardo perso, era come se quelle parole non riuscissero ad avere un senso nella mia mente. Di cosa avrei dovuto parlare con loro? Dell’angelo di cui mi ero stupidamente innamorata? O di come avrei potuto non vederlo più nella mia vita? Avrei dovuto forse parlare con loro della guerra che stava minacciando tutti gli esseri umani, ma di cui nessuno sapeva nulla?
«Sonia ha ragione», aggiunse Claudia incrociando il mio sguardo nello specchietto retrovisore, «Lo sappiamo: qualcosa ti turba e sappiamo anche come questo vada ben oltre la partenza inaspettata dei tuoi coinquilini».
«E vorremmo tanto rivederti con un sorriso sulle labbra», continuò Vittorio per le due donne, gli occhi incollati alla strada, «ci fa davvero male vederti così triste e faremmo qualsiasi cosa per aiutarti».
Fissai le tre persone presenti in auto con me e sentii all’improvviso, dopo una settimana di puro nulla, il calore di persone che ti amano. Un calore soave e leggero capace di accarezzarti la pelle con dolcezza, impaurito di poterti farti male; un calore capace di portarti alle lacrime.
Sentii gli occhi pungermi e dopo un attimo ancora di esitazione mi scomposi completamente, scoppiando in un pianto scomposto, tenuto rinchiuso dentro di me troppo a lungo.
«M-M-M-Mi man-n-n-ncano». Mi balbettai tra un singulto e l’altro mentre le braccia forti di Sonia mi cinsero le spalle e mi attirarono al suo corpo minuto, cullandomi e cercando di calmarmi. Sentivo Sonia e Claudia cercare di confortarmi ma le loro parole non riuscivano a raggiungere i miei timpani otturati dai rumori dei singulti e dal battito accelerato del mio cuore.
Avevo lasciato andare Azrael ed Helel perché era la cosa giusta da fare, perché era l’unica cosa da fare. Ma i due angeli non avevano portato con loro solo tutta la vitalità presente fino a una settimana prima nel mio appartamento, avevano portato con sé anche una parte del mio cuore.
Quando riuscii a bloccare il flusso violento di lacrime notai che Vittorio aveva fermato l’auto davanti a una casa a schiera di testa con i muri color pastello: la casa dei miei genitori.
«Da quanto siamo arrivati?» Chiesi tirando su con il naso. Sapevo di non essere molto femminile  in quel momento e di fare anche un pochino agli occhi altrui, eppure non mi importava nulla. Finalmente sentivo qualcosa dopo tanto tempo ed era come prendere una boccata d’aria dopo essere stati in apnea per un minuto.
«Cinque minuti, neanche». Mi rispose Vittorio, regalandomi un sorriso caldo, pieno di affetto e di incoraggiamento, proprio come avrebbe fatto un fratello.
Annuii con la testa.
«Grazie e scusate il bagno di lacrime». Pigolai guardando la chiazza bagnata lasciata dai miei occhi sul giubbotto di Sonia. La ragazza ridacchiò notando dove stavo guardando.
«Non devi scusarti di nulla». Disse e mi mise una mano sulla spalla. «Siamo qua apposta per questo e siamo felice che finalmente stai mostrando qualche emozione, eravamo davvero preoccupati in questa settimana».
Feci un sorriso debole, ma vidi come gli occhi dei miei tre amici si rilassarono a quel gesto.
Dopo aver assicurato al trio della mia stabilità psicologica ed emotiva, quasi paragonabile a quella di un mobile IKEA montato da dei bambini, scivolai fuori dall’auto di Vittorio, presi dal baule la mia valigia ed entrai nella mia casa natale.
Fortunatamente, solo dopo pochi giorni la dipartita dei due angeli, avevo iniziato a fare le valigie per tornare dai miei genitori per le vacanze natalizie; questo mi aveva permesso di non pensare troppo ai regali di Azrael ed Helel ancora sotto all’albero incartati o al silenzio tombale regnante nel mio appartamento; avevo iniziato a paragonarlo a un monastero nella mia testa.
Avevo ricevuto anche alcune lamentele da parte dei vicini poiché avevo tenuto il volume di musica o televisione troppo alto, avevo fatto ogni cosa in mio potere per far sparire quel silenzio che mi opprimeva anima e mentre. Ovviamente non avevo dato peso a nessun condomine infastidito.
Mia madre, quando l’avevo chiamata per del mio ritorno a casa per le vacanza natalizie, era scoppiata di gioia all’idea di avere finalmente di nuovo tutta la famiglia riunita sotto lo stesso tetto per quasi due settimane. Non avevo avuto il coraggio di chiederle di poter di nuovo vivere con loro, speravo di riuscirci in quei giorni di permanenza; di solito non scappavo dai miei problemi.
Ovviamente, essendo un venerdì, ed essendo il ventuno di dicembre, nessuno era già a casa se non Serena, tornata da poco da scuola, per cui non mi sorpresi di trovare la casa abbastanza in silenzio e nessun placcaggio a terra in stile rugby, come segno di benvenuto. Sarebbe successo sicuramente più tardi con l’arrivo di mio fratello.
«Sono arrivata!» Esclamai chiudendo la porta di ingresso con un calcio all’indietro mentre iniziavo a togliermi sciarpa e cappotto. Casa dei miei genitori non era molto grande: disposta su due piani, con torretta, aveva uno stile molto inglese.
Il piano terra era diviso in due da un corridoio che conduceva dritto sulle scale; sul muro di destra vi era solo la porta scorrevole, ingresso della cucina con annessa sala da pranzo, mentre su quello a sinistra vi era presente un arco con cui si entrava in salotto - dove lo scintillante albero di Natale stava trasformando la sala in una discoteca - e la porta della stanza da letto dei miei genitori - loro avevano un bagno privato.
Le scale , che voltavano verso destra, portavano al piano superiore dove vi era il bagno padronale e le stanze mie e dei miei fratelli. Inoltre al secondo piano vi era una scala a scomparsa per arrivare alla torretta o detta anche sala giochi.
«Ciao Eva». Arrivò la voce di Serena dalla cucina e subito seppi: qualcosa non andava.
Il tono di mia sorella era passivo e forse molti non l’avrebbero trovato diverso dal solito, ma c’era una punta di tristezza e pacatezza di solito introvabile in Serena Rossi.
Inoltre mi aveva chiamata con il mio nome intero. Serena non mi chiamava per nome, mai.
Tolto i quattro chili di cappotto, lasciai la valigia davanti alla porta - quasi dimenticata - e in due falciate entrai in cucina dove trovai una Serena abbattuta, mangiare con bocconi da canarino un toast seduta al tavolo di noce.
Definitivamente qualcosa non quadrava con mia sorella. Prima mi chiamava per nome e poi non mangiava? Cosa era preso a Serena.
«Woah, Rena!» Esclamai sedendomi nella sedia accanto alla sua. «Stai bene? Devo chiamare la mamma?»
Serena mandò giù il boccone e scosse il capo.
«Mamma mi ha già provato la febbre stamattina e non ce l’ho», fece una pausa e notai come si stava trattenendo dall’esplodermi in faccia. «Sto bene».
Piegai la testa di lato.
«Hai sbattuto le palpebre velocemente». Le feci notare e lei divenne paonazza, sapendo come l’avevo appena scoperta a mentirmi. Era un piccolo tic di Serena: quando mentiva sbatteva le ciglia velocemente.
«Come stai?» Chiesi. «Voglio la verità».
Serena mi guardò dritta negli occhi e fui così in grado di vedere il sottile strato di lacrime presente. Mia sorella cercò qualcosa nei miei occhi e dopo qualche minuto sembrò trovarla perché potei vedere nelle sue iridi chiare come i muri della sua mente stavano sgretolandosi.
Mia sorella nascose il volto nelle mani e scoppiò in un pianto strozzato, proprio come era successo a me poco prima con il trio.
Serena odiava farsi vedere “debole”, per mancanza di migliori termini. Cercava sempre di trattenere tutte le sue emozioni fin quando non era sola e poteva lasciarsi andare.
Aveva un carattere forte e poteva sopportare il mondo.
Se in quel momento era crollata di fronte a me, significava solo esclusivamente una cosa: il suo dolore, in quel momente, era il più forte mai provato nella sua vita.
Con un unico gesto la strinsi in un abbraccio e la lasciai sfogare sulla mia felpa.
«N-non so c-cosa ci sia c-che n-non va», singhiozzò e tirò su con il naso. «È da s-sabato ser-ra che s-sto cos-sì». Fece un lungo respiro, cercando di calmarsi quel tanto per parlare normalmente, circa. Non la lascia andare neanche un secondo.
«E da quando mamma m-mi ha detto che H-Helel ed Arzael s-se ne sono a-andati è anche p-peg–».
Serana non riuscì più a parlare, ormai troppo persa nelle lacrime e nei singhiozzi così violenti da scuotere entrambi i nostri corpi.
Tutto il resto venne lasciato alla mia mente da comprendere.
Dopo l’ultima visita dei miei genitori, finita in un attacco dai parti dei demoni, si era capito come mia sorella avesse un’accentuata simpatia per gli angeli, in particolare per Helel. Eppure il dolore e la tristezza provati da Serena in quel momento non erano iniziati la domenica precedente, quando finalmente mi ero calmata abbastanza per potere chiamare mia madre e darle la notizia, ma da sabato sera: esattamente quando gli angeli erano scomparsi.
È come se avesse senti–
Spalancai gli occhi.
Oh, cielo!
Quanto ero stata stupida a non mettere a posto i pezzi del puzzle prima! Mannaggia a me e alla mia lentezza di pensiero!
Serena era l’altra metà di Helel! Ma certo! Questo spiegava tutto. Il flirt istantaneo che avevano avuto, il modo in cui il Diavolo l’aveva difesa durante l’attacco e il modo in cui l’aveva tenuta vicino a sé mentre spiegavo ai miei genitori le vere origini dei due angeli.
Questo spiegava anche perché Helel mi avesse tormentato di domande su mia sorella nella settimana prima della loro dipartita.
E proprio come io sentivo l’assenza della presenza di Azrael, Serena doveva benissimo sentire l’assenza di Helel. Come se ti mancasse qualcosa dal tuo fianco.
Guardai la forma di Serena tra le mie braccia e notai come essa si era calmata. Aveva gli occhi chiusi e il respiro regolare, si era addormentata.
Potarsi a dietro tutte quelle lacrime aveva dovuto davvero stremarla in quella settimana.
Sorridendo alla figura fulva, la alzai di peso e mi feci strada fuori dalla cucina, su per le scale e nella camera famigliare di mia sorella. Davvero poche cose erano cambiate da quando me n’ero andata.
La infilai sotto le coperte, le rimboccai le coperte e le diedi un bacio sulla fronte.
Non sei da sola.
Chiusi lentamente la porta della sua stanza e mi ci appogiai contro di schiena. Chiusi gli occhi, reclinai la testa all’indietro ed espirai.
Un unico pensiero era ora nella mente: Azrael.
 

†Angolo Autrice†

Ed eccomi con il capitolo diciasette!
Eva ed Azrael non vivono più insieme ed entrambi devono sopportare situazioni pesanti senza l'aiuto dell'altro. Eva a un confronto con la sorella e finalmente comprendere cosa ci sia tra la sorella e il Diavolo - traquilli, Helel aspetterà la maggiore età di lei per provare una qualsiasi cosa!
La guerra è arrivata in paradiso ed è il momente dei nostri protagonisti di scendere in campo. Cosa accadrà?
Dovrete aspettare il prossimo capitolo, che non tarderà ad arrivare!
Perché, signori e signore: ho finito anche l'epilogo. Dopo 130 lunghe pagine e un anno e venticinque giorni di lavoro, disperazione e pianti; sono riuscita a mettere la parola fine a questo mio progetto.
È stata una soddisfazione grande e toccante, con pure una lacrima di felicità uscita al mio stupido occhio.
Per cui state sintonizzati per gli ultimi capitolo che stanno per arrivare!!!

Axel Knaves

 
   
 
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